ECONOMIA E SOCIETA' |
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IL CAPITALISMO PROSSIMO VENTURO
Quanto più aumenta la concentrazione privata dei mezzi produttivi, tanto più ciò appare in contraddizione con la finalità pubblica dei beni prodotti. Ormai la stragrande maggioranza dei beni e dei servizi collettivi viene prodotta da sempre meno proprietari privati di forza-lavoro, il cui potere è diventato col tempo spropositato. Questa anomalia, già evidenziata dal marxismo classico, non è stata risolta dal capitalismo di stato, né poteva esserlo. Come noto il Welfare State è stato il tentativo di far pagare alla collettività, imponendole forti tasse e un enorme debito pubblico, il peso degli squilibri del capitalismo liberistico, basato sul laissez faire, le cui spinte irrazionali, dovute alla spietata concorrenza, nazionale e internazionale, portarono alle due guerre mondiali. Il fallimento del capitalismo di stato fa da pendant al fallimento del socialismo di stato, con la differenza, di non poco conto, che il primo fa leva soprattutto su risorse esterne (colonialismo e neocolonialismo), mentre il secondo s'era limitato, in virtù di una politica economica restrittiva e autoritaria, a sfruttare le risorse interne. Oggi lo Stato sociale capitalistico è irreversibilmente in crisi sia perché i suoi debiti sono colossali e difficilmente estinguibili, sia perché i capitalisti continuamente premono per avere mano libera, cioè in sostanza per pagare meno tasse possibili, per sfruttare un lavoro non sindacalizzato, per imporre prezzi di monopolio, per fruire di benefici di ogni sorta da parte dello Stato. Il capitalismo si basa sull'individualismo; può anche presentarsi sotto forma di trust o di cartello, ma si tratta sempre di associazioni tra individui singoli, i cui interessi non coincidono affatto con quelli della società civile. Oggi la società italiana è in mano a poche "famiglie" private, che sono grandi monopolisti anche sul piano internazionale. Lo Stato è diventato una figura obsoleta, usata sì come mezzo repressivo, coercitivo, fiscale, non senza alcuna funzione regolamentativa del mercato. In questo secondo dopo guerra lo Stato ha svolto il ruolo di mucca da mungere: le imprese, specie quelle più grandi, hanno infatti ricevuto agevolazioni fiscali, incentivi, sovvenzioni... tutte cose pagate con le tasse dei cittadini, sacrificati sull'altare della competizione internazionale. Nonostante questo, il capitalismo privato vuole sempre di più: le parole d'ordine sono "flessibilità", "mobilità", "defiscalizzazione", "desindacalizzazione" ecc. Il capitalismo privato, infatti, essendo un sistema irrazionale e quindi ingovernabile, ha continuamente bisogno di benefici, di agevolazioni, di possibilità di nuovi mercati, di pagare il meno possibile le risorse con cui produrre i beni e i servizi. E questo è tanto più vero quanto più il capitalismo si globalizza. Infatti, finché rimane protetto nell'ambito delle leggi nazionali, il suo trend può anche essere modesto, ma quando si scontra con colossi mondiali su un mercato più aperto o più libero, le sue esigenze si moltiplicano, e questo va a ritorcersi contro gli interessi dei lavoratori e dei cittadini. Sotto questo aspetto le contraddizioni di questo iper-capitalismo, ovvero le scelte in direzione dello smantellamento dello Stato sociale, appaiono tutte interne all'area metropolitana dell'occidente, cioè risultano indipendenti dai rapporti neocoloniali che pur tale area, in forme del tutto vantaggiose, continua ad avere col Terzo mondo. Come noto il capitalismo è coinvolto in due tipi di contraddizioni insanabili: una è interna e riguarda i rapporti tra capitale e lavoro, tra industrializzazione e ambiente; l'altra è esterna e riguarda i rapporti tra metropoli e periferia coloniale o neocoloniale. Quando scoppiano le contraddizioni esterne (rivoluzioni, nazionalizzazioni, crac finanziari ecc.) non sempre ciò ha un riflesso sulle dinamiche interne della zona metropolitana, in direzione di un superamento del capitalismo. Internamente infatti può anche aumentare la repressione nei confronti di qualunque istanza emancipativa. Ecco perché occorre mettere la società in condizioni di poter fare a meno e del capitale e dello Stato, che è uno degli strumenti principali del capitale. * * * 500 anni di libera concorrenza, 500 anni di monopolio: sarà forse questa l'evoluzione del capitalismo? Durante la prima fase il capitalismo, per affermarsi, ha dovuto lottare contro il feudalesimo e le altre formazioni sociali precapitalistiche (non solo nell'area metropolitana ma anche nelle colonie). Durante la seconda fase esso dovrà lottare contro la propria negazione, il socialismo, di cui già si sono viste alcune realizzazioni: utopistica, scientifica e amministrata, le quali ci fanno pensare che esista una sorta di evoluzione storica anche nelle fila del socialismo. Di sicuro noi sappiamo che l'attuale capitalismo non potrà tentare di risolvere le proprie contraddizioni tornando a una fase irreversibilmente superata: quella appunto della libera concorrenza, senza interventi da parte dello Stato. Nuove soluzioni non possono essere cercate che in campo militare, e quanto a ciò si sentano preposti gli Stati Uniti è facile da capire. Il dominio dell'imperialismo deve ancora assumere una fisionomia politico-militare sufficientemente credibile, al fine d'indurre l'occidente a non anteporre agli interessi internazionali del capitale quelli specifici della singola nazione. A tale scopo gli Usa hanno bisogno di sviluppare non solo esternamente ma anche internamente delle situazioni contraddittorie, tali per cui la soluzione politico-militare appaia come l'unica possibile. * * * Il capitale è un'entità che vive di vita propria. Gli uomini hanno creato un mostro che da tempo non sono più in grado di controllare. Il capitalista non potrebbe smettere di sfruttare neppure se lo volesse. Nel mondo romano non c'era questa assoluta venerazione per il dio quattrino. Ciò che più contava era la forza militare, in tempo di guerra, e la terra, col numero di schiavi per poterla lavorare, in tempo di pace. Oggi i padroni del mondo possono anche condurre, privatamente, un'esistenza modestissima, quasi ascetica. Nei confronti del dio quattrino hanno lo stesso atteggiamento di riverenza che una volta i credenti avevano nei confronti del dio uno e trino. D'altra parte non è più visibile, specie da quando sono nati i grandi monopoli, una figura concreta che possa essere definita con l'appellativo di "sfruttatore". Le direzioni aziendali propongono ai loro stessi operai di diventare "soci" dell'azienda acquistando delle quote azionarie. Oltre al danno, di non pagare i salari in maniera adeguata, la beffa, di contribuire con una parte del salario al proprio sfruttamento. Le assurdità sono all'ordine del giorno. Prendiamo questo semplice esempio: solitamente gli economisti affermano che il calo dell'inflazione è collegato a una minore capacità di consumo, la quale però può portare alla recessione, in quanto le aziende che non vendono come vorrebbero o come dovrebbero, sono costrette a licenziare ecc. Dunque, quando l'inflazione è alta, aumentano gli scioperi e le lotte sindacali, perché i salari e gli stipendi perdono potere d'acquisto. Viceversa, quando l'inflazione è troppo bassa, la situazione è ancora più preoccupante, poiché ciò significa che salari e stipendi sono talmente bassi da risultare inutili per le spese non strettamente necessarie. Le aziende chiedono ai cittadini di consumare oltre i loro bisogni e soprattutto oltre le loro possibilità e quando questi lo fanno, dimostrando così che le aziende producono anzitutto per vedere, ecco che gli economisti dicono che esiste uno sviluppo produttivo. L'aumento del prodotto interno lordo è indice sicuro di benessere. Altro esempio. Il capitale ha bisogno di sfruttare lavoro altrui per riprodursi, ma poiché il lavoro si ribella a tale sfruttamento, il capitale cerca di sostituirlo con l'automazione delle macchine. Tuttavia, quanto più il capitale si comporta così, tanto meno profitti riesce a realizzare, poiché il plusvalore è dato proprio dal pluslavoro non pagato. I grandi profitti infatti si realizzano ammortizzando velocemente le spese del capitale costante, ma questo alla lunga non è possibile se si sostituisce l'uomo con la macchina. Concetti come "sviluppo", "benessere", ma anche "povertà", "arretratezza"... oggi vanno completamente ridefiniti. Una società, p.es., può essere "povera" non tanto perché tecnologicamente arretrata rispetto agli standard occidentali, quanto piuttosto perché sottoposta a sfruttamento coloniale o semicoloniale (in questo secondo caso, quando a una liberazione nazionale di tipo "politico" non ha fatto seguito una indipendenza di tipo "economico"). Oggi non è più possibile prendere come termine di paragone lo sviluppo capitalistico, per poter stabilire quando una società è o non è "avanzata". Il capitalismo infatti non è in grado di garantire un benessere di massa neppure al proprio interno. Poiché i suoi standard vitali sono molto elevati, è del tutto naturale che in certe aree di degrado e di emarginazione gli esclusi possano vivere situazioni di disagio più grave persino di certe zone del Terzo mondo. In occidente il passaggio dal relativo benessere alla più nera miseria a volte può essere così repentino da trovare i cittadini del tutto impreparati, sul piano psicologico, ad affrontare la situazione. Alla fine chi è più "povero": chi è abituato a vivere di espedienti o chi teme di trovarsi da un momento all'altro in una fascia di reddito di cui vergognarsi? In altre parole, era più povera quella società primitiva che tutta insieme cercava nella natura i mezzi di sussistenza, distribuendo le poche risorse disponibili in maniera equa, o è più povera quella società moderna in cui esistono pochi proprietari di molti beni che costringono la maggior parte dei lavoratori ad affrontare con un senso di assoluta incertezza e precarietà il proprio destino? E' più sicura una società dove i problemi vengono affrontati in maniera collettiva, nella convinzione che dalla loro soluzione dipende il destino di tutta la comunità, o è più sicura quella società in cui i vantaggi della soluzione di certi problemi saranno patrimonio prevalente di poche persone? Per quale motivo sotto il capitalismo un lavoratore dovrebbe sacrificarsi per il bene comune quando i vantaggi più significativi di tale bene vengono acquisiti da poche persone senza scrupoli e, proprio per questo motivo, finiscono col danneggiare il bene comune? Una volta esisteva la lotta comune degli esseri umani contro la natura, alla quale bisognava strappare il minimo indispensabile per vivere. Oggi la competizione è a tutti i livelli: tra uomo e uomo, tra uomo e donna, tra lavoratore e disoccupato, tra bianco e nero... L'individualismo è estremo, e tutti pensano che possa durare a lungo proprio a motivo del fatto che disponiamo di mezzi tecnici molto evoluti. E' la scienza che illude l'uomo contemporaneo di poter vivere in eterno in queste condizioni innaturali. Peraltro noi ammettiamo ma non possiamo concedere che gli uomini primitivi avvertissero la natura come un nemico da combattere. E' anzi molto probabile che il concetto di "natura matrigna" sia emerso dopo il sorgere delle civiltà schiavistiche, come un modo ingenuo di attribuire a un'entità metafisica la responsabilità del fenomeno dello sfruttamento sociale. Una volta il marxismo pensava che il capitalismo, oltre ai guasti provocati dalla cattiva distribuzione dei profitti, avesse la possibilità di produrre cose utili alla collettività. Oggi dobbiamo mettere in discussione anche tali presunti vantaggi. Il rapporto tra produzione umana (che è prevalentemente industriale) e risorse naturali si è così compromesso da minacciare la stessa sopravvivenza della civiltà. Ormai non è più solo in questione lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, ma anche il diritto ad usare una tecnologia che impedisce alla natura di riprodursi con sicurezza e soprattutto in maniera integrale (si veda il discorso ambientalista sulla concentrazione prevalente delle attività produttive nell'uso di risorse non facilmente rinnovabili). Il capitalismo non è una civiltà più sicura di altre. I mezzi tecnico-scientifici si rivelano del tutto impotenti di fronte alle improvvise crisi di sovrapproduzione o al costante aumento della disoccupazione, o alla caduta tendenziale del saggio di profitto, o ai progressivi trend inflazionistici... D'altra parte quando i principali mezzi produttivi appartengono a poche persone è letteralmente impossibile svolgere una seria opera di programmazione e di pianificazione a lungo termine. Nel mondo primitivo un qualunque rapporto magico con la natura non presupponeva mai, di per sé, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Esprimeva piuttosto un rapporto di dipendenza dell'uomo dalla natura, che tale dovrebbe rimanere anche nella consapevolezza della superiorità della specie umana su qualunque altra specie animale. La natura non può essere unicamente considerata come una risorsa da sfruttare, ma anche come un bene da tutelare. Che l'uomo sia un ente di natura è dimostrato dal fatto che la sua comparsa sulla terra è cosa relativamente recente. La natura, infatti, è dotata di vita propria, del tutto indipendente da quella umana. E se l'uomo non è in grado di stabilire un rapporto correlato, interattivo, con la natura, il suo destino è segnato, perché la natura, inesorabilmente, si riprenderà ciò che le appartiene. Il socialismo democratico non può prescindere da questa consapevolezza ambientalista. Il capitalismo non ha più niente da dire per il futuro dell'umanità, e inevitabilmente esso sarà tanto più aggressivo quanto più sarà consapevole della propria ineluttabile fine e quanto più l'umanità gli permetterà di usare mezzi violenti per ritardare il più possibile questa fine. Il futuro dell'umanità si giocherà sulle diverse interpretazioni da dare al concetto di "socialismo democratico". Come infatti l'Europa occidentale ha sperimentato i fallimenti del cosiddetto "socialismo utopistico", volendo fare delle riforme sociali senza rivoluzione politica, così l'Europa orientale ha sperimentato i fallimenti del cosiddetto "socialismo amministrato", volendo fare la rivoluzione politica senza quella umana. Il futuro del capitalismo Fonti
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Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"