PIERO DELLA FRANCESCA
LA FLAGELLAZIONE DI CRISTO


BIOGRAFIA DI PIERO DELLA FRANCESCA

Le notizie sulla vita di Piero di Benedetto dei Franceschi, conosciuto come Piero della Francesca, sono molto poche. Suo padre era calzolaio e conciatore, e non si chiamava della Francesca ma de' Franceschi: sono sconosciute le cause del cambiamento del cognome da parte del figlio.

Per anni si è fissata la sua data di nascita, desunta dal Vasari, al 1406, ma un documento del 1439 lo attesta a bottega, come frescante, dell'artista Domenico Veneziano, pertanto Piero non può essere nato prima del 1410: oggi si ritiene tra il 1415 e 1420. Il luogo natio è Borgo Sansepolcro, paesino dell'alta Val Tiberina, non lontano da Arezzo. Nel 1430 Borgo Sansepolcro appartiene al pontefice Martino V.

Proprio a Firenze Piero attende con il maestro Veneziano agli affreschi di Sant’Egidio, raffiguranti le Storie della Vergine, di cui restano solo pochi frammenti. Le sue conoscenze degli stilemi artistici fiorentini, delle nozioni prospettiche del Brunelleschi, delle teorizzazioni dell’Alberti, dello studio della luce dell’Angelico e delle geometrizzazioni di Paolo Uccello si formano a Firenze. E' anche a contatto con il Beato Angelico, suo mediatore verso Masaccio e Brunelleschi.

Il borgo di Sansepolcro ebbe un ruolo decisivo nelle vicende che portarono alla battaglia di Anghiari. Nel 1438 lo Stato Pontificio ne aveva ripreso possesso, come previsto da un accordo con Niccolò Fortebraccio da Montone, che avrebbe dovuto restituirlo alla sua morte. Tuttavia il borgo venne occupato da Francesco Piccinino, figlio del capitano di ventura Niccolò Piccinino, che, dopo aver servito per un breve periodo sotto la repubblica fiorentina, s'era messo al servizio di Filippo Maria Visconti, duca di Milano (1425). I Piccinino erano parenti di Fortebraccio.

A quel punto Sansepolcro fu presa d'assedio dall'esercito pontificio di papa Eugenio IV, con l'appoggio dei fiorentini. Niccolò corse in aiuto del figlio e Sansepolcro non venne espugnata. Fu per evitare un'ascesa politica e militare di Piccinino e dei Visconti di Milano, che miravano già all'Umbria, che un grande esercito pontificio e fiorentino (con l'appoggio di Venezia) si organizzò e prese posizione nei pressi di Anghiari.

Il 29 giugno 1440, credendo opportuno approfittare della sosta ad Anghiari delle truppe del papa, Piccinino decise di attaccarle prendendole di sorpresa. Fu uno scontro non particolarmente cruento, ma i fiorentini la celebrarono come una vittoria decisiva per impedire al duca di Milano di prendere la bassa Toscana.

La vera battaglia avvenne quando l'esercito milanese puntò decisamente su Anghiari. L'effetto sorpresa fu però rovinato dall'enorme mole delle truppe di Piccinino, che solo a Sansepolcro era riuscito a raccogliere oltre 2.000 uomini, attratti dalle virtù militari del capitano visconteo e desiderosi di fare il sacco ai castellani di Anghiari. Le truppe furono avvistate con largo anticipo sulla via che da Sansepolcro le conduceva alla piccola fortificazione. Lo scontro, durissimo, venne vinto dai fiorentini e Piccinino, richiamato in Lombardia, abbandonò la Toscana quasi immediatamente. Nel 1440 Eugenio IV, riconquistato Borgo Sansepolcro, lo cede a Firenze, dove peraltro, per motivi di sicurezza, s'era dovuto spostare il concilio ecumenico di Ferrara.

Piero, poco dopo il 1440, lascia per sempre Firenze e nel 1442 a Borgo Sansepolcro si candida alle elezioni come consigliere popolare, facendo così capire di non amare molto le corti né di Firenze né di Roma (ad esse infatti preferirà sempre quelle di Umbria, Romagna e Marche). In particolare alla corte urbinate di Federico da Montefeltro, dove soggiornò a più riprese, a partire dal 1445, Piero con la sua nuova concezione dello spazio, influì notevolmente sulla creazione dello stesso Palazzo Ducale.

Federico da Montefeltro era diventato signore di Urbino nel 1444, succedendo al fratellastro Oddantonio ucciso in una congiura di palazzo, cui probabilmente lo stesso Federico non fu estraneo. Per vent'anni egli combatterà contro Sigismondo Pandolfo dei Malatesti, signore di Rimini e Fano. Nel 1463, appoggiandosi a papa Pio II, fermamente deciso ad eliminare la signoria malatestiana da Marche e Romagna, Federico riuscirà a sconfiggere definitivamente il suo rivale. Da quell'anno fino alla morte Federico conoscerà la stagione del suo massimo splendore.

Nel 1445 la Confraternita della Misericordia commissiona a Piero un polittico da realizzare in tre anni per l'altare maggiore della propria chiesa, che però porterà a termine verso il 1460. Le tavole saranno la Crocifissione, San Sebastiano, San Giovanni Battista, Sant'Andrea, San Bernardino da Siena, Madonna della misericordia. Il senso del volume, la plasticità dei corpi mostrano l'influenza di Donatello, mentre la pala maggiore del polittico ricorda il Masaccio.

Contemporaneo ai primi pannelli del polittico è anche il Battesimo di Cristo, nella Badia camaldolese di Sansepolcro. In questo dipinto la chiara luminosità del paesaggio rievoca le opere di Domenico Veneziano e del Beato Angelico, la prospettiva rigorosa del perno centrale è costituita dalla figura del Cristo e conferisce all'opera un certo equilibrio e l'armonia tipica delle opere pierfracescane.

A Ferrara nel 1449 lavora nel Castello degli Este e nella chiesa di Sant'Andrea, ma gli affreschi sono andati perduti.

Nel 1451 è a Rimini, ove lavora al Tempio Malatestiano, realizzando l’affresco di Sigismondo Malatesta. Era stato chiamato da Leon Battista Alberti, che personalmente non aveva mai conosciuto prima. Si reca ad Ancona, Pesaro e Bologna.

L’anno seguente è ad Arezzo, su richiesta della facoltosa famiglia Bacci, per proseguire gli affreschi della cappella maggiore in San Francesco (La leggenda della vera croce), la cui realizzazione s'era interrotta con la morte del pittore Bicci di Lorenzo, mediocre artista di scuola fiorentina.

Nel 1453 è di nuovo a Borgo, dove riceve dal Comune una balestra per partecipare a una rassegna militare in previsione della guerra tra Firenze e gli aragonesi.

A Urbino realizza la Flagellazione di Cristo. Coevi o di poco posteriore a questa, la Madonna del parto, nella cappellina del cimitero di Monterchi, la Resurrezione di Cristo nel palazzo dei Conservatori di Sansepolcro, la Santa Maria Maddalena nel Duomo di Arezzo. La Madonna del Parto è uno degli affreschi più celebri di Piero della Francesca, per la perfezione della costruzione prospettica e l’armonia della forma e del colore ricco di luce.

Nel 1454, chiamato da papa Niccolò V, si reca, verosimilmente, a Roma (Vasari), dove esegue affreschi per la chiesa di Santa Maria Maggiore (dei dipinti restano solamente alcuni frammenti). Vi ritornerà alcuni anni dopo, al servizio di papa Pio II Piccolomini, ma i suoi affreschi che decoravano le stanze vaticane sono andati perduti.

Nel 1460 è nominato a Borgo Sansepolcro tra i dodici probiviri del collegio istituito per la riforma della pubblica amministrazione. Sino al 1467 ricopre cariche pubbliche.

Nel 1462 a Urbino conoscerà il pittore Melozzo da Forlì, il matematico Luca Pacioli e l'architetto Luciano Laurana.

A Perugia affresca una tavola del polittico di Sant’Antonio, l'Annunciazione, dove l'artista concepisce soluzioni architettoniche molto ardite e complesse. Ma dal 1475 in poi la sua attività sembra arrestarsi. Ne è probabile causa una malattia agli occhi, che secondo Vasari lo conduce alla cecità totale. La notizia non troverebbe però conferma nel testamento di Piero, datato al 1487, nel quale egli afferma di essere in piena salute.

Agli anni Settanta appartengono una Madonna di Senigallia, una Sacra conversazione della pinacoteca di Brera, l'ultima grande testimonianza della sua arte.

Dal 1480 al 1482 è a capo dei priori della confraternita di San Bartolomeo.

Negli ultimi anni di vita Piero si dedica alla scrittura, lasciando ai posteri tre libri scientifici: De corporibus regolaribus, Trattato d’abaco e De prospectiva pingendi (nel 1435 Leon Battista Alberti aveva scritto il De Pictura).

Nel 1487 redige il proprio testamento. Muore il 12 ottobre del 1492 nel suo paese natio. Chiede di essere sepolto in quello che oggi è il Duomo di Sansepolcro. Alla sua bottega studiarono fra gli altri Luca Signorelli e il Perugino.

Con Seurat, Cézanne, Matisse e altri ancora si sviluppa la rivalutazione di Piero nel corso dei primi due decenni del Novecento.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 27/08/2015