PAUL KLEE: UNA RICOGNIZIONE |
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4. TEMI: L'INFANZIA L'interesse per il disegno artistico dei bambini risale in Klee al 1902, quando si imbatté casualmente in disegni infantili propri. "Opere eleganti e ingenue", le definì. Del disegno infantile Klee apprezzava soprattutto la capacità di guardare il mondo in modo innocente. "I signori critici – scrisse in seguito – dicono spesso che i miei quadri assomigliano agli scarabocchi dei bambini. Potesse essere davvero così! I quadri che mio figlio Felix ha dipinto sono migliori dei miei". Qui Klee si ricollega, almeno in parte, al clima culturale del tempo, alla riscoperta dei primitivi, dell'arte africana, della semplicità di rappresentazione, alla capacità di assoggettare il mondo non ad un processo razionale ma di puntare direttamente alla sua raffigurazione simbolica. Da questo punto di vista, l'innocenza è la sola guida per capire-rappresentare. Del resto, la pensavano così quasi tutti gli artisti del tempo che, continuando la tradizione romantica, erano attratti dalle facoltà intuitive dell'umanità. Naturalmente l'infantilismo grafico di Klee tutto era fuorché uno scarabocchio e una raffigurazione incongrua: era, in realtà, il frutto di un calcolo e di una progettazione molto attenti e studiati. Quello che lo attraeva dei disegni infantili era la carica di energia che emanavano, la capacità di mettere in presa diretta le proprie sensazioni con il mondo, saltando qualsiasi convenzione. La stessa energia, dice Lyonel Feininger, altro grande pittore del Bauhaus, all'incrocio tra razionalismo e futurismo e tra i fondatori dell'arte contemporanea americana, che "talvolta si cela nei disegni dei bambini". Anche in questo Klee si dimostra un neurologo inconsapevole. La sua ricostruzione dell'universo è, contemporaneamente, la ricostruzione del processo di addestramento neuronale dell'uomo dalla nascita in poi, teso ad estrarre "informazioni sugli aspetti essenziali, costanti del nostro universo visivo, a partire da una massa di dati in continuo cambiamento". (S. Zeki). Se la capacità di visione è geneticamente determinata – continua lo studioso di neuroestetica - lo "sviluppo della corteccia associativa matura in diverse tappe successive, come se il suo sviluppo dipendesse dalle acquisizioni dell'esperienza visiva." Ora, la capacità di rappresentazione dei bambini si situa proprio su quel crinale temporale in cui "si acquisiscono quelle capacità visive che non possono essere modificate per il resto della vita dell'individuo." Lì, per Klee, c'è il terreno vergine delle mille possibilità che sono date alla rappresentazione, un universo potenziale che, poi, non potrà più essere modificato, se non attraverso l'arte. Un bambino, non subisce quell'effetto deragliamento di cui parlavo all'inizio, lo accetta come un dato naturale tra gli altri. Perché mai una banana non può essere rossa o una linea schematica non può rappresentare un essere umano? Il germe del mondo (ontogenesi) e il processo evolutivo (filogenesi) qui si completano; infantile e astrazione raggiungono il loro massimo potenziale attraverso un bricolage, un riciclaggio di materiali-composizioni poveri, essenziali. "Un ingenuo candido fanciullo è entrato nella stanza dei bottoni, e li pigia all'impazzata, recuperando il loro funzionamento alla logica del piacere" – dice splendidamente Barilli. E' la riscoperta-riadattazione ludica del mondo, come fa un bambino alle sue prime armi, come fa il mio nipotino Alessandro, ipereccitato dai bottoni degli apparecchi con cui muovere misteriosamente il mondo delle cose che lo circondano, le quali non sono ancora in collegamento logico tra loro: solo in seguito formeranno il nostro mondo di adulti, compatto e opaco. |