ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA


GENTILE DA FABRIANO E IL GOTICO INTERNAZIONALE

La definizione di "Gotico Internazionale" in pittura e in scultura, e di "Gotico Fiorito" in architettura, comprende l’ultimo periodo del gotico e alcuni scrittori lo considerano come una specie di manieramento di questo stile, in un certo senso come l’Ellenismo sta al Classicismo greco, il Manierismo al Rinascimento e il Rococò al Barocco.

Nasce e si diffonde in tutta Europa verso il 1380, sebbene ogni centro artistico abbia caratteristiche locali proprie, ma con elementi generali che gli danno un’unità internazionale. Uno dei centri, forse il più importante, fu Avignone, dove nella corte papale s’incontravano, lavoravano e si scambiavano progetti, idee e innovazioni, artisti dei vari paesi europei. Tra i nostri basterebbe segnalare la presenza del senese Simone Martini che vi lasciò opere anteriori al 1350.

In Italia, cominciando da Firenze, la scintilla della nuova arte rinascimentale relegò il gotico tra gli stili antiquati, ma non così negli altri paesi europei, dove, in relazione alla vicinanza o lontananza dall’Italia, sopravvisse ancora per molto tempo, anche se ufficialmente oggi si consideri terminato il suo ciclo verso il 1450.

Il Gotico Internazionale fu un'arte cortigiana che rispecchiava la pompa e il lusso delle corti europee, nelle loro epoche di decadenza sia della cultura sia della società medioevale. La statica nobiltà cortigiana fu costretta a cedere il passo al dinamismo e alla ricchezza economica borghese.

Pittori su tavole e miniaturisti fioriscono un po’ dappertutto, come p. es. il fiammingo Melchior Broederlam in Borgogna, i tre fratelli Limbourg, franco-fiamminghi, che miniano "Les très riches heures" per incarico del duca Jean de Berry, a Milano gli affreschi di Giovannino de’ Grassi, Giovanni di Benedetto da Como e Michelino di Besozzo, alla corte dei Visconti e numerose sono le decorazioni dei manoscritti miniati da quelle lombardi a quelle di Praga, in Boemia.

Fu un mondo artistico che volgeva il suo sguardo al mondo naturale circostante, con preziosismo di particolari, avvolto in una atmosfera irreale, incantata, decorativa e preziosistica, di linee arabescate, ritmiche e sofisticate, di colori vivi e smaglianti, di ori ed argenti, di tessuti preziosi.

FABRIANO

Le Marche erano un centro d’attrazione per artisti delle vicine regioni, come l’Emilia-Romagna, la Toscana, l’Umbria e il Veneto, sia per le famose corti di mecenati, la più importante delle quali fu quella d’Urbino, sia per la fama degli artisti locali.

Sebbene non si possa parlare d’una scuola pittorica fabrianese, nei secoli XIV e XV apparvero pittori famosi, che non sempre avevano relazioni artistiche o stilistiche tra di loro.

Tra i tanti ricordiamo il maestro Viviano, Francesco di Bocco, Ventura di Francesco, Tio di Francesco, Bartolino d’Accoruzio, Allegretto Nuzi, Angelo di Meo Cartaiolo, Agnolello, Bartoluccio, Filippo di Cicco, Francescuccio di Cecco Ghissi, Franceschino di Cecco, Antonio da Fabriano, Gentile e Antonio d’Agostino di ser Giovanni, Francesco di Gentile, Antonio e Costantino di Franceschino di Cecco, Giovanni di Cicco d’Andrea detto Lepore, il maestro Nicolò, Onofrio da Fabriano, Pierfrancesco di Peccio, Batoluccio e Tomaso di Nasseo, ma il più importante fu senza dubbio "Gentilis de Fabriano".

GENTILE DI NICCOLÒ DI GIOVANNI DI MASSIO

Conosciuto con il nome di Gentile da Fabriano, nacque verso il 1370, figlio d’un mercante di stoffe; poco si conosce della sua vita giovanile a Fabriano, la maggior parte delle sue opere andarono perdute o furono distrutte. Si fanno solo congetture sulla sua iniziale formazione artistica, avuta per contatti con altri artisti del centro e del nord d’Italia o a causa di suoi primi probabili viaggi in Umbria, Toscana e Lombardia.

Infatti le sue prime opere conosciute sono di fine '300 e, sebbene provengano da Fabriano, si riscontrano in esse influenze lombarde e senesi, come nella Pala di Berlino (Madonna con il Bambino tra i santi Niccolò e Caterina, e un donatore), dipinta per la chiesa di Fabriano di san Niccolò.

Già si nota il mutamento di forma degli occhi dei personaggi: gli occhi sporgenti, quasi spalancati, rotondi ed enfiati del bizantino e romanico, che denotano l’importanza dominante delle gerarchie, la loro estatica e ieratica divinizzazione, si convertono, seguendo l’esempio di Giotto, in occhi a mandorla, dagli sguardi pii ed umili dell’umanizzazione del divino, che si riscontra anche nel movimento sinuoso dei personaggi e nello sguardo attento con cui i pittori riproducono la natura circostante.

Nel Polittico di Valle Romita, probabilmente dipinto nel 1400, per il convento omonimo, vicino a Fabriano, poi smembrato e venduto alla Pinacoteca di Brera, quindi ricomposto (ne manca solo una tavoletta centrale, sembra venduta ad Ancona ad uno straniero).

Anche qui, a differenza di Giotto, dove le montagne erano riprodotte simbolicamente come ammassi di nude pietre o scogli isolati, Gentile le dipinge con un senso un po’ più realista, soprattutto nei cespugli, gli alberelli e i prati ricoperti di fiori.

Un altro San Francesco che riceve le Stimmate, variante con più dettagli di uno dei pannelli del Polittico di Valle Romita, dipinto nello stesso periodo, si trova attualmente in una collezione privata italiana.

Durante i primi anni del 1400 Gentile lavorò a Perugia, Siena, Orvieto e Milano, per tornare a Fabriano nel 1405.

Di rilievo, una Madonna con Bambino ed Angeli Musicanti (Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria), in cui si nota un’evoluzione del suo stile consistente in una maggior precisione naturalistica dei personaggi.

Dal 1408 fino al 1414 Gentile risiedette a Venezia. Delle sue prime opere di questo periodo andarono perdute un’Ancona e due ritratti di uomini: resta la Madonna con Bambino e due Angeli, in parte mal ridipinta o addirittura rifatta. Acquistata secoli dopo da Samuele Kress passò al Philbrook Art Center di Tulsa, Oklahoma.

Distrutta da un incendio del 1577 fu anche la Battaglia Navale tra i Veneziani ed Ottone III (figlio di Federico Barbarossa), dipinta, nel 1409, nel Palazzo Ducale. E' andata anche perduta La Tempesta, che secondo le testimonianze era un’opera così realista che incuteva timore e paura agli osservatori.

Dal 1414 al 1419 Gentile lavorò a Brescia, affrescando la Cappella del Broletto, per incarico di Pandolfo Malatesta, ma tutte le sue opere si perdettero e mancano anche documenti che diano informazioni esaurienti sui temi trattati.

In ogni modo le linee arabescate e il suo particolare cromatismo, in parte accentuati e sviluppati a contatto con l’ambiente veneziano, si riscontreranno in uno dei suoi discepoli, Jacopo Bellini, che in suo omaggio e devozione dette il nome di Gentile al suo primogenito, che sarà anche lui pittore e fratello dell'ancora più famoso Giovanni Bellini, detto Giambellino.

Di questo periodo è la Madonna con Bambino, che attualmente si trova nel Museo Civico di Pisa. Sul manto della Madonna si legge, in lettere arabe, "la illahi ila Hallah" ("non avrai altro Dio al di fuori di Allah"). In questo quadro il piano di fondo non è più d’oro, alla maniera antica, ma coperto da un arazzo fiorito.

Un’altra Ancona, oggi perduta, fu donata al papa Martino V, conosciuto a Brescia e che lo invitò a lavorare a Roma: la Madonna con Bambino ed Angeli Musicanti, del Metropolitan Museum di New York, malamente restaurata e in pessime condizioni.

Nel 1420, dato che il papa era a Firenze, Gentile, dopo un breve soggiorno in questa città, se ne ritorna a Fabriano, ma è nuovamente a Firenze nel 1422 (iscritto all’arte dei medici e speziali), dove dipinge, l’anno seguente, il suo capolavoro Adorazione dei Magi, su incarico di Palla di Noferi Strozzi per la cappella della sua famiglia, nella chiesa di Santa Trinità.

L’ADORAZIONE DEI MAGI
(cm. 303 x cm. 282. Attualmente nella Galleria degli Uffizi, Firenze)

E' un'opera dipinta a tempera su tavola; nella sua cuspide ci sono tre tondi, ciascuno sovrastato da un cherubino, che rappresentano rispettivamente un angelo annunziante, Cristo e la Madonna annunciata; ogni tondo ha ai lati due profeti (il primo: Ezechiele e Michea; il secondo, più grande, in riferimento al Cristo, include Mosè e David; il terzo invece Baruch e Isaia). Tutta la cornice è finemente lavorata, dorata e intagliata.

Il tema centrale del quadro è l’adorazione dei re Magi, ma in effetti sembra proprio un pretesto per dar briglia sciolta alla sua immaginazione poetica, alla sua narrazione fiabesca, al desiderio di mostrare, in episodi indipendenti, suddivisi in tre lunette, che hanno la loro conclusione, nel primo piano, in un fastoso ed elegante primo piano, il lusso spettacolare e preziosistico delle corti principesche dell’epoca, che qui si combina simbolicamente e tiene il suo fine conclusivo nell’arrivo dei Re Magi e del loro numeroso seguito, verso la stalla dove appaiono la stella cometa, Gesù bambino, la Madonna, san Giuseppe, una casa diroccata, l’asino e il bue, nella loro mangiatoia, e due donne all’estrema sinistra di chi osserva.

La narrazione comincia a sinistra in alto con i tre Magi che, sulla sommità d’un monte, osservano l’apparizione della stella cometa, più sotto c’è la baia con delle navi da dove essi sbarcarono con tutti gli altri. Da lì comincia il lungo cammino verso Betlemme, che si fa man mano sempre più nutrito di personaggi, cavalieri, servi e popolani, cavalli ed altri animali in un paesaggio dettagliato di case, torri, mura, ed anche campi coltivati, orti, cespugli, alberi, fiori, frutta, tra cui spiccano i melagrani.

Ci sono anche due scene isolate, alquanto rare nel contesto: tre soldati di guardia che catturano un quarto soldato, armato di pugnale, e uno dei tre sembra che stia per pugnalarlo, e un leopardo che sta sbranando una gazzella.

Sempre guidato dalla cometa, il corteo entra in città, mentre in un’altra scena ne esce per dirigersi verso la casa diroccata, contigua a una grotta, dove appare la greppia dove nacque Gesù.

Tutte le tre scene appaiono in una specie di penombra, le cui maggiore o minore intensità di sfumature ne determina la lontananza, di spazio e di tempo: è una penombra dorata causata dalla luce della stella cometa che permette di distinguere chiaramente persone ed animali.

Gentile riesce a produrre tale effetto avendo steso sulla tavola una patina di color oro sopra la quale collocò gli altri colori, lasciando trasparire dal di sotto un’atmosfera dorata che proporziona una certa illuminazione vespertina.

Quindi nel primo piano troviamo il corteo giungere all’ingresso della grotta, sopra la quale s’è fermata la stella: ora appare sempre più nitidamente lo splendore scintillante del corteo, si distinguono chiaramente i personaggi, le loro fisionomie, le loro condizioni sociali, i loro sgargianti vestiti; appaiono così, oltre i tre Magi, anche i dignitari, i palafrenieri, i servitori e con loro, cavalli, cani, un asino, falchi, colombe e animali esotici come gattopardi e scimmie.

I tre Re Magi, apparsi in pittura nel secolo XII, non ancora rappresentano le tre razze umane, secondo l’iconografia pittorica posteriore, e sono bianchi: uno vecchio, con il copricapo e la corona collocati in terra, si prostra di fronte al bambino che gli accarezza il capo calvo, gli altri due hanno la corona in testa sullo splendido e ricco copricapo, uno è in ginocchio, l’altro ancora in piedi, tutti e tre offrono i loro doni, oro, incenso e mirra, in tre recipienti d’oro cesellati. Uno dei quali viene aperto da una donna e mostrato a un’altra donna, entrambe situate dietro la Vergine.

Appare così una grandiosa e magica apparizione di magnifiche stoffe di damasco, di velluto, di broccato, di seta e di profusione d’oro scintillante delle spade, staffe, speroni, briglie e borchie.

Come era abitudine nei pittori, fino al secolo XIX, i costumi sono dell’epoca di Gentile e non di quelli della Palestina di Gesù, e, come spesso s’usava, anche Gentile si dipinse nel quadro: il suo viso appare di fronte, con un copricapo rosso e un vestito nero con fiori dorati, alla destra, un poco più in alto del re Mago che è in piedi, a cui un servo sta togliendo gli speroni.

I due lati del quadro terminano in due pilastri intagliati simili a pinnacoli, dalle cui cavità sporgono fiori, frutta e legumi dei più svariati tipi: viole, mammole, ginestre, gelsomini, gigli, genziane, fiori di piselli, calendole, margherite, trifogli, vilucchio, rose, ceci, papaveri, fiordalisi, fave, fragole, genziane, ciliegie, borragini, garofani meticolosamente dipinti con un realismo da illustratore di trattati di botanica.

La predella del gran dipinto è composta da tre scomparti: La Natività, la Fuga in Egitto e la Presentazione al Tempio (quest’ultimo è una moderna e fedele riproduzione, dato che l’originale si trova al Louvre di Parigi, trafugato dalle autorità francesi napoleoniche).

E' un quadro meraviglioso che deve aver sicuramente sbalordito Palla Strozzi e anche la maggior parte dei fiorentini, non solo perché era la visione più ricca e grandiosa, nuova come composizione, con un tale numero di elementi e di particolari, dai colori pieni e lucenti, ma anche perché entrava perfettamente nella loro concezione d’arte cui erano abituati, a margine delle audaci innovazioni che cominciavano ad apparire.

Infatti non avevano forse i fiorentini, nel 1401, respinto il disegno di Brunelleschi del sacrificio d’Isacco, in occasione del concorso per la porta del battistero di san Giovanni, avendo preferito quella del Ghiberti, più gotico, più tradizionale, meno rivoluzionario di quello del Brunelleschi?

Per la stessa ragione Gentile, pur vivendo a Firenze agli albori della nuova epoca, preferiva il suo stile formatosi dall’esperienza di vari anni nel gotico e nulla o quasi captò di quello che stava circolando audacemente in città. Lo stile brusco, troppo realista e prospettico del Rinascimento, gli toglieva l’incanto della fiaba, il gusto del lirismo, l’irrealtà d’un mondo incantato, la "gentilezza che - come disse Michelangelo - nel dipingere aveva la mano simile al suo nome".

Gentile a Firenze, nel 1425, firma varie opere. Dipinge il Polittico Quaratesi (smembrato nel secolo XIX), per la omonima famiglia, da destinare alla chiesa di san Niccolò sopr’Arno, che rappresenta, nei suoi distinti pannelli, santa Maria Maddalena, san Nicola di Bari (entrambi nella Galleria degli Uffizi, Firenze), Madonna con il Bambino (che era collocata nel centro del Polittico, attualmente nelle collezioni reali ad Hampton Cour, Inghilterra), san Giovanni Battista e san Giorgio (entrambi agli Uffizi).

La predella si compone di cinque pannelli che narrano episodi della vita di san Nicola di Bari: la Nascita del Santo, san Nicola dona tre palle d’oro a tre ragazze povere, san Nicola placa una burrasca, san Nicola risuscita tre fanciulli (tutti e tre nella Pinacoteca vaticana) e Malati e pellegrini presso la tomba di san Nicola (National Gallery of Art, Washington. Madonna con il Bambino e i santi Lorenzo e Giuliano (collezione Frick, New York). Quindi una Madonna con il Bambino (Gallery of Art, Washington) e un’altra attualmente nella Art Gallery dell’università di Yale, a New Haven; e una Annunciazione (Pinacoteca vaticana, Roma).

Nel 1425-26 è a Siena dove dipinge varie opere tutte perdute, quindi a Orvieto dove dipinge una Madonna con Bambino per il Duomo. Ritorna poi a Siena forse per terminare una pittura interrotta. Dopodiché è nuovamente a Fabriano dove dipinge una Incoronazione della Vergine (collezione privata, Parigi), forse parte di un polittico.

Di quest’epoca l’unico scritto pervenuto di Gentile è una lettera al Malatesta affinché gli conceda il permesso di andare a Roma. Qui, nel 1427, trova alloggio in santa Maria Novella e comincia a dipingere degli affreschi in san Giovanni in Laterano che, alla sua morte, avvenuta alla fine dello stesso anno, furono terminati da un suo discepolo, il Pisanello. Di quest’epoca resta la Vergine con Bambino nel Duomo di Velletri, proveniente dalla chiesa di San Cosma e Damiano di Roma.

Di altre opere si conoscono i titoli: una Madonna tra santi e la Pietà con due angeli, Papa Martino V con dieci cardinali, Storia del Battista e cinque profeti, e Madonna con il Bambino e i santi Giuseppe e Benedetto; vi sono infine una dozzina di altre opere, attualmente in musei diversi, che vari critici gli attribuiscono.

Gentile fu sepolto in santa Maria Novella, ma la sua tomba sparì, restò solo l’iscrizione funebre in un codice della biblioteca laurenziana a Firenze.

Giancarlo V. Nacher


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 09/02/2019