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PAVEL FILONOV
Fino al 1988 il nome del pittore russo Pavel Filonov (1883-1941) era
conosciuto solo a una ristretta cerchia di estimatori, perché la sua produzione,
osteggiata dal potere politico sovietico, non era mai stata esposta al pubblico.
Dopo la morte dell'artista, le opere vennero messe in stanze riservate del Museo
statale russo di Mosca, difficilmente accessibili anche gli specialisti. Filonov non
veniva neppure citato nei programmi delle scuole superiori di belle arti. |

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E' stata la perestrojka di Gorbaciov che ha tolto dall'oblio l'opera di
questo pittore e quella di tanti altri artisti che rifiutavano di piegarsi alle
esigenze di un sistema che condannava sul letto di Procuste l'insolito e
l'originale.

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Il processo antidogmatico di valorizzazione della democrazia e dei valori
umani ha portato a concepire in modo nuovo l'arte di ieri e di oggi,
sottoponendo a dura critica il servilismo, l'ipocrisia, il trionfalismo e il
falso pathos.
Libri, film, pièces teatrali, quadri fino a ieri interdetti sono
finalmente usciti allo scoperto. Sono stati ritrovati veri tesori spirituali, il
cui valore ideologico, morale e artistico è inestimabile. Si possono leggere
romanzi e poemi mai pubblicati in Russia, come il Requiem della A.
Achmatova, Vita e destino di V. Grossman e Il diritto alla memoria
di A. Tvardosky. Si possono vedere film come Il commissario di A.
Askoldov e La felicità di Assia (ovvero La storia di Assia Lkiachkina
che amò ma non si sposò) di A. Mikhalkov-Konchalovsky.
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I musei hanno finalmente permesso al pubblico di vedere le opere di K.
Malevich, A. Lentulov e P. Filonov. Un critico, A. Kamenski nella rivista “Ogoniok”,.ha
qualificato l'esposizione di quest'ultimo come una scoperta culturale di portata
nazionale. “Per la sua espressività, la spiritualità, la bellezza e la
perfezione della sua pittura, Filonov si classifica fra i grandi nomi dell'arte
mondiale e anche fra coloro che rendono onore all'arte russa”.
Sin da giovane, Filonov aveva deciso di dedicarsi all'arte. L'autobiografia
ch'egli scrisse usando la terza persona, comincia così: “Filonov Pavel
Nikolaievich, pittore-ricercatore, nacque nel 1883 a Mosca. I suoi genitori
appartenevano al terzo stato... Sua madre faceva la lavandaia, suo padre
dapprima il vetturino, poi l'autista. Filonov cominciò a disegnare all'età di
3-4 anni”. Sin dalla sua infanzia dovette affrontare difficoltà e privazioni di ogni
tipo. Divenuto assai presto orfano, visse con le sue sorelle, che lo aiutavano a
ricamare tovaglie e tovaglioli per guadagnarsi il pane.
In seguito, dopo aver frequentato un atelier di pittura, cercò per tre volte,
ma inutilmente, di entrare in accademia. Più tardi vi riuscirà, ma per lasciarla
due anni dopo, ribellandosi ai diktat dei professori che volevano imporre ai
loro allievi una scialba uniformità.
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Da allora egli cercherà di affermarsi come artista indipendente e
contestatore, insofferente alle tradizioni estetiche ufficiali. A dir il vero
egli si opponeva sia al realismo classico che alle correnti avanguardiste dei
primi del secolo, sia al cubismo che al futurismo, di cui mal sopportava i
princìpi geometrici e meccanici.

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Nell'arte come nella vita Filonov sfidava la consuetudini. Non vendeva mai le
sue tele, non si faceva mai pagare le sue lezioni, passava spesso intere
giornate senza mangiare. Nel 1911 col passaporto di "pellegrino", partì per la
Palestina, poi per sei mesi a piedi, senza soldi, percorre l'Italia la Francia,
come un asceta di qualche religione. Per pagarsi i pasti dipingeva le
insegne o i muri degli alberghi ove alloggiava.
Durante la prima guerra mondiale combatté sul fronte romeno, nella
Divisione della marina del Baltico, e partecipò al lavoro dei comitati
eletti dai soldati.
Accettò senza riserve la rivoluzione d'Ottobre. Fu eletto presidente del
Comitato esecutivo della regione del Danubio. Di ritorno da Pietrogrado
fondò un atelier di pittura, che ebbe un discreto successo. L'atelier creò le
scenografie per una serie di spettacoli teatrali, illustrò la raccolta del poema
epico finlandese Kalevala, ecc.
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Tuttavia, benché gli si riconoscesse negli anni '20 un eccezionale talento,
Filonov non trovava la necessaria comprensione dei critici, meno ancora quella
del potere, col quale anzi entrerà presto in aperto conflitto. La sua opera
veniva giudicata incomprensibile, nonostante l'apprezzamento di un esponente
autorevole del pcus come Lunaciarskij.
La sua esposizione al Museo Russo fu infatti vietata e i suoi discepoli, uno
dopo l'altro, lo abbandonarono. Larionov e Gonciarova emigrarono, Khlebnikov
morì. Lui stesso non faceva nulla per cercare una via
d'uscita, perché era insofferente a ogni compromesso. Rifiutò p.es. di
partecipare a mostre a Parigi, Dresda, Venezia e negli Usa, finché le sue
opere non fossero state esposte in patria. Per ben tre volte respinse le
offerte di assumere la carica di professore presso l'Accademia delle Arti,
sostenendo che temeva il conformismo. Negli anni '30 la situazione, ovviamente, peggiorò. Filonov ormai era
completamente isolato. Il 30 agosto 1935 annotava con una certa amarezza nel suo
diario: “A partire dai primi giorni di giugno, tè zucchero e un chilo di pane
hanno costituito la mia razione quotidiana... Il 29, con la farina che avevo
risparmiato, mi sono cotto l'ultima focaccia, preparandomi per l'ennesima volta
a vivere - Dio sa ancora quanto - senza niente da mangiare”.
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Pur vivendo dì guadagni fortuiti, il pittore continuò le sue creative
ricerche, ma la fame e il freddo ebbero alla fine la meglio: il 3 dicembre 1941,
all'inizio del blocco nazista di Leningrado, lo si trovò riverso sotto una delle sue
migliori tele, Il festino dei re, del 1913, epoca in cui aveva cominciato
a predicare i princìpi dell'arte analitica, alla quale resterà fedele lungo
tutta la sua tormentata vita. Filonov non accettò mai alcun aiuto: aveva
rifiutato il pacco viveri dell'Associazione dei pittori, nonché la pensione che
gli si voleva assegnare come a un bisognoso o a un invalido. Considerava
accettabili solo i premi per meriti artistici.

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Egli aveva deciso di donare le sue opere allo Stato perché si istituisse un
museo di arte analitica. A suo parere, infatti, tutti i pittori della sua epoca
- realisti o cubisti - percepivano la natura in maniera troppo semplicistica,
cogliendo solo due aspetti: il colore e la forma.
Si trattava invece di discernere “tutto l'universo - come lui stesso
sosteneva - dei fenomeni visibili e invisibili, le loro emanazioni e reazioni...
le loro proprietà note e segrete, ciascuna delle quali, a sua volta, è composta
di innumerevoli attributi”.
Filonov voleva riflettere il mondo, ma anche e soprattutto analizzarlo in
profondità. Egli era solito distinguere fra “l'occhio che vede” e “l'occhio che
comprende”, cioè fra l'occhio che coglie il visibile: la forma e il colore, e
l'occhio che, servendosi della ragione e dell'intuito, analizza i processi
latenti, il loro movimento variabile.
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Compito dell'artista, per lui, era appunto quello di trasformare in immagine
questa comprensione. Teste umane, mani, case, animali, fiori andavano visti con
uno sguardo dal cosmo. Un poeta contemporaneo, parlando di Filonov, lo definì un
“testimone dell'invisibile”, un "anarchico della tela". A differenza di Picasso,
la sua opera è priva di letterarietà, le sue immagini ci pervengono dai sogni,
dal passato o dal futuro, e spesso non siamo in grado di concepirle. I suoi
animali sembrano essere usciti da deliri antidiluviani e ci guardano con enormi
occhi umani. Viceversa, gli uomini spesso hanno sembianze ferine.
L'aderenza al metodo analitico ("Bisogna disegnare
tenacemente e con precisione ogni atomo" -diceva) si combinava, in questo grande artista, con
una eccellente tecnica riproduttiva della realtà: il punto, per lui, era l'unità
minima dell'azione. Lo documenta in modo esemplare
il ritratto di sua sorella Evdokia Glebova (1915). I dettagli ch'egli
riproduceva con esattezza gli servivano unicamente per comporre il suo quadro
del mondo, che era come intessuto di fili colorati, così strettamente
intrecciati che fra loro non sussisteva il minimo spazio. I colori si fondono
l'uno nell'altro e, secondo l'autore, l'obiettivo può essere raggiunto
dall'artista solo quando l'opera è curata in tutti i suoi minimi particolari.
Egli utilizzava ogni centimetro quadrato della tela, che include tutto
l'universo e non una sua parte. Per Filonov la creazione è sinonimo di perfezione ed essa, come tale,
riguarda tutti i fenomeni e i processi del mondo, inclusi quelli biologici,
chimici e fisiologici (fino ad allora disprezzati dall'arte mondiale). Alcuni
critici hanno addirittura sostenuto che diverse sue opere assomigliano
stranamente alle foto prese dallo spazio e che, in tal senso, denotano
un'ampiezza universale. In effetti, è fuor di dubbio ch'egli ha anticipato i
suoi tempi e che credeva nella prosperità futura di tutto il pianeta.
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Fu proprio la sorella Evdokia che nel 1977, consapevole della grandezza di
Pavel, fece dono al Museo russo di 300 sue opere. Nonostante le ristrettezze,
anch'essa si era rifiutata di venderle.
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