INTERVISTE CINEMATOGRAFICHE


MARCO TULLIO GIORDANA, l’Italia di ieri e di oggi

MARCO TULLIO GIORDANA
lunedì 13 giugno 2005

Marco Tullio Giordana e il piacere di raccontare: l'Italia, il presente, cosa significa essere di sinistra. Il regista di Quando sei nato non puoi più nasconderti, di ritorno da Cannes, si è fermato a Firenze per incontrare il pubblico dell'Atelier e raccontare ciò che ha visto, di noi, dell'Italia, girando questo film che affronta temi molto forti: l'immigrazione, l'accoglienza, l'intercultura.

"Un paese colorato sì, ma anche sofferente, con le idee confuse". Questa, in sintesi, l'immagine che ne dà il regista. L'Italia vista nel film è quella dell'immigrazione nelle fabbriche, nelle scuole, ma soprattutto sulle spiagge pugliesi e nei centri di permanenza per clandestini.

Marco Tullio Giordana, prima Peppino Impastato e gli anni Settanta, poi La meglio gioventù e la nostra storia recente. Ora tocca al presente e con questo film offre lo sguardo allo straordinario fenomeno dell'immigrazione e dell'accoglienza. Le piace proprio passare l'Italia al microscopio, eh? Che Paese ha visto in queste sue continue ricerche?

Un'Italia molto confusa e ambivalente. Una nazione che si misura con questo fenomeno - l'immigrazione - senza la preparazione dell'epopea coloniale degli altri Paesi. E poi siamo stati emigranti noi stessi italiani, abbiamo esportato 60 milioni di persone, e il fantasma della nostra povertà, riportato nello specchio del presente, ci mette di fronte a qualcosa di difficile da accettare. Non c'è dubbio che il fenomeno migratorio di questi anni e la sfida della multiculturalità siano il più grande cambiamento che il nostro Paese stia vivendo dal Dopoguerra. L'Italia è un Paese insufficiente in tutte le sue risposte di fronte a questi cambiamenti. Ma gli riconosco una grande energia frutto di forti sentimenti in opposizione fra loro.

Protagonista del film è una famiglia, il punto cardine della nostra società. Che tipo di famiglia è? Rispecchia il modello tipo del nostro presente?

La famiglia protagonista di Quando sei nato non puoi più nasconderti non è la famiglia media italiana... magari lo fosse! (perchè è particolarmente benestante, ndr). Ma è una famiglia specchio di un'Italia confusa ma anche generosa, dove la curiosità è più forte della paura. Per questo il protagonista del film è un adolescente: lo sguardo di un bambino è totalmente libero da pregiudizi, sia di rifiuto che di accoglienza a tutti i costi, di natura ideologica. Nel film ci sono due mondi, paradossalmente così lontani e vicini allo stesso tempo, che si incontrano. Il padre è un piccolo industriale del Nord, ricco, e i suoi dipendenti sono tutti immigrati. Ma erano come trasparenti, senza colore, come se il ragazzo non li avesse mai visti. Ma ad un certo punto comincia a farsi delle domande... Anche il padre è come non li avesse mai realmente visti: è parte di questa nuova borghesia con tantissimi soldi, che dovrebbe essere la nuova classe dirigente, ma che non ha la cultura per esserlo e non sa quali sono le responsabilità di una classe dirigente.

Lungo il percorso della sua produzione filmica è passato da una forte attenzione al passato ad una rapida incursione nel presente. Ma niente come gli anni Settanta sembra produrre in lei forti spunti di riflessione...

Ho sempre considerato gli anni Settanta molto importanti per capire l'Italia di oggi. Il bambino protagonista di quest'ultimo film è come fosse "parente morale" della famiglia Carati de La meglio gioventù. Nel senso che non si chiude gli occhi davanti alle esperienze dure e dolorose ma accetta la propria crescita. Non giudica ma osserva, ferito. Soprattutto capisce che dietro i gesti degli altri c'è una ragione che è più forte di loro, e in questo assomiglia molto a Nicola Carati, il personaggio di Luigi Lo Cascio ne La meglio gioventù. In fondo c'è lo stesso spirito di libertà, il senso dell'accoglienza completa dell'altro, per capirlo in tutta la sua complessità. Non credo che il presente sia irraccontabile, come pensa qualcuno. Anzi lo trovo estremamente interessante. Magari a volte mancano gli strumenti per analizzarlo a fondo. Perché la società si è evoluta troppo più rapidamente di tutti i progetti che erano stati fatti a monte.

Quindi siamo disarmati nei confronti delle nuove sfide? E' per questo che essere di sinistra costa tanta fatica oggigiorno?

Personalmente mi considero di sinistra perché riconosco la priorità del rispetto dei valori umanistici. D'altra parte la destra è più moderna, ha il passo dell'economia, che ha un'energia straordinaria ma che è anche capace di una violenza straordinaria.

Il cinema italiano fa molta fatica a parlare di temi importanti. Lei è forse uno dei pochi che ancora ci prova...

Il cinema è un ecosistema. Esistono tanti punti di vista, ci sono tanti modi di fare cinema. Ma guardiamo anche ai giovani, al bel Saimir di Marra. Non credo però che il cinema debba avere una funzione didattica. Il mio film per esempio è ellittico: alla fine il pubblico si chiede "e ora che succede?". Ma non che succede alla storia, intendo che succederebbe a te, spettatore, se fossi tu stesso a doverti confrontare con quella situazione, a dover fare i conti con quella realtà...

Il Festival di Cannes, comunque, nello scegliere i film italiani, ha accolto solo due pellicole, la sua e quella di Daniele Vicari, L'orizzonte degli eventi. Entrambi non a caso avete realizzato delle pellicole che affrontano temi sociali importanti.

Può darsi che il Festival di Cannes abbia visto in questi film qualcosa che non tocca solo l'Italia ma coinvolge tutti: il conflitto fra culture, in estrema sintesi, è ciò che maggiormente caratterizza il presente.


a cura di Edoardo Semmola - www.alteredo.org
(Giornalista e Critico cinematografico)

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Aggiornamento: 27/08/2015