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sopra e sotto: Reperti da Casa del
Diavolo, Reperti da Casa del Diavolo: Mosaico di via Tiberti. Statua muliebre acefala da Borello.
Sesterzio di A. Severo (da Villa Inferno)
Zecca di Ravenna (da Villa Inferno).
Biblioteca Malatestiana,
medaglia del Pisanello Nanni
di Bartolo? (not. 1419-1451), San Giorgio, Torre malatestiana di S. Giorgio (non più esistente).
Cesena nel sec. XV (G. Conti).
Veduta della Rocca Malatestiana (fine sec. XVII)
G. Finali in famiglia.
Carro
alleato davanti al Palazzo Trasporto di un soldato ferito sul Ponte Vecchio. Ponte Vecchio danneggiato.
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Cesena sorse tra due corsi d'acqua (gli odierni
Savio e Cesuola) che hanno condizionato con la loro storia idrogeologica
prima la nascita e poi lo sviluppo della città. Nulla o quasi sappiamo
sulla localizzazione del Centro più antico (probabilmente sul colle
Garampo, come vorrebbe una lunga tradizione di studi, poi cuore storico
della città fino ad età tardomedioevale) poiché mancano
prove documentarie: forse il nome della città
deriva da un radicale etrusco (Kesna,
stessa radice dell'idronimo Cesuola); ma altri lo connettono all'illustre
famiglia sarsinate dei Caesii,
nota alla tradizione epigrafica di epoca romana ma di antica origine
latino-campana. Cesena, come l'antichissimo centro umbro
di Sarsina, si trovava lungo
itinerario che fin dalla più remota antichità dalla vallata del
Savio conduceva a quella del
Tevere e quindi al versante tirrenico. I territori della valle del Savio
infatti sono stati frequentati dall'uomo da almeno 15.000 anni, a partire
cioè dalle fasi finali del paleolitico superiore. La documentazione
archeologica più antica relativa ad insediamenti risale al neolitico
recente (S. Egidio, cultura di Diana), mentre essi tendono ad infittirsi
per le epoche successive del bronzo soprattutto nella fase tarda (Mensa
Matelica, Case Missiroli, S. Martino in Fiume, Guado della Fornasaccia,
Montaletto). Se i ritrovamenti sembrano rarefarsi nella prima età del
ferro (IX sec. a.C.), il territorio cesenate, in aree di recente
urbanizzazione (Casa del Diavolo, via Cerchia Vigne, S. Egidio), ha
evidenziato un'estesa frequentazione a partire dalla seconda età del
ferro (VI a.C.) caratterizzata dal prevalere della cultura umbro-etrusca,
a riprova dell'espansione anche nel cesenate di una popolazione
centro-italica di cultura etrusca, gli Umbri Sapinates, che
s'attesteranno nell'alta valle del Savio (Sapis)
con il centro appunto di Sarsina e parallelamente con la città di Mevaniola (oggi Galeata) nell'alta valle del Bidente. La successiva
fase celtica, di cui concordemente ci riferiscono le fonti letterarie, non
è supportata al momento da prove archeologiche. Con la fondazione di una colonia di diritto latino
a Rimini (268 a.C.) e la sottomissione dei Sapinates
(266 a.C.), si apriva anche per Cesena
la fase della romanizzazione, ancor oggi documentata da quell'intervento
sul territorio caratterizzato da un'imponente operazione di appoderamento
coloniario, con conseguente razionalizzazione territoriale e suddivisione
agraria, che va sotto il nome
di centuriazione riminese-cesenate:
una delle più antiche (III sec. a.C.), quasi integralmente
conservata solo in area cesenate, i cui reticoli di cardini
e decumani, orientati secundum
coelum (e cioè
rispettivamente in direzione nord-sud ed est-ovest) e intersecandosi fra
loro, identificano le quadre che regolarmente (le maglie centuriali sono
quadrati di m.708-710 di lato) suddividono e caratterizzano ancor oggi
il paesaggio agrario della pianura cesenate, compresa fra il Savio
e il Rubicone. Per quanto riguarda invece l'evoluzione di Cesena, nella
prima fase della romanizzazione non si hanno concreti elementi documentari
fino all'epoca della sua costituzione in municipium
(I sec.a.C.),
anche se possiamo supporre che la città e il territorio siano stati
coinvolti negli avvenimenti
delle guerre civili tardorepubblicane, come testimonia il ritrovamento del
"tesoretto" di monete a Case Missiroli, occultazione certamente
suggerita dalle difficoltà
del momento. Non è citata dalle
fonti storiche fino ad età tardoantica, ma appare nell'elenco dei
centri menzionati da Plinio il Vecchio nella Descriptio Italiae e soprattutto è
segnalata col toponimo di Curva
Caesena (forse riferito alla curva che la via Emilia doveva percorrere
seguendo la morfologia del terreno alla base della collina del
Garampo) nella Tabula Peutingeriana,
itinerario tardo-imperiale.
Nonostante i numerosi ritrovamenti puntiformi in area urbana e le indagini
archeologiche di questi ultimi anni che hanno interessato il centro
urbano, i dati emersi non sono ancora in grado di ricostruire la
fisionomia dell'abitato in epoca romana, caso raro di città della
Cispadana la cui lettura dell'abitato antico non sia possibile attraverso
la configurazione della struttura urbanistica attuale. La documentazione
archeologica suggerisce, nella prima età imperiale, un'espansione
dell'antico centro alle pendici del colle lungo le direttrici viarie
principali (la via Emilia, forse in parte ricalcata dall'odierno asse
C.so Mazzini-C.so Garibaldi-C.so Comandini; certo è invece il
percorso dell'attuale C.so Sozzi-Cavour-via Cervese, lungo il quale si
raggiungeva la via Popilia,
tracciato costiero di collegamento fra Rimini e Ravenna ); e interventi edilizi di prestigio nella tarda antichità: risalgono
infatti a quest'epoca l'ampliamento di un edificio termale forse pubblico
(III sec. d.C.) e, nella stessa area, i mosaici pavimentali policromi di
via Tiberti relativi ad una residenza urbana di alto livello (V sec.
d.C.), forse trasformata in residenza palaziale in età bizantina. Cesena è
infatti spesso menzionata dalle fonti come uno dei nodi nevralgici per i
numerosi confronti militari che si scatenano in seguito al collasso
dell'impero (ne è testimonianza indiretta l'occultamento dei famosi piatti argentei ritrovati nel 1948) ed è espressamente citata come
fortezza nelle guerre
greco-gotiche da Procopio (VI sec.): ciò potrebbe suggerire una crisi in
epoca altomedioevale della parte pedecollinare dell'abitato a vantaggio
della più sicura condizione offerta dal colle Garampo su cui
evidentemente si articolava un potente sistema difensivo. Occupata nel 743
dai Longobardi , ritornò all'Esarcato su donazione di Pipino (nel 754),
per passare sotto la supremazia degli Arcivescovi di Ravenna nel X secolo
con la bolla di papa Gregorio V (997)
e col diploma di Ottone III (999). Tra l'XI
e il XII secolo l'inizio delle libertà comunali agevolano lo sviluppo
delle attività artigiane e mercantili: anche Cesena si avvantaggia di
questa situazione e nel sec. XII si regge con i suoi ordinamenti
municipali con vantaggio per lo sviluppo civile, economico e demografico
della città. La sua vita è però caratterizzata da frequenti lotte di
fazioni in contrasto fra loro per il governo della città e, come per i
comuni vicini, si manifestano le divisioni fra guelfi e ghibellini
originate dalle vicende contrastanti fra papato e impero. Sappiamo
che a Cesena dopo la battaglia di Legnano trovò asilo nella rocca
l’imperatore Federico Barbarossa e successivamente un altro imperatore,
Federico II, munì di nuove
difese la città (di cui sopravvivono ancora lacerti). Il XIII e il XIV
secolo sono caratterizzati da continue
lotte fra opposti partiti e interessi, che trovarono un breve
momento di pausa con la “tirannia” di Guido da Montefeltro, dopo la
rinuncia di Rodolfo d’Asburgo alle pretese imperiali sulla Romagna
(1278), e con quella successiva di
Galasso da Montefeltro che la resse fino al 1300. Dante definì
magistralmente la situazione politica della Romagna e di Cesena in
questo periodo quando di lei dice: “tra
tirannia si vive e stato franco”. Allorché Cesena elesse Francesco
Ordelaffi, già signore di Forlì, a capitano del popolo, si aprì un
periodo di forti contrasti con la Chiesa il cui legato, Bertrando del
Poggetto era stato cacciato dalle città della provincia (1338): Papa
Innocenzo VI inviò in Italia il card. Egidio Albornoz che, dopo aver
ricondotto sotto lo Stato Pontificio la maggior parte delle città
ribelli, si rivolse contro l’Ordelaffi e l’alleato Manfredi di Faenza,
bandendo contro di loro una crociata: si giunse così all’eroica ma
inutile difesa di Cesena da parte di Cia degli Ubaldini, moglie di
Francesco, e alla resa della città (1357) che la riconsegnò sotto
l’amministrazione diretta della Chiesa. Per quanto riguarda l'articolazione urbana, fino a tutto il sec. XIII abbiamo rare indicazioni dalle fonti e di interpretazione controversa: è solo alla fine del Trecento che la città raggiunge la sua caratteristica forma "di scorpione" che non cambierà più, se non dal punto di vista edilizio. La prima e più puntuale descrizione della città ci viene fornita dal cardinal Anglico, vicario generale per gli Stati della Chiesa in Italia, nella relazione che nel 1371 invia al pontefice Urbano V, preziosa per i dati e le notizie anche demografiche tramandate: la popolazione urbana raggiunge circa le 8300 unità mentre complessivamente, comprendendo il contado, si contano 3475 “focolari” (17375 ab.). Sono cifre che suggeriscono una situazione socio-economica piuttosto difficile, la quale infatti finirà con lo sfociare in aperta ribellione allo Stato della Chiesa (1375). Il papa Gregorio XI affidava allora al cardinal legato Roberto di Ginevra il compito di rappacificare la regione, e questi, dopo aver inviato inutilmente le sue soldatesche mercenarie bretoni e francesi contro Bologna, occupò Cesena che ufficialmente era pur rimasta fedele al papa. ECCIDIO DI CESENA
Ma una rissa fra popolazione e truppe
mercenarie offerse al Cardinale il pretesto per un massacro generalizzato
di cittadini: i saccheggi e gli incendi lasciarono la città praticamente
distrutta (1-3 febbraio 1377). Il sacco dei Bretoni è il fatto traumatico
più grave che segnò profondamente anche la storia urbanistica di Cesena. La concessione della distrutta città a Galeotto Malatesti da parte del papa Urbano VI, apre l’epoca della signoria malatestiana che rappresenta per Cesena la parentesi più felice: sotto l’aspetto urbanistico ed edilizio iniziò la ricostruzione della città, operazione completata dai successori Andrea, Carlo e Pandolfo Malatesti, che ne trasformarono l’assetto, costruendo la spianata dell’odierna Piazza del Popolo, trasferendo nella parte pedemontana la Cattedrale di S. Giovanni Battista e occupando con la nuova Rocca i colli Garampo e Sterlino.
Ma è con Domenico Malatesti, detto Malatesta Novello che Cesena visse il periodo più florido.
La sua attività,
più che per le imprese militari, si distinse per le opere di pace e per
il suo splendido mecenatismo, di cui l’edificazione della biblioteca ad
opera di Matteo Nuti da Fano, nella vecchia fabbrica del convento di S.
Francesco , prima biblioteca pubblica che si ricordi e a tutt’oggi la
meglio conservata fra tutte le librerie umanistiche conventuali in Italia
e in Europa, è l’opera che diede a Malatesta Novello la maggior gloria.
L’attività edilizia promossa dal signore di Cesena
annovera anche la costruzione ex novo dell’ospedale del
Crocefisso, dei conventi di S. Caterina e dell’Osservanza, nonché
contributi per una larga serie di ristrutturazioni ai maggiori edifici
della città. Con la morte di Malatesta Novello (1465) finisce a Cesena
l’ultima signoria e d’ora in poi le vicende della città saranno
intimamente connesse con la storia dello stato pontificio.
Dopo una parentesi di torbidi causati dalle lotte
sanguinose fra le fazioni dei Tiberti e dei Martinelli, il 2 agosto 1500
entrava a Cesena fra l’esultanza generale Cesare Borgia che elesse la
città a capitale del suo ducato di Romagna. La
sua signoria, di breve durata, non diede frutti, benché riuscisse
a rappacificare le fazioni cittadine. E' d'iniziativa borgiana
quell'ardito progetto leonardesco, mai realizzato, di scavare un canale
navigabile che collegasse il porto di Cesenatico a Cesena.
La dominazione pontificia priva la città
di una sua vita politica autonoma: furono nominalmente confermati i vecchi
ordinamenti comunali, del resto sopravvissuti anche durante il periodo
della signoria, ma l’autorità di queste magistrature era solo formale
perché tutto faceva capo ai rappresentanti della S. Sede: il Legato, il
Presidente della Romagna e il Governatore, scelto e pagato dal Presidente.
Una diffusa corruzione fra i funzionari governativi e i dazi innumerevoli
che gravavano sui beni di maggior consumo, fecero progressivamente
decadere le condizioni economiche della città; anche quando tra il XVIII
e il XIX secolo Cesena annoverò due Papi (Pio VI Braschi e Pio VII
Chiaramonti), le condizioni socio-economiche complessive non migliorarono.
La dominazione pontificia priva la città di una sua vita politica autonoma: furono nominalmente restaurati i vecchi ordinamenti comunali, sopravvissuti anche durante il periodo della signoria, ma l’autorità di queste magistrature era solo formale perché tutto faceva capo ai rappresentanti della S. Sede: il Legato, il Presidente della Romagna e il Governatore, scelto e pagato dal Presidente. Una diffusa corruzione fra i funzionari governativi e i dazi innumerevoli che gravavano sui beni di maggior consumo, fecero progressivamente decadere le condizioni economiche e sociali della città; anche quando tra il XVIII e il XIX secolo Cesena annoverò due papi (Pio VI Braschi e Pio VII Chiaramonti), le condizioni socio-economiche complessive non migliorarono. La Relatione dell’antica e nobile città di Cesena lasciataci da Cesare Brissio sul finire del XVI secolo, ci consegna quell’immagine di città, chiusa entro le mura urbiche rinascimentali, sovrastata dalla Rocca, col tessuto urbano suddiviso in 14 contrade, che resterà immutato fino al sec. XIX. Il controllo dell'autorità ecclesiastica rafforza soprattutto il sistema chiesastico e conventuale della città, in cui fra XVI e XVIII secolo lavorano architetti valenti, quali Mattia Angeloni, Agostino Azzolini, Cosimo Morelli e Luigi Vanvitelli.
Intensa è pure l'attività di pittori e artisti: nel Seicento la pittura vive un momento di splendore con le opere, tra gli altri, di Scipione Sacco; ma nel Settecento non va dimenticata l'attività di Corrado Giaquinto, autore fra l'altro della magnifica pala sull'altare della chiesa del Suffragio.
A
Cesena non si spense mai l’interessamento
per le lettere e le arti che erano mirabilmente fiorite con Malatesta
Novello: ciò progressivamente darà vita a Cesena ad una università la
quale, ottenuto il riconoscimento giuridico nel 1570 (soppressa solo nel
1800 con decreto del governo francese), ebbe vita modesta , ma, assieme ad
alcune Accademie cittadine, mantenne sempre vivo l’interesse per gli
studi.
La vita della città che per secoli non aveva più
conosciuto violenti scossoni, fu risvegliata quando Napoleone e le truppe
francesi nel 1797 entrarono in città, osannate dal popolo e quando poco
dopo fu innalzato “l’albero della libertà”. Trovarono per la prima
volta attuazione le aspirazioni ad un governo democratico e civile e,
secondo tali principi, fu riordinata l’amministrazione e furono emanate
ordinanze che regolavano la vita cittadina. Si vide poi in seguito che
anche a Cesena tali semi avevano trovato terreno fertile. Intanto si era
aperta, dopo secoli di inerzia, una nuova fase di
espansione edilizia: già nel corso del Settecento un complesso di
edifici avevano rinnovato il volto della città, dandoci quello che è in
larga parte l'odierno carattere monumentale del centro storico, ma è a
partire dal periodo francese in poi che il tessuto edilizio è destinato a
variare rapidamente, anche attraverso sventramenti e abbattimenti talvolta
traumatici. La caduta napoleonica e il ripristino del potere
pontificio, aprono la fase delle lotte risorgimentali
cui la città partecipò col suo contributo di idee e di sangue:
Pier Maria Caporali ed Eduardo Fabbri organizzarono un moto insurrezionale
negli anni 1820-21, ma la sconfitta dei costituzionali a Novara fece
fallire ogni tentativo; tristemente famoso è il processo celebrato nel
1825 dal card. Rivarola, nel quale molti cesenati indiziati di liberalismo
furono giudicati e condannati a pene gravissime. Nello stesso anno a Roma
veniva decapitato il carbonaro cesenate Leonida Montanari. Resta inoltre
famoso il moto del 1832 che
vide a Cesena un duro scontro tra patrioti e truppe papaline, in seguito
al quale la città subì un violento saccheggio. Molti cesenati poi
entrarono nelle fila
mazziniane e parteciparono con Garibaldi alle lotte del nostro
Risorgimento. Fra i capi mazziniani più conosciuti si ricordano i
cesenati Eugenio Valzania e Federico
Comandini. Dopo il travaglio e l’intensa passione politica
del periodo risorgimentale, Cesena, nella nuova realtà post-unitaria,
visse alcuni decenni di
rapidi cambiamenti ( sotto il profilo urbanistico ed edilizio
l'abbattimento dell'antico borgo Chiesa Nuova
fu l'episodio più traumatico), ma anche di intensi contrasti
politici e sociali: dapprima i mazziniani che non vollero riconoscere la
realtà della monarchia sabauda, poi le lotte della nascente classe
operaia e gli scontri fra mazziniani e
socialisti rivoluzionari, benché la lotta comune contro la
monarchia li trovasse talvolta alleati. Solo sul finire del secolo nasceranno a Cesena le organizzazioni popolari moderne dei
repubblicani e dei socialisti, il cui partito nel frattempo era stato
rifondato su nuovi principi da Andrea Costa. La scena politica continua
però oltre la fine del secolo ad essere dominata dai liberali, moderati e
costituzionali (i cui uomini più autorevoli furono Gaspare Finali e
Nazareno Trovanelli), mentre le condizioni di vita della popolazione,
assai precarie, alimentavano continue tensioni sociali. Solo agli inizi
del Novecento il Partito Repubblicano, sotto la direzione di Ubaldo
Comandini, conquistò la guida dell'Amministrazione comunale tenuta ininterrottamente fino
all'avvento del fascismo e, anche con l'appoggio dei socialisti, contribuì
con le sue scelte politiche al miglioramento delle condizioni sociali
e culturali della popolazione: grazie a tali iniziative anche
l'agricoltura del territorio cesenate conseguì alti livelli produttivi
per razionalità di metodi e modernità d'impianti. La vita culturale
della città raggiunse inoltre traguardi molto significativi di cui è a
tutt'oggi illustre esempio l'attività letteraria di Renato Serra,
prematuramente scomparso in seguito agli eventi della
prima guerra mondiale.
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