C. Savolini, Pala di S.
Domenico.

G.B. Razzani, La consegna delle
chiavi.

Gianfrancesco Modigliani, Madonna
e santi.

G. Cesari detto "Il Cavalier
d'Arpino",
Madonna del Rosario.

P. P. Menzocchi, Adorazione dei
Magi.

Anonimo
del 1400: Madonna del latte.
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Mentre
l'arrivo a Cesena dei frati Predicatori si fa risalire alla metà del XIII
secolo, la notizia che attesta la fondazione di una chiesa e di un
convento dedicati a S. Pietro Martire, risale alla fine dello stesso
secolo. Acquisita l'area ove sorgeva la chiesa di S. Fortunato, compresa
fra la cinta muraria e il versante nord-ovest del colle Garampo, nei
pressi di Porta Fiume, S. Pietro Martire e l'attiguo convento sorsero
grazie alla generosità e benevolenza di Malatesta Novello, Signore di
Cesena (da allora l'adiacente quartiere, già Borgo Cesariano, fu chiamato appunto Ecclesie Nove, cioè Chiesa Nuova ). Il convento dal 1811 al 1907
svolse la funzione di ospedale; oggi vi trovano sede scuole elementari e
medie, ma si conserva ancora perfettamente il bel chiostro rinascimentale.
Dal 1706
al 1722 l'antica chiesa fu completamente riedificata su progetto
dell'architetto cesenate Francesco Zondini
(allievo di P. Mattia Angeloni) e dedicata dal vescovo di Bertinoro
G. B. Missiroli a S. Domenico
(la dedicazione a S. Pietro Martire è però menzionata nell’iscrizione
posta sulla controfacciata, sopra l’ingresso principale della chiesa):
del precedente edificio e del cinquecentesco Oratorio del Rosario,
abbattuto per far posto all’abside della nuova chiesa, si conserva solo
parte dell’arredo, proveniente anche dalla distrutta chiesa di S.
Martino, sul cui sito oggi sorge un condominio prospiciente la facciata di
S. Domenico.
La nuova
struttura, con pianta ad unica navata e tre cappelle laterali per parte,
evidenzia un'impostazione equilibrata e sobria ( principi che
l’architettura mutua dal periodo controriformistico): le due centrali (
della Madonna del Rosario e di S. Domenico) sono assai ampie ed accennano
quasi ad un transetto. Il presbiterio è dominato dal grande altare ed è
chiuso dalla curva semicircolare del bel coro ligneo settecentesco. La
facciata, con cortina in mattoni a vista, è costituita da due ordini
sovrapposti di lesene. L'intera fabbrica all'esterno suggerisce una
prevalente austerità, pur nelle grandi proporzioni spaziali; all'interno
invece la spazialità è
ritmata da un sobrio assetto decorativo. L’edificio ha conosciuto un
completo restauro nel 1999, che ha restituito all’originale splendore
anche le decorazioni e gli arredi della chiesa.
L'eccezionalità
di S. Domenico è data dall'essere qui conservato un nucleo prestigioso di
quadri, raccolti dal benemerito Don Domenico Bazzocchi (parroco dal 1805
al 1845), per lo più provenienti da chiese soppresse, che in tal modo
salvò dall’inevitabile dispersione seguita alla soppressione di
conventi e confraternite religiose, e che fanno oggi di tale
raccolta una testimonianza importante della pittura cesenate e
romagnola fra la fine del XVI e il XVIII secolo: la riscoperta di queste
opere e la loro valorizzazione si deve a Francesco Arcangeli, che studiò
e catalogò tutti i dipinti (1964), in particolare mettendo in luce una
delle più interessanti personalità della pittura cesenate del
Seicento, Cristoforo Savolini.
Il patrimonio quadristico
della chiesa è assai più vasto di quello che il visitatore può ammirare
all’interno dell’edificio, poiché non tutte le tele sono al momento
fruibili: in parte sono in corso di restauro, in parte devono ancora
essere restaurate. E’ inoltre in progetto uno studio complessivo sul
patrimonio artistico del S. Domenico, particolarmente atteso per quanto
concerne le opere pittoriche, perché il lavoro dell’Arcangeli
necessita ormai di un aggiornamento critico alla luce dei più
recenti studi.
Tra i
dipinti restaurati e ricollocati si segnalano le seguenti opere: sulla
controfacciata, alla destra dell’ingresso principale, Sant'Ildebrando
che resuscita una pernice di Andrea Mainardi (1678); alla sinistra,
Sant’Ubaldo libera un
indemoniato del cesenate Giovan Battista Razzani (1603-1666); dello
stesso autore si ricorda La
consegna delle chiavi a S. Pietro (1628),
posta sul lato destro dell’abside.
Nel primo
altare ( sempre a destra di chi entra), è posta la bella pala
raffigurante S. Donnino fra i Santi Carlo Borromeo, Apollonia e un devoto ( in
origine nella chiesa non più esistente di S. Martino),
di Cristoforo Savolini (1671), che conserva data e firma
dell'artista e quindi diviene per noi un importante documento per la
ricostruzione della sua attività e del suo stile (qui in particolare la
classica compostezza dei tre santi riporta ai modi del Cignani); sempre a
lui è attribuita dall’Arcangeli una notevole Annunciazione
seicentesca (anch'essa proveniente dalla chiesa di S. Martino), posta sul
pilastro tra il primo e il secondo altare a destra, sopra il primo
confessionale.
Nell’ancona
lignea della prima cappella di sinistra è posto il dipinto del cesenate
Francesco Andreini (1697-1751) San
Vincenzo Ferreri.
Particolarmente
pregevole è la cinquecentesca ancona lignea dorata della seconda cappella
di destra, dedicata alla
Madonna del Rosario, al centro della quale campeggia una preziosa Madonna del latte, affresco quattrocentesco proveniente dal
distrutto Oratorio del Rosario e che i recenti restauri ci hanno
restituito nella sua originalità ( vi era stata sovradipinta una Madonna
del Rosario); sulla parete sinistra della cappella, in alto, si segnala
La Madonna del Carmine, i
Santi Girolamo, Francesco d'Assisi, Giovanni Battista e santa Martire
del forlivese Gian Francesco Modigliani, attivo a Cesena fra la
fine del sec. XVI e gli inizi del successivo; di pregio è pure la tela
collocata sotto, San Pellegrino Laziosi risana un cieco di Francesco Mancini
(1694-1758).
I
Misteri del Rosario (1725), di Francesco Andreini, 15 piccole tele già
sistemate sulle fasce dell’ancona, si trovano oggi nel deposito
quadrario della chiesa.
Nella
cappella di fronte, dedicata a S. Domenico e posta alla sinistra di chi
entra, si ammira, al centro dell’ancona, il frammento di affresco Cristo
in pietà staccato nel 1938 dal corridoio della Sacrestia, opera di
Anonimo della fine del sec. XV ( già attribuito a Biagio d'Antonio
da Firenze, attivo dal 1476 al 1504); sulla parete destra della cappella
si ammira del Razzani S. Andrea e
l’ovale proveniente dalla chiesa di S. Martino, S.
Martino dona il mantello al povero del veronese Felice Torelli
(1667-1748); sul lato destro le tele del Razzani raffiguranti S. Bartolomeo e S.
Giovanni , e due di Cristoforo Serra, rispettivamente S.
Paolo e un Cristo benedecente.
Sopra il
secondo confessionale di destra
si ammira l’opera attribuita alla scuola del Guercino La
Madonna e il Bambin Gesù in dialogo con S. Filippo Neri, forse
proveniente dal soppresso convento dei Filippini (oggi caserma dei
Carabinieri).
L’ultima
cappella, a sinistra di chi entra, dedicata a S. Pietro (da Verona)
Martire, ci conserva alcune fra le opere pittoriche più preziose del S.
Domenico: la pala di Scipione Sacco,
Martirio di S. Pietro Martire (1545)
in cui ripropone, in un raffaellismo semplice e immediato, un tema
drammatico, già affrontato da tre grandi pittori (Tiziano, il Pordenone e
Palma il Vecchio), ma che può essere stato ispirato a Sacco da fatti
cruenti avvenuti a Cesena ai suoi tempi; Sant’Apollinare
vescovo e martire (nella cuspide dell'ancona) di Cristoforo Serra,
personalità fortemente innovativa nella pittura cesenate della prima metà
del Seicento; e la notevole tela, permeata di raffaellismo, di Giuseppe
Cesari, detto Cavalier D’Arpino (Arpino 1568- Roma 1640),
Madonna del Rosario, S.
Domenico, angeli e devoti, posta sulla parete destra, ma proveniente
dal demolito oratorio della confraternita del Rosario.
Dipinto
altrettanto importante nella storia della pittura cesenate e regionale è
l’ Epifania (1573?), posto nell'abside, al centro: fra le opere di Pier
Paolo Menzocchi (probabilmente del padre di lui, Francesco [Forlì
1502/1574], si conserva una Crocefissione,
collocata sopra la porta che conduce alla vecchia sacrestia) occupa una
posizione significativa non solo per l'importanza della commissione e per
le eccezionali dimensioni, ma
anche perché in essa confluiscono tutte le sue precedenti esperienze, fra
cui anche l'aver lavorato a contatto con Giorgio Vasari nel cantiere di
palazzo Vecchio a Firenze. Sulla sinistra nell’estremità dell’abside
si segnala la tela, proveniente dalla distrutta chiesa di S. Croce, Costantino, S. Elena e la Croce (1629) del cesenate Ascanio Foschi
(1586, vivente nel 1647), che ha come punto di riferimento la
contemporanea pittura
bolognese e in particolare il classicismo dei Carracci.
Si
ricordano infine: il bel Crocefisso
ligneo della fine del sec. XVI (nel terzo altare dalla parte destra di chi
entra); e una serie di 18 piccoli ritratti su tavolette di Santi
domenicani (di pittore anonimo romagnolo della seconda metà del sec.
XVII), conservati nella sacrestia nuova.
Altre
opere di abbellimento della chiesa sono:
il pulpito ligneo (1733), opera del
frate Antonio Cossetti da Vicenza; le due cantorie (aggettanti sui
due lati del presbiterio), di cui quella di destra è dotata di un
bellissimo organo seicentesco, uno dei più antichi della Romagna,
attualmente in fase di restauro scientifico, che lo restituirà ai
registri originari; le stazioni della Via Crucis recuperate nel recente restauro, così come parte
dell’apparato decorativo architettonico, che col tempo era stato
obliterato.
Fanno
parte infine del ricco patrimonio di S. Domenico anche gli arredi,
le suppellettili sacre e tutto ciò che è inerente la liturgia.
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