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L'agricoltura alla fine dell'impero e nel medioevoL'età tardo imperiale (III e V secolo d.C.) è un periodo
di crisi economica e sociale di tutto l'impero romano, crisi che porterà
alla fine del mondo antico e che sarà alla base del mondo medievale.
Per quanto riguarda la crisi economica ed in particolare quella agricola,
anche nel cesenate le fonti ci parlano del decadimento delle strutture
produttive nelle campagne attorno Cesena. Anzitutto vi fu un "irrigidimento"
del sistema dovuto ad un aumento delle tasse, di cui ci parla ampiamente
lo storico Aurelio Vittore nel 360. Servivano molti più fondi agli
eserciti ed alle strutture amministrative statali, che si andavano burocratizzando
sempre di più. L'appesantirsi fortissimo del fisco durante tutto
il III e IV secolo e la scomparsa delle classi medie provinciali provocarono
una diminuzione delle produzioni agricole; come dice S.Ambrogio ci fu un
declino di tutte le città situate lungo la "Via Aemilia" e molti
"castella" (strutture di produzione agricola) furono abbandonati e lasciati
in mano ai latifondisti, che andavano acquistando sempre più terre
e più braccianti, contadini che per sfuggire ai debiti si rifugiavano
sotto famiglie ricche; questo porterà direttamente alla servitù
della gleba medievale. Tra i grandi possessori di terra vi erano anche
esponenti del clero, soprattutto di quello ravennate, il quale si arricchì
molto quando Ravenna fu resa capitale, dopo il crollo dell'impero romano.
Il peggioramento delle condizioni economiche unito più tardi al
progressivo deterioramento climatico del VI secolo fu responsabile
di carestie terribili; dice Procopio che nella prima metà del VI
secolo vi fu una migrazione dalle campagne cesenati verso le odierne Marche,
ma qui 50.000 emigranti morirono per fame.
La crisi tipica della fine dell'impero ebbe conseguenze che perdurarono
nel periodo medievale. Il cristallizzarsi dell'economia nel tardoantico
creò cambiamenti anche nelle strutture urbane. La città di
Cesena subì un processo tipico di quell'epoca, la "retractio urbis",
ovvero il restringersi della città su se stessa, dovuto in gran
parte al declino delle attività commerciali. Cesena, che basava
la sua attività sul commercio, forse si restrinse sul colle Garampo
e lungo le sue pendici ed aumentarono le zone boschive. Cesena sembrava
perdere il suo ruolo centrale nella vita agricola limitrofa, ma conservava
un ruolo amministrativo nel territorio confinante con Ravenna nella località
di Mensa e Pisignano, e quello confinante con Forlimpopoli a Diegaro, con
Rimini nei pressi della località di Bulgaria. Questo ambito territoriale
venne rafforzato dai conti ecclesiali e laici che rafforzavano la loro
potenza e dal vescovo che cercava di accrescere il potere della sua diocesi.
Il potere ecclesiale divenne molto importante nella nostra zona dopo che
Ravenna divenne capitale del regno bizantino. Il clero ravennate
si unì capillarmente alle strutture religiose romagnole creando
un reticolo che aveva "funzione di inquadramento e di controllo, sia nello
spirituale che nel temporale [...]"(A. Vasina). Alla base del nuovo sistema
c'erano le pievi.
Per tutto il medioevo l'economia della nostra regione si basò
quasi esclusivamente sull'agricoltura. Soprattutto nel basso medioevo ed
ancor più verso il XIV secolo, per ottenere maggiori rese, si sfruttarono
le terre più fertili e vennero lasciate incolte le terre meno produttive,
come quelle collinari. Tuttavia dalle foreste collinari si ricavava legname
(soprattutto dai faggi e dalle querce) ed in esse si praticava la caccia
unita ad una rudimentale pesca nelle zone acquitrinose. Inoltre era importante
l'apicoltura, in quanto il miele era fondamentale come dolcificante dato
che mancava lo zucchero, prodotto esotico all'epoca quasi irreperibile.
Per quanto riguarda l'allevamento, si allevavano allo stato semi-brado
maiali e cavalli, ma soprattutto capre e pecore; quest'ultime erano fondamentali
perché oltre a fornire carne e pelli producevano il latte, un alimento
base.
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