MARIO BOCCHINI
pittore cesenate, artista senza confini


RECENSIONI

Le api costruiscono il nido

Chi ha girovagato, sul calar della sera, tra le brughiere e le prime dune del litorale della Romagna, quando ancora si trovavano larghi spiazzi liberi e incolti, e il cemento si fermava lontano tra il verde, riconosce, nei primi quadri del maestro MARIO BOCCHINI, luci e colori e melanconie di un'ora goduta in giovinezza e rivissuta dalla memoria.

E si sa, la memoria abbellisce la realtà sfumandone i contorni, levigandone le asprezze, riportandola agli incantesimi dell'infanzia e della adolescenza, in un tempo senza tempo, quasi immutabile. Gli sterpi, gli arbusti, i monticelli di sabbia che si stendono sino all'orizzonte, interrotti qua e là dagli sbaffi di un tronco piegato dal vento, da una radice riemersa, punteggiati dalle zolle strappate da qualche solitario cercatore o da giochi di ragazzi, sono tutti delineati con asciuttezza nella pittura del Bocchini. Qualche tremula luce si accende all'orizzonte, nelle rade case dei villaggi, sul fondo, ma in modo indistinto; una tristezza opaca si diffonde sul crepuscolo, e i passi già riconducono alle pareti domestiche, al rifugio delle cose note. Il vento resta il padrone, in questa natura incontaminata. Ma come un ricordo, labile, si dissolve anche questo incanto primitivo: minacciosi si fanno incontro, avantigru, impalcature, fabbriche, ciminiere e case a non finire.

Bocchini registra questa “invasione”, fedelmente, con la stessa asciutta stringatezza di prima: sulle brughiere scompaiono i cespugli e i brandelli di verde e compaiono i pali, gli steccati, le reti, i tralicci di un mondo ostile ma incalzante. Case come alveari, costruzioni come torri, strade d'asfalto come nastri lucidi, banchine di cemento che ingoiano la battigia, il bagnasciuga dei giochi dell'infanzia. Le api costruiscono il nido, è un titolo di una composizione tipica del maestro, ma sono api industriose o devastatrici, predoni come termiti?

Bocchini sembra protendere per una ipotesi negativa. Bocchini appare conquistato da questa avanzata della civiltà contemporanea, dalle luci fantasmagoriche dei notturni urbani, dal groviglio delle nuove architetture industriali. Paga il suo tributo di ammirazione, anche se tra le pieghe del suo animo di romagnolo legato alla terra dei padri, sente il richiamo imperioso di una natura dolorosamente violata. Sente il tintinnio delle “caveje” agresti riecheggiare nelle orecchie di bambino, smarrito a contemplare - nelle giornate di sole - il tremolio delle luci e dei colori della verde campagna circostante: così, ritorna, con rinnovato entusiasmo, ai primi amori, agli arenili intatti della memoria, alle spiagge del suo mare piatto e tranquillo, alla bellezza serena di una risacca placida che si arresta sulla rena, ai resti lasciati dal mare, al chiarore di una conchiglia rosa dalle onde o di una radice levigata dall'acqua, alla bellezza rustica di un relitto abbandonato o di una barca a secco sulla sabbia, nel silenzio di un pomeriggio senza folle e senza bagnanti.

In toni caldi, densi, con una tavolozza policroma, Bocchini stempera la sua nostalgia in ocre pallide e in grigi azzurrini, recuperando la serenità e !o stupore dell'infanzia, nello smalto del ricordo.

Emilio Contini

Dipinto di Mario Bocchini

Ultimi valori, di Mario Bocchini, 1980


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 27/08/2015