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RECENSIONI un remo per approdare Chi abbia dimestichezza con l'opera di Mario Bocchini sa immediatamente porre l’accento sul carattere cosmopolitico della sua ricerca-approdo. Ossigeno di vaste latitudini. Aria di continenti osservati dai punti-chiave della cultura, quella che muove ragioni, passioni e apprensioni per l'uomo contemporaneo. Cultura cosciente nelle determinazioni, cui si arriva per esigenza interiore e per esperienza di formazione, studio di metodi e maturazione dei propri mezzi linguistico-intuitivi. Il segno di questo artista, partito dalla tensione della solitudine e pervenuto ad una coerente dilatazione del reale, raggiunge le trasparenze magiche di un'atmosfera penetrata nelle cose, filtrata nelle linee e nelle pareti, nelle luci-ombre di oggetti mobili. Non esistono punti statici nella sua pittura, la quale diventa dinamismo cromatico per l'apporto di idee in movimento, di cultura in progresso. Osservate i riflessi verticali sotto un'ipotetica linea orizzontale: sono le radici di una forma (alveari, cavalcavia, semafori, fiori, ecc.) ad emergere con tutto il peso di una concretezza annullata. E le strutture dilatate orizzontalmente sono l’apertura ad un «continuum» che presuppone l’apporto dell'osservatore. Anche le striature di sensi allucinati non sfuggono all’analisi dell'autore. Oggetti e linee s’innestano; colori e forme si amalgamano; ombre e luci assumono identicità di rapporti oltre che di valori. E' così che Bocchini ottiene i risultati d’una trasparenza magico emotiva in continuo sviluppo, sino a raggiungere la tonalità psicologica della realtà (mare o cemento che sia) , trasferendo la propria osservazione dai rottami di barche sulla spiaggia ai semafori liquefatti, dai fiori nel cielo ai pilastri della metropoli, al traffico di macchine e luci pubblicitarie. L'atmosfera dinamica viene captata e registrata, assimilata negli spazi senza ostacoli e si forma tutto un blocco visivo-motorio che assorbe l'occhio e l'anima, sentimenti e immagini, qualità e contrasti, coinvolgendoci coi tentacoli d’una persuasività coerente e avvincente. Siamo alla sensibilizzazione delle atmosfere narrative emerse dalla meditazione mnemonica, dall'assuefazione con una poesia oggettuale (in parallelo con poetiche d'avanguardia) che Bocchini rinviene soprattutto in se stesso o nelle predilezioni di artista aperto agli orizzonti psicologici, che vanno oltre i confini della tecnologia o della geografia. Certi scheletri di barche (resti ancorati nell'area ch'è già confine umano), come talune pareti liquescenti dei grandi agglomerati scoperti nelle capitali del mondo, formano le accensioni più evidenti di una predilezione per la memoria delle cose, per i rottami d’un paesaggio, per le orme che si fanno unica presenza viva (non nostalgica o decadente, tanto meno idillica) d’una coscienza che diventa simbolo, elemento «feriale» (mai festoso o fastoso) da meditare. La simbiosi si raggiunge per gradi, accumulando case e scheletri, piani e livelli, strade e mare, colori e natura, nella moderna leggenda riproposta da uno scomparso Ulisse che appena avvertiamo, ma senza volto, senza contorni fisici, divenuto egli stesso oggetto (joyciano più che omerico) di una metamorfosi nella quale sentiamo di venire ogni giorni coinvolti. Elio Filippo Acrocca |
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