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"Noi,
esseri finiti,
personificazioni di uno spirito infinito,
siamo nati per avere insieme gioie e dolori;
e si potrebbe quasi dire che i migliori di noi
raggiungono la gioia attraverso la sofferenza".
LUDWIG VAN BEETHOVEN ALLA CONTESSA ERDÖDY, 1815
di
Luisanna Fiorini
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Il tormento di uno spirito indomabile
traspare da tutta l'esistenza del "Titano"
della musica classica, nato a Bonn nel 1770 e morto a
Vienna nel 1827.
Scontroso, burbero, dal carattere
proverbialmente difficile, celava una ricchezza interiore
che troviamo in tutte le sue opere le quali uniscono ad
un perfetto equilibrio formale una carica emotiva
travolgente, unendo le caratteristiche classiche e
romantiche.
La vicenda umana di Beethoven è cosa
nota: l'infanzia difficile succube del padre ubriacone e
violento, la sordità che lo afflisse progressivamente, l'incapacità
di accettare regole e comportamenti sociali, gli amori
disperati, la delusione dell'unico affetto, il nipote
Karl.
Tutto ciò contribuì sempre più al suo
isolamento, dal quale sembrò uscire solo attraverso la
parola scritta, forma di comunicazione, oltre la musica,
da lui prediletta.
Abbiamo tre tipologie di documenti: le lettere,
i "Quaderni di conversazione"(in
cui raccolse pensieri, appunti riflessioni, domande dei
suoi interlocutori), e il "Testamento di
Heiligenstadt", vero e proprio
testamento spirituale ove confessa il suo male interiore.
Dagli scritti emerge un immenso amore per
la natura, quasi in essa trovasse conforto e potesse
lenire nella sua contemplazione i suoi rovelli.
Scrisse alla sua amica Therese Malfatti
nel maggio del 1810: "Quanto è
fortunata Lei, che è potuta andare in campagna già così
presto. Io non potrò godere tale beatitudine fino al
giorno 8. Non c'è nessuno che possa amare la campagna
quanto me. Dai boschi, dagli alberi, dalle rocce sorge l'eco
che l'uomo desidera udire."
Nei "Quaderni di conversazione"
troviamo: "Onnipotente, nella foresta!
Io sono beato, felice: ogni albero parla attraverso te-O
Dio! Che splendore! In una tale regione boscosa, in ogni
clima, c'è un incanto. E' come se in campagna ogni albero
mi facesse intendere la sua voce dicendomi: santo, santo!"
Più in avanti, mentre si infittiscono
gli appunti e i temi per la sua sesta sinfonia, la "Pastorale",
Beethoven scrisse:"Chi mai potrà
esprimere tutto ciò?"
Ma il suo più recondito sentire lo
esprime nel "Testamento di Heiligenstadt", una
lettera indirizzata ai suoi fratelli Karl e Johann il 6
ottobre 1802.
"O voi che
pensate che io sia... misantropo, quale
ingiustizia mi fate!... Da sei anni sono vittima
di una terribile sventura, aggravata da medici incompetenti...
mi è impossibile gridare alla
gente:" Parlate, gridate perché sono sordo!"
Ah, come può essere possibile rivelare la
debolezza di un "senso" che dovrebbe
essere più acuto in me che negli altri uomini?" |
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"La
musica è una rivelazione più profonda di ogni saggezza e filosofia...
Chi penetra il senso della mia musica potrà
liberarsi dalle miserie in cui si trascinano gli altri uomini."
Ludwig van Beethoven
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