UOMO E DONNA
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LA CLASSIFICAZIONE ICF - OLTRE L'INVALIDITÀ E L'HANDICAP di Dr. Giovanni Sicuranza, specialista in Medicina Legale Nel Sistema delle Nazioni Unite,compete alla Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) la responsabilità di preparare e visionare le misure internazionali concernenti il diritto alla salute e il coordinamento del lavoro sanitario in campo internazionale. Il Preambolo della Costituzione dell'OMS dichiara: "il godimento del livello di salute più elevato possibile è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano, senza distinzione di razza, religione, credo politico, condizioni economiche e sociali". La definizione di salute include "il benessere fisico, mentale e sociale". La "Guida ai diritti umani" dell'UNESCO precisa che i servizi sanitari fondamentali atti a garantire una tutela sanitaria adeguata alla comunità devono comprendere: 1. assistenza alle madri e all'infanzia, ivi compresi le cure ostetriche; Nel 1970, l'OMS elabora l'International Classification of Diseases (ICD), focalizzata sulla causa, sulla descrizione delle principali caratteristiche cliniche e sulle indicazioni diagnostiche delle patologie. Inoltre, al fine di rispondere alla necessità di un'omogeneizzazione dei dati nel mondo, le diagnosi vengono tradotte in codici numerici. L'ICD, che ha particolare riguardo per l'aspetto etiologico della patologia, è una classificazione in cui assume un ruolo centrale il nesso di causa, secondo lo schema: eziologia -> patologia -> manifestazione clinica Tuttavia, il limite è quello di non prevedere le conseguenze della patologia, tanto che, oltre a periodiche revisioni (si ricordi tra l'altro che con l'industrializzazione si diffondono nuove patologie causate da fattori non presenti in natura e sovente caratterizzate da cronicità, multietiologia e irreversibilità), già nel 1976 all'ICD si affianca un testo relativo proprio alle conseguenze delle malattie, o a fenomeni a queste connesse. Nel 1980 Wood e la sua equipe realizzano l'International Classification of Impairment, Disabilities ad Handicap. A manual of classification relating to the consequences of desease (ICIDH). L'esigenza di un superamento concettuale della ICD è dunque dettata dalla constatazione che le persone, oltre a subire le manifestazioni cliniche della malattia, possono risultare incapaci di svolgere il loro ruolo sociale e di mantenere normali relazioni. In questa prospettiva, l'ICIDH propone le nuove definizioni di Impairment, Disability ed Handicap, di seguito sintetizzate. Impairment (menomazione) Indica ogni alterazione anatomica o funzionale, psichica o fisica, rispetto agli standard biomedici generalmente accettati. È evidente la specificità medica della definizione, richiesta per un apprezzamento quantitativo e soprattutto qualitativo. Altro punto essenziale, è quello di riferimento, cioè la "normalità", che non è intesa come assoluta, quanto piuttosto come un concetto statistico di normalità in rapporto alle persone di stesso sesso ed età. Inoltre, non sempre la stessa menomazione incide in ugual modo nella vita reale di ogni persona (si pensi all'esempio alla diversa gravità dell'amputazione della falange ungueale del mignolo per un violinista rispetto al resto della popolazione). Disability (disabilità/incapacità) Indica in ogni diminuzione delle possibilità, derivante da una minorazione, di effettuare una specifica azione finalizzata, nello stesso modo di un "medio" essere umano. Non riguarda l'estrinsecazione della funzione relativa ad una struttura anatomica o funzionale, ma l'abilità di tutta la persona, e non di una sua parte, a compiere una determinata azione della vita quotidiana, che consiste in una serie di attività complesse e tra loro integrate, nello svolgimento di un determinato compito (lavorativo, ricreativo, necessario o superfluo) della vita quotidiana. Queste attività del vivere quotidiano (ADL) sono definite in base alla loro importanza: alcune sono necessarie (come nutrirsi, vestirsi, pulirsi, spostarsi autonomamente); altre, non sono essenziali alla sopravvivenza, ma lo diventano in rapporto alla qualità della vita (ad esempio, la capacità di preparare il cibo, di curare il proprio aspetto, svolgere un'attività retribuita). In conclusione, il concetto di incapacità / disabilità non può prescindere dal riferimento all'ambiente di vita della persona e alla sua capacità di adattarsi ed interagire alla più diverse circostanze. Handicap (termine inizialmente adottato nella traduzione in francese dell'ICIDH) Può derivare da una menomazione, ma in genere è in relazione alla disability con compromissione della sfera sociale dell'individuo. Il fatto che si riferisca non tanto all'individuo in esame, ma alle condizioni esterne (si pensi, ad esempio, all'ostacolo rappresentato da uno scalino per chi è sulla carrozzina), rende questa definizione di non immediato inquadramento medico-legale e richiede l'esigenza di una collaborazione con altre figure professionali. Una lista dei principali raggruppamenti nella definizione di ciascuno dei tre termini può meglio aiutare a capire la distinzione. Menomazioni 1. Menomazioni della capacità intellettiva Altre menomazioni psicologiche
Menomazioni del linguaggio e della parola Disabilità 1. Disabilità nel comportamento Handicap 1. Handicap nell'orientamento Negli stessi anni, anche in Italia, sia pure con peculiari caratteristiche, si assiste alla definizione e all'evoluzione di un nuovo concetto della minorazione, ovvero di quei soggetti totalmente o parzialmente privi della facoltà fisiche e/o psichiche, rientranti in diverse categorie di invalidità (di guerra, di servizio e di lavoro) in riferimento alla causa che determina la minorazione stessa. Nel 1971 è promulgata la Legge 118, che definisce "mutilati ed invalidi civili i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienza mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali, che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età". Successivamente, anche i soggetti ultrasessantancinquenni sono dichiarati invalidi civili in caso di riconoscimento di difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. La capacità lavorativa del soggetto ("riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo") è la dimensione principale in cui si colloca questa definizione e risente ancora dei precedenti interventi statali destinati a tutela dell'invalidità da causa di lavoro o di guerra o di servizio, al punto che per stabilire se un cittadino è da considerarsi invalido civile si ricorre ad un criterio di esclusione: invalido civile è, cioè, chi si trova in condizione di minorazione non dipendente da cause di guerra, servizio e lavoro. Per meglio comprendere il riferimento alla capacità lavorativa del singolo, si consideri che queste forme di tutela nascono storicamente da un'evoluzione dei concetti di beneficenza, mutualismo ed assicurazioni private. L'assistenza sociale promulgata dallo Stato ne rappresenta il superamento, anche se la genesi è comune. La Costituzione italiana sancisce il dovere di solidarietà (art. 2), il diritto-dovere al lavoro (art. 4), la tutela della pubblica salute (art. 32) e del lavoro (art. 35), i mezzi di sussistenza per invalidi, anziani, disoccupati (art. 38). Dall'insieme delle normative che definiscono l'assistenza e la previdenza sociale si definisce il Sistema di Sicurezza Sociale in cui l'istituto dell'invalidità civile, per la sua origine non contributiva, per il suo indirizzo di tutela "erga omnes", per le sue ripercussioni sul del diritto del lavoro, si inquadra a pieno titolo. Nell'ambito della Legge 118/1971, il ruolo del medico-legale diventa indispensabile non solo per la definizione stessa di invalido, ma anche in seguito all'introduzione di criteri di valutazione tabellati (D.M. 11.2.1980 e 5.2.1990). La formulazione delle tabelle, in realtà rese esecutive solo con il D.M. 5 febbraio 1992, è chiaramente ispirata alla classificazione ICIDH. L'elenco delle menomazioni è redatto sulla base delle indicazioni dell'OMS, così come lo sono sia la suddivisione in gruppi (prima cifra del codice) e sottogruppi (seconda cifra), sia le voci delle singole infermità (terza cifra) causa di menomazione (quarta cifra). In questo contesto, la metodologia medico legale trova la sua necessità nei parametri indicati dal decreto legislativo 509/1988: 1. il danno anatomo-funzionale permanente; Per quanto sopra esposto, la sua funzione di indagine sul nesso di causa, sul criterio di permanenza del danno e sulla valutazione della residua capacità lavorativa del soggetto in ambito di un sistema tabellare, segue il complesso iter evolutivo indicato dell'OMS. Si noti, a titolo di esempio, la somiglianza tra la definizione di "impairment" ed il "danno biologico" definito dalla dottrina medico-legale italiana quale menomazione dell'integrità psicofisica. Negli anni successivi, l'individuo menomato è riconosciuto sempre più nella sua sfera sociale e non individuale. Tale concetto, come si è visto, era già stato recepito nell'ICIDH, con la definizione di handicap. Nel 1997 l'ICIDH è sottoposto a revisione e nasce l'ICIDH-2 Beta 1 draf version. Rimane il termine "impairment", ma al posto di "disability" è proposta la definizione di "activities". Il suo primo significato è quello di azione attiva, o vitale, mentre il secondo è riferito ad un'azione energetica e completa. Solo come terzo significato, vi è corrispondenza con il termine italiano "attività", che evoca soprattutto un'occupazione lavorativa. In realtà, una traduzione più adatta al significato è quella di "capacità concreta, di svolgere una certa azione", ancora parte della criteriologia valutativa medico-legale. Nell'ICIDH-2 si evidenzia che per "activities" non si intende ciò che è potenziale, ma quanto effettivamente fa' una persona nella vita quotidiana. In Italia, con la Legge 104 del 1992 (legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) si giunge all'abbandono dei tradizionali criteri percentualistici, nati in ambito infortunistico a fini indennizzatori, e riguardanti il singolo individuo in rapporto alla sua capacità lavorativa, o ai compiti e alla funzioni proprie dell'età. In particolare, l'articolo 3 precisa che:
Con questa legge, vengono evidenziate le caratteristiche di promozione, piuttosto che quelle di indennizzo tipiche del sistema pensionistico. Si tenta quindi di superare l'indicazione di "diagnosi / percentuale di capacità lavorativa residua/ indennizzo", introducendo l'esigenza della valutazione globale della persona, che parte comunque sempre dal lato medico, cioè dalla menomazione psico-fisica. La normativa prevede che gli operatori sanitari valutino il tipo di relazione del disabile con l'ambiente. L'handicap non deriva da uno stato di invalidità civile (la menomazione), ma dalle difficoltà che il soggetto menomato incontra nel corso della sua esistenza. Si tratta dunque di analizzare elementi tali da determinare un processo di emarginazione o di svantaggio sociale. Non a caso, infatti, è prevista nelle Commissioni anche la presenza dell'operatore sociale. Il ruolo del medico legale è ancora evidenziato, nell'articolo, dal riferimento alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e, in particolare al comma 3, che definisce lo stato di gravità, alla valutazione della necessità di un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione. Tuttavia, lo stesso riferimento alla "capacità complessiva individuale residua", pur esprimendo il tentativo di superare il concetto di "capacità lavorativa" in una dimensione globale della persona, trova un limite proprio nell'aggettivazione "residua". La residualità della capacità implica infatti ancora una concezione valutativa e in termini negativi (ciò che rimane e non ciò che è). Come in termini di negatività si estrinseca il concetto di consistenza della minorazione. Questo limite, d'altronde, ancora una volta era già stato individuato dall'OMS nell'ICIDH-2, con l'introduzione del termine "partecipazione", sia pure in riferimento ancora al soggetto menomato e, dunque, non così dissimile alla definizione di handicap. Il grado di partecipazione di una soggetto dipende dal risultato delle complesse relazioni che si instaurano tra le sue menomazioni e l'ambiente nel quale vive. Così ambienti diversi avranno impatti diversi sulla persona, producendo un diverso grado di "partecipazione". Il termine è volta ad accentuare il concetto che lo stato menomativo, invalidante, è il risultato dell'interazione dinamica tra menomazione, compromissione delle capacità e limitazione della partecipazione alla vita sociale. Ne consegue che ogni intervento che provochi una modifica in uno dei suddetti elementi, cambia anche gli altri. Il tutto nell'ambito di fattori contestuali, distinti in ambientali, e quindi estrinseci all'individuo, e personali, quali sesso, età, stili di vita, attitudini, educazione, professione, ecc.. In sintesi, da quanto sopra schematicamente esposto, si nota l'evoluzione dall'ICI all'ICIDH-2 recepite in Italia dalla legge 118/1971 alla legge quadro 104/92, passando attraverso le successive modifiche ed ulteriori disposizioni legislative (ad esempio, la legge 68/1999 sulle norme per il collocamento dei disabili). Dalla condizione menomante si passa alla individuazione della capacità complessive individuali residue, per giungere fino alla valutazione delle difficoltà che la persona in esame incontra nell'ambiente sociale. Un passo avanti verso la globalità della persona in un ambito dinamico ambientale, senza dubbio, ma ancora in una prospettiva di negazione, volta a descrivere quello che non c'è, o quanto rimane. Nella consapevolezza di questo limite, si arriva al maggio 2001, quando l'OMS promulga l'International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF). All'elaborazione di questa classificazione hanno partecipato 192 governi che compongono l'Assemblea Mondiale della Sanità, tra cui l'Italia, che ha collaborato tramite una rete denominata Disability Italian Network (DIN), formata da centri dislocati sul territorio nazionale e coordinata dall'Agenzia regionale della Sanità del Friuli Venezia Giulia. Già il titolo del testo è indicativo di un cambiamento sostanziale nel modo di affrontare il problema, innanzitutto fornendo un linguaggio unificato di classificazione per descrivere lo stato dei soggetti. Inoltre, non ci si riferisce più a un disturbo, organico o funzionale, senza prima rapportarlo a uno stato di salute. Il nuovo documento sostituisce ai termini "impairment", "disability" e "handicap", dalla connotazione negativa (in quanto, come già visto, indicano qualcosa che manca per raggiungere la "globalità" organica, funzionale e sociale della persona), altre definizioni, che potremmo definire fisiologiche, nel senso di positività, normalità, di seguito schematizzate: Funzioni corporee 1. Funzioni mentali Strutture corporee 1. Strutture del sistema nervoso Attività e partecipazione 1. Apprendimento e applicazione della conoscenza Fattori ambientali 1. Prodotti e tecnologia In questo contesto, si noti che l'attività è da intendersi non come mero riferimento alla capacità lavorativa, ma all'esecuzione di un compito o di un'azione da parte di un individuo "di carattere generale". La partecipazione è il coinvolgimento di un individuo in una situazione di vita. I fattori ambientali sono caratteristiche del mondo sociale, che hanno impatto sulle prestazioni di un individuo in un determinato contesto. Inoltre, nel documento OMS si arriva a livelli superiori di dettaglio, suddividendo le classificazioni sopra riportate in ulteriori sottoclassificazioni ed associando una sigla ad ogni livello. Ad esempio, la sigla b11420 è riferita alla seguente gerarchia di livello: b Strutture corporee Altro aspetto fondamentale dell'ICF, rispetto alle passate definizione, è che non riguarda solo le persone con disabilità, ma tutti, assumendo pertanto uso e valore globale. Quindi a ciascun individuo può essere associato uno o più dei suddetti parametri. Si tratta dunque di una classificazione:
Ancora, si consideri che a differenza di quanto attiene al deficit (organico o funzionale), che è concetto assoluto, i concetti introdotti sono relativi, ovvero valutabili relativamente all'ambiente e alle condizioni in cui si inseriscono. Ad esempio, l'amputazione di un mignolo è assoluta considerato l'individuo isolatamente; lo svantaggio che ne deriva è invece relativo alle condizioni di vita e di lavoro, cioè della realtà in cui si colloca l'individuo amputato. L'ICF evidenzia questa prospettiva sottolineando gli aspetti propositivi, e quindi di valorizzazione, del singolo nel suo contesto ambientale e sociale. Preme ancora ricordare, che lo stesso concetto di "contesto" assume connotazione relativa, modificandosi se si tratta di contesto di lavoro, di svago, o di altro luogo (una menomazione può essere vissuta diversamente in una metropoli o in un'area rurale). Chiunque può trovarsi in un contesto ambientale precario e ciò può causare disabilità. E' in tale ambito che l'ICF si pone come classificatore della salute, prendendo in considerazione gli aspetti sociali dell'individuo menomato. Ciò che importa non è stabilire la causa della menomazione, ma intervenire sul contesto sociale costruendo reti di servizi che riducano la disabilità. Quindi, il nuovo passaggio compiuto dall'ICF elimina il lato negativo ancora attribuito alle persone ed evidenzia il contesto sociale a discapito di quello medico (il concetto di menomazione come elemento che produce disabilità e/o handicap), precedentemente di maggior rilievo. La disabilità diventa una possibile condizione ordinaria della vita di ciascuno, non legata ad una condizione di malattia, ma riconosciuta come una esperienza umana universale. La correlazione fra lo stato di salute e l'ambiente porta inoltre ad una definizione di disabilità come condizione di salute in un ambiente sfavorevole. Per quanto concerne la situazione in Italia, si è già accennato della collaborazione al progetto ICF attraverso la rete del Disability Italian Network (DIN). La Regione referente è il Friuli Venezia Giulia. Nel 2002, a Trieste, si è svolta la Conferenza mondiale su salute e disabilità nella quale sono state messe a fuoco le nuove classificazioni dell'ICF. Nel 2003, durante la II Conferenza Nazionale sulla Disabilità, tenutasi a Bari, l'ICF è stato indicato come riferimento per lo sviluppo di azioni nell'ambito della disabilità in Italia. Come si legge sul sito web del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, "dal giugno 2003 il DIN è un'associazione senza scopo di lucro, con funzioni di guida che, auspicabilmente nel futuro, saranno svolte dal Centro Collaboratore. Il nucleo direttivo del DIN è composto da esperti che hanno seguito tutto il lavoro di e su ICF svolto in Italia a partire dal 1998. Il ruolo e le potenzialità del DIN come riferimento nazionale per l'utilizzo di ICF sono state recentemente riconosciute dal Ministero del Welfare, che ha scelto il DIN come partner scientifico per la messa a punto del progetto ICF in Italia. Il progetto mira a formare gli operatori che si occupano di inserimento lavorativo delle persone con disabilità e a utilizzare sistematicamente ICF nei processi valutativi collegati. Grazie all'impulso del progetto sviluppato dal Ministero del Welfare, il DIN ha messo a punto una articolata proposta formativa, lungamente discussa con gli esperti dell'OMS. Si tratta di un Corso Introduttivo e di un Corso Avanzato il cui obiettivo è quello di proporre e di fornire una visione concettuale completa e una prospettiva applicativa rigorosa dell'ICF su base nazionale". Ancora nel sito, il Ministro Maroni spiega che "… Accettare la filosofia dell'ICF vuol dire considerare la disabilità un problema che non riguarda i singoli cittadini che ne sono colpiti e le loro famiglie ma, coinvolge di tutta la comunità e, innanzitutto, le istituzioni ... L'ICF è, infatti, in grado di valutare le performance e le abilità e di valorizzare le capacità personali delle persone con disabilità ed è in grado di misurare l'impatto dell'ambiente nel quale la persona con disabilità vive. In particolare, nel settore delle politiche del lavoro, l'approccio globale di valutazione dell'ambiente e delle abilità e potenzialità della persona, garantisce l'identità di ciascuno rispetto al lavoro. Peraltro, in sede comunitaria, sia nei documenti approvati dedicati alle tematiche della disabilità che nella Strategia europea per l'occupazione, l'esclusione dal mercato del lavoro delle persone con disabilità è indicata tra le condizioni più gravi da contrastare, anche attraverso la comprensione dei diritti, dei bisogni e delle potenzialità delle persone disabili, e migliorando le conoscenze sulle tematiche della disabilità". Come si è ben compreso, dunque, l'ICF è il superamento della sola visione sanitaria a favore di una dimensione dinamica sociale ed ambientale di ogni individuo, dove il nesso tra azione lesiva (causa), lesione (malattia) e menomazione (disfunzione) non ha più importanza. Il ruolo del medico legale, rispetto alle precedenti definizioni "in negativo" del singolo individuo (menomazione e disabilità), era già stato in parte relativizzato dalla definizione di handicap, che richiede la valutazione di altri operatori socio-sanitari, tra cui l'assistente sociale. Nella nuova prospettiva dell'ICF c'è ancora spazio per un giudizio medico legale? A mio parere, per analogia nel cambiamento verificatosi nell'istituto giuridico aquiliano, è come chiedersi se la medicina legale può avere senso quando si passa dalla definizione del danno biologico a quello esistenziale. Infatti, nella sua innovazione, tale sistema rispecchia dinamiche di tipo sociale, in cui il soggetto è visto come individuo che realizza un progetto di realizzazione personale trascendente la produzione di reddito e che ha un carattere globale. Se il danno biologico rappresenta il culmine del processo volto ad una garanzia di salvaguardia risarcitoria da una modificazione peggiorativa dello stato di salute psico-fisica di una persona, nell'evoluzione del sistema aquiliano tale protezione risarcitoria si estrinseca come tutela delle modificazioni peggiorative di un soggetto nella sua dimensione globale. Cioè, nella compromissione delle varie attività che possono considerarsi realizzatrici dell'individuo (attività biologico-sussistenziali, ma anche relazioni affettivo-familiari, rapporti sociali, attività culturali, di svago, di divertimento, ecc.), realizzando così, per l'appunto, il c.d. "danno esistenziale". Fin qui, l'analogia tra il modo dell'ICF e del sistema aquiliano di disegnare l'individuo non più in rapporto a se stesso, o comunque a un reddito, o alla capacità lavorativa, ma in una dimensione sociale. Tuttavia, è importante precisare che, mentre nel danno esistenziale il rapporto causale, quantomeno con l'evento lesivo, è ancora fondamentale, nella nuova classificazione dell'OMS, lo si ripete, la causalità non ha rilevanza. Eppure, per quanto concerne la valutazione ICF, vedo ancora almeno due aspetti in cui il ruolo del medico legale è importante. Innanzitutto, se è vero che chiunque, nel corso della sua esistenza, può essere considerato disabile in un ambiente sfavorevole, occorre definire il carattere di questa disabilità. Ovvero stabilire un giudizio di permanenza o meno della riduzione dello stato di salute. A tale proposito, il Puccini spiega in un commento a sentenza "… la permanenza può affermarsi … nel caso del miglioramento prevedibile, allorquando non sia possibile prevedere la durata del miglioramento; ovvero quando, pur potendosi emettere parere prognostico favorevole, sia impossibile indicarne il momento in cui il miglioramento avrà luogo; o, infine, nel caso in cui non siamo in grado di precisare l'entità delle modificazioni in meglio e la sua effettiva incidenza sulla natura del male e le sue conseguenze …" (Riv. Intervento chirurgico. Soc., 23:1014, 1970). Si tratta dunque non di emettere un giudizio certo di irreversibilità, ma di stabilire una previsione di incertezza prognostica e/o temporale. Altro punto, la definizione di uno stato peggiorativo implica il rapporto con uno stato anteriore, sia questo di "normalità" o di disabilità già in essere, per quanto di minore entità quantitativa e/o qualitativa. Definire in modo preciso e omogeneo uno stato anteriore è esigenza a cui vanno incontro le classificazioni sopra accennate dell'ICF e alle quali il medico potrà rapportarsi non solo per diagnosticare lo stato attuale dell'individuo, ma anche emettere una previsione di prognosi, di riabilitazione e di interventi mirati. In questo caso, oltre l'opera di prevenzione, si passa anche ad una prospettiva ex post, in cui il metodo di ragionamento medico legale assume importanza. Inoltre, nel momento in cui l'individuo diventa disabile, sia pure in rapporto dinamico con l'ambiente, occorrerà quantificarne il grado, in quanto non è possibile sostenere che, se la disabilità è potenzialmente di tutti, questa, manifesta, è uguale per tutti. Da qui, la necessità del ricorso a tabelle di valutazione quanto meno orientative, ma omogenee. Insomma, il medico-legale sembra rivestire ancora un ruolo, che, per quanto ridimensionato, non è di secondaria importanza. Fino a che punto questo ruolo debba arrivare, con quali peculiarità, con quale prospettiva di collaborazione con altri operatori socio-sanitari (e non solo, in quanto, parlando di ambiente, è auspicabile la collaborazione con altri esperti, quali ingegneri, architetti, ecc.), e su quali limiti, è dibattito aperto, da approfondire al più presto in un'ottica collaborativa tra i legislatori e gli specialisti del settore. sicuranza.blogspot.com - Questo testo in RTF-ZIP
IL CONCETTO DI HANDICAP Nella nostra società molti sono convinti che la vita sia un problema così difficile da affrontare che di fronte a un qualunque handicap si demoralizzano subito. Sicché si è portati a giustificare, "per amore", l'eutanasia del malato grave, l'aborto del feto menomato ecc., e non ci si rende conto che in tal modo le difficoltà invece di diminuire aumentano. Infatti non c'è peggior soluzione ai problemi della vita che quella di non far nulla per risolverli. Invece di considerare l'handicap un'occasione per mutare i criteri dominanti della società borghese, se ne fa un pretesto per confermarli e renderli ancora più forti. Col pretesto cioè che si compiono scelte "per il bene del malato" (p.es. lo si elimina su richiesta) si finisce col fare il suo male e, col suo male, quello dell'intera società, che così si abitua sempre meno ad affrontare i propri problemi. Non si riesce a guardare le cose in maniera oggettiva, considerando anzitutto gli interessi della collettività, che nella fattispecie sono quelli di riuscire a convivere con una qualunque situazione di handicap, facendo di questo limite un'occasione per superare dei limiti di natura personale e sociale. Se una società non sa trasformare l'handicap in uno strumento della trasformazione morale del singolo e politica della collettività, è una società che non vale nulla, proprio perché ha paura di se stessa. I limiti, le contraddizioni esistono sempre e anzi ci devono essere, poiché possono essere considerati uno strumento per crescere. Singolo e società devono abituarsi a considerare la diversità come un elemento naturale dell'esistenza, di cui non ci si può vergognare senza vergognarsi di se stessi: la diversità non solo non rende limitata l'esistenza ma anzi l'arricchisce, poiché la rende ancora più umana. Quando non si accetta l'handicap si finisce col rifiutare qualunque oggetto e soggetto che non rientri in taluni canoni prefissati, sino alle forme di razzismo nei confronti di ebrei, immigrati, nomadi ecc. Sino all'antagonismo tra uomo e donna, tra giovane e anziano, tra lavoratore e disoccupato ecc. Alla fine solo pochissimi rientreranno negli standard vitali prestabiliti. Si parte dai pregiudizi più istintivi e si finisce con quelli più sofisticati. Tutto diventa "degenerato", non solo l'arte. Si badi, è anche ipocrita la posizione di chi chiede al singolo di affrontare con coraggio le situazioni di handicap che vive, semplicemente per educarsi alla bontà, alla pazienza ecc., senza mettere in discussione i meccanismi sociali che fanno dell'handicap un male da evitare. L'handicap non può essere soltanto una prova personale da superare, ma anche l'occasione per stimolare una crescita comune. |