UOMO E DONNA
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DROGA: EFFETTI FARMACOLOGICI
I - II CENNI STORICI Secondo l'accezione medico-farmacologica del termine, droga è ogni sostanza a effetto stupefacente, che possieda cioè la capacità, introdotta in un organismo vivente, di modificare una o più funzioni, e in particolare indurre modificazioni psichiche e mentali. Gli effetti di una droga sul comportamento umano sono determinati in parte dalle proprietà intrinseche e specifiche della sostanza e in parte da fattori accessori che sono legati alle modalità d'uso della sostanza stessa, dalla personalità e dalle condizioni fisiche dell'individuo (set) che la usa, dall'ambiente socio-economico (setting) in cui la droga viene assunta. I fattori accessori giocano anche un ruolo basilare nella genesi dei fenomeni patologici correlati all'abuso di droga (siringhe non sterili, pessime condizioni di vita ecc…). La classificazione delle droghe tuttora più utilizzata e ancora molto valida distingue le sostanze psicoattive in tre grossi gruppi, a seconda della specifica azione sull'attività mentale dell'individuo consumatore: 1) principi chimici che rallentano e deprimono l'attività cerebrale o psicolettici (oppiacei, ipnotico-sedativi, alcool); 2) principi chimici che esaltano l'attività cerebrale o psicoanalettici (psicostimolanti,caffeina, antidepressivi…); 3) principi chimici che deformano e alterano l'attività cerebrale o psicodislettici (allucinogeni, cannabis).
La classe degli oppiacei comprende sostanze derivate dall'oppio (come morfina ed eroina), nonché i suoi sostituti sintetici (come il metadone). L'oppio deriva il nome dal greco opòs, che significa succo: è infatti il succo lattiginoso ottenuto per incisioni trasversali delle capsule immature del papavero sonnifero. Tale succo, lasciato poi seccare all'aria, annerisce ed assume la consistenza di una polvere densa costituita da granuli e frammenti vegetali. L'oppio contiene numerosi alcaloidi tra i quali la morfina, la codeina, la narceina, la narcotina, la papaverina e la tebaina; contiene inoltre acido meconico, resine, gomma, caucciù, zuccheri, grassi e altre sostanze. L'oppio per fumare contiene una bassa percentuale di morfina, che viene in buona parte eliminata con il fumo, risultando così meno dannoso nei fumatori che non nei mangiatori di oppio; con l'andar del tempo i suoi effetti sono ugualmente dannosi. In piccole dosi eccita i centri nervosi determinando uno stato di piacevole eccitazione di breve durata, al quale segue uno stato di depressione e un'azione ipnotica, cui si accompagnano cefalea e disturbi digerenti e della circolazione. Come per tutte le droghe, il suo uso ripetuto provoca tossicomania, con deperimento fisico, necessità di dosi sempre maggiori e grave malessere in caso di interruzione della somministrazione. Nell'avvelenamento acuto, ai fenomeni di depressione seguono sonno profondo con abbassamento di temperatura, diminuzione dell'attività respiratoria, collasso e morte per paralisi del centro respiratorio. L'oppio è usato anche in medicina in forma di polvere o di estratto, come narcotico ed analgesico ad azione centrale; fa parte inoltre di alcuni preparati farmaceutici quali sciroppi, tinture e pillole, ma sempre in bassissime quantità. Dipendenza fisica: 75% Dipendenza psichica: 75% La morfina , dal punto di vista farmacologico, è un potente analgesico (farmaco in grado di alleviare il dolore senza causare la perdita di conoscenza) e costituisce lo standard su cui vengono misurati gli altri analgesici. Inoltre, morfina e altri derivati dell'oppio calmano la tosse, riducono la motilità intestinale e, a dosi elevate, inducono uno stato di indifferenza psicologica. Dipendenza fisica: 75% Dipendenza psichica: 75% L'eroina, un derivato sintetico della morfina, il suo nome tecnico è estere diacetilico della morfina o diacetilmorfina; è una polvere bianca cristallina inodore. Fu introdotta nel 1898 come calmante della tosse e sostituto della morfina, in quanto sembrava non essere in grado di indurre dipendenza. Tuttavia, presto si scoprì che anche l'eroina provocava dipendenza e pertanto il suo uso fu proibito in molti paesi, anche nella pratica medica. Tra gli effetti dell'eroina vi sono euforia, immediatamente dopo l'assunzione, e uno stato di profonda indifferenza a tutti gli stimoli interni ed esterni. Dipendenza fisica: 100% Dipendenza psichica: 100%
I barbiturici sono farmaci utilizzati sin dal primo Novecento per alleviare l'ansia, indurre il sonno e curare l'epilessia. Alcuni soggetti, benché ingeriscano ogni giorno grandi quantità di barbiturici, non mostrano segni di abuso o di dipendenza e per questo riescono a volte a ottenere la prescrizione di questi farmaci dal medico di base; altri li usano come vere e proprie sostanze stupefacenti; altri ancora li assumono per aumentare l'effetto dell'eroina. Sono composti derivati dalla malonil-urea e dotati di attività ipnotica. A seconda del dosaggio e della formulazione, i barbiturici possono anche avere effetti ansiolitici, anestetici e anticonvulsivanti. Dal punto di vista farmacologico i barbiturici si dividono in tre classi: ad azione breve, media o lunga. Quelli ad azione breve, ad esempio il tiopentale, vengono iniettati per via endovenosa prima degli interventi chirurgici per indurre una rapida anestesia. Il fenobarbital, un barbiturico ad azione lunga, viene invece prescritto insieme ad altri farmaci per prevenire crisi epilettiche. Prima dell'introduzione dei tranquillanti, alcuni barbiturici, ad esempio il secobarbital, venivano utilizzati come ansiolitici; oggi sono ancora in uso per la terapia a breve termine dell'insonnia, benché anche a questo scopo i tranquillanti siano più efficaci. Assunti per via orale o endovenosa, i barbiturici sono spesso soggetti ad abuso, che si manifesta con sintomi simili a quelli dell'ubriachezza: perdita delle inibizioni, comportamento sfrenato o violento, mancanza di coordinazione muscolare, depressione e sedazione. I barbiturici provocano assuefazione fisica e dunque dipendenza; i sintomi da astinenza da barbiturici possono essere molto gravi e l'overdose può addirittura causare sonno profondo, coma o morte. I barbiturici sono particolarmente pericolosi se combinati con l'alcol. Altri ipnotico-sedativi sono le benzodiazepine, i cosiddetti tranquillanti, usati nel trattamento dell'ansia, dell'insonnia e dell'epilessia. Benché siano più sicuri dei barbiturici e vengano oggi usati comunemente, inducono anch'essi dipendenza. Dipendenza fisica: 100% Dipendenza psichica: 100%
Gli stimolanti più comuni sono la cocaina e i farmaci della famiglia delle anfetamine (o amfetamine). La Cocaina è un Alcaloide ottenuto dalle foglie della pianta della coca si presenta come polvere bianca. Venne isolata per la prima volta nel 1855 e venne, poi, usata ampiamente come anestetico locale in piccoli interventi chirurgici. Attualmente, per gli stessi scopi, vengono impiegati anestetici locali con un potenziale di abuso minore, come la lidocaina. Nota da lungo tempo, alla fine degli anni Settanta e negli anni Ottanta la cocaina ha conosciuto un momento di grande popolarità come droga. Essa viene solitamente inalata ("sniffata") in forma di polvere secca, attraverso un tubicino inserito nelle narici, e più raramente viene iniettata in vena. Chi assume cocaina sperimenta un senso di euforia, ilarità e diminuzione dell'appetito. La cocaina, inoltre, accelera il battito cardiaco, aumenta la pressione del sangue e dilata le pupille. L'uso cronico può provocare ascessi cutanei, perforazione del setto nasale, perdita di peso, estrema irrequietezza, ansia, irritabilità e, talvolta, psicosi paranoica e danni permanenti al sistema nervoso. La morte può verificarsi anche con una piccola dose, in genere a causa di convulsioni o di un attacco cardiaco. Dipendenza fisica: 50% Dipendenza psichica: 75% Il crack è un derivato sintetico della cocaina che generalmente viene fumato crea una fortissima dipendenza e a causa della sua economicità è anche stata definita “droga die poveri”. Dipendenza fisica: 50% Dipendenza psichica: 100% Le anfetamine sono derivati dell'efedrina, introdotte negli anni Trenta come terapia della rinite e del raffreddore da fieno, e solo successivamente impiegate per la loro capacità di influire sul sistema nervoso. Per un certo periodo vennero usate come anoressizzanti, cioè per ridurre l'appetito nelle persone che cercavano di dimagrire. Attualmente il loro uso è limitato al trattamento della narcolessia, un disturbo del sonno caratterizzato da improvvisi attacchi di sonno durante il giorno, e nella sindrome del bambino iperattivo, nel quale le anfetamine producono un effetto calmante. Negli adulti, invece, le anfetamine aumentano la vigilanza, migliorano l'umore e diminuiscono l'affaticamento e il bisogno di sonno; spesso, tuttavia, rendono chi le assume irritabile ed eccessivamente loquace. Sia la cocaina che l'anfetamina, dopo un prolungato uso quotidiano, possono provocare sintomi psicotici simili a quelli della schizofrenia acuta. L'ecstasy, o 3,4-metilene diossimetampfetamina, dà a chi la assume una grande sensazione di benessere, di disponibilità affettiva, un forte aumento dell'energia e, talvolta, allucinazioni. I suoi effetti collaterali possono essere disidratazione, perdita di peso, di controllo e della memoria a lungo termine. L'ecstasy è associata con la cultura rave. L'assuefazione agli effetti sia euforizzanti che anoressizzanti delle anfetamine e della cocaina si sviluppa rapidamente. L'astinenza dalle anfetamine, soprattutto se iniettate per via endovenosa, causa una depressione tanto potente che chi le usa ha un fortissimo incentivo a continuare ad assumerle, finché non crolla. Dipendenza fisica: 50% Dipendenza psichica: 100%
Nella maggior parte dei paesi, gli allucinogeni non sono usati in medicina, tranne che molto raramente per il trattamento di malati terminali, di soggetti con malattie mentali, di tossicodipendenti e di alcolisti. Fra gli allucinogeni più comuni vi sono l'LSD e la mescalina, un alcaloide estratto dal cactus del peyote. Sebbene l'assuefazione a queste droghe si sviluppi rapidamente, quando ne viene sospesa l'assunzione non sembra che si verifichi alcuna sindrome da astinenza. L'LSD o Dietilammide dell'acido lisergico è un potente droga allucinogena estratta dalla segale cornuta (una muffa parassita della segale) e sintetizzata per la prima volta in Svizzera nel 1938. L'assunzione di LSD può provocare effetti psichici quali mutamenti di umore, sensazioni oniriche, alterazioni della percezione del tempo e dello spazio, perdita dell'autocontrollo, panico e apprensione fino a tentativi di suicidio. Gli effetti fisici comprendono sonnolenza, capogiri, pupille dilatate, intorpidimento e formicolii, debolezza, tremore e nausea. Le anomalie transitorie del pensiero indotte dall'LSD, come un senso di onnipotenza o uno stato di paranoia acuta, possono provocare comportamenti pericolosi. In seguito a ingestione di LSD sono stati, inoltre, segnalati effetti collaterali a lungo termine come psicosi persistente, prolungata depressione ed errori di giudizio; questi effetti non possono essere, tuttavia, ricondotti con assoluta certezza alla droga. Dal punto di vista fisiologico è stato dimostrato che può causare danni cromosomici ai globuli bianchi; non vi sono, tuttavia, prove certe che l'LSD provochi difetti anche nel materiale genetico delle cellule germinali e, quindi, nell'eventuale progenie di chi fa uso della droga. Sebbene l'LSD non causi dipendenza fisica, i suoi potenti effetti di alterazione cerebrale possono spingere a un utilizzo continuato. Negli anni Sessanta l'uso dell'LSD era molto diffuso in alcune comunità di persone che desideravano modificare le proprie percezioni sensoriali, al fine di intensificare i legami emotivi con gli altri e di raggiungere una comprensione emozionale di sé, della natura e dell'universo. Come farmaco è stato sperimentato per la terapia dell'autismo infantile e dell'alcolismo, nonché in alcune forme di psicoterapia, ma la sua utilità medica non è stata comprovata in alcun caso. L'uso di LSD è illegale in gran parte dei paesi dell'emisfero occidentale. Dipendenza fisica: 0% Dipendenza psichica: 25% Il Peyote o Mescal è un piccolo cactus privo di spine, dalla forma simile al tubero della rapa, diffuso in Messico e nelle regioni sudoccidentali degli Stati Uniti. Le infiorescenze grigiastre della pianta (dette bottoni di peyote o di mescal) hanno la forma di un fungo e contengono diversi alcaloidi, dei quali la mescalina è il più noto; essa è una droga piuttosto potente e pericolosa, che viene consumata sotto forma di diverse preparazioni, ottenute dai bottoni essiccati. La mescalina può provocare, in chi ne fa uso, un'alterazione delle percezioni sensoriali, ansia, eccitazione, tremori, anche se, diversamente da altre droghe, non dà assuefazione. Fin dall'epoca precolombiana il peyote viene usato dalle popolazioni autoctone del continente americano, nella celebrazione dei riti religiosi ; la mescalina è stata inoltre utilizzata in sperimentazioni cliniche su malattie, quali la schizofrenia e altre psicosi.
La canapa indiana viene attualmente coltivata in India, in Medio Oriente e nell'Africa Settentrionale per ottenere vari tipi di droga. La droga è costituita dalle infiorescenze femminili e dalle brattee che avvolgono le infiorescenze, munite di peli ricchi di resine; tale resina contiene dei composti non azotati fenolici quali il cannabinolo, cannabidiolo, tetraidrocannabinolo. A seconda delle regioni di provenienza e del modo di preparazione, la canapa indiana assume differenti denominazioni: bhang e siddhi, quando è costituita dalla resina pura; hashish quando è ricavata dalle sommità fiorite, dalle foglie secche e dalla resina; marijuana, se è ottenuta mescolando le sommità fiorite femminili al tabacco. L'uso della canapa indiana come eccitante, molto diffuso in tutto l'Oriente, dà luogo alla forma di dipendenza psichica, nota con il nome di cannabismo, ma non provoca né assuefazione né dipendenza fisica, tuttavia, il loro uso regolare può interferire con i processi di apprendimento e di maturazione psicologica.. I loro effetti sono simili: stato di rilassamento, accelerazione della frequenza cardiaca, senso di rallentamento del tempo e di miglioramento di udito, gusto, tatto e olfatto. Questi effetti, tuttavia, possono essere molto diversi a seconda della quantità di droga consumata e delle circostanze in cui viene assunta. La canapa indiana è stata usata per secoli come rimedio popolare; attualmente non viene, tuttavia, impiegata in medicina. Con il suo principio attivo, il delta-9-tetraidrocannabinolo, sono stati effettuati studi sperimentali per la terapia di alcolismo, crisi epilettiche e dolore cronico.
L'uso della droga determina l'insorgenza di una fenomenologia patologica ad essa strettamente correlata e che risulta specifica al fenomeno stesso. Elementi fondamentali di questa fenomenologia sono: la tolleranza, la dipendenza fisica e psichica, la tossicità. La tolleranza consiste nella necessità di aumentare progressivamente i dosaggi di una sostanza per ottenere gli stessi effetti che inizialmente si ottenevano con dosi molto basse. Essa rappresenta un processo di adattamento molecolare dell'encefalo alle sostanze con meccanismi molto complessi che vedono in primo piano il ruolo dei neurotrasmettitori e degli enzimi ad essi correlati. Il sistema di trasmissione degli impulsi è governato da molecole che esplicano il ruolo di “messaggeri”. Le droghe interferiscono con questo sistema (col quale hanno stretta affinità strutturale e biochimica) inibendolo. Da qui la necessità dell'aumento progressivo delle dosi della sostanza per ottenere l'effetto iniziale e droga qui l'origine di un altro fenomeno correlato all'uso di droga, la “crisi di astinenza”. Infatti l'inibizione dei neurotrasmettitori endogeni indotti dalle droghe determina , allorquando si verifichi una brusca sospensione nell'assunzione, uno stato di “carenza” che poi si estrinseca nelle poliedriche sintomatologie stomato-psichiche della crisi di astinenza. La dipendenza fisica è ben spiegata proprio dalla crisi di astinenza, cioè dalla necessità di assumere continuamente un certo tipo di droga , la crisi di astinenza, nel soggetto dipendente, scompare immediatamente con l'assunzione della droga interessata. Il fenomeno della dipendenza psichica è indefinibile dal punto di vista biologico, consistendo nel desiderio emotivo, inafferrabile e impalpabile, di assumere una determinata droga. La tossicità di una droga è strettamente correlata con la droga stessa e presenta una gamma molto variabile di possibilità. Con essa, in ogni caso, si intende il danno fisico e psichico provocato direttamente o indirettamente dall'assunzione delle droghe. Esiste un processo di intossicazione acuta (overdose) con peculiarità specifiche per ogni droga e un processo di intossicazione cronica legata sia alle modalità d'uso (assenza di aspsi, sostanze sa taglio, condizioni fisiche preesistenti del consumatore ). La fenomenologia di base della droga ha una sua espressività differenziata che emerge dall'analisi dei comportamenti derivanti dalla specifica interazione droga-individuo-ambiente. Possiamo individuare una condizione di consumatore semplice, che si riferisce a individui che usano in modo sporadico e saltuario una determinata sostanza, con dosi variabili, ma in ogni caso relativamente basse e che sono sempre in grado di gestire attivamente la sostanza interrompendone l'uso senza grandi difficoltà. E' stata poi individuata se pur molto discussa, la condizione di farmacodipendenti che si riferisce a individui che hanno sviluppato una dipendenza (addiction) per una determinata droga di cui cercano gli effetti piacevoli indotti, ma che riescono ancora a mantenere interessi e legami con il proprio ambiente e possono ancora in qualche modo gestire la propria condizione con un comportamento per lo più assimilabile alla normalità. La condizione tossicomanica (gradino estremo della scala delle interazioni droga-individuo-ambiente) prevede un bisogno ossessivo-compulsivo per una droga con la necessità insopprimibile di ricercarla e di procurarsela con ogni mezzo o a qualsiasi costo, una perdita totale di tutti gli altri interessi e di tutti i legami con la realtà, con la strutturazione di una personalità tipica centrata sulla droga e una serie di comportamenti pubblici finalizzati esclusivamente alla ricerca della droga che consentano di individuare uno specifico stile di vita. Queste distinzioni sono molto utili in astratto e ai fini didatti ed educativi. Essi individuano la figura del monotossicomane, una figura molto rara nella realtà presente. Infatti dagli anni settanta in poi si è sempre più frequentemente delineata la condizione di politossicomane, inteso come un soggetto che usa numerose droghe.
Paradigmatici di questo gruppo sono i derivati dall'oppio: morfina ed eroina considerate le droghe per eccellenza. Agiscono determinando l'analgesia e il rallentamento dello stato di coscienza, stato di benessere, euforia e sensazioni paraorgasmiche localizzate a livello addominale. Possono provocare vomito stipsi ostinata, rilassamento muscolare striato, vaso dilatazione periferica con ipotensione ortostatica. L'eroina può essere assunta per via orale, inalatoria e parenterale, la via di scelta è comunque quella dell'endovena. E' una droga ad altissima tossicità intrinseca; praticamente nessun organo o apparato è risparmiato dalla sindrome di abuso di eroina. Situazioni più frequenti comprendono epatiti, endocarditi, pneumatie fibrotiche, endocrinopatie, disfunzioni sessuali, immunopatie (AIDS) ecc… . Frequentemente causa di morte per l'eroinomane è la crisi da sovradosaggio o overdose: si manifesta con uno stato di profondo sopore, rallentamento respiratorio fino all'arresto, ipotonia muscolare e iporeflessia, restringimento del diametro pupillare. La terapia si avvale di un antagonista degli oppiacei, il Naloxone, somministrato repentinamente per via venosa, e di tutte le misure della comune pratica rianimatoria. Esiste pure una specifica sindrome astinenziale da eroina. Essa si manifesta poche ore dopo l'ultima assunzione (circa sei ore) con uno stato di ansia e di allarme fobico, cenestopatie vaghe e artropolimialgie. Il quadro clinico si va man mano aggravando con la comparsa di sudorazione, brividi, dilatazione della pupilla, vomito, diarrea, tachicardia, ipertensione, collasso cardiocircolatorio. I presidi terapeutici prevedono l'impiego di cure specifiche (tranquillanti, neurolettici) o di farmaci agonisti degli oppiacei (morfina e metadone). I programmi di disintossicazione sono di diversa natura. Quelli farmacologici prevedono una disintossicazione non sostitutiva a breve termine o l'impiego di farmaci sostitutivi a dosi decrescenti. I programmi di natura psicologica prevedono psicoterapia di sostegno, psicoanalisi, terapia di gruppo, terapie familiari sistematiche. I programmi di natura sociale prevedono il reinserimento nella società.
Le numerose droghe appartenenti a questo gruppo, pur avendo in comune l'effetto “stimolante”, sono molto diverse fra loro. Alcune hanno un'autentica diffusione di massa e non presentano connotazioni devastanti o di pericolosità sociale (tabacco, caffeina). Altre come le anfetamine hanno una relativa ristrettezza di impiego degradato (1% dei tossicomani) e per lo più vengono usate nel campo sportivo (Doping) e come anoressanti. A questo gruppo appartiene, come già detto, la cocaina droga il cui uso può essere definito in espansione. Potente stimolante del sistema nervoso centrale, determina uno stato di benessere e di diminuzione della fatica, aumento dell'attenzione e delle performance fisiche e psichiche, riduzione del senso di fame. Utilizzata nelle società occidentali in passato da ristretti gruppi sociali elitari per via inalatoria, oggi conosce una diffusione di massa, associata o meno all'eroina, per via venosa. L'intossicazione acuta determina agitazione psicomotoria, allucinazioni, nausea, vomito, tachicardia, ipertensione, convulsioni, coma, paralisi respiratoria. La terapia prevede l'impiego di sedativi e aloperidolo nelle reazioni psicotiche, ventilazione assistita. La cocaina determina anche un'intossicazione cronica con insonnia, turbe sessuali, allucinazioni con deliri, tendenza a comportamenti aggressivi. Patologia d'organo tipica (anche se ormai solo di interesse storico) per la cocaina è l'ulcera trofica con perforazione del setto nasale. La crisi di astinenza è sfumata e di difficile interpretazione, dominata da atteggiamenti negativistici e tono dell'umore orientato in senso fortemente depressivo e rinunciatario con ideazione anticonservativa. La terapia è psicofarmacologica associata a svariate tecniche piscoterapeutiche individuali o di gruppo.
Di questo gruppo fa parte la canapa indiana (Cannabis). Viene consumata in due forme: marijuana, derivata dalle sommità fiorite della pianta; Hashish, costituita dalle sommità fiorite mescolate alla resina della pianta stessa, dalle foglie secche e dai peduncoli. In entrambi i casi viene solitamente aggiunto tabacco. Principio farmacologicamente attivo della canapa indiana è il tetraidrocannabinolo, che determina euforia e benessere con perdita dei normali processi critici superiori e aumento della stima di se stessi; può determinare anche alterazioni nelle percezioni della realtà e del proprio schema corporeo, aumento dell'appetito, turbe dispeptiche, tachicardia. La via di assunzione più comune è quella inalatoria dopo distillazione ad alte temperature. Sulla tossicità dei cannabis non c'è univoca posizione. Alcuni studiosi negano qualsiasi tossicità, altri ne evidenziano numerosi effetti patogeni. Alcuni danni sono legati alle modalità di assunzione, come nel caso dei fumatori cronici (patologie polmonari). Altri danni sono probabilmente intrinseci alla sostanza e comprendono turbe sessuali, epatopatie croniche, degenerazione cerebrale fino all'atrofia. Esiste un'intossicazione acuta (sovradosaggio), caratterizzata da disorientamento, agitazione psico-motoria, allucinazioni, tachiaritmie. La terapia è medica. Crisi di astinenza fisica probabilmente non esiste; l'astinenza fisica è trattata con psicoterapia d'appoggio. Un quadro d'intossicazione è la così detta “sindrome amotivazionale”, con soggetto distratto, abulico passivo, inconcludente. All'inizio degli anni '70 si riteneva con certezza che l'uso della cannabis rappresentasse la porta d'ingresso obbligata per la strada verso l'eroina; oggi questa interpretazione non è universalmente accettata, o per lo meno, è accettata in modo critico e assai discusso. È comunque certo che la gran parte dei consumatori di droghe pesanti ha fatto uso in precedenza di cannabis. Altra sostanza appartenente agli psicodislettici è la Dietilammide dell'acido Lisergico (LSD25). Usata inizialmente come pillola, successivamente per via venosa, determina allucinazioni visive e uditive bizzarre, complesse e multiformi, disturbi dello schema corporeo con depersonalizzazione, disordini dell'ideazione, esagerata considerazione delle proprie possibilità, tachicardia, midriasi, sudorazione, spasmi muscolari. Dà un'intossicazione acuta con turbe psicotiche, deliri e allucinazioni, stato confusionale. La terapia prevede l'impiego di neurolettici (clorpromazina, barbiturici, e benzodiazepine). Non è nota una sindrome astinenziale fisica. L'intossicazione cronica è caratterizzata da stati deliranti con allucinazioni ricorrenti, disturbi del comportamento e dell'ideazione. La terapia si avvale di presidi psicofarmacologici e psicoterapeutici. A livello medico-scientifico, lo studio analitico dei processi fisiopatologici legati alla sindrome di astinenza, alla crisi da sovradosaggio e alla dipendenza hanno consentito di individuare il sistema delle endorfine ossia molecole endogene a struttura chimica ed affinità ricettoriali sovrapponibili agli oppiacei naturali e di sintesi. Quindi l'organismo umano produce, particolarmente nell'encefalo ma anche in altri apparati (ad esempio nel tratto gastroenterico), molecole morfinosimili che agiscono negli stessi siti delle morfine esogene. Il ruolo delle endorfine è fondamentale per la corretta interpretazione della sindrome di astinenza e della sua evoluzione e risoluzione, ma potrebbe anche esserlo sia per quanto riguarda la fisiopatologia della assuefazione-dipendenza e forse per la genesi stessa della tossicomania. I programmi di disintossicazione costituiscono un problema molto complesso: operazioni terapeutiche parziali, limitate ad un solo ambito d'intervento, hanno dimostrato la loro totale fallacità e sono risultate fonte d'errore e d'illusione. Tutte le possibilità terapeutiche, siano esse di tipo medico, psicologico o sociale, per essere valide, devono coesistere e devono essere usate dall'operatore in alternativa o associate, in modo da avere a disposizione in ogni momento la proposta unica o integrata per il tossicomane che a lui si rivolge. Negli ultimi tempi le proposte terapeutiche più utilizzate in ambito sia di disassuefazione sia riabilitativo restano comunque i programmi di disintossicazione sostitutiva con metadone e le comunità terapeutiche.
Il metadone è un prodotto di sintesi messo a punto negli anni '40. Ha una struttura chimica simile a quella della morfina nella sua configurazione sterica. Nel 1946 venne utilizzato come farmaco analgesico, ad azione morfino-simile, per via orale, a lunga durata d'azione, senza effetto assuefacente. Solo nel 1948 la sua specifica attività venne attentamente definita e ne emersero gli effetti assuefacenti. L'impiego del metadone nel trattamento disassuefativo della dipendenza cronica dell'eroina risale agli anni 1963-64 per opera di due studiosi statunitensi attivi a New York. Vincent P. Dol e Marie Nyswander Dole, studioso del metabolismo, strutturò, per analogia con altri disordini metabolici, il modello metabolico dell'eroina-dipendenza elaborando il concetto del deficit endorfico primitivo e della necessità del trattamento sostitutivo specifico. Dapprima venne impiegata la morfina in dosi progressivamente crescenti; i risultati non furono considerati soddisfacenti. La sostituzione della morfina col metadone per via orale ottenne risultati incoraggianti e i pazienti ottennero un discreto reinserimento sociale. I programmi terapeutici inizialmente adottati prevedevano l'innalzamento progressivo delle dosi fino ad ottenere un completo “bloccaggio” degli effetti derivanti dall'assunzione di eroina. Si raggiungevano così dosaggi anche di 200 mg al giorno di metadone. Si proseguì così fino al 1977 quando Newman invertì la filosofia dei programmi disassuefativi metadonici: le dosi massime vennero in 30-40 mg, in dosaggi a scalare decrescenti. Oggi i dosaggi si aggirano attorno ai 20 mg al giorno e la durata della terapia è variabile (da alcuni mesi ad alcuni anni). Le critiche a questo programma di disassuefazione sono molteplici:le più ricorrenti sono relative ad una mera sostituzione della dipendenza eroinica con quella metadonica. In realtà la situazione è molto differente. L'eroina possiede una breve emitività (1-2 ore) plasmatica per cui è necessario assumerla più volte durante la giornata; il metadone invece ha un'emitività lunga (14-20 ore) per cui è sufficiente una sola assunzione quotidiana. L'eroina si assume per via venosa con una ritualistica basilare per il tossicodipendente; il metadone si assume per os, annullando così l'ossessività del “buco”; l'eroina ha un'attività disforica che culmina nel flash, il metadone si limita a sopprimere lo stato di carenza eroinica senza effetti “positivi”. Accanto al metadone altri farmaci, analoghi ad esso, sono stati proposti nella terapia disassuefativa dell'eroinodipendenza; fra di essi il naltrexone, la cui molecola ha un'emività plasmatica lunga (72 ore circa) che ne consente un'assunzione ogni 3-4 giorni (a tutt'oggi non sono segnalati effetti collaterali significativi).
Condizione in cui un individuo ingerisce volontariamente una quantità eccessiva di alcol etilico. Esso può comparire in forma acuta o in forma cronica. Nella sua forma acuta, l'alcolismo si manifesta con uno stato di ubriachezza; nella sua forma cronica, si può trasformare progressivamente in una vera e propria forma di tossicomania e può essere causa di morte precoce. L'alcolismo è spesso dovuto a una combinazione di fattori di natura diversa, di tipo psicologico, sociale e, a quanto sembra, ereditario. La categoria di individui che più viene colpita dall'alcolismo è quella degli adulti di sesso maschile; in tempi recenti, comunque, il fenomeno si sta diffondendo anche tra i giovani e le donne ed esso risulta in aumento in quasi tutte le regioni degli Stati Uniti, dell'Europa, dei paesi dell'ex Unione Sovietica e di quelli in via di sviluppo. Decorso Diversamente dall'alcolismo in forma acuta, causato anche da un solo episodio di forte assunzione di bevande alcoliche, l'alcolismo in forma cronica, considerato per lungo tempo come la conseguenza di un malessere psicosociale, è oggi ritenuto più correttamente una malattia vera e propria. Esso ha in genere uno sviluppo lento, che può durare diversi anni. Nella fase iniziale si manifesta con l'eccessiva disponibilità agli alcolici, che finisce per condizionare anche la scelta degli amici e delle attività ricreative. Nelle bevande alcoliche l'etilista cerca più un modo per alterare volontariamente la propria coscienza che non la condivisione di un rito o di una consuetudine sociale (come avviene spesso con il fumo). L'alcol finisce per condizionare tutti gli aspetti della vita quotidiana, assumendo un peso maggiore delle relazioni interpersonali, del lavoro, dell'autostima e perfino della salute. Quando l'assunzione di bevande alcoliche diventa una necessità a cui non può più opporsi, in genere insorge una dipendenza fisica che spinge l'alcolista a bere in continuazione per evitare i sintomi dell'astinenza. L'alcol produce uno stato tossico generale dell'organismo, accompagnato da una situazione di deperimento dovuto sia a insufficiente apporto alimentare per inappetenza, sia a riduzione dell'assorbimento e dell'utilizzazione degli alimenti introdotti. Gli effetti dell'alcol sono di tipo cumulativo, cioè si assommano e uno non esclude l'altro; essi comprendono una vasta gamma di disturbi a carico di vari organi e apparati. Tra i più comuni vi sono quelli a carico del sistema nervoso centrale e periferico, dell'esofago e dello stomaco, del fegato e del pancreas, del sistema circolatorio. Le manifestazioni a carico del sistema nervoso centrale comprendono sia la comparsa di deficit della memoria e della capacità di apprendimento sia, quando l'alcolismo è associato a malnutrizione, una degenerazione del cervello che si manifesta con la difficoltà nel mantenere la posizione eretta e nel camminare. Le manifestazioni a carico del sistema nervoso periferico comportano la comparsa di formicolii e parestesie agli arti. Le alterazioni a carico di esofago e stomaco possono determinare la comparsa di esofagite (infiammazione della parete interna dell'esofago), gastrite ed emorragie gastrointestinali. Le alterazioni a carico del fegato possono evolvere verso l'epatite da alcol e la cirrosi, mentre quelle a carico del pancreas possono determinare l'insorgenza di pancreatite acuta e cronica (infiammazione del pancreas). Le alterazioni a carico del sistema circolatorio comportano un aumento della pressione sanguigna, tachicardia e dilatazione di atrio e ventricolo sinistro con evoluzione verso l'insufficienza cardiaca. A livello psichico, l'alcolismo è caratterizzato da un progressivo decadimento delle facoltà intellettive e dalla perdita del senso etico. Caratteristiche sono l'aggressività dell'alcolista e la grande labilità del suo umore. Dopo un lungo periodo di abusi può insorgere il delirium tremens, grave sindrome, talvolta fatale, che si manifesta con stato confusionale, allucinazioni e tremori, e che può essere indotta anche dall'astinenza dall'alcol. I casi di alcolismo più avanzato richiedono frequenti ricoveri ospedalieri. Si ritiene che, nel corso della gravidanza, uno stato di alcolismo cronico possa provocare gravi danni al feto, tra i quali un sviluppo fisico e mentale non completo. L'alcolismo è, indirettamente, una delle principali cause di incidenti stradali, a causa della diminuzione della capacità di concentrazione che esso provoca. Terapia Le cliniche e i reparti ospedalieri specializzati nella cura dell'alcolismo sono in crescita costante, in seguito anche all'aumento del numero di alcolisti disposti a considerare il proprio problema al pari di una qualunque malattia grave e, dunque, a curarsi; le diagnosi avvengono così più precocemente di un tempo, e questo consente di ottenere un maggiore successo delle terapie e tassi di guarigione più elevati. Le terapie convenzionali dell'alcolismo contemplano diversi tipi d'intervento, volti in parte a eliminare i problemi acuti dell'etilismo, come le crisi d'astinenza, in parte a curare l'aspetto psicologico della dipendenza attraverso una serie di colloqui individuali e di gruppo (vedi Psicoterapia). L'obiettivo finale della maggior parte delle terapie è la totale astinenza dalle bevande alcoliche, anche se, secondo alcune teorie molto controverse, è possibile un ritorno controllato all'alcol. Tra i farmaci che possono facilitare la guarigione dall'alcolismo vi sono alcuni psicofarmaci. Può essere utile l'impiego dell'antabuse, un preparato che produce un forte disgusto per l'ingestione di alcolici, ma risulta in molti casi pericoloso. Gli etilisti che decidono di smettere di bere spesso si rivolgono all'associazione denominata Alcolisti Anonimi, un gruppo di sostegno psicologico e morale che, tuttavia, non fornisce trattamenti di tipo clinico. Nonostante i molti progressi compiuti dalle terapie contro l'alcolismo, le stime del numero di decessi legati a questo tipo di abuso restano comunque elevate. In questo senso il Progetto europeo di azione contro l'alcolismo, promosso dall' Organizzazione mondiale della sanità (OMS), si è proposto di ridurre del 25% il consumo di alcolici nella popolazione fra il 1980 e il 2000, con un particolare impegno per quanto riguarda i paesi dell'ex URSS.
La “storia” della droga affonda nel passato per millenni. Nel 5000 a.c. i Sumeri usavano l'oppio associandolo a celebrazioni religiose; nelle tombe dei faraoni d'Egitto sono stati trovati unguenti contenenti morfina. Omero ci parla di un farmaco, nepenths, somministrato ad Elena da Telemaco: ebbene sembra che esso sia una sostanza oppiacea. Probabilmente il dolce fiore di Loto è il papavero sonnifero, e il succo “esizial” della maga Circe è uno stupefacente, forse derivato da una pianta allucinogena. Marco Polo ci parla nel Milione dell'uso della canapa indiana da parte della setta di Assassini (da cui il nome di hashish). Gli indiani americani rivelarono abitudini misteriose e inquietanti ai conquistatori spagnoli. Gli indiani Chichimechi, per esempio <<avevano una grande conoscenza delle piante e delle radici, delle loro qualità e delle loro proprietà. Furono i primi a scoprire e a utilizzare la radice chiamata Peyote che consumavano al posto del vino … Questa pianta ricorda il tartufo. Quelli che la mangiano o bevono vedono cose spaventose o piacevoli e questo stato di ebbrezza dura due o tre giorni e poi scompare. Questa pianta li rinforza e dà loro il coraggio nel combattimento, riducendo la paura, la sete e la fame. Credono persino che essa li preservi da qualsiasi tipo di pericolo>>. Così scrive un missionario nel 1560. Gli indigeni conoscevano l'uso del peyote dalla notte dei tempi. Le leggende raccontavano che era stato un dono degli dei. Le allucinazioni che si verificano in coloro che avevano ingerito il peyote e che si manifestavano come esplosioni di luce e di colori erano messaggi degli dei del fuoco, del vento e della luce. Ancora oggi la tribù messicana degli Huichol tiene ogni anno la festa del peyote. Durante questa festa, uomini e donne, in preda all'effetto della droga, danzano per ore, finché si sentono liberi e purificati dinanzi a dio. I missionari invece consideravano il Peyote un prodotto del diavolo. Quando un indigeno si confessava, le domande che si solito il confessore rivolgeva al penitente erano:<<Hai bevuto il peyote o ne hai dato da bere ad altri?>>. Passarono i secoli e nessuno riuscì ad estirpare l'uso del piccolo cactus. Gli indios se ne servivano anche per conversare con Gesù o con i santi che avevano sostituito con le loro antiche divinità. Oggi la frontiera Sud degli Stati Uniti fornisce ancora un discreto commercio di questa droga. Opportunamente, trattata fornisce infatti la mescalina, un allucinogeno che provoca allucinazioni tremendamente intense. Coloro che ne fanno uso vengono definiti mangiatori di stelle. Recenti spedizioni in Amazzonia e lungo le foreste dell'Orinoco hanno scoperto che i nativi fanno uso di un elevato numero di droghe “religiose”. Le popolazioni che vivono sui desolati altopiani andini masticano da millenni foglie di coca che hanno il potere di sopprimere le sensazioni di fame e fatica. In tutto il Sud America le popolazioni indigene hanno da sempre fatto consumo di droghe che hanno il potere di ampliare il campo delle loro percezioni sensoriali, di stimolare l'attività intellettuale, di aumentare la resistenza fisica e di avvicinare l'uomo all'esperienza divina. Ciò che l'indigeno andino cerca nella coca, il suo “collega” africano del Gabon lo trova masticando le gialle radici dell'iboga. A piccole dosi, gli alcaloidi contenuti nello strato più esterno delle radici di questa pianta hanno potere stimolante: consentono un migliore utilizzo delle capacità corporee e aumentano la resistenza alla fatica e allo sforzo. In Etiopia, nello Yemen e in Somalia, un piccolo arbusto è oggetto di un commercio fiorente: il così detto Qat, le cui piccole fogli coriacee, simili a quelle del tè, contengono sostanze eccitanti. Il masticatore di qat può consumarne fino a 200g al giorno di foglie: piomba in uno stato di euforia, dimentica le sue preoccupazioni, non prova né fame né sete né fatica e si sente pronto a qualsiasi impresa. Tra le popolazioni siberiane, un fungo bollito, permetteva anticamente agli sciamani di entrare in contatto con gli spiriti. Sotto l'effetto della droga la loro anima si staccava dal corpo e visitava altri mondi. Riti analoghi sono stati osservati e riferiti presso tutte le popolazioni primitive. Nel Medio Evo, molti fenomeni di stregoneria erano probabilmente dovuti al consumo di particolari droghe vegetali che venivano usate nella preparazione di ricette e filtri magici. Si può quindi affermare che sin dall'antichità l'uomo ha sempre fatto uso di sostanze stupefacenti per uscire da sé, evadere dalla prigione del proprio corpo troppo limitato, fragile, minacciato. Le motivazioni che spingevano gli uomini a ricorrere a queste droghe primitive erano svariate:
L'uomo, insomma, è alla disperata ricerca della felicità. Fin dai tempi più antichi, ha trovato sulla strada delle sostanze che sembrano offrigli una scorciatoia. Nonostante l'incredibile progresso tecnologico e civile dell'umanità, oggi la situazione non è molto cambiata. BIBLIOGRAFIA:
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