TEORICI
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MAX WEBER (1864-1920) LA METODOLOGIA BORGHESE DELLE SCIENZE STORICO-SOCIALI
Iter biografico Weber nasce a Erfurt in Turingia nel 1864. Suo padre, di idee liberal-nazionali di destra, era un amministratore municipale e deputato della Dieta prussiana. Sua madre era una donna di grande cultura, interessata ai problemi religiosi e sociali. Sino alla sua morte, nel '19, restò in stretto rapporto intellettuale col figlio, nel quale ravvivò sempre l'attenzione per i problemi religiosi. La loro casa era frequentata da noti uomini della cultura tedesca, come ad es. Dilthey e Mommsen. Terminati gli studi liceali, Weber studiò giurisprudenza, economia, storia, filosofia e teologia nelle Università di Heidelberg, Strasburgo, Berlino e Gottinga. A Strasburgo, durante il servizio militare, divenne ufficiale dell'esercito imperiale. In quegli anni era su posizioni liberal-nazionali e aveva aderito alla Lega Pangermanica, da cui più tardi si sarebbe staccato per l'indifferenza ch'essa mostrava verso il problema dell'immigrazione dei contadini polacchi. Ammiratore della politica bismarckiana, che aveva fatto della Germania unificata una grande potenza, ne criticava tuttavia l'opera di distruzione del liberalismo tedesco, che aveva lasciato in Germania un vuoto politico privando così la nazione di un efficiente classe dirigente. Nel 1887-'88 partecipa a diverse manovre militari in Alsazia, contro i francesi, e nella Prussia orientale, contro i polacchi. Negli anni 1886-89 seguì un'attività seminariale in diritto commerciale e storia agraria conseguendo infine la laurea con una tesi di storia economica sulla Storia delle società commerciali nel Medioevo. Subito dopo, per influsso del Mommsen, si dedicò alla storia agraria romana. Poi aderì al "Verein für Sozialpolitik", una sorta di "Fondazione dei socialisti della cattedra". Il socialismo di Stato o "della cattedra" sorse dalla "Scuola storica". Esso voleva fondare una nuova teoria sociologica in cui si trovassero uniti la teoria dello sviluppo sociale, la teoria della conoscenza scientifica e la pratica politica: una sociologia che fosse una scienza dell'ethos, secondo l'insegnamento del Romanticismo e di Fichte, per cui il Volksgeist, ossia la volontà di una nazione, rappresenta la legge fondamentale del suo sviluppo sociale. Lassalle, Rodbertus, A. Wagner e altri cercarono, in pratica, di conciliare i conflitti di classe attraverso la mediazione dello Stato bismarckiano e l'abolizione del sistema della libera concorrenza. Si trattava di un socialismo senza rivoluzione, per uno Stato senza società civile autonoma. L'esperimento fallì con la sconfitta della Germania nella I guerra mondiale. Per incarico della "Fondazione" Weber si occupò dei problemi socio-politici della Germania orientale, pubblicando un'inchiesta, Le relazioni dei lavoratori della terra nella Germania orientale (1892) in cui mise in luce i danni per l'economia tedesca creati dall'immigrazione dei braccianti polacchi; egli in sostanza criticava la politica dei grandi proprietari terrieri a est dell'Elba, i quali, servendosi della manodopera immigrata (polacca e russa) a basso costo, avevano costretto i lavoratori tedeschi a emigrare verso le città industriali dell'ovest. A Weber però preoccupava soprattutto il fatto che in tal modo gli junkers "sgermanizzavano" l'est tedesco. Nel 1891 conseguì l'abilitazione in diritto commerciale germanico e romano, La storia agraria romana nel suo significato per il diritto pubblico e privato, iniziando così la carriera universitaria. Il suo particolare interesse per la storia antica dipendeva dal fatto che le facoltà di diritto di quel tempo, in Germania come in Francia, riservavano ampia attenzione allo studio del diritto romano. Tuttavia il nucleo principale delle sue indagini scientifiche venne ben presto precisandosi attorno al problema del processo evolutivo del capitalismo moderno, anche se l'interesse per le società antiche non verrà mai meno in Weber. Nel 1894 gli venne conferita la cattedra di economia politica dall'Università di Friburgo, dove l'anno dopo tenne la prolusione, Lo Stato nazionale e la politica economica, con cui manifestò apertamente la sua fiducia nella Realpolitik imperialistica, opponendosi agli interessi particolaristici delle classi economiche e all'immatura classe politica uscita dalla politica bismarckiana. Egli cioè dichiarò esplicitamente di appartenere alla "classe borghese" e voleva che lo Stato tedesco avesse un volto di capitalismo moderno e razionale, e che l'industrialismo trionfasse sui pesanti residui feudali. Siccome credeva che per ottenere questo occorreva, come già in Francia e in Inghilterra, una democratizzazione della politica interna, ovvero un abbandono del regime personale degli Hohenzollern e della burocrazia che ne era il sostegno, pensò che sostenere l'espansione coloniale tedesca e la lotta per i mercati mondiali fosse il mezzo migliore. Nel '94 pubblicò Le tendenze nell'evoluzione della situazione dei lavoratori rurali della Germania orientale. Nel '96 ottiene la cattedra di economia politica all'Università di Heidelberg e pubblica Le cause sociali della decadenza della civiltà antica, ma, colpito da una grave malattia nervosa, è costretto a dare le dimissioni nel 1903, rinunciando all'insegnamento. Per quattro anni non riesce a compiere nessun lavoro: viaggia in Italia, Corsica e Svizzera per sedare il suo stato di ansietà. Nel 1899 cessa volontariamente di appartenere alla Lega pangermanica. Nel 1902 riprende il suo insegnamento ad Heidelberg ma non riesce più a svolgere un'attività intensa come nel passato. A partire dal 1903 iniziano le sue riflessioni metodologiche in stretto contatto con le idee dei suoi colleghi, H. Rickert e Weber Windelband. Prende posizione nella polemica tra gli economisti della Scuola storica di Berlino e la Scuola teoretica di Vienna in Roscher e Knies e il problema logico dell'economia politica-storica (1903-6), ed entra nella direzione, insieme a Weber Sombart, della prestigiosa rivista "Archivio di scienza sociale e politica sociale", ove pubblica L'"oggettività" conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale (1904). In questi anni appaiono anche L'etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-5) e Le sètte protestanti e lo spirito del capitalismo (1906), ove Weber chiarisce la netta differenza della sua sociologia dal marxismo. Nel 1904 si reca negli USA per assistere a un Congresso di scienze sociali, dove riceve una vivida impressione del capitalismo americano. La democrazia americana gli appare soprattutto alla stregua di una misura tecnica per selezionare e favorire l'ascesa di una classe politica efficiente e preparata. Tiene una conferenza sul capitalismo e la società rurale in Germania. La sua partecipazione alla vita politica si va facendo sempre più intensa: si interessa direttamente della rivoluzione russa del 1905 e continua a criticare in alcune lettere private scritte al deputato F. Naumann, la politica del kaiser e lo pseudo-costituzionalismo tedesco. Questi sono anni di intense discussioni e dibattiti nell'ambiente universitario di Heidelberg, in cui spiccano i nomi, oltre che di Weber, di Windelband, Sombart, E. Troeltsch, G. Simmel, R. Michels, G. Lukács, K. Jaspers, F. Tönnies. Weber studia psicologia del lavoro industriale, interessandosi al fatto che il capitalismo della grande industria ha cambiato il "volto spirituale del genere umano fino a renderlo quasi irriconoscibile", e pubblica Sulla psicofisica del lavoro industriale (1908). L'anno dopo pubblica un lungo saggio sulla struttura sociale delle società antiche, I rapporti agrari nell'antichità. Pubblica anche nel 1906 La situazione della democrazia borghese in Russia e L'evoluzione della Russia verso un costituzionalismo apparente, ed anche Studi critici intorno alla logica delle scienze della cultura. Un'eredità nel 1907 gli consente di ritirarsi dall'insegnamento e di dedicarsi completamente ai suoi studi. Nel suo salotto di Heidelberg riceve la maggior parte degli studiosi tedeschi dell'epoca: Windelband, Troeltsch, Sombart, Simmel, Michels, Tönnies, Naumann. Collabora attivamente alla fondazione dell'"Associazione tedesca di sociologia", in un congresso della quale, nel 1910, prende netta posizione contro l'ideologia razzista. Ne uscirà nel 1912, a causa di divergenze sulla questione della neutralità assiologica (avalutatività). Assume però la direzione del "Grundriss der Sozialoekonomik"(1909), un'opera enciclopedica cui diede un decisivo contributo con il trattato di sociologia generale, Economia e società (1922, postumo). Intanto continua a occuparsi di sociologia della religione con il saggio metodologico, Alcune categorie della sociologia comprendente (1913). Nel 1909 aveva pubblicato I rapporti di produzione nell'agricoltura del mondo antico. Coerente nelle sue convinzioni imperialistiche, Weber si mostra favorevole all'entrata in guerra della Germania. Allo scoppio della guerra chiede di essere richiamato come ufficiale della riserva. Sino alla fine del 1915 dirige un gruppo di ospedali militari impiantati nella regione di Heidelberg. Riprende gli studi religiosi nell'ambito dei quali prosegue la critica alla concezione materialistica della storia, Etica economica delle religioni universali (1916, su Confucianesimo e Taoismo) e Sociologia della religione (1916-17 su Induismo, Buddismo ed Ebraismo antico). Dopo aver dato inizio alla pubblicistica politica e aver fondato con Naumann, Troeltsch, Brentano e altri il "Volksbund fur Freiheit und Vaterland", si dichiarava, a causa delle difficoltà della guerra, contrario alla politica annessionistica, al bellicismo tedesco, al piano della guerra sottomarina e comincia a sostenere la pace. Auspica una riforma parlamentare nell'ambito del regime monarchico, che consentisse un'effettiva autorità al parlamento e favorisse la formazione di un'aristocrazia di capi politici volta a sostituire il regime dei "parvenus e dei dilettanti burocratici" della Germania di Guglielmo II (Wahlrecht und Demokratie in Deutschland, 1917; Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Germania, 1918). Weber escludeva la possibilità di una rivoluzione repubblicana, che, secondo lui, avrebbe soltanto accresciuto le divisioni interne; d'altro canto riconosce la funzione progressiva dei conflitti sociali, quando fossero controllati dalle strutture burocratiche, sindacali e partitiche. Di qui il suo giudizio positivo sull'azione delle socialdemocrazie nel disciplinare le masse; ma nella misura in cui la politica socialdemocratica non coincideva con i suoi ideali imperialistici, la considerava inadatta alla guida della nazione. Dal 1916 al 1917 svolge diverse missioni ufficiose a Bruxelles, Vienna e Budapest. Moltiplica gli sforzi per convincere i dirigenti tedeschi a evitare l'estensione del conflitto, ma nello stesso tempo afferma la vocazione della Germania alla politica mondiale (imperialismo) e vede nella Russia la minaccia principale. Nel 1918 tiene un corso estivo all'Università di Vienna. In questa occasione presenta la sua sociologia della politica e della religione come una Critica positiva della concezione materialistica della storia. Dopo la proclamazione della Repubblica di Weimar, aderisce al nuovo partito democratico (di centro-sinistra borghese, aconfessionale), presentandosi candidato all'Assemblea nazionale nella circoscrizione di Francoforte, ma non viene eletto. Va precisato che Weber più che un politico di professione (egli non ha mai partecipato, in posizione dirigente, alla vita politica del suo paese), è sempre stato un intellettuale: ricercatore, conferenziere, pubblicista, accademico, talvolta consigliere del sovrano, ma con poco successo. Egli è sempre rimasto insofferente a una rigorosa disciplina di partito. Si era impegnato nel partito perché riteneva che la sconfitta della Germania fosse dipesa dalla mancanze di serietà politica della classe dirigente. Soprattutto cercava un dialogo con gli studenti universitari: quelli del gruppo "Germania libera", politicamente non orientati con chiarezza, risposero con entusiasmo. I conservatori nazionalisti rifiutavano le sue critiche al regime guglielmino: in particolare Weber si era rifiutato di credere alla leggenda per cui le sinistre, demoralizzando gli eserciti combattenti, avevano fatto perdere la guerra alla Germania. Ciò tuttavia non gli valse le simpatie degli studenti di sinistra. Negli anni della repubblica di Weimar, egli era passato da convinzioni parlamentaristiche a convinzioni repubblicano-presidenzialistiche e ad una concezione cesarista della direzione politica, considerata come la miglior forma di governo in una società di massa, l'unica in grado di salvare la democrazia. In questo senso esercitò un peso determinante nella commissione per la redazione della costituzione di Weimar (ad es. riuscì a far accettare: 1) l'elezione plebiscitaria del presidente della repubblica, sul modello americano, in modo da poterlo considerare investito direttamente dalla sovranità popolare; 2) il diritto d'inchiesta, garantito alle minoranze, in modo che l'opposizione avesse la possibilità non solo di controllare casi di corruzione parlamentare ma anche di partecipare ad un'azione positiva di governo, attenuando la tendenza all'assolutismo della maggioranza). Ad Heidelberg partecipò anche ad alcune riunioni del Consiglio degli operai e dei soldati, restandone impressionato positivamente; però chiese anche al governo che si reprimesse, pur senza violenza, il movimento di Liebknecht e della Luxemburg. A Monaco disapprovò la grazia concessa al conte Arco che aveva assassinato il capo della repubblica socialista bavarese, K. Eisner, ma manifestò simpatie per le idee politiche del giovane conte. Intervenne energicamente per far punire dal rettore dell'Università gli studenti nazionalisti che avevano malmenato una minoranza di studenti socialdemocratici, ma si dichiarò sempre un acceso nazionalista. Intervenne come testimone a favore nel processo contro O. Neurath e E. Toller, due rivoluzionari della repubblica comunista bavarese, ma a Monaco disse ai propri studenti che non aveva alcuna intenzione d'impegnarsi attivamente, cioè politicamente, per la trasformazione della società: al massimo era disposto a fornire una consulenza scientifica in materia di economia politica. Dopo la capitolazione della Germania, viene nominato esperto presso la delegazione tedesca a Versailles. Egli infatti si recò a Parigi con la commissione per la riparazione dei danni di guerra, collaborando alla redazione del Libro bianco tedesco, inteso a controbattere le accuse mosse alla Germania come la sola responsabile della guerra. Nel 1918 tiene all'Università di Monaco le conferenze La scienza come professione e La politica come professione, nonché le lezioni sul Significato della "avalutatività" nelle scienze sociologiche ed economiche. Il problema ch'egli cercava di risolvere era quello di definire un'equazione funzionale fra lo Stato come protagonista di una politica di potenza da un lato, e l'opportunità dall'altro di dare agli ordinamenti democratici un'ampiezza più o meno estesa. Intanto continua i lavori di completamento di Economia e società (che però resterà incompiuto), e prepara la raccolta degli Scritti di sociologia della religione (1920-21, postumo). Nel 1919 accetta una cattedra all'Università di Monaco, ove succede a Brentano. Il corso tenuto nel '19-'20 riguarda la Storia economica generale e sarà pubblicato nel '24. Le sue ultime battaglie politiche furono rivolte contro l'antisemitismo, sostenendo vivaci discussioni con gli studenti pangermanisti. Nel 1920 abbandona il partito democratico, di cui disapprovava le concessioni fatte al programma di socializzazione dei socialdemocratici. Morì nel giugno dello stesso anno, a Monaco, di febbre spagnola. L'influsso della sua sociologia su quella tedesca fu allora poco significativo, anche dopo la sua morte, poiché quella ufficiale ha sempre preferito cercare dei nessi con lo storicismo o con il positivismo metafisico. La ripresa dei temi weberiani avverrà nella Scuola di Francoforte, ma anche in Mannheim, per il quale i significati della realtà sociale hanno solo una funzione psico-sociologica, e soprattutto nel funzionalismo di T. Parsons (1902-79). In Italia il suo nome cominciò a diventare noto con la traduzione di Parlamento e governo ad opera di Croce. ASPETTO SISTEMATICO Premessa generale Weber ha contribuito anzitutto alla formulazione di metodi e compiti propri della sociologia borghese. Egli ha preso le mosse criticando la "Scuola storica" tedesca dell'economia che vedeva in ogni sistema economico la manifestazione dello "spirito di un popolo" (la posizione di Savigny, che si poneva sulla scia di Hegel, era stata ereditata da Roscher, Knies e Hildebrandt). Weber rivendica, in questo caso, l'autonomia logica e teoretica della scienza. Lo "spirito del popolo" non è per lui che un prodotto culturale. In secondo luogo, egli critica il materialismo storico-dialettico in quell'aspetto che pone la sovrastruttura ideologica in stretta dipendenza dalla struttura economica. Per Weber questo rapporto va determinato di volta in volta, perché può anche essere rovesciato (ad es. la religione può influire sull'economia in maniera determinante, come dirà nell'Etica protestante). In terzo luogo, Weber critica il neo-criticismo e lo storicismo tedesco contemporaneo, rifiutando la riduzione della sociologia a scienza ausiliaria delle scienze storiche, ovvero negando che la psicologia sia la base della sociologia (in particolare Weber rifiuta l'idea che con l'intuizione si possa comprendere e rivivere l'esperienza altrui. L'Erlebnis di Dilthey appartiene al sentimento non alla scienza controllata). Dello storicismo Weber rifiuta anche l'idea che possa esistere un oggetto storico "individuale" in sé e per sé: esso - dice Weber - esiste solo nella scelta individualizzante fatta dal ricercatore all'inizio dell'indagine, nel mentre considera certi oggetti più importanti di altri. L'oggettività per Weber è un criterio molto relativo: non è possibile parlare della conoscenza come di una riproduzione integrale o definitiva della realtà, in quanto va affermata la relatività dei criteri di scelta della conoscenza storica nonché l'unilateralità dell'indagine storica che delimita di volta in volta, orientandosi verso un valore o verso un altro, il proprio campo di ricerca. Il destino dello scienziato è quello di venir superato continuamente in un lavoro senza fine. Sotto questo aspetto non esistono neppure per Weber delle scienze privilegiate. Infine dello storicismo rifiuta la critica al positivismo. Per Weber la visione del mondo positivista è fallita perché la realtà socio-culturale in cui gli uomini vivono è sempre diversa, non deducibile da leggi generali (il positivismo invece si era trasformato in una metafisica). Però Weber resta fedele al concetto positivistico di scienza, secondo cui la validità delle affermazioni scientifiche si basa non su presupposti sovraempirici ma su dati empiricamente dimostrabili (i fatti vanno separati dai desideri). La "sociologia comprendente" di Weber è il tentativo di conciliare storicismo e positivismo, cioè le connessioni storico-culturali con l'esigenza di una validità empirica. In questo senso Weber tiene unito ciò che la sociologia precedente teneva diviso: ricerca empirica-elaborazione teorica-interpretazione generalizzante di formazioni sociali collettive. In Germania nessun altro seppe farlo e in Francia vi riuscì solo E. Durkheim. Weber in sostanza cercherà di opporsi sia a quel "realismo" che attraverso organismi collettivi (come gruppi e istituzioni) voleva rendere indipendente le leggi sociali dall'individuo, sia quell'"idealismo" che voleva porre a fondamento della propria spiegazione i cd. "valori". Scopo e oggetto delle scienze storico-sociali Oggetto e scopo delle scienze storico-sociali (in particolare della sociologia) è la comprensione oggettiva (in quanto "causale") dell'agire sociale (cioè dotato di senso). Queste scienze hanno il compito di descrivere e spiegare conformazioni storiche individuali e regolarità dell'agire sociale. La comprensione delle scienze storico-sociali è diversa da quella delle scienze naturali, poiché qui le regolarità osservate si possono cogliere ricorrendo a quantificazioni e misure (alla matematica), in quanto per comprendere i fenomeni vanno prima spiegati con proposizioni confermate dall'esperienza (metodo deduttivo). Viceversa, nelle altre scienze, che studiano il comportamento umano, la comprensione è più immediata/intrinseca, non nel senso che il ricercatore comprende intuitivamente determinati comportamenti (come nella psicologia diltheyana), ma nel senso che sulla base dei testi e dei documenti il significato di un comportamento soggettivo/individuale diventa immediatamente comprensibile senza che si debbano cercare ulteriori conferme per poter stabilire una regola generale. Questo perché tra soggetto e ricercatore c'è un elemento comune: la coscienza (il che implica sempre un certo margine d'insicurezza nell'interpretazione). Per Weber esiste una sola scienza, perché unico è il criterio di scientificità delle diverse scienze: quello delle spiegazioni causali. Naturalmente è possibile la scientificità anche in presenza di una scelta/selezione operata dal ricercatore, relativamente ai settori d'indagine, ai fenomeni, ecc. La scientificità non sta necessariamente nell'universalità del sapere. La selezione si opera in riferimento ai valori. I quali non sono etici, né assoluti o incondizionati, né obiettivi o universali. Riferirsi ai valori per Weber significa semplicemente operare una scelta tecnica fra diversi campi d'indagine, fenomeni, problemi... Si tratta, infatti, di determinare, tra gli elementi di una serie causale individuata, uno schema di rapporti che sia suscettibile di verifica/controllo. Di qui l'uso della nozione di possibilità oggettiva. Il ricercatore non emette giudizi di valore, semplicemente delimita la propria ricerca per garantirsi meglio un esito scientifico. Si potrebbe in un certo senso dire che Weber ai "giudizi di valore" (che sono personali e soggettivi) preferisce l'espressione "rapporto ai valori", che implica un processo di selezione/organizzazione della realtà per ottenere una scienza oggettiva. Ad es. due soggetti storici possono esprimere giudizi di valore assai diversi sulla libertà politica: ebbene, compito del ricercatore è appunto quello di tener conto che tale libertà costituiva per quei soggetti un "valore", che le loro interpretazioni erano diverse e che l'affermazione di una invece che dell'altra ha determinato precise conseguenze. Compito del ricercatore non è dunque quello di esprimere un giudizio su questo valore o sull'interpretazione che ne davano quei soggetti. Lo storico deve evidenziare gli aspetti salienti, dominanti di un'epoca/civiltà/formazione sociale... e delinearne lo svolgimento logico. La spiegazione causale non consiste nel riconoscere un evento come necessariamente determinato dalla serie causale (altrettanto necessaria) degli eventi precedenti, ma nell'isolare, in una situazione storica determinata, un campo di possibilità, mostrando le condizioni che hanno reso possibile la decisione in favore di un'alternativa invece che di un'altra. Il significato di questa decisione può essere colto mediante il confronto con le altre possibilità/alternative (Weber cita l'esempio della battaglia di Maratona, in cui si confrontavano due possibilità: la prevalenza di una cultura religiosa/teocratica e il mondo spirituale ellenico. Prevalse la seconda alternativa che, a sua volta, fu condizione di un corso di eventi di carattere universale). La sociologia deve costatare i fatti non deve esprimere giudizi di valore su queste alternative. Ovviamente accettando il fatto compie indirettamente un giudizio di valore, ma la sociologia non ha lo scopo di ritenere l'affermazione di un'alternativa come un fatto necessario, che doveva per forza accadere, essendo un'alternativa migliore dell'altra. [Rilievi critici] Weber aveva preso da Rickert l'esigenza di selezionare, in quello che per entrambi era il caos della storia, determinati valori, ma se ne distacca quando vuole affermare una metodologia avalutativa. Paradossalmente, proprio mentre Weber cercava di distinguere le scienze storico-sociali da quelle naturali, applicava il metodo di queste a quelle, limitandosi a un'analisi meramente descrittiva e lasciando alla coscienza dell'interlocutore la facoltà di esprimere giudizi di valore, che proprio per questa ragione diventano del tutto irrilevanti. Teoria del tipo-ideale Per essere riconosciuta oggettiva la possibilità/alternativa dev'essere fondata su fatti accertabili in base alle fonti del periodo storico in cui la possibilità s'è espressa. In secondo luogo la possibilità deve essersi espressa in modo conforme alle regole generali dell'esperienza (quelle che reggono la motivazione della condotta umana): è il cd. "sapere nomologico", che vale come criterio per l'autenticazione delle possibilità oggettive. Una semplice somma di fatti non porta con sé - dice Weber - la conoscenza scientifica ("ingenuo empirismo"). Occorrono delle uniformità statistiche che corrispondano al senso intelligibile di un agire sociale. E comunque solo una parte limitata dell'illimitata quantità di fenomeni è per Weber fornita di significato. Weber in sostanza fa questo ragionamento: siccome l'atteggiamento altrui è definito secondo il carattere della problematicità e non della necessità (in quanto esistono sempre opzioni equivalenti che si possono scegliere), è impossibile delineare compiutamente, di questo atteggiamento, le caratteristiche, la natura, le modalità, per cui è preferibile individuare una gamma fluida di forme di atteggiamento, all'interno della quale sarà poi possibile definire una tipologia. In pratica Weber enuclea, per astrazione, dei "tipi-ideali" di atteggiamento, costruiti accentuando unilateralmente uno o più punti di vista, in modo tale che ciascuno di essi presenti in forma "pura" determinate caratteristiche (di qui i concetti convenzionali di "economia cittadina" o "economia rurale", ecc., in cui non è dato riconoscere i regimi storici di produzione cui essi si riferiscono). I "tipi-ideali" non sono ipotesi sulla realtà ma devono guidare le formazioni ipotetiche in una direzione positiva. Sono punti di partenza non di arrivo, poiché il maturarsi di una scienza suppone il loro superamento. Questo quadro concettuale, pur non avendo riscontri nella realtà, può permettere al ricercatore - secondo Weber - di avere un metro di paragone. E' un espediente euristico, uno strumento metodologico (i concetti "ideal-tipici" sono uniformità-limite) che si usa per misurare e comparare la realtà effettiva, controllando l'avvicinamento o la deviazione di questa al modello. Weber in sostanza ha elaborato una vasta e complessa tavola sinottica comprensiva di tutte le fondamentali formazioni sociali, di ogni tempo ed epoca, disposte secondo criteri ordinatori rigorosamente definiti che le accomunano e le distinguono (le formazioni sociali per Weber sono il frutto di determinati atteggiamenti: il capitalismo ad es. è frutto della razionalità connessa al profitto). In tal modo egli è convinto di poter trasformare una ricerca storica individualizzante (su un argomento specifico) in una di carattere generalizzante. Per spiegare i fatti storici - dice Weber - c'è bisogno di leggi e queste vengono offerte dalla sociologia. Naturalmente il carattere sinottico del suo procedimento non vuole escludere la dimensione evoluzionistica. Weber pone in ordine gerarchico i tipi-ideali di atteggiamento, disponendoli secondo un criterio di crescente razionalità: 1) il minimo di razionalità si trova nell'azione dettata dalla fedeltà a tradizioni-abitudini-costumi-credenze, 2) poi si passa all'azione determinata da un sentimento/istinto/stato d'animo; 3) poi ancora all'azione razionale rispetto a un valore (p.es. il capitano di una nave che decide di affondare con essa); 4) infine vi è l'azione razionale in rapporto a un fine (p.es. l'ingegnere che costruisce un ponte). L'azione razionale in rapporto a un fine è definita in funzione delle conoscenze dell'agente piuttosto che dell'osservatore o ricercatore. Weber non dice che è oggettivamente irrazionale l'azione nella quale l'agente sceglie mezzi inadatti a causa dell'inesattezza delle sue conoscenze. La razionalità dipende dal fatto che l'agente ha concepito come adeguati i mezzi per raggiungere determinati scopi. In un certo senso per Weber il fine giustifica sempre i mezzi, se chi li usa li ritiene adeguati al fine (di qui i paralleli con la politologia del Machiavelli, di cui condivideva l'idea che la politica non poteva preoccuparsi della moralità delle proprie azioni)). Viceversa, l'azione rispetto a un valore è razionale non perché l'agente consegue un fine, ma per restare fedele all'idea ch'egli si è fatto di un determinato valore (ad es. abbandonare la nave che affonda sarebbe per il capitano un'azione disonorevole, anche se di fatto è "poco pratica"). Nell'azione di valore Weber ha in mente gli ideali dell'aristocrazia, nell'azione finalizzata a uno scopo ha in mente gli ideali della borghesia. Per Weber infatti la società che si fonda sul tipo di atteggiamento più razionale è quella del moderno capitalismo, che è culmine e chiave di volta dell'intero complesso delle formazioni sociali. Tale razionalità è possibile solo quando si postula una realtà priva di ogni senso magico e che presupponga, sotto il profilo religioso, l'assoluta trascendenza della divinità. [Rilievi critici] Weber è partito dall'idea che nella lotta tra opposti valori che si verifica nel mondo sia impossibile esprimere un giudizio di merito, cioè trovare un criterio dirimente, per cui ha preferito costruire artificialmente uno schema di comportamenti in cui questo o quel valore possa trovare una certa corrispondenza. Weber non tiene conto del fatto che eventi singoli, individuali (come ad es. la battaglia di Maratona) non possono modificare interi processi storici: possono al massimo rallentarne la marcia, deviarli momentaneamente ma non invertirli o distruggerli completamente. Se ciò accade è perché quei processi erano già in via di dissoluzione, per cui taluni fatti singoli possono come rappresentare il "colpo di grazia". In ogni caso la comprensione della dissoluzione non può essere dedotta dalle fonti dell'epoca, poiché non è possibile comprendere un'epoca dal giudizio che quell'epoca aveva di se stessa. Risulta altresì alquanto astratto il "sapere nomologico", poiché le regole di cui Weber si serve sono quelle dedotte dalla sua stessa epoca, che è quella capitalistica, ch'egli non mette mai in discussione e che anzi cerca di considerare come modello per tutte le epoche passate. Weber è partito da esigenze importanti, quale ad es. quella di analizzare la formazione sociale capitalistica, ma poi è deviato nelle astrazioni della sociologia formale. Criticando Comte, nonché le idee giusnaturalistiche e contrattualistiche, Weber non è risalito a Saint-Simon né a Marx, ma al kantismo. La distinzione tra scienza avalutativa e morale/politica valutativa ha infatti le sue radici nel kantismo. Alla sociologia delle "leggi", nata direttamente dall'impianto positivista da Comte a Spencer, Weber sostituisce la concezione del "tipo-ideale": questo probabilmente era il massimo di scientificità possibile, nell'ambito borghese, dopo la crisi metodologica delle generalizzazioni positiviste. Significativo inoltre è il fatto che in Germania la scienza veniva fatta nelle Università, ove vigeva il principio che la politica andava lasciata ai politici. Weber ha cercato di superare questo dualismo, trasformandosi in ricercatore che s'interessa di fatti politici, ma la sua posizione, in politica, è sempre rimasta intellettualistica o comunque moderata. L'etica protestante e lo spirito del capitalismo Secondo Weber alla razionalità del mondo moderno ha contribuito in misura determinante la religione protestante, che rappresenta il disincantamento dal mondo, cioè la fine delle illusioni di matrice cristiano-medievale. Lo stesso capitalismo non è che l'effetto più rilevante del protestantesimo. Si badi però: il capitalismo - per Weber - non è nato dal protestantesimo tout-court, bensì dal razionalismo, di cui il protestantesimo è stato il veicolo più potente. Il protestantesimo (soprattutto nella sua variante calvinistico-puritana) è tanto ascetico sul piano religioso (in quanto rifiuta di darsi immagini della divinità, inoltre è essenziale nei riti, ha abolito molti sacramenti considerandoli magici, ha affermato il concetto di predestinazione e di sola fide/sola gratia...), quanto pratico e attivo sul piano economico. Il protestantesimo cioè avrebbe capito che all'uomo tutto è possibile se riconosce l'assoluta trascendenza della divinità. Queste caratteristiche di praticità, razionalità hanno raggiunto il massimo di espressione nel capitalismo, che si è liberato di ogni riferimento alla religione. L'origine della volontà razionale, nell'ambito della religione, Weber la fa risalire alla profezia israelitica, che predicando un dio temibile e inavvicinabile rendeva vani ogni magia e ogni misticismo. I profeti chiedevano un agire razionale in nome di Jahvè. La razionalità sarebbe dunque nata dall'alienazione, dall'acuta coscienza di un netto dualismo tra uomo e dio. La razionalità è la consapevolezza che non esiste un valore nel mondo, una legge o una "totalità simpatetica" che lo regoli per il bene dell'uomo. La razionalità è il tentativo di sopravvivere dandosi degli scopi, sulla base di interessi, il più delle volte contro gli interessi degli altri, poiché nella razionalità si afferma "la lotta dell'uomo contro l'uomo". Weber definisce il capitalismo come l'esistenza di imprese che hanno come scopo il massimo profitto da raggiungere attraverso l'organizzazione razionale del lavoro, profitto che, a differenza delle epoche precedenti, non viene semplicemente goduto ma reinvestito. La razionalità del capitalismo si esprime secondo Weber: 1) nello sviluppo di una rigorosa scienza della natura, 2) nello sviluppo di un forte apparato statale, amministrativo e burocratico, 3) nello sviluppo di un diritto razionale-formale. In particolare per Weber la crescita della burocrazia costituisce il fenomeno principale della società moderna. Né il capitalismo né il socialismo possono sfuggire alla pressione burocratica, che secondo Weber può essere attenuata democratizzando la società. Tuttavia, siccome nella società burocratica l'uomo rischia di annullarsi, Weber non era contrario all'idea di un "capo carismatico" che sapesse stabilire tra sé e le folle una comunicazione immediata. Per quanto riguarda il marxismo, Weber non esprime un giudizio del tutto negativo: lo considera uno dei punti di vista mediante cui può essere condotta un'analisi teorica (quella che appunto evidenzia i fattori economici). Egli però considera illegittima la pretesa di fare di un unico fattore degli eventi storici (l'economia) il principio di spiegazione causale di ogni altro fattore. Le forze economiche sono troppo "cieche" per potersi porre come causa di fondo dei processi storici: le cause di fondo sono di origine culturale. La storia per Weber è tutta un fenomeno culturale (come in Rickert); l'uomo è un essere solo culturale; la struttura economica capitalistica è lo "spirito" del capitalismo e lo spirito è anzitutto razionalistico. Weber ha riconosciuto vero il marxismo laddove afferma che la fonte principale della moderna alienazione sta nella "lotta dell'uomo contro l'uomo", condotta principalmente per motivi economici. Tuttavia, paragonando la libera concorrenza economica al processo darwiniano di selezione naturale, egli del marxismo non ha colto il momento "positivo", che è appunto quello di non considerare tale concorrenza come un fenomeno "naturale", cioè inevitabile. Weber era spaventato dalla enorme avidità della borghesia tedesca, costretta a ciò a motivo della lentezza con cui si era incamminata sulla strada del capitalismo in Europa occidentale. Tuttavia Weber era anche convinto che lo Stato tedesco avesse in sé forze sufficienti per tenere sotto controllo questo nuovo fenomeno. Secondo lui anzi doveva essere proprio l'imperialismo a far sì che l'idea di "nazione" sopravvivesse agli sconvolgimenti causati dalla libera concorrenza. La storia, la realtà sociale ha senso solo in quanto è l'uomo a dargliene uno consapevolmente. Ciò che conta non è ciò che l'uomo fa ma il modo in cui l'uomo considera ciò che fa. Oggetto della storia sono i comportamenti intenzionali degli uomini. L'oggettività sta nella volontà con cui si persegue uno scopo. La scienza può diventare scelta o atto di vita se si immedesima negli stessi fini, altrimenti è pura riflessione (astratta) su questi medesimi fini. * * * Nel suo saggio più famoso, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-05), Weber è tra i primissimi a individuare uno stretto legame tra protestantesimo, soprattutto di tipo calvinista o puritano, e capitalismo. Nel senso che, a differenza di Marx, che riteneva la religione una sovrastruttura dell'economia, cioè un mero riflesso, egli considera l'etica calvinista come la premessa ideale allo sviluppo dell'accumulazione capitalistica. Quella infatti era un'etica religiosa basata sull'austerità e sul calcolo economico, finalizzata a una realizzazione sociale da interpretarsi come segno della grazia divina o della predestinazione alla salvezza. A dir il vero anche Marx s'era accorto e l'aveva scritto nel Capitale che il cristianesimo protestante, col suo "culto astratto dell'uomo", era la religione che meglio s'addiceva allo sviluppo del capitalismo, ma s'era limitato a considerare ciò come una forma di legittimazione culturale a un processo socioeconomico già in atto, cioè una sorta di giustificazione teorica per accelerare quel processo. Viceversa, Weber (che, in questo, voleva essere un anti-marxista) riteneva d'aver visto un rapporto di causa ed effetto. Liberandosi del Medioevo aristocratico e clericale, il calvinismo aveva inaugurato l'epoca moderna, anche se poi il capitalismo aveva finito con l'emanciparsi dalla stessa religione. Come noto, Amintore Fanfani, nella sua non meno famosa opera, Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo, contesterà questa tesi e certamente non per fare un favore a Marx, ma piuttosto per sostenere che il capitalismo è nato in Italia, già a partire dalla formazione dei Comuni e quindi in una penisola del tutto "cattolica", in avanti, rispetto alla Riforma luterana, di almeno mezzo millennio. E a questa sua tesi vorrà anche aggiungere che, sotto il cattolicesimo, la borghesia svolgeva i suoi affari non in assoluta autonomia (come appunto accade nei paesi protestanti), bensì entro limiti ristretti, quelli tipici delle corporazioni, che se fossero rimasti salvi, cioè se i mercanti avessero continuato ad accettare l'etica cattolica, invece di assumere atteggiamenti sempre più marcatamente individualistici e affaristici, a quest'ora avremmo un capitalismo dal volto umano. Ora, che dire di queste posizioni? Anzitutto che fu un grave errore di Marx aver sottovalutato l'importanza della sovrastruttura, cioè nel non aver visto quanto questa, in determinate condizioni, possa influire sullo sviluppo della struttura. Se l'avesse fatto, si sarebbe p. es. potuto spiegare il motivo per cui il capitalismo non nacque nel ricco impero bizantino, ma nell'Italia dei Comuni e delle Signorie e soprattutto della chiesa romana. In secondo luogo va detto che Weber è stato quanto meno ingenuo a sostenere che il calvinismo abbia offerto al capitalismo le basi della sua razionalità, quando proprio gli studi economici di Marx avevano già dimostrato la sua profonda irrazionalità dovuta all'accentuato carattere antagonistico tra le classi, ovvero tra capitale e lavoro. In terzo luogo va detto che la posizione di Fanfani, volta a dimostrare la superiorità del cattolicesimo sul protestantesimo e dello Stato corporativo su quello liberale, era ancora più ingenua di quella weberiana, in quanto non teneva conto che, una volta innescato il meccanismo del profitto, che va a stravolgere quello aristocratico della rendita feudale, non c'è freno religioso che tenga. E' pura illusione pensare di poter contenere entro limiti accettabili, con gli strumenti dell'etica o della religione, la corsa sfrenata del capitale verso la propria autovalorizzazione. Fanfani, anzi, avrebbe dovuto chiedersi che razza di religione è quella cattolica, che nel basso Medioevo permise la nascita di una classe sociale che, unica al mondo, faceva affari dimenticando qualunque etica e qualunque religione. [Rilievi critici] Manca completamente nella definizione di capitalismo il lato negativo e irrazionale di questo sistema, e cioè lo sfruttamento dell'uomo-proprietario dei mezzi produttivi sull'uomo-proprietario solo della propria forza-lavoro. Inoltre il marxismo non esclude l'influenza della sovrastruttura sulla struttura: afferma soltanto che in ultima istanza è la struttura che determina la sovrastruttura e che in ogni caso è nell'ambito della sovrastruttura che si prende consapevolezza delle contraddizioni della struttura e si organizza politicamente un modo (la rivoluzione) per superarle. L'avalutatività delle scienze storico-sociali Weber ha cercato di fondare l'autonomia delle scienze culturali sulla base del concetto di "avalutatività". Egli afferma che queste scienze, come quelle naturali, si basano sulla spiegazione causale per descrivere i fenomeni. Ora egli specifica che il riferimento al valore (da non confondersi col "giudizio di valore", mai ammesso da Weber), una volta costituito l'oggetto dell'indagine scientifica, deve sparire nella costruzione dell'edificio logico-concettuale, in modo che tutte le operazioni necessarie alla costruzione scientifica possano essere controllate da chiunque. "Descrizione" si oppone a "valutazione". La considerazione scientifica concerne la tecnica dei mezzi non la valutazione degli scopi. Weber non nega l'importanza della valutazione, dice soltanto ch'essa, essendo una presa di posizione pratica, esce fuori dal compito descrittivo della scienza: "quando ciò che vale normativamente diventa oggetto di un'indagine empirica, perde, come oggetto, il carattere normativo: viene considerato come esistente non come valido". Weber in sostanza rinuncia a una fondazione scientifica dell'atteggiamento etico o politico. Egli non ha mai cercato di trovare una legittimazione alle azioni etico-politiche, ma si è limitato a chiarire in che misura è possibile verificare se certe asserzioni scientifiche sono vere o false, se cioè esistono dei presupposti verificabili. Weber afferma la relatività dei valori, che sono assoluti sono nell'epoca in cui sono stati vissuti. Non esiste tribunale -egli afferma- che possa decidere del valore relativo della cultura tedesca e della cultura francese. Ogni universo di valori comporta un senso proprio e obbedisce a proprie leggi. E' impossibile presentare in termini scientifici un atteggiamento pratico, "tranne il caso della discussione sui mezzi per uno scopo che si presuppone già dato". Relativamente alla scelta di un valore/fine/scopo il destino è superiore alla scienza. Le ipotesi sovraempiriche (vedi ad es. Rickert) in Weber non sono mai valori validi assolutamente (o idee), ma prospettive della ricerca, in base alle quali si possono porre determinate questioni e costruire metodi, che devono trovare la loro giustificazione nelle loro stesse conseguenze pratiche non in altro. Il valore per Weber sussiste solo nel momento in cui il ricercatore prova un interesse per un oggetto/problema specifico. Scienza e oggetti conoscitivi infatti non sono costituiti da connessioni obiettive di cose, valori o idee, ma da connessioni di interessi e problemi di ricerca. * * * Che cosa intende Weber con il termine imputazione causale? Null'altro che il campo delle possibilità oggettive esistenti in una data situazione storica. Compito dello storico è appunto quello di individuare tale campo e le circostanze che hanno portato al realizzarsi concreto di una sola delle possibilità esistenti. Secondo lui stava proprio qui la differenza tra scienze naturali, ove il determinismo è inevitabile ed è altresì possibile formulare delle leggi generali, e scienze storico-sociali, dove il problema diventa quello di trovare una causa determinante usando il metodo della sottrazione. La causa determinante è appunto quella più suscettibile di verifiche da parte dello storico. Questo però non vuol dire che lo storico non debba chiedersi che cosa sarebbe successo se si fossero imposte altre soluzioni ai problemi incontrati. Anzi è proprio mettendo a confronto le varie ipotesi di partenza che si può davvero capire il significato di quella che alla fine s'è imposta. Sulla base di questa metodologia risulta evidente che, per Weber, non si potevano trovare delle leggi generali valide per ogni fenomeno, proprio perché ogni fenomeno va considerato a se stante, in quanto il fenomeno successivo deve essere interpretato sulla base di nuove ipotesi di partenza. Le leggi generali per lui potevano essere solo di due tipi: l'avalutatività della scienza e gli ideal-tipi. Più che delle leggi però erano delle metodologie di indagine da usarsi nei confronti di qualunque fenomeno. La prima consiste nel distinguere tra giudizi di fatto (descrizione obiettiva dei fenomeni) e giudizi di valore (valutazione soggettiva). Sociologia ed economia devono attenersi ai giudizi di fatto, mentre etica e politica si occupano dei giudizi di valore (cioè del dover essere, della significatività culturale). La seconda consiste nell'individuare dei tipi ideali astratti, frutto d'interconnessioni tra elementi socioeconomici e culturali, che possono essere usati come mezzi di indagine, la cui utilità deve però essere periodicamente sottoposta a controlli, e in ogni caso il ricercatore deve specificarli sin dall'inizio, ammettendo che la sua indagine ha un valore entro limiti ben definiti. Tipi ideali da lui usati furono: capitalismo, cristianesimo, feudalesimo, burocrazia, Stato, chiesa, città occidentale ecc. Questa distinzione metodologica tra giudizi di fatto e di giudizi di valore trova un riflesso anche nella sua concezione dell'etica, che viene distinta in etica della responsabilità (quella di chi, prima di agire, valuta le conseguenze delle proprie azioni e non si pone il problema di una rigorosa corrispondenza tra azione e valore); e etica della convinzione, quella di tipo kantiano, secondo cui bisogna anzitutto pensare al fine incondizionato, assolutamente irrinunciabile. Secondo Weber i valori non possono essere oggetto di scienza, però vi può essere una scienza dei mezzi con cui cercare di metterli in pratica. Non dobbiamo dimenticare che tutte le riflessioni sociologiche storiche di Weber servivano per apologizzare il razionalismo del sistema capitalistico. L'unico aspetto negativo di questo sistema egli lo vide nella eccessiva burocratizzazione, dove la standardizzazione delle procedure formali può far perdere il valore dell'individuo, la varietà degli ideali: Di qui il rischio che si formino esperienze autoritarie, in cui dei capi carismatici sfruttano gli elementi emotivi della politica per soddisfare esigenze di identificazione. [Rilievi critici] Nessuna ricerca scientifica è avalutativa. La scelta stessa di un determinato oggetto su cui indagare o di porre un determinato problema esige una valutazione. Non si garantisce la scientificità della scienza separandola dall'etica o dalla politica: la scienza che insegna come agire - dice Weber - è una "fede": sì, ma esattamente come quella che pretende di non insegnare alcunché. La differenza sta nel fatto che sulla ragionevolezza dei criteri della prima scienza è sempre importante discutere, poiché essi riguardano la prassi. Weber ha detto che "la verità scientifica vuole essere valida solo per coloro che vogliono la verità". Ma coloro che dicono di volere la verità potrebbero anche arrivare a credere in una verità non scientifica. Weber dà per scontato che la conoscenza della verità sia possibile solo attraverso un atteggiamento onesto. E' vero che l'oggettività della verità non implica di per sé la sua accettabilità, ma tale accettabilità non aumenta facendo dipendere l'oggettività dalla soggettività del ricercatore e dell'interlocutore cui quello si rivolge. Una scienza di tal genere non è molto diversa dalla religione: nel migliore dei casi si tratta di una mera tecnica che chiunque può utilizzare per scopi diversissimi. Da questo punto di vista (che è squisitamente kantiano, in quanto si afferma il conoscere per il conoscere) sarebbe interessante esaminare il nesso esistente tra la razionalità avalutativa affermata in campo scientifico e la conseguenza irrazionale sul piano politico che tale affermazione più o meno direttamente può comportare. Weber ha sempre sottovalutato il fatto che nella moderna alienazione della società capitalistica la razionalità può facilmente trasformarsi in irrazionalità. Al massimo si può accettare, di Weber, l'esigenza di tenere distinti il riconoscibile (da tutti) dal desiderabile (per il ricercatore), onde permettere un sapere verificabile intersoggettivamente. Weber riflette l'esigenza di una borghesia emergente che non vuole confrontarsi politicamente sul problema dei valori, essendo convinta di non avere le forze sufficienti per farlo. Egli rappresenta una borghesia che vuole convivere con i valori tradizionali (aristocratico-feudali) in cui però non crede più e dai quali si difende mostrando il non-senso dell'esistenza umana. Per Weber non ci sono leggi storiche: l'autore dell'azione è sempre e solo l'individuo, mentre il mondo non è che un immenso e caotico flusso di eventi, un'incessante lotta per la vita in cui l'uomo accetta la socializzazione solo per meglio sopravvivere. Weber è ostile ai valori tradizionali (vuoti di contenuto in quanto non rispondenti alla realtà) in nome della libertà d'iniziativa del singolo borghese. Ciò che "deve essere" non è più un valore che può essere riconosciuto da tutti con ovvietà; esso anzi è divenuto problema della scelta/decisione individuale, del cui peso non si può essere alleggeriti dalla scienza, il cui compito non è l'apologia di valori/azioni ma la conoscenza di situazioni. Il carattere scientifico dev'essere motivato in modo strettamente soggettivo, in base alle scelte compiute, senza riferimenti a idee sovratemporali. La borghesia tedesca non era rivoluzionaria come quella francese: essa voleva soltanto affermare che nella società civile vi possono essere diverse alternative per l'uomo che deve scegliere. Questa borghesia vuole vincere sul terreno speculativo (filosofico-scientifico non filosofico-metafisico) la propria battaglia contro l'aristocrazia. Osservazioni sulle concezioni politiche di Weber Weber scrisse poco sulla lotta tra gli Stati, sulle nazioni e sugli imperi, sulle relazioni tra cultura e potenza. Praticamente egli accettò il nazionalismo della Germania guglielmina per pura tradizione, cioè senza mai metterlo in discussione. L'altro aspetto che gli sembrava del tutto naturale, cioè assolutamente immodificabile (e in questo egli si era lasciato influenzare dalla visione darwiniana della realtà sociale) era la lotta tra le classi (e gli individui) per il potere. Weber aveva saputo cogliere l'asprezza delle contraddizioni dell'epoca borghese nel suo stadio di capitalismo-monopolistico e imperialistico, ma si era fermano semplicemente a contemplarla. Ai suoi occhi un popolo o un individuo privi di "volontà di potenza" (e in ciò egli si avvicinava a Nietzsche) si trovano automaticamente fuori della politica. Egli infatti disse che "soltanto i popoli superiori [il primo dei quali ovviamente era quello tedesco] hanno la vocazione di dare una spinta allo sviluppo del mondo". La superiorità dei tedeschi, in questo senso, si manifestava - secondo Weber - nella "cultura": "Prestigio culturale e prestigio di potenza sono strettamente congiunti, ogni guerra vittoriosa promuove il prestigio culturale...". Weber avvertiva questa caratteristica dell'epoca moderna con un senso di attrazione/repulsione: era convinto che sulla base di essa la persona umana o la nazione potesse esprimere il meglio di sé, ma nel contempo si rendeva conto del pericolo opposto, quello di affermare i lati peggiori delle cose. Tant'è che ad un certo punto arrivò a sostenere che i veri valori possono realizzarsi in nazioni prive di "potenza politica", cioè in comunità che rinunciano a fare politica tout-court. In questo senso Weber non è mai giunto a sostenere delle posizioni nichiliste o irrazionali, ma non poche sue tesi vi conducono. Di qui i lati contraddittori di certe sue prese di posizione: si oppose all'idea di un accordo di compromesso con la Francia a proposito della Lorena e considerò ridicola l'idea di un plebiscito in Alsazia, eppure fece di tutto per convincere la Francia a coalizzarsi con la Germania contro la Russia; non voleva assolutamente l'assorbimento nel Reich delle popolazioni non-tedesche o di quelle ostili, ma ha sempre rifiutato l'idea di suddividere l'Europa centrale in Stati nazionali che comprendessero minoranze nazionali; avendo stabilito che la Russia era il nemico principale del Reich, raccomandò a più riprese, nel 1914-18, una politica tedesca favorevole alla Polonia, la quale avrebbe potuto fare da cuscinetto all'imperialismo panslavo, eppure non ha mai voluto ammettere l'idea di riconoscere piena indipendenza allo Stato polacco (il massimo che fece fu di smettere di protestare contro l'immigrazione in Germania dei lavoratori polacchi e abbandonò completamente le antiche idee di colonizzazione tedesca verso est). Alla lotta interna fra le classi e gli individui, Weber ha sempre preferito la lotta esterna fra le nazioni, in quanto ha sempre sostenuto il primato della politica estera e l'obiettivo di fare di una Germania unita e forte una nazione capace di "politica mondiale". In tal senso Weber ha sempre cercato di combinare il parlamentarismo con il nazionalismo imperialistico, anche in funzione anti-nobiliare e anti-monarchica: egli non ha mai risparmiato le critiche alla Germania guglielmina e all'autorità patriarcale degli junkers. Non a caso considerava i funzionari di governo dell'imperatore dei burocrati privi di senso della lotta politica. Weber ha sempre contestato la politica di potenza che si presentava in maniera superficiale, senza professionalità e competenza. Va però detto che non è mai stato un politico "puro" della borghesia, ma solo un suo intellettuale, il più delle volte insofferente ai compromessi del potere, alla logica delle "correnti". Fonti
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