TEORICI
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VAVILOV E LO STUDIO DELLA STORIA UMANA Nikolaj Vavilov (1887-1943) esordì come ricercatore naturalista nel 1910, quando pubblicò il suo primo saggio scientifico. Era stato educato in un clima familiare segnato dal rispetto per il libro e per gli esperimenti. Disponeva di un laboratorio domestico ove lavorava con il fratello Serghei, il futuro fisico. Dalla scuola professionale e nei corsi di preparazione dell'Università ricevette un'ottima istruzione. Era un giovane dotato di una vitalità eccezionale, desideroso di apprendere ogni cosa, capace di tener testa al padre troppo severo e soprattutto in grado di lavorare metodicamente per raggiungere i suoi obiettivi. Quando frequentò l'Accademia di scienze agrarie, leggeva costantemente anche pubblicazioni straniere in materia. La sua preoccupazione principale era quella di allargare i suoi orizzonti culturali il più possibile. Da una lettera indirizzata ad A. Tupikova risulta che fra le molteplici manifestazioni moscovite, l'avvenimento che lo interessò maggiormente fu la conferenza del poeta V. Bryusov, tenuta al Museo politecnico, sulla cultura di Atlantide e del Mediterraneo. La conoscenza approfondita della problematica archeologica e storico-etnologica, attestata in tutti i suoi studi sulla geografia delle piante coltivate, nonché l'ampio ventaglio dei suoi interessi furono all'origine della sua grandissima capacità di estrapolare anche dalle opere più lontane dall'oggetto specifico dei suoi studi, ciò che più lo interessava. L'inizio del secolo XX fu segnato in campo etnologico dal rifiuto delle idee evoluzionistiche di E. Taylor, a vantaggio di una nuova concezione etnologica globale, quella dei "cerchi culturali" di F. Graebner, secondo cui la geografia della cultura si divide in un certo numero di "Iocus" o cerchi culturali, all'interno di ognuno dei quali gli elementi della cultura formano un complesso indissociabile. Questa tesi venne sottoposta a dure critiche, poiché tendeva a riconoscere un valore in sé alle singole culture e non invece a vederle dal punto di vista della "superiore" civiltà borghese. Vavilov se ne servì per elaborare l'idea dei loci morfogenetici delle piante coltivate, che è forse la realizzazione teorica maggiore del naturalista. Fra i suoi predecessori, su questo tema, vanno segnalati R. Brown e A. de Candolle, entrambi botanici e storici delle piante coltivate, ma si potrebbe citare anche M. Wagner, che prestò grande attenzione allo studio del ruolo del fattore geografico nell'evoluzione. Altre importanti realizzazioni di Vavilov sono la legge delle serie omologiche nella mutabilità ereditaria, la legge del posizionamento marginale dei tipi o geni recessivi verso la periferia dell'habitat naturale delle specie e i lavori concreti sulla vegetazione coltivata di diversi paesi e regioni, lavori in cui la storia di questa vegetazione è stata ricostruita sullo sfondo di quella dell'agricoltura e dove furono mostrati, con l'aiuto di dati botanici, i contatti etnoculturali di territori differenti. Il legame fra le due prime suddette leggi e lo studio del processo storico non è immediato, se si identifica la storia dell'umanità con la storia della cultura, ma lo diventa se invece la si identifica con la storia dell'uomo stesso. Ecco che allora la storia dell'umanità arriva a comprendere la sua stessa storia biologica. La legge delle serie omologiche nella variabilità ereditaria venne formulata all'inizio della sua carriera scientifica, quando ancora egli non disponeva di tutte le ricche osservazioni raccolte nel corso dei suoi viaggi. In un primo tempo questa legge fu essenzialmente il frutto di una generalizzazione dei dati della documentazione già esistente, ovvero una geniale congettura. Su questo tema però Vavilov lavorò, acquisendo nuove fonti, sino al 1935, allorché pubblicò l'opera, divenuta poi un classico, che porta appunto il titolo della legge da lui scoperta. Uno dei primi critici della legge, N. Krenke, ebbe ragione nel sostenere che numerosi altri ricercatori avevano già parlato della variabilità omologica e che la scienza biologica aveva preso coscienza di questo fenomeno sin dalla seconda metà dell'Ottocento, a partire da Darwin. Tuttavia, fu soltanto con la definizione di Vavilov che i fatti disparati poterono essere debitamente incasellati, dando così origine a un sistema teorico coerente. Viceversa, egli s'interessò poco di biologia dell'uomo. L'unico accenno riguarda la pelle scura degli etiopi, da lui messa in relazione con gli orzi neri che crescono appunto in Etiopia. Non è però da escludere che le osservazioni antropologiche sulle diverse popolazioni della terra, raccolte nel corso di decenni da spedizioni scientifiche di diversi paesi, potrebbero un giorno fornire una fonte inesauribile di dati per la soluzione del problema circa la manifestazione della mutabilità omologica nella formazione delle variazioni razziali dell'uomo moderno. Ognuna delle grandi razze dell'umanità, in effetti, si distingue per una certa combinazione di tratti fisici, che si trovano uniti soltanto nei rappresentanti di una razza e che non sono riproducibili presso gli individui di un'altra razza. L'insieme di queste caratteristiche generalmente è stabile all'interno di ogni razza: fra i neri e i bianchi le differenze sono molto nette, mentre la razza gialla sembra costituire una via di mezzo. In ogni caso la struttura razziale dell'umanità non si riassume a queste grandi suddivisioni essenziali. All'interno di ognuna di queste divisioni è infatti possibile distinguere decine di combinazioni gerarchicamente subordinate, a livello locale. Il loro studio e quello della genesi della composizione antropologica dell'umanità formano l'oggetto dell'antropologia razziale. Si utilizzano, per individuare la caratteristica morfologica di queste varianti locali, i parametri fisici più vari: le proporzioni del corpo, le dimensioni della testa e del volto, la struttura dei tessuti muscolari del viso, e così via. Praticamente quasi tutte queste caratteristiche attestano una variabilità omologica. Fra i rappresentanti di tutte e tre le razze (cui a volte si aggiungono comunità razziali periferiche del tipo australoide e amerindo, nonché alcuni gruppi indigeni che abitano la penisola di Kola e il nord della Finlandia e della Scandinavia), si trovano gruppi di statura piccola o grande, col cranio lungo o corto, con la faccia prognata o ortogonata, coi corpi slanciati o tarchiati. Le serie parallele di variabilità si manifestano anche nella struttura delle parti labiale e nasale del volto. Disgraziatamente gli antropologi, costatando tutti questi fatti, assai raramente hanno utilizzato il principio vaviloviano per stabilire in anticipo il quadro di variabilità di una popolazione da loro studiata, né quindi hanno verificato l'attendibilità di questo quadro al cospetto delle osservazioni empiriche. Le serie parallele della variabilità sono fissate dalla paleoantropologia in modo non meno preciso di quelle per la popolazione contemporanea. Tuttavia, nonostante l'enorme ampiezza degli scavi archeologici, compiuti nei diversi paesi, e il volume dei dati raccolti, le nostre conoscenze sulla composizione antropologica dell'umanità dei tempi più antichi è lungi dall'essere completa. Regioni immense restano delle "macchie bianche" sulle carte dei paleoantropologi. E comunque i dati in questione hanno questo di prezioso, dal punto di vista della biologia generale, ch'essi illustrano la dinamica d'una stessa specie, e ciò sul lungo periodo e secondo diverse scansioni cronologiche. La variabilità parallela di tutti gli indici sopra citati è riscontrabile in tutte le tappe della periodizzazione archeologica della storia dell'umanità, dal paleolitico superiore fino al basso medioevo. Probabilmente essa aveva luogo anche nelle popolazioni degli ominidi fossili, gli antenati dell'uomo contemporaneo. Il carattere similare o addirittura identico di molte delle variazioni parallele che si trovano nei dati paleoantropologici, pone all'ordine del giorno una questione di capitale importanza per la genetica e per la biologia dell'uomo: qual è il ruolo dell'influenza ambientale e del condizionamento ereditario nella formazione di queste varianti? La teoria qui non è in grado di dare una risposta a priori, né Vavilov si arrischiò a formulare una soluzione precisa. E' tuttavia sintomatico che lo studio della genetica degli indici quantitativi è progredito poco in questi ultimi decenni, malgrado l'eccezionale abbondanza delle pubblicazioni ad esso dedicate. Se l'ambiente modella le serie parallele della mutabilità in ogni divisione cronologica della storia dell'umanità e se queste serie non sono ereditarie, si desume necessariamente che fra popolazioni di tipi morfologici simili, appartenenti a periodi cronologici diversi, non dovrebbe esistere continuità genetica diretta. Eppure molte osservazioni empiriche mostrano il contrario. Attualmente infatti si sta pensando che deve esistere un certo meccanismo (ancora poco comprensibile) di influenze ambientali in grado di programmare l'apparizione delle variazioni antropologiche fisiche d'un medesimo tipo, destinate a riprodursi di continuo. Se queste variazioni sono trasmissibili ereditariamente, esse entrano in modo organico nella sfera d'azione della legge suddetta delle serie omologiche, il che permette di prevedere i tratti morfologici di molte popolazioni che non sono state ancora scoperte dalla paleoantropologia. Risulta dalla corrispondenza di Vavilov che il saggio sulla struttura dell'habitat delle specie, che descrive come le forme dominanti sono concentrate al centro dell'habitat, mentre quelle successive vengono spinte verso la periferia, venne scritto durante una sua attraversata del Mediterraneo: si tratta di una delle generalizzazioni genogeografiche più considerevoli della moderna biologia. Essa purtroppo non è stata ancora sufficientemente messa a confronto con i mutamenti delle concentrazioni genetiche in condizioni d'isolamento, scoperti e analizzati da A. Malinowski, S. Wright, R. Fisher, J. Holdane, N. Dubinin e D. Romashov. La geografia di molteplici tratti morfologici offre eccellenti esempi di questa regolarità genogeografica. Uno di questi esempi fu mostrato dallo stesso Vavilov nel libro sulle colture agricole dell'Afghanistan. Attraversando il Nuristan, Vavilov costatò la colorazione chiara della pelle e degli occhi dei kafir. Questa osservazione venne spiegata più tardi dagli studi antropologici sulla base della regola della marginalizzazione dei geni recessivi (la colorazione chiara) dal centro alla periferia (in questo caso l'isolamento sulle montagne). Sull'altopiano centroasiatico del Pamir, nelle regioni montagnose del Daghestan in Russia e in Scandinavia, gli antropologi hanno potuto costatare casi analoghi, spiegabili in virtù di questa legge. L'esempio più interessante lo fornisce la stessa formazione della razza europoide, che appare appunto come l'espulsione di geni recessivi di pigmentazione chiara dal centro dell'habitat. Quale che sia l'ipotesi ritenuta valida sulla formazione dell'essere umano di tipo moderno: quella monocentrica, cioè un unico centro di diffusione posto in Asia minore o forse nel settore orientale del bacino mediterraneo; o quella policentrica, cioè più centri di diffusione su diversi continenti, questa formazione si colloca, cronologicamente, a cavallo dei due paleolitici, medio e alto. Le regioni settentrionali dell'Europa restavano ricoperte dai ghiacciai e non erano ancora popolate. Il complesso europoide dei caratteri si è dunque costituito nelle regioni centroeuropee e nel vasto bacino mediterraneo, inclusa l'Asia minore, e da qui si è poi spinto verso ovest. Queste due ultime zone geografiche sono ora abitate dalle popolazioni più fortemente pigmentate fra quelle che recano tratti di combinazioni europoidi. Fu proprio qui che avvennero processi di intense mutazioni. Naturalmente è impossibile seguire il processo di graduale depigmentazione attraverso il materiale paleoantropologico, ma basta sostituire le coordinate del tempo con quelle dello spazio per ricostruirlo facilmente. Tutte e tre le mappe della variazione geografica nella pigmentazione in Europa (colore degli occhi, capelli e pelle) mostrano un'attenuazione lenta ma progressiva dell'intensità della pigmentazione da sud a nord, fino al livello massimo raggiunto in Scandinavia. Alcune particolarità della distribuzione geografica di alcuni indici genetici, come ad es. i gruppi sanguigni, utili per individuare un tipo semplice di ereditarietà, possono essere interpretate con efficacia grazie alla legge di Vavilov. Tutto sembra confermare l'idea che ondate di concentrazioni decrescenti si propaghino in tutte le direzioni dal centro di massima concentrazione del gene dominante. Interessante, in questo senso, è la constatazione della quasi totale assenza di geni dominanti dal gruppo sanguigno ABO presso la popolazione autoctona delle due Americhe, ove invece prevale nettamente il gruppo 0. Questa singolarità, che per molti decenni ha lasciato interdetti gli antropologi, ora si spiega facilmente con la legge genogeografica di Vavilov, in quanto il continente americano si presenta come una zona periferica in rapporto al Vecchio mondo, che fu popolata dall'uomo non prima del paleolitico superiore. Il grande valore euristico delle generalizzazioni genetiche di Vavilov per la comprensione di molti avvenimenti e processi della storia biologica dell'umanità, sfugge ancora a molti ricercatori occidentali. Oggi probabilmente possiamo dire che di tutti i locus morfogenetici stabiliti da Vavilov (la prima versione della sua teoria apparve nel 1926) solo uno non ha trovato conferma dagli scavi archeologici di questi ultimi 70 anni, quello etiopico. Lo scienziato considerava questo locus molto antico, poiché aveva scoperto diverse varietà endemiche di frumento e di altre piante coltivate. Per avere delle conferme occorrerebbe trovare in Etiopia, attraverso il lavoro archeologico, importanti monumenti culturali, non meno antichi di quelli dell'Alto Nilo. Forse in futuro l'area montagnosa dell'Etiopia potrà offrire piacevoli sorprese agli archeologi. La produzione di Vavilov sollecita gli storici, con osservazioni empiriche assai ricche, a rivedere certi luoghi comuni, a riconsiderare il corso dell'evoluzione storica di questa o quella regione. Ad es., prima di Vavilov si era convinti che il passaggio iniziale verso l'agricoltura si fosse verificato nelle vallate dei grandi fiumi; egli invece individuò questo luogo nelle zone montagnose. Non solo, ma secondo l'analisi tradizionale, la transizione all'agricoltura poteva effettuarsi solo nelle comunità in cui vi fossero molti individui liberi, oppure in forza del lavoro schiavistico. Viceversa, il trasferimento di questo processo nelle regioni montagnose permette di comprendere che qualunque società, anche la più debole demograficamente, poteva passare all'agricoltura, a condizione naturalmente d'aver raggiunto un certo livello di sviluppo culturale e posto che le condizioni naturali fossero favorevoli. Di esempi come questi se ne potrebbero fare tantissimi. Qui sarà sufficiente ricordare, per concludere, che dopo la sua tragica scomparsa nella prigione di Saratov nel 1943 e dopo 25 anni di silenzio, le sue opere maggiori sono state rieditate e l'interesse dei ricercatori per le sue idee cresce di continuo. |