Spinoza sul cristianesimo e sul papato

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Spinoza sul cristianesimo e sul papato

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Spinoza venne sepolto sotto il lastricato di una chiesa protestante.[1]

“Nell’Olanda liberale del XVII secolo non era raro seppellire i non protestanti all’interno delle chiese. Persino i cattolici, che in quel paese erano molto meno amati degli ebrei, in qualche occasione furono sepolti dentro una chiesa”.[2] E’ pertanto fuori luogo dedurre da questa sepoltura, come molti hanno fatto, che alla fine Spinoza si fosse convertito al cristianesimo.[3]

Spinoza tratta il cristianesimo come l’ebraismo e le altre religioni.

Scrive: “Affermo che per la salvezza non è assolutamente necessario conoscere Cristo secondo la carne, ma si deve pensare ben altro di quell’eterno figlio di Dio, cioè dell’eterna sapienza di Dio che si è manifestata in tutte le cose e massimamente nella mente umana e più ancora di tutto in Gesù Cristo. Infatti, nessuno senza questa può pervenire alla beatitudine, giacché essa sola insegna cosa sia il vero e cosa sia il falso, cosa il bene e cosa il male. E poiché questa sapienza si è massimamente manifestata grazie a Gesù Cristo, i suoi discepoli la predicarono così come fu da lui rivelata, e per questo Spirito di Cristo mostrarono di potersi gloriare sopra tutti gli altri. Per il resto, ho espressamente ricordato che io non so che cosa significhi ciò che certe Chiese aggiungono, ossia che Dio assunse natura umana; anzi, a dire il vero, non mi sembra meno assurdo che se qualcuno mi dicesse che il cerchio ha assunto la natura del quadrato”.[4]

Spinoza, cioè, apprezza molto Gesù come maestro di vita, ma respinge il dogma dell’incarnazione. Rifiuta anche il dogma della resurrezione di Cristo.

“Se rifletti bene sul fatto che Cristo non apparve né al Sinedrio, né a Pilato, né ad alcuno degli infedeli, ma soltanto ai Santi, e che Dio non ha né destra né sinistra, né si trova in qualche luogo, ma ovunque secondo la sua essenza, e che la materia è ovunque la stessa, e che Dio non si manifesta in uno spazio immaginario fuori del mondo, come lo fingono, e che, infine, la compagine del corpo umano è mantenuta nei limiti dovuti dal solo peso dell’aria, vedrai facilmente che questa manifestazione di Cristo non è dissimile da quella con cui Dio apparve ad Abramo quando vide i tre uomini che invitò a pranzo. Ma dirai: tutti gli apostoli erano pienamente convinti che Cristo sia risorto dalla morte e realmente asceso al cielo, il che io non nego. Infatti, anche Abramo stesso ha creduto che Dio pranzò con lui, e tutti gli Ebrei credono che Dio sia sceso dal cielo sul monte Sinai circondato dal fuoco. Ma tuttavia, queste e tutte le altre apparizioni o rivelazioni simili, furono adattate alla comprensione e alle opinioni di quegli uomini ai quali Dio volle rivelare la sua mente. Ne concludo, dunque, che la resurrezione di Cristo dai morti fu soltanto spirituale e fu manifestata ai soli suoi seguaci, secondo la loro capacità di comprendere, cioè che Cristo ebbe in dono l’eternità e risorse dai morti (“morti” qui lo intendo nel senso in cui Cristo disse: lasciate che i morti seppelliscano i loro morti), in quanto diede esempio di eccezionale santità di vita e di morte, e risuscita dalla morte i suoi discepoli in quanto essi seguono questo modello di vita e di morte. E non è difficile spiegare in questo modo tutto il Vangelo. […]

Riconosco con te la debolezza dell’uomo. Ma permettimi di chiederti: noi, piccoli uomini, abbiamo abbastanza conoscenza della natura da poter determinare fin dove si estenda la sua forza e potenza e che cosa superi la sua forza? Poiché nessuno può presumerlo senza arroganza, sia dunque lecito, per quanto è possibile, spiegare senza vanterie i miracoli con cause naturali. E su ciò che non si può spiegare o non si può dimostrare come assurdo, bisognerà sospendere il giudizio, e fondare la religione, come ho detto, unicamente sulla sapienza della dottrina. Infine, credi che ciò che ho detto sia contrario a quei passi del Vangelo di Giovanni e dellaLettera agli Ebrei, perché interpreti le espressioni delle lingue orientali secondo gli usi linguistici europei, e sebbene Giovanni abbia scritto il suo Vangelo in greco, tuttavia lo ebraizza. In ogni caso, credi forse che quando la Scrittura dice che Dio si è manifestato in una nube, o in un tabernacolo e abita nel tempio, Dio abbia davvero assunto la natura di una nube, del tabernacolo o del tempio? Cosa ancora più importante è quello che Cristo ha detto di sé, ossia di essere il tempio di Dio, e ciò, certamente, perché, come ho già detto prima, Dio si è manifestato massimamente in Cristo, e Giovanni, per esprimerlo più efficacemente, ha detto che il verbo si è fatto carne”.[5]

Spinoza, sempre scrivendo a Oldenburg, torna ancora sull’argomento:

“Sono d’accordo con te nell’intendere in senso letterale la passione, la morte e la sepoltura di Cristo, ma intendo allegoricamente la sua resurrezione. Confesso certo gli Evangelisti la raccontino con tali particolari che non possiamo negare che gli stessi Evangelisti credettero che il corpo di Cristo fosse risorto e asceso in cielo per sedere alla destra del Padre; e che anche gli infedeli avrebbero potuto vederlo se fossero stati negli stessi luoghi in cui Cristo apparve ai discepoli. Ma su ciò, tuttavia, fatta salva la dottrina del Vangelo, avrebbero potuto ingannarsi, come accadde anche agli altri profeti, cosa di cui ti ho dato esempi nella mia precedente”.[6]

Oldenburg gli obietta: “Sul dogma della resurrezione poggia tutta la religione cristiana e la sua verità, e se essa è negata, la missione e la celeste dottrina di Cristo crollano insieme”.[7]

Nell’epistolario di Spinoza non c’è risposta a questa lettera. O è andata perduta o non c’è. Non si deve però pensare che Spinoza non sapesse che la resurrezione è il dogma che san Paolo dice fondamentale.

Del cristianesimo cattolico, poi, Spinoza nega il papato, che lo caratterizza.

“L’autorità dei pontefici romani manca di una testimonianza sufficientemente chiara; ed io la respingo per questa sola ragione. Infatti, se i pontefici romani potessero mostrare una simile testimonianza dalla stessa Scrittura con la stessa certezza con la quale un tempo potevano farlo i sommi sacerdoti dei Giudei, non sarei per niente turbato dal fatto che tra i pontefici romani ce ne siano stati di eretici ed empi, dato che un tempo anche fra i sommi sacerdoti degli Ebrei ce ne furono di eretici ed empi, che raggiunsero il sommo sacerdozio per vie traverse e che tuttavia per mandato della Scrittura detenevano il potere di interpretare la Legge (vedi Deuteronomio 17, 11-12 e 33, 10 e Malachia 2,8). Ma poiché non mostrano affatto una tale testimonianza, la loro autorità rimane del tutto sospetta; e affinché qualcuno, ingannato dall’esempio del pontefice degli Ebrei, non ritenga che anche la religione cattolica abbia bisogno di un pontefice, è opportuno osservare che le leggi di Mosè, che costituivano la legislazione della patria, avevano bisogno assoluto, per essere conservate, di una pubblica autorità; se, infatti, ciascuno fosse libero d’interpretare a suo piacimento la legge, non potrebbe sussistere nessuno Stato, ma proprio per questo si dissolverebbe immediatamente e il diritto pubblico si ridurrebbe a diritto privato. Ma tutt’altro è il principio che regola la religione. Infatti, dato che essa non consiste tanto nelle azioni esterne, quanto nella semplicità e sincerità dell’animo, non ha alcun diritto né pubblica autorità. La semplicità e la sincerità dell’animo non si infondono infatti negli uomini con l’ordine delle leggi né con la pubblica autorità, e in assoluto nessuno può essere costretto con la forza o con le leggi ad essere beato, ma per questo si richiedono l’ammonizione fraterna, le buone maniere e, soprattutto, un giudizio personale e libero […] Si è dunque ben lontani dal poter concludere, dall’autorità del sommo sacerdote degli Ebrei di interpretare le leggi della patria, l’autorità del pontefice romano di interpretare la religione; quando, al contrario, da quella si può concludere più facilmente che questa appartiene a ciascuno al massimo grado”.[8]

Torino 11 dicembre 2012


[1] Scrive il suo biografo Colerus: “Il cadavere fu inumato il 25 febbraio nella Chiesa Nuova sullo Spuy dove fu condotto da un corteo di sei carrozze e fu accompagnato da molte persone importanti”. J. M. Lucas, J. Colerus, Le vite di Spinoza, Macerata, ed. Quodlibet 1994, p. 106.

[2] Irvin D. Yalom, Il problema Spinoza, Neri Pozza ed. 2012, p. 424.

[3] Colerus, che ricostruisce gli ultimi momenti della vita di Spinoza in base alla testimonianza del suo padrone di casa e di sua moglie, smentisce tutto ciò che è stato detto per far pensare che si fosse convertito in punto di morte. Cap. XIV della sua biografia, citata in nota 1.

[4] Lettera 73 a Oldenburg, in Tutte le opere, Bompiani 2010, pp. 2177-2179.

[5] Lettera 75 a Oldenburg, in Tutte le opere, Bompiani 2010, pp. 2183-2185.

[6] Lettera 78 a Oldenburg, in Tutte le opere, Bompiani 2010, p. 2199.

[7] Lettera 79 di Oldenburg a Spinoza, spedita da Londra l’11 febbraio 1676, in Tutte le opere, Bompiani 2010, p. 2201.

[8] Trattato teologico-politico, 7, 22, in Tutte le opere, Bompiani 2010, pp. 853-855.


Giuseppe Bailone

Fonti

www.fogliospinoziano.it

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015