MARX: Tesi su Feuerbach

MARX-ENGELS
per un socialismo democratico


LE TESI SU FEUERBACH

I - II

[I] Marx qui critica il materialismo meccanicistico, metafisico, filosofico. Egli afferma che la "realtà", da questo materialismo, è sempre stata concepita "solo sotto la forma di oggetto" (come nelle scienze applicate: ad es. la fisica) oppure di "intuizione" (come nelle scienze esatte: matematica, geometria... o nello stesso materialismo filosofico di Feuerbach).

Marx, in sostanza, denuncia una visione riduttiva della realtà, indirettamente influenzata dalla religione o dalla metafisica, che hanno sempre considerato la realtà (o la natura) come un qualcosa di "dato", d'intangibile, da contemplare filosoficamente o da studiare tecnicamente (non socialmente). Ciò che è mancato a questa forma di materialismo è stata la comprensione del rapporto dialettico tra uomo e natura (o meglio, tra uomo e realtà oggettiva, materiale, ambientale: il che implica non solo la natura ma anche il rapporto sociale).

In questa tesi Marx vuole rivendicare il lato "soggettivo" (creativo) del materialismo, cioè l'attività sensitiva umana -com'egli la definisce-, la prassi in grado di modificare le cose, la realtà.

Giustamente egli afferma che "il lato attivo è stato sviluppato dall'idealismo" (si pensi p.es. alla scoperta della dialettica, ma anche alla stessa attività pratica delle forze sociali che si richiamano all'idealismo), semplicemente perché il materialismo non ha saputo andare al di là dell'oggettività della materia, cioè non ha saputo scorgere il legame organico tra materia e soggettività. Secondo il materialismo meccanicistico, in effetti, l'uomo non è che un elemento della materia, passivo e insignificante.

L'idealismo -secondo Marx- ha sì sviluppato il lato "attivo" dell'uomo, ma qui bisogna sottintendere "in maniera astratta", poiché esso è incapace di vera attività reale sensitiva.

L'idealismo è una forma d'intellettualismo (alienato, perché separato dalla realtà sociale): la sua attività resta circoscritta nell'ambito del mero pensiero. Marx, prima di queste Tesi, aveva già criticato l'idealismo hegeliano, e qui arriva a considerare il materialismo metafisico come sostanzialmente più "onesto", più "genuino" dell'idealismo, anche se a quest'ultimo riconosce una maggiore perfezione sul piano speculativo.

Marx condivide con Feuerbach lo sforzo di voler superare l'idealismo (hegeliano soprattutto, che faceva dipendere il processo della realtà dal processo del pensiero). Per l'idealismo tedesco, infatti, è il pensiero che fa muovere la realtà o è comunque il pensiero che ha il compito di conciliare l'uomo con le contraddizioni della realtà. Le contraddizioni -dirà Marx- nella realtà restano, ma nel pensiero vengono risolte, per cui -per l'idealista- lo sono anche nella realtà.

Tuttavia Feuerbach -dice Marx- non è riuscito a scorgere una vera "oggettività" nell'"attività umana stessa". Infatti, pur avendo con acume separato "gli oggetti sensibili realmente" dagli "oggetti del pensiero", rivendicando alla materia una certa irriducibilità alle forzature speculative (e conservatrici) dell'idealismo, pur avendo cioè riaffermato l'originalità, il primato della materia rispetto all'idea, allo spirito, al pensiero, Feuerbach è rimasto sostanzialmente un idealista, suo malgrado, o comunque un materialista tradizionale, filosofico.

Il materialismo è stato sviluppato, da lui, solo in maniera teoretica, intuitiva, non pratica. Feuerbach, in effetti, non si è mai lasciato coinvolgere nell'attività politico-sociale del suo tempo, ma solo in quella teorico-culturale (vedi ad es. la critica alla religione e alla filosofia hegeliana).

Marx invece tiene a precisare che uno sviluppo pratico del materialismo implica un'attività "rivoluzionaria", "pratico-critica", e non solo "critica". Feuerbach fu soltanto un intellettuale isolato, un docente universitario, uno scrittore, nel migliore dei casi un conferenziere.

Da notare comunque che Marx non fa coincidere (in questo testo) l'attività rivoluzionaria con quella strettamente politica, ma con l'attività sociale in senso lato (aspetto "pratico" vero e proprio) e con quella culturale (aspetto "teoretico"). La "critica" dipende da entrambe le attività, e la politica non è che una conseguenza delle due attività. Marx era già giunto alla consapevolezza che un'attività politica staccata dall'attività socioculturale, non era che una forma di alienazione.

Dopo aver scoperto (prima in Germania e poi soprattutto in Francia) l'importanza dell'attività pratica, Marx denuncia i limiti di Feuerbach. L'attività rivoluzionaria, in questo periodo, coincideva, per Marx, con l'attività sociale del proletariato e della borghesia progressista, democratica, e con l'attività politico-culturale, critico-intellettuale del filosofo di idee socialcomuniste.

Per il Marx del 1845 l'attività politico-parlamentare andava nettamente rifiutata, in quanto ritenuta effetto di un'alienazione sociale e a sua volta causa di nuova alienazione (Marx, nella critica alla Filosofia del diritto di Hegel, aveva già evidenziato la separazione tra Stato e società civile: la politica -secondo lui- non aveva altro scopo che di garantire tale separazione).

La politica, per il giovane Marx, era fonte di compromessi non di alternative, era "ragion di Stato", cioè opportunismo, calcolo, interesse... non "prassi rivoluzionaria". La politica "giustifica" (al pari dell'idealismo, della religione, della filosofia in generale e persino del materialismo di Feuerbach, contro le sue stesse migliori intenzioni), mentre il problema vero, per Marx, è quello di come "modificare" l'esistente.

Marx scopre l'importanza della politica extraparlamentare, cioè l'importanza di un partito organizzato solo dopo il 1848, a contatto con il socialismo utopistico francese, cioè dopo il fallimento del moto spontaneo del proletariato in funzione anti-borghese. Il '48 infatti rappresenta soltanto il successo di un moto spontaneo contro l'aristocrazia e il clericalismo: la classe che erediterà i risultati migliori sarà la borghesia, che tradirà gli interessi del proletariato.

[II] La critica più radicale che Marx potesse fare contro l'idealismo e il materialismo metafisico, è quella secondo cui la prassi è il criterio della verità. Naturalmente anche qui bisogna dare per scontato che Marx si riferisse alla prassi socioculturale, considerata come l'unica in grado di stabilire (e si dovrebbe aggiungere, "a posteriori") dove sta la verità o la falsità di un'idea.

Questo limite di Marx, che non accetta di includere nel concetto di prassi rivoluzionaria anche la dimensione della politica, era considerato allora, da un rivoluzionario o comunque da un oppositore del sistema prussiano, un pregio, soprattutto se per attività politica s'intende solo quella parlamentare.

Per la prima volta, infatti, gli intellettuali rivoluzionari davano dignità a tanta gente esclusa a priori dalla politica: essi stessi rinunciavano a carriere prestigiose (a livello politico o accademico). Per la prima volta si affermava che era più "vera", più "autentica", più "dignitosa" la prassi del popolo oppresso e sfruttato, che non quella dei politici o quella di coloro che con la politica del governo cercano sempre dei compromessi.

Marx dunque tendeva a privilegiare due tipi di attività: quella pratica, spontanea, delle masse oppresse, e quella teorica, consapevole, dell'intellettuale comunista. Quanto, in questo, egli si sia lasciato influenzare dal socialismo utopistico, è facile intuirlo. La differenza fra l'utopia e la scienza, nell'ambito del socialismo europeo, stava, ai tempi di Marx, più sul piano teorico che pratico: semplicemente Marx non riteneva che il capitalismo potesse essere riformato.

Il distacco di Marx da Proudhon avverrà proprio su questo punto, e purtroppo sarà un distacco non solo ideologico ma anche politico, danneggiando i rapporti che il socialismo scientifico poteva avere, nella realizzazione di determinati obiettivi programmatici, con il socialismo utopistico.

[III] La prassi può essere criterio di verità quando non pone un "prima" o un "dopo" nel processo d'interazione dell'uomo con l'ambiente sociale. L'uno e l'altro devono trasformarsi contemporaneamente, influenzandosi a vicenda.

Marx qui critica il materialismo del socialismo utopistico, che mirava a costruire un ambiente già "socialista" in una società ancora "capitalista". Il problema vero, per Marx, era invece quello di come conciliare, in maniera progressiva, il superamento dell'ideologia borghese con il superamento di tutta la società borghese.

Detto in altri termini: il socialismo di Marx tendeva a riporre più fiducia nelle capacità di trasformazione globale dell'uomo e non s'illudeva che nella società borghese si potessero costruire delle "isole di socialismo", in cui fosse assente l'influenza del capitalismo. Oggi, in Europa occidentale, queste "isole di socialismo" esistono ancora: sono quelle create da taluni preti progressisti o quelle di certe comunità di vita per i tossicodipendenti. "Isole" che sopravvivono grazie al sostegno, più o meno diretto, di alcuni ambienti della stessa società borghese.

Su questo la critica del socialismo scientifico è sempre stata giusta.

[IV] Qui Marx critica quella forma di materialismo filosofico che pensa di poter superare le contraddizioni della società borghese indirizzandosi verso l'ateismo (si veda ad es. la Sinistra hegeliana). Il distacco di Marx da Feuerbach, ma anche dal socialismo anticlericale e da tutte le forme di anarchismo irreligioso alla Bakunin, è qui molto evidente.

L'ateismo può mettere in luce il rapporto organico tra alienazione pratica della società borghese e illusione teoretica (costituita appunto dalla religione o da altre forme di "oppio"), ma non può assolutamente superare l'alienazione pratica, poiché questa può essere rimossa solo praticamente, in modo rivoluzionario.

Marx però non spiega il modo concreto in cui la rivoluzione possa essere fatta: ancora non è maturata, in seno al materialismo dialettico, l'esigenza di un partito politico che guidi il proletariato. Quando parla di "rivoluzione", Marx pensa a un moto spontaneo delle masse più oppresse, e a un livello mondiale o comunque europeo, poiché gli paiono maturi i tempi per una sollevazione del genere. Qui sta il suo limite, anche perché così, da un lato, non si cercano rapporti politici con movimenti e organizzazioni che non si riconoscono in toto con il socialismo scientifico, e dall'altro si è costretti ad assumere, nei confronti del capitalismo, un atteggiamento passivo, in attesa che le "sofferenze", subite a causa dello sfruttamento, portino le masse a reagire.

[V] Marx qui afferma che Feuerbach, al massimo, è arrivato a scoprire l'"intuizione sensibile", cioè il primato delle funzioni sensorie, mostrando che la conoscenza passa necessariamente attraverso i sensi, e che quindi il pensiero non può agire come se l'uomo fosse privo di sensibilità.

Tuttavia -e Marx qui lo ribadisce- a Feuerbach è mancata la consapevolezza del lato pratico o sociale di questa sensibilità, che non può essere ridotta alla funzione fisiologica.

Nel materialismo di Feuerbach l'uomo è rimasto un ente astratto, più astratto di quello hegeliano, perché ancora più isolato dal contesto sociale. Feuerbach ha rivendicato un primato della sensibilità dell'individuo singolo contro la razionalità dello Stato e della società civile prussiana: quella razionalità che tutta la Sinistra hegeliana (e quindi anche Feuerbach) riteneva ovviamente "irrazionale".

[VI] In questa tesi è racchiusa la definizione più importante del materialismo dialettico: l'uomo è "l'insieme dei rapporti sociali". Non può quindi esistere una definizione astratta, univoca, di "uomo", né una definizione concreta che non tenga conto dell'ambiente in cui il singolo vive.

Feuerbach ha cercato di dare dell'uomo un'interpretazione filosofica; Marx invece ne vuole dare una di tipo sociale, che riguardi l'ontologia dell'essere sociale.

Se si prescinde dalla dimensione sociale, si cade -secondo Marx- in due limiti: 1) quello di considerare l'uomo come singolo, cioè astrattamente (questo era il limite di tutta la Sinistra hegeliana, soprattutto di Stirner); 2) quello di considerare l'uomo come specie, cioè naturalisticamente (le scienze applicate infatti tendono a separare l'uomo dall'ambiente o a considerare per "ambiente" solo quello della natura).

Dire invece che l'uomo è "l'insieme dei rapporti sociali", significa che per comprendere un determinato individuo bisogna analizzare l'ambiente che frequenta. Ciò naturalmente non implica che si debba considerare l'uomo come un "mero prodotto" del suo ambiente, ma soltanto che, per comprenderlo in maniera adeguata, non si può prescindere dall'ambiente in cui vive.

Che poi questo individuo s'impegni anche a modificare il proprio ambiente o che invece lo subisca passivamente, questo è un altro discorso. Qui Marx non parla -come alla tesi III- del fatto che "anche l'educatore va educato".

[VII] Interessante è il fatto che Marx supera Feuerbach non solo nella valorizzazione del lato sociale del materialismo, ma anche (come di conseguenza) nell'interpretazione della vera natura del fenomeno religioso.

Marx è stato il primo a considerare tale fenomeno come un prodotto non tanto della debolezza psicologica dell'uomo (come ha fatto Feuerbach), né della mera speculazione arbitraria del clero, politicamente ed economicamente interessata (come voleva l'illuminsimo progressista), ma piuttosto come un "prodotto sociale", di una determinata società.

Ciò ha avuto delle implicazioni notevoli, di cui le principali sono state l'esclusione a priori di qualunque forma di rozzo anticlericalismo e l'esclusione di qualunque analisi superficiale, epifenomenica, della religione. Se questo non è stato fatto, nel corso dello sviluppo del socialismo scientifico, la responsabilità non può certo essere attribuita a Marx.

In questa tesi per la prima volta si pongono le basi di un'analisi scientifica dell'alienazione religiosa, che parta dalle contraddizioni sociali, cui spetta, nell'ambito della conoscenza, un primato assoluto.

Solo col materialismo dialettico si è, p.es., potuto capire che l'alienazione religiosa non era conosciuta in quelle tribù primitive che pur nel rapporto con la natura erano molto più deboli dell'uomo della civiltà industriale. Oggi poi si è addirittura arrivati a credere che nei confronti della natura è più debole la civiltà industrializzata, poiché lo sfruttamento massiccio delle risorse provoca conseguenze devastanti sull'ambiente.

[VIII] La scoperta della prassi è stata, in realtà, la scoperta del fatto che nella prassi l'uomo si forma e con la prassi l'ambiente si trasforma. Il venir meno di questa prassi sociale, che è l'esigenza primaria dell'uomo (ciò che gli conferisce non solo una dignità ma anche la sua stessa identità), comporta sempre l'emergere del misticismo o di quelle forme d'idealismo (anche rozze) che non tengono conto della realtà.

Il fatto stesso che Marx non abbia mai scritto un trattato sulla prassi o sulla dialettica, ma si sia limitato spesso -come in questo caso- a brevi e geniali intuizioni (le vere opere di analisi iniziano solo col soggiorno in Inghilterra) sta proprio ad indicare che l'uomo può vivere la prassi solo vivendola, cioè non può illudersi di viverla speculandoci sopra con l'astrazione del pensiero. La prassi come criterio della verità non è una definizione da acquisire teoricamente, una volta per tutte, ma anzi è un impegno da verificare continuamente, nei confronti di chiunque.

Il pensiero più vero e originale è quello che riflette adeguatamente la realtà, che va vissuta quotidianamente, nel presente, nella sua valenza dialettica, cioè considerando tutti i nessi che la caratterizzano (sociali, culturali e politici). L'astrazione ha senso solo come momento sintetico di un'esperienza vissuta.

Le Tesi su Feuerbach, in tal senso, fecero il punto dell'esperienza sociale, culturale e politica del giovane Marx in Francia. L'esperienza politica fu, delle tre, la meno significativa: lo si comprende anche dal fatto che Marx, nel fare il punto della situazione, scelse proprio Feuerbach come termine di confronto da superare. Anche L'ideologia tedesca risente dello stesso limite.

[IX] Cadere nel misticismo o nell'idealismo astratto (che non è tanto quello di chi non s'impegna per realizzare i propri ideali, ma quello di chi nel realizzarli non s'accorge d'avere ideali illusori) significa giustificare lo status quo, cioè l'alienazione della società antagonistica.

In tal senso, non è paradossale ma del tutto naturale che il materialismo intuizionista (cioè metafisico) si limiti a porsi come mera contemplazione di individui singoli della "società borghese". Chi si estranea dalle esigenze della prassi, che pur ha compreso, si ritrova a vivere nelle stesse condizioni (anzi in condizioni peggiori) dell'individuo "integrato" al sistema...

L'osservazione che Marx ha rivolto a Feuerbach potrebbe in realtà essere riferita a tutte quelle esperienze estremistiche di sinistra, che si limitano a fare discorsi ideologici sull'alienazione sociale, senza però impegnarsi attivamente a risolverla: quelle esperienze cioè che spesso sconfinano nel terrorismo o nell'intolleranza settaria, e che attendono con impazienza che un qualche evento catastrofico le autorizzi a sentirsi legittimate nella loro azione anti-istituzionale.

[X] Il criterio che discrimina il vecchio dal nuovo materialismo è per l'appunto l'esperienza, qui ed ora, di una forte umanizzazione dei rapporti sociali, contro ogni forma (non solo politica) di alienazione, verso la trasformazione globale della società.

L'unica garanzia di successo che il nuovo materialismo può far valere è appunto quella di offrire, da subito, un'alternativa praticabile a livello di rapporti sociali umanizzati.

[XI] Marx qui avrebbe dovuto abbandonare la filosofia e darsi completamente alla politica, che è lo strumento principale per realizzare gli obiettivi della trasformazione sociale, soprattutto nell'ambito di una società antagonistica come quella capitalistica. Quella politica, ovviamente, che non dimentica il valore e anzi la priorità dell'esperienza sociale, da cui dipende la stessa credibilità della politica. Forse Marx avrebbe dovuto tornare subito in Germania, mettendo a frutto l'esperienza francese. Lo farà, in effetti, nel 1848, ma confidando troppo nelle capacità spontanee di ribellione della piccola borghesia e del proletariato.

Viceversa, le Tesi su Feuerbach, invece di essere la premessa di un immediato coinvolgimento nell'attività politica, furono la premessa involontaria dell'Ideologia tedesca, la cui importanza teoretica non è certo superiore a quella delle Tesi in oggetto.

Marx perse del tempo prezioso nell'elaborare il suo definitivo distacco dalla Sinistra hegeliana (su questo Engels non lo seguì sino in fondo); sicché quando giunse il '48, il Manifesto non fu un documento sufficiente per mobilitare le masse, né quelle francesi (egemonizzate dal socialismo utopistico) né quelle tedesche (politicamente arretrate e divise). Il Manifesto, infatti, fu soprattutto carente nella parte organizzativa e operativa.

Il limite del giovane Marx era ed è quello di moltissimi intellettuali occidentali del suo e del nostro tempo, i quali, mentre sul piano teoretico sono in grado di fare importanti scoperte per la trasformazione della società borghese, sul piano pratico invece non sono capaci di una vera coerenza, di un'adeguata conformità ai valori, ai principi affermati nella teoria, cioè di far passare attraverso le masse le idee rivoluzionarie.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 26/04/2015