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I GRÜNDRISSELineamenti fondamentali della critica
dell'economia politica (1857-58) Premessa La rivoluzione scientifica compiuta da Marx nell'economia politica era stata preparata sin dagli anni 1840 44. Ma solo gli ultimi dieci anni di questo duro lavoro furono particolarmente fecondi. Marx elaborò copiosi manoscritti nel 1857-59, 1861-63 e 1864-65: tra questi i Gründrisse occuparono senz'altro il posto principale, in quanto è in essi che per la prima volta si elabora a grandi linee la teoria del plusvalore, nonché il punto d'avvio dell'analisi del modo di produzione capitalistico: il concetto di merce. Editi per la prima volta in versione integrale dall'Istituto Marx Engels Lenin di Mosca nel 1939-41, i Gründrisse divennero accessibili in Occidente negli anni '60 e all'inizio dei '70, grazie soprattutto alle traduzioni nelle principali lingue europee e in giapponese. Essi apparvero nel circuito scientifico internazionale nel momento in cui i problemi dell'umanesimo, dell'alienazione e dello sviluppo della libertà umana - così come sono affrontati nelle opere di Marx - erano largamente dibattuti in Occidente. In particolare, speculando sul carattere un po' equivoco di talune espressioni dei Manoscritti del '44, i sostenitori del "neornarxismo" cercarono di opporre il giovane Marx (quello umanista) all'autore del Capitale, considerando questo marxismo umanista come il più autentico e genuino. L'apparizione dei Gründrisse, che documentava il rapporto reale fra le idee del giovane Marx e la teoria economica sviluppata nel Capitale, avrebbe dovuto por fine al perpetuarsi della falsificazione del pensiero di Marx. Ciò in quanto i Gründrisse costituiscono una specie di ponte fra gli anni '40 e gli anni '60-70 del XIX sec., cioè fra i Manoscritti del'44 e il Capitale. Ma così non è stato, almeno per quei critici che, pur riconoscendo ai Gründrisse un trait d'union fra la critica marxiana della società borghese, condotta a livelli meramente filosofici, e lo studio economico-politico sistematico delle leggi tendenziali interne al capitalismo (come appare nel Capitale), sostengono che i manoscritti in questione costituiscono il vertice dell'opera marxiana e che la loro pubblicazione ha rivelato al mondo un "Marx sconosciuto" (cfr. le tesi di M. Nicolaus e D. McLellan). Il che portava a dedurre, più o meno esplicitamente, che soltanto la conoscenza dei Gründrisse autorizzasse l'autentica comprensione della dottrina filosofica ed economica del marxismo. L'influenza di questa parziale e riduttiva interpretazione dei manoscritti economici del 1857-59 si è fatta sentire anche su alcuni teorici marxisti occidentali, i quali hanno creduto sulla scia di Nicolaus di superare definitivamente sia l'unilateralità dei panegirici sul "giovane Marx", sia le concezioni della scuola di Althusser che, nella polemica col revisionismo, era arrivato, pur partendo da posizioni diverse, alla medesima conclusione quanto alla esistenza d'una "rottura epistemologica" tra il giovane Marx e quello maturo. Costituendo l'anello mancante, i Gründrisse in effetti rappresentano la continuità del pensiero marxiano. Tuttavia, se essi apparentemente appaiono più ricchi del Capitale, di fatto, sul piano sostanziale e teorico, risultano più poveri. I marxisti borghesi e i revisionisti mettono soprattutto l'accento sul fatto che i manoscritti economici del 1857-58 trattano tutta una serie di questioni assenti o appena accennate nel Capitale. E. Hobsbawm e E. Mandel sottolineano la dialettica del tempo libero sotto il capitalismo e nel socialismo, la tendenza alla trasformazione della scienza in una forza produttiva diretta e quella della produzione meccanizzata in azienda automatizzata, l'analisi delle forme precapitalistiche, le premesse delle crisi di sovrapproduzione nel capitalismo, ecc; Mandel allunga la lista rilevando che certe questioni legate alla proprietà fondiaria, al lavoro salariato, al commercio estero e al mercato mondiale non hanno trovato alcun riflesso nel Capitale. E’ anche vero che l'importante analisi della duplice natura della merce e quindi della genesi del denaro non è presente che a livello embrionale nei Gründrisse , mentre il problema del costo della produzione non è neppure posto, benché la nozione di profitto sia stata dedotta dallo studio del plusvalore. Proprio per queste ragioni R. Rosdolsky, J. E. Elliot, A. Oakley e altri hanno ridimensionato alquanto l'originalità dei Gründrisse rispetto al Capitale. E' assurdo contrapporre in modo meccanico questo a quelli: si tratta di tappe differenti di un medesimo processo di conoscenza teorica del capitalismo. Questa strumentale contrapposizione cela però un disegno più vasto: quello di "ristrutturare" il marxismo in modo da privarlo del suo nucleo centrale. Si tratta di un'operazione tutt'altro che scientifica, tesa a suffragare surrettiziamente una "nuova" interpretazione del marxismo, forse un po' più sofisticata, ma avente sempre lo stesso obiettivo: togliere al marxismo il suo potenziale rivoluzionario. La specificità dei Gründrisse risiede piuttosto nel fatto che in essi è evidente la necessità di passare dalla scoperta della legge del plusvalore alla costruzione d'un sistema categoriale del modo di produzione capitalistico. Un sistema che qui appare come l'intelaiatura del Gründrisse. Nel senso cioè che se Marx ha rinunciato nel Capitale a esaminare taluni problemi, è stato unicamente perché essi non avevano un rapporto diretto, immediato, con l'oggetto specifico, malgrado l'importanza che in sé potessero avere. Non dimentichiamo inoltre in quali incredibili difficoltà economiche ha vissuto Marx e la sua famiglia proprio mentre elaborava la stesura dei Gründrisse e del Capitale: gran parte del suo tempo doveva dedicarlo a risolvere problemi tutt'altro che teoretici. Questo spiega il motivo per cui è impossibile comprendere pienamente l'originalità dei Gründrisse separandoli dal Capitale. La teoria economica di Marx può essere efficacemente rappresentata come un movimento ascendente, lineare e continuo. Ma c'è un altro aspetto che i teorici borghesi e i revisionisti amano sottolineare: la presunta dipendenza del metodo di Marx dalla "logica" di Hegel. In particolare essi credono di ravvisare nei Gründrisse una stretta correlazione con la hegeliana Filosofia del diritto (vedi le tesi di S. Avineri, specialista israeliano di storia del marxismo e di N. Fischer, neohegeliano americano). Questo problema, in verità, era già stato sollevato da R. RosdoIsky, l'autore della prima fondamentale opera sui manoscritti del 1857-59; e verrà ripreso negli anni 1960-70 in Francia e in Italia (vedi J. Potier, Lectures italiennes de Marx 1883-1983, Lyon 1986). Senonché il rapporto tra Marx ed Hegel è quanto mai controverso. La nozione di "capitale in generale" non ha nulla a che vedere col concetto metafisico di Allgemeine Begriff. La categoria marxiana esprime non solo delle caratteristiche generali astratte, inerenti a qualunque capitale, ma anche il rapporto universale concreto "in opposizione ai capitali particolari reali". Il capitale sociale globale è un'immagine reale del capitale in generale. Il ricercatore russo A. Kogan è riuscito a dimostrare che il metodo di Marx era così dialettico che, a differenza di Hegel, non riusciva a sopportare alcuno schema astratto arbitrariamente imposto. Il Capitale, in questo senso, non è che uno sviluppo del contenuto della nozione di "capitale in generale". E' cioè un'opera finalizzata ad approfondire un argomento ritenuto di fondamentale importanza. In modo particolare, è la produzione del plusvalore al centro del suo interesse, la fonte principale di tutte le ingiustizie della società borghese, moderna e contemporanea. * * * L'Introduzione ai Grundrisse è uno spaccato dei più macroscopici errori di metodologia storico-economica compiuti dagli economisti borghesi. E' singolare che, per svelarli, ci sia stato bisogno di un filosofo tedesco preveniente da un paese, la Prussia, che sicuramente, sul piano capitalistico, non era avanzato come Francia e Inghilterra e che pertanto non poteva permettere a nessun intellettuale, per quanto illuminato fosse, di avere una consapevolezza così critica delle contraddizioni del capitale, tant'è che Marx dovette per così dire farsi le ossa studiando economia prima in Francia poi in Inghilterra. Quando approdò per la prima volta a Parigi nel suo bagaglio culturale aveva solo la critica della religione e della filosofia del diritto pubblico (in cui aveva però già capito il ruolo negativo della proprietà privata e il ruolo illusorio dello Stato), e ovviamente aveva la piena padronanza della dialettica hegeliana. Stessa cosa però si potrebbe dire del "russo" Lenin, che pur provenendo da un paese economicamente arretrato come il suo, riuscì a dare delle indicazioni molto più precise degli "intellettuali" tedeschi o dei politici per definizione, quali sono sempre stati i francesi, sul modo in cui si doveva compiere una rivoluzione proletaria. La cosa che soprattutto stupisce è che Marx, a differenza degli economisti borghesi, aveva chiarissima l'idea che il capitalismo andava considerato come una pura e semplice formazione storica, destinata, come tutte quelle che l'avevano preceduta, ad essere superata da una più avanzata. Marx doveva misurarsi con intellettuali che o si erano messi smaccatamente al servizio della borghesia, oppure le erano al servizio semplicemente perché partivano da presupposti sbagliati, frutto di vari pregiudizi. Quand'egli scrive che gli economisti moderni non erano in grado di isolare "le determinazioni che valgono per la produzione in generale" dalla "diversità essenziale" che permette di capire quando alcune determinazioni appartengono a tutte le epoche storiche e quando altre invece appartengono solo ad epoche particolari (p. 7), e mostra così che sulla base di questo errore essi finivano col sostenere l'eternizzazione del capitalismo, sembra di assistere a un confronto tra un maestro e i suoi scolaretti. E non si può neanche sostenere che, siccome il capitalismo era appena nato, detti economisti vedevano inevitabilmente più gli aspetti positivi di quelli negativi. Basta leggersi il cap. XXIV del Capitale per rendersi conto che le tragedie maggiori il capitalismo europeo (in questo caso inglese) le ha subite proprio nei suoi primi secoli di sviluppo. Persino T. More, cancelliere di re Enrico VIII, mostrava d'essere perfettamente consapevole dei disastri delle enclosures a lui coeve. Il livello di consapevolezza critica di Marx, rispetto a questi economisti borghesi, forse può essere paragonato a quello che aveva, sul piano filosofico, Hegel nei confronti di tutti i filosofi che l'aveva preceduto e, se vogliamo essere onesti, anche di tutti quelli che lo seguiranno, poiché, se si esclude lo stesso Marx, noi non vediamo alcun altro intellettuale in grado di competergli. Ancora per moli secoli la filosofia hegeliano avrebbe potuto continuare a egemonizzare la Germania se questa avesse dimostrato d'essere superiore, sul piano dell'organizzazione della società, ai suoi concorrenti anglo-francesi. Si può in un certo senso sostenere che il rifiuto dell'idealismo assoluto di lasciarsi superare dal socialismo scientifico, porterà detta filosofia ad appoggiare, più o meno direttamente, soluzioni estreme come quella nazista, o ad involversi (il che poi è sostanzialmente lo stesso) in situazioni ideologicamente non meno estreme come quella dell'irrazionalismo di Nietzsche. Probabilmente questo limite di fondo nella metodologia dell'economia politica borghese trova le sue radici nel fatto che gli economisti avevano bisogno di dimostrare l'impossibile pur di convincere l'intera società civile che la strada intrapresa, nonostante le immani tragedie, era quella giusta. Oggi una posizione del genere o sarebbe difficilmente sostenibile, dopo il marxismo, per quanto il crollo del "socialismo reale" abbia di nuovo posto le premesse per un suo revival in grande stile, oppure sarebbe inutile sostenerla, in quanto il capitalismo, al proprio interno, dopo le catastrofi delle due guerre mondiali (e il crac del '29), ha praticamente esportato il grosso delle proprie contraddizioni nel Terzo Mondo, e se di questa area geografica i media occidentali non parlano, è molto difficile che le masse popolari occidentali abbiano bisogno di intellettuali borghesi disonesti per essere convinte di ciò di cui sono già convinte, e cioè che il capitalismo è al momento, se non il migliore sistema sociale di tutti i tempi, certamente l'unico a non avere alternative praticabili. E' fuor di dubbio comunque che quando un economista difende la proprietà privata come un totem da adorare, è perché egli stesso è proprietario di qualcosa di sufficientemente significativo da indurlo a comportarsi così. Questa non è una congettura psicologica ma una constatazione sociologica. A questi economisti difetta la coscienza storica semplicemente perché sono schiacciati sotto il peso del presente e del loro interesse personale e di ceto privilegiato. NB. Questo commento prende in esame tutto il I capitolo e circa metà del II capitolo. |