TEORICI
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LA TOLLERANZA DI LOCKE E LA FEDE DEGLI ALTRI I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X
Premessa storica al laicismo La borghesia europea, ai suoi esordi, ebbe un grande successo perché, essendo andata a scuola dal clero cattolico, aveva capito come sdoppiarsi, cioè come affermare in sede teorica un principio da smentire nei fatti. Un atteggiamento del genere potremmo astrattamente considerarlo riprovevole; invece in Europa è stato il grimaldello che ha aperto tutte le porte della non-credenza, e senza tanto spargimento di sangue. Probabilmente infatti la chiesa ha versato più sangue con gli eretici medievali che non coi borghesi miscredenti. La borghesia ha fatto le rivoluzioni politiche (senza dubbio cruenti), quando ormai era inevitabile farle, avendo essa già conquistato ampi consensi nella società civile. Il suo merito sta quindi nell'aver affrontato le assurdità della religione non in maniera frontale, come appunto gli eretici medievali, ma per vie traverse, lasciando credere al clero cattolico che non esisteva alcuna incompatibilità di fondo tra fede e profitto. E il clero ci ha creduto, anche se per farlo con convinzione e non obtorto collo ha dovuto farsi protestante. Ci ha creduto perché esso stesso, da tempo, essendosi pervicacemente legato al potere temporale, si era abituato a questa doppiezza. E la borghesia, grazie, indirettamente, a questo insegnamento, stupisce ancora oggi il mondo intero, dominandolo, apparentemente, senza alcuna fatica, nel mostrare la sua grande abilità nel dire una cosa e nel farne un'altra di segno opposto. Storica premessa del laicismo Locke fu un campione in questo, un vero maestro per tutti. Infatti, quando affermava che la reciproca tolleranza tra i cristiani delle varie confessioni è il più importante riconoscimento di una vera chiesa, ragionava sì da "cristiano", in quanto la "tolleranza" è una virtù che il cristianesimo non può negare; ma nel contempo ragionava da "borghese", in quanto considerava tutte le confessioni cristiane egualmente importanti (ciò che nessun credente avrebbe mai potuto accettare). Per un cristiano la tolleranza è un atteggiamento etico, da galateo, ma se vissuta sul piano gnoseologico, diventa una forma di colpevole indifferenza, di "irenismo". Il credente è fanatico per definizione, anche se formalmente appare tollerante: la verità, per lui, è una sola, la propria; non si può transigere nei confronti delle verità altrui. La verità è data, è una rivelazione, un'illuminazione divina, un dogma indiscutibile (almeno nelle cose essenziali, assolutamente irrinunciabili, in quanto fondanti l'intero "credo" di una confessione). Parlare di "tolleranza" nell'ambito di una qualunque religione che pretenda di modificare la realtà esterna all'uomo (quindi soprattutto in quelle monoteistiche), ha senso se la si pensa come mezzo per convertire l'altro. Solo una persona che ha già un piede al di fuori dell'esperienza religiosa; solo una persona che inizia a guardare questa esperienza con occhi meramente intellettuali, come appunto un filosofo distaccato, può sostenere l'equivalenza delle fedi. D'altra parte Locke, per affermare il proprio laicismo, si riteneva in diritto di criticare quelle confessioni cristiane che, pur dicendosi le uniche vere, non sapevano usare la prassi della tolleranza nei confronti delle concorrenti (e quella volta le guerre di religione erano ancora all'ordine del giorno). Criticava le confessioni di non essere "cristiane", proprio là dove non avrebbero potuto esserlo senza rinnegarsi come tali. Qui sta la grandezza del pensiero borghese, nell'utilizzare cioè alcuni elementi di debolezza e d'incoerenza del cristianesimo per sostenere che questo non si comporta in modo "cristiano". Locke rimproverava le fedi cristiane di non essere sufficientemente "umane" sul piano del comportamento e, così facendo, poneva le basi della moderna laicità borghese. Non stava utilizzando una convinzione di fede per opporsi a un'altra convinzione - come avevano fatto tutti i riformatori protestanti -, ma stava dicendo che la fede senza l'etica umana, si trasforma inevitabilmente in una violenza ingiustificata, in un abuso di potere. Locke aveva semplicemente dimostrato che per un qualunque credente la libertà di coscienza è un controsenso. Se un credente ritiene che la propria confessione sia migliore delle altre, non troverà mai qualcosa nelle altre confessioni che non sia già presente, almeno sul piano teorico, nella propria. Chi crede in una religione, vi crede sempre in maniera esclusivistica. Oggi diciamo che un atteggiamento così fanatico può riguardare anche il laico nei confronti del proprio laicismo. Ma lo diciamo oggi, dopo secoli di laicismo. Locke non poteva prevederlo. La verità infatti non solo non sta in nessuna fede in sé, ma neppure in nessuna ragione in sé. La verità è un processo in itinere, che si scopre solo strada facendo. Ecco perché diciamo che, sia in campo religioso che laico, esistono idee migliori delle persone che le mettono in pratica e persone migliori delle idee che professano. ETICA E POLITICA IN LOCKE (1632-1704) La famiglia di Locke era della media borghesia puritana. Il padre aveva partecipato alla rivoluzione del 1648, che condusse all'esecuzione del re Carlo I Stuart e all'istituzione della Repubblica di Cromwell. La fine dei suoi studi universitari a Oxford coincise col ritorno della monarchia degli Stuart e con la conseguente ripresa del fanatismo religioso, tra cattolici, calvinisti e anglicani. Di qui i due Scritti sul magistrato civile, relativi al diritto del magistrato d'intervenire in materia di religione. Nei Saggi sulla legge di natura (1664) mette invece in risalto tutto ciò che nell'uomo è anteriore alle scelte di tipo religioso. Quando nel 1667 incontra Lord Anthony Ashley-Cooper, poi primo conte di Shaftesbury (1621-83), divenendone segretario e uomo di fiducia, si trasferisce da Oxford a Londra, iniziando a interessarsi più direttamente di economia e politica, soprattutto quando il suo protettore viene nominato da Carlo II Stuart Cancelliere dello Scacchiere (una sorta di Ministro delle Finanze). Il Saggio sulla tolleranza (1667) risente della posizione laica, in materia di religione, di Shaftesbury, oltre che della situazione esistente in Olanda ch'egli ebbe modo di vedere personalmente. Si era infatti convinto che lo Stato dovesse agire con maggiore risolutezza nel cercare d'impedire che le controversie religiose avessero effetti sul piano civile e politico. Nel 1675 Shaftesbury cadde in disgrazia presso il re per questioni legate alla religione e Locke preferì ritirarsi in Francia, ove rimase fino al 1679, sviluppando sempre più l'idea di tenere la politica del tutto separata dalla religione. Quando Shaftesbury, nel 1679, torna al potere col titolo di Lord Cancelliere, richiama Locke al suo servizio, ed è in questa occasione ch'egli elabora i Due trattati sul governo, pur non pubblicandoli. Tuttavia nel 1682 Shaftesbury ebbe nuovi contrasti con la religione e, siccome era stato accusato di tradimento perché non voleva che a Carlo II succedesse Giacomo II, aveva deciso di espatriare in Olanda, dove l'anno dopo l'aveva raggiunto Locke, sostenendo la lotta contro gli Stuart e portando a compimento il Saggio sull'intelletto umano, basato sulle teorie sensistiche. Shaftesbury morirà in Olanda nel 1683, mentre Locke tornerà in Inghilterra solo nel 1689, quando, finita la rivoluzione, andò al potere Guglielmo d'Orange. La fama di Locke come maggiore esponente del nuovo regime liberale divenne grandissima: ricoprì vari incarichi importanti tra cui quello di Consigliere per il commercio nelle colonie. In questo incarico tenne un atteggiamento condiscendente rispetto alla schiavitù in America e nel contempo trasse ingenti profitti dalle azioni della "Royal African Company", impegnata nella tratta degli schiavi. L'ultimo Locke si dedicò esclusivamente alla pubblicazione delle sue opere. Nel 1689 uscì, anonima, la Lettera sulla tolleranza (già scritta in Olanda nel 1685); l'anno dopo pubblica i Due trattati sul governo, anch'essi anonimi; nel 1693 pubblica i Pensieri sull'educazione, testo di carattere pedagogico, in cui sostiene che le differenze tra gli uomini non dipendono da virtù innate ma dall'educazione ricevuta, che deve essere basata sia sulla disciplina (per evitare di seguire gli impulsi immediati), che sul gioco (per stimolare ad apprendere le cose difficili) e ovviamente sulla valorizzazione delle migliori attitudini dei giovani. Nel 1695 pubblica, sempre anonimo, il saggio La ragionevolezza del cristianesimo, in cui riduce il cristianesimo a un unico articolo di fede: credere che Cristo sia il Messia. Tutto il resto - secondo lui - poteva essere affidato alla libera interpretazione, in quanto la predicazione morale di Cristo coincideva con le regole della ragione. Per quanto fosse un teorico della separazione tra Stato e chiesa, Locke continuò a interessarsi di religione sino alla morte, avvenuta nel 1704. *** Fino al 1658 Locke era stato vicino alle idee di Hobbes: se ne distaccò dopo la morte di Cromwell e la restaurazione degli Stuart, condividendo le tesi del giusnaturalismo (U. Grozio, J. Althusius, S. Pufendorf) e del costituzionalismo e aprendo la strada a quelle del liberalismo. La Lettera sulla tolleranza (1685) e i Due trattati sul governo (1690) costituiscono una definizione organica del liberalismo, i cui punti fondamentali, che tali resteranno per tutto l'Illuminismo ma anche per tutto il pensiero politico liberale dell'Ottocento, sono i seguenti:
Generalmente Locke afferma che lo Stato deve controllare il meno possibile la società civile, ovvero deve intervenire soltanto quando vi sono pericolose storture o minacce alla sicurezza. Infatti di tutti i diritti spettanti all'uomo di natura, solo quello di farsi giustizia viene riconosciuto completamente allo Stato. I Due trattati sul governo vengono presentati come una fondazione teorica del nuovo sistema politico inaugurato dalla monarchia costituzionale di Guglielmo d'Orange. L'analisi che egli fa dello stato di natura è molto diversa da quella di Hobbes, poiché, se è vero che in esso non si può ravvisare la presenza di uno Stato politico, è però anche vero che vi esistono delle leggi di natura dettate da una ragione di carattere sociale, le quali costituiscono la società, non derivano da questa. Sono queste leggi che fondano i diritti che si ottengono dopo aver costituito un patto esplicito e volontario tra gli appartenenti alla comunità. Il patto (cioè il potere politico) serve soltanto per dare sicurezza a delle leggi di natura già esistenti, e quindi ha una funzione convenzionale limitata, non implica delle decisioni irrevocabili, come nel patto descritto da Hobbes. Il diritto inalienabile più controverso è quello alla proprietà privata. Come si può costruire la democrazia sulla base di questo diritto? Hobbes non aveva negato il diritto alla proprietà privata, ma solo il diritto di poterla togliere agli altri: in merito era semmai il sovrano a decidere. Neanche Locke vuol togliere la proprietà privata, ma, per legittimarla come un diritto naturale inalienabile, sostiene ch'essa dipende dal lavoro: si può possedere privatamente solo ciò che viene modificato col proprio lavoro per produrre ricchezza. Quindi la terra posseduta ma non coltivata può essere espropriata dallo Stato per il bene comune. Inoltre Locke dà per scontato che là dove esiste lavoro, esiste ricchezza, per cui il diritto alla proprietà privata lavorata non può comportare una privazione della proprietà altrui. Tutti hanno diritto ad avere una proprietà per poter vivere. Naturalmente Locke, essendo figlio della borghesia, non si chiede come originariamente la proprietà sia stata acquisita, se con la forza o in maniera legittima. Pertanto quando parla di valore delle cose determinato dal lavoro, dà per scontato che la proprietà privata della terra sussista già, tant'è che il Parlamento non può emanare leggi che la mettano in discussione. Inoltre Locke sa benissimo che da quando la moneta s'è trasformata in "capitale" e non è più soltanto un mezzo utile allo scambio di merci, si è aperta la strada a un arricchimento illimitato (accumulazione indefinita), per cui diventa molto difficile parlare di diritto alla proprietà proporzionato alla capacità lavorativa e tanto meno ha senso sostenere che nessuno dovrebbe acquisire quanto va molto oltre le sue capacità di consumo. Un altro aspetto che oggi si considera superato di Locke è la successione cronologica degli ambiti sociali in cui l'essere umano è chiamato a vivere: famiglia, società civile e Stato. A suo parere il cittadino parte dal livello della famiglia per giungere a quello dello Stato. In realtà non ha senso dire che il primo ambito in cui l'uomo è spinto ad associarsi è la famiglia, dove sperimenta i valori dell'aiuto reciproco, della comunione di interessi e della cura dei figli. Questo perché la famiglia non viene "prima" della società civile, e neppure è in grado di costituirla. Semmai è vero il contrario: una certa idea di "famiglia" appartiene o deriva da una certa idea di "società". La famiglia moderna, p.es., è composta da due individui che hanno il compito di gestire in proprio la cura dei figli, ma questa famiglia è già il frutto di una società borghese basata sull'individualismo. Per Locke gli stessi rapporti che compongono la società civile sono sempre contratti volontari tra individui, che non riguardano la comunità nel suo insieme, proprio perché possono sussistere indipendentemente da essa. Lo Stato deve intervenire soltanto per regolamentare quei rapporti che creano problemi. Se lo Stato non è in grado di risolvere i problemi, i cittadini hanno il diritto di destituire i loro rappresentanti. D'altra parte per Locke, a differenza che per Hobbes, la perdita della libertà o della proprietà privata è un male peggiore della guerra civile. Quanto alla religione, Locke ne parla sia nella Lettera e nel Saggio sulla tolleranza che nella Ragionevolezza del cristianesimo, dove sostiene sempre alcune idee fondamentali:
Locke non arrivò mai ad affermare idee ateistiche, anzi accettò una delle prove tomistiche dell'esistenza di dio, quella per cui non si può sostenere che possano esistere cause di cause all'infinito (un regressus in infinitum inteso in senso metafisico): alla fine deve essercene una che non è effetto di alcuna causa. Quindi non solo la tolleranza non valeva per i cattolici ma neppure per gli atei, che vengono equiparati a persone prive di moralità, in quanto, negando dio, nessun impegno, promessa o giuramento può avere per loro alcun valore; dunque, bisogna considerarli nemici dichiarati dello Stato e reprimerli con la massima severità. Fonti
Critica
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