TEORICI
|
|
|
ANTONIO LABRIOLA (1843-1904) Nasce a Cassino nel 1843. Si laurea a Napoli, dove è allievo di Bertrando Spaventa, che aveva portato in Italia, col De Sanctis, l'idealismo e lo storicismo di Hegel, e che vedeva nello Stato risorgimentale la realizzazione dell'eticità hegeliana. I fratelli Bertrando e Silvio Spaventa erano pure tipici esponenti della destra storica, liberale ma non democratica. Il primo scritto di Labriola, Una risposta alla prolusione di Zeller (un docente di filosofia greca nell'Università di Heidelberg) del 1862, è chiaramente ispirato alla lettura hegeliana di B. Spaventa., Avendo seguito all'Università di Napoli l'insegnamento di A. Tari, F. De Sanctis e B. Spaventa, abbandona ben presto l'hegelismo ortodosso (è del 1869 una sua dura recensione critica alle Lezioni sulla filosofia della Storia, dell'hegeliano A. Vera). Tra il 1870 e il 1874 (prima della caduta della Destra), Labriola collabora a gran parte del giornalismo politico liberale, come cronista o editorialista di vari giornali: "Gazzetta di Napoli", "Il Piccolo", "L'Unità Nazionale" (in questo escono nel 1872 le dieci Lettere napoletane, in occasione delle elezioni amministrative di Napoli), il "Monitore di Bologna". Da questi articoli già si può notare la preoccupazione di guardare in maniera concreta alle esigenze delle masse popolari. Molto sentito è il tema dell'educazione nazionale, intesa come riforma intellettuale e morale: tema che si ritrova anche negli scritti filosofici di questo periodo (Origine e natura delle passioni secondo l'Etica di Spinoza del 1866, La dottrina di Socrate secondo Senofonte, Platone e Aristotele del 1871, Della libertà morale e Morale e religione, entrambi del 1873). Nel 1874 diventa docente di Filosofia morale e di Pedagogia all'Università di Roma. Successivamente insegnò filosofia teoretica, filosofia della storia e pedagogia. Labriola modifica progressivamente le proprie idee separando lo storicismo dall'idealismo (e quindi da ogni metafisica romantica e da ogni sacralizzazione statuale), grazie all'apporto della pedagogia scientifica di F. Herbart, la cui filosofia prescindeva dal riferimento costante allo Spirito (o coscienza infinita). Herbart cercava il senso del divenire storico nella psicologia collettiva, da accertare in base a documenti (filologicamente) e a partire dagli effetti delle esperienze concrete, senza apriorismi di sorta (vedi gli studi sull'etica antiaprioristica di Spinoza e Socrate). Stato, religione e scuola diventano per Labriola soltanto dei coefficienti morali e pedagogici da usare per indurre le coscienze individuali a realizzare un progetto politico comune. Netta è la sua polemica contro il "ritorno a Kant" dei neokantiani tedeschi. Verso la seconda metà degli anni '80, recependo il malcontento che serpeggiava in quel movimento popolare spontaneo sorto dapprima intorno alla figura di Garibaldi, poi intorno a quella di Bakunin, Labriola inizia a spostarsi sempre più a sinistra, convincendosi che il Risorgimento poteva diventare una rivoluzione democratica compiuta solo se salivano alla ribalta le masse lavoratrici (per lui anzitutto gli operai). Dapprima si avvicina ai radicali come Cavallotti, poi ai socialisti come Turati. Lo Stato moderno gli appare sempre più compromesso con la corruzione di una classe decadente: la borghesia. In tutti gli anni accademici dal 1880 al 1886 egli tratta di un unico tema: lo Stato, le sue origini e le sue funzioni. Progressivamente matura l'idea che la vera forza propulsiva della storia si trovi nel movimento politico delle masse popolari. Cioè nel sociale più che nello statuale. Infatti nel triennio 1887-90 egli prospetta un processo di trasformazione democratica dello Stato e della società civile a partire dalle comunità locali (il Comune). Egli si era convinto che il "giacobinismo radicale" (anarchico, settario…), escludendo il coinvolgimento collettivo degli strati più popolari della società, di fatto favoriva una critica astratta, élitaria del sistema, riferita solo ai suoi aspetti più appariscenti e scandalosi. Egli in sostanza elabora il progetto di costruire una sorta di democrazia sociale di base che avesse come elemento caratteristico di coinvolgimento la struttura comunitaria locale, quale possibilità decentrata di autogoverno popolare. Per capire questa fase del suo pensiero occorre leggere I problemi della filosofia della storia e Del socialismo (1889). Intorno al 1890 si mette a studiare le opere di Marx ed Engels e si convince che nel mondo contemporaneo la forza più creativa e rivoluzionaria è quella del movimento operaio-socialista. Intrattiene un fitto carteggio coi massimi esponenti del socialismo europeo: Engels, Kautsky, Bernstein, Sorel (l'orizzonte europeo in cui egli si muove è rarissimo in altri intellettuali dell'epoca: egli conosce perfettamente i più recenti dibattiti sulle scienze, sulla storia e sul sapere filosofico). Considera la socialdemocrazia tedesca un modello per l'Italia, benché questa sia una nazione più arretrata. Diventa anche il regista delle dimostrazioni che avvennero a Roma in occasione del 1° maggio 1891. I suoi Saggi sul materialismo storico lo rendono uno dei maggiori teorici marxisti europei di quel tempo (in Italia assolutamente il primo). Forte era la sua opposizione nei confronti del marxismo neokantiano: dovendo scegliere tra marxismo etico e marxismo scientifico, Labriola non aveva dubbi nel preferire il secondo. Si rivolge a Turati inducendolo a farsi promotore di un vero partito socialista e proletario. Turati era il socialista della città più moderna d'Italia, Milano, e il direttore di "Critica sociale" (che iniziò le pubblicazioni nel 1891). Le differenze tra i due erano notevoli: Labriola voleva un partito piccolo, omogeneo e combattivo, operaio o comunque di salariati e marxista; Turati voleva invece un partito allargato a elementi eterogenei, pragmatico, riformista. Al congresso di Genova di fondazione del partito, del 1892, Turati in parte diede ragione a Labriola, in quanto vennero allontanati gli elementi anarchisti, ma il programma rimase eclettico. Tuttavia, Labriola riesce a convincere Turati a impegnare il partito nella difesa del movimento dei Fasci siciliani. Per la prima volta si delinea chiaramente, nel Paese, la contrapposizione tra blocco industriale-agrario delle classi dominanti e blocco operaio-contadino di opposizione. Tuttavia nel partito, a causa delle proprie ambiguità teoriche (social-positiviste, dirà Labriola), si formeranno ben presto tre correnti contrapposte. Questa fu la ragione per cui ad un certo punto egli preferì dedicarsi agli studi teorici, senza legarsi all'organizzazione. Negli ultimi anni fu impegnato in un acceso dibattito sull'eredità del marxismo, sulla sua influenza in campo filosofico e sulla sua strategia politica che lo vide in posizione assai critica nei confronti sia di Bernstein e Sorel sia di Gentile e Croce. Muore nel 1904. (Nel 1927-28 vengono pubblicate le sue Lettere ad Engels). I suoi testi fondamentali: a) In memoria del "Manifesto dei comunisti" (1895), con cui afferma che il Manifesto vuole essere una previsione morfologica, basata su un esame genetico (oggettitvo) della crisi generale del capitalismo ottocentesco. (Labriola preferiva usare il termine "marxismo genetico" piuttosto che "dialettico" perché temeva che, essendo la parola "dialettica" molto abusata, potesse rientrare dalla finestra qualche metafisica travestita; d'altra parte egli non ha mai parlato di "socialismo scientifico", ma sempre di "comunismo critico", proprio perché temeva i condizionamenti del positivismo); b) Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare (1896), con cui critica quanti vogliono ridurre il materialismo storico a uno schema astratto da applicare alla realtà, senza rendersi conto che il rapporto strutture/sovrastruttura è interdipendente. La storia -diceva Labriola, ponendo le basi della futura riflessione gramsciana- va intesa come un organismo sociale complesso: è impossibile capirla solo studiandone i processi economici, vanno studiati anche quelli della psicologia sociale (coscienza degli uomini); c) Discorrendo di socialismo e di filosofia (1898), che costituisce una raccolta di 12 lettere inviate a Sorel, nelle quale viene messa in evidenza l'assurdità del positivismo di trasformare (fatalisticamente) il concetto scientifico-funzionale di evoluzione in una ipostatizzata e sovrastorica idea di "Evoluzione". Qui la critica labriolana era rivolta, in particolare, alle interpretazioni darwinistiche dello sviluppo umano, che s'erano andate sviluppando nella sociologia biologistica di fine secolo. E' proprio in queste lettere che per la prima volta Labriola parla del materialismo storico come di una "filosofia della praxis"; d) Da un secolo all'altro (del 1900-1, pubblicato postumo da Croce, che da giovane si era interessato di marxismo proprio grazie alla produzione di Labriola). Non a caso Croce curò l'edizione di quest'opera: in essa infatti Labriola condivide la tesi secondo cui una rivoluzione proletaria si sarebbe potuta verificare solo dopo che il capitalismo avesse compiuto l'intero suo ciclo di sviluppo, ivi incluse le espansioni coloniali. In un'intervista del 1902, che fece scalpore, egli arrivò addirittura a guardare con atteggiamento favorevole la politica coloniale italiana in Africa. Bibliografia E' soltanto dal 1979 (75° anniversario della morte) che la quantità e la qualità delle ricerche sono state tali da imporre con una certa rilevanza la grandezza e l'originalità della filosofia politica di Labriola. Testi di Antonio Labriola
L. Dal Pane, Antonio Labriola, la vita e il pensiero, Forni, Bologna
1935 (1968). (Resta a tutt'oggi la più ampia e dettagliata biografia) Download
|