KIERKEGAARD E IL RAPPORTO COL ROMANTICISMO

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KIERKEGAARD E L'ESISTENZIALISMO RELIGIOSO (1813-1855)

I - II - III - IV

IL RAPPORTO COL ROMANTICISMO

A suo modo anche il giovane Kierkegaard partecipò alle iniziative politico-sociali e culturali del movimento romantico danese. Egli nasce in un assetto internazionale stabilito dal Congresso di Vienna e puntellato dalla Santa Alleanza. La Danimarca della prima metà dell'Ottocento, retta ancora da un regime monarchico-aristocratico, è più vicina alla Germania conservatrice che non alla Francia napoleonica, sebbene pure in essa siano presenti i fermenti politico-culturali del movimento romantico europeo, nonché i segni premonitori di quella che poi sarà la trasformazione della società mercantile-borghese in sistema industriale-capitalistico vero e proprio.

Nel periodo delle guerre napoleoniche inizialmente la Danimarca cercò di mantenere una politica di neutralità, continuando a commerciare sia con la Francia che con il Regno Unito ed entrando a far parte della Lega della neutralità armata insieme a Russia, Svezia e Prussia. Le riforme agrarie si accompagnano all’abolizione delle servitù della gleba (1788): nel giro di un paio di decenni ben tre quinti dei terreni danesi diventarono proprietà di chi la coltivava. Tutta la legislazione sociale danese si apre a esigenze più moderne: la libertà di stampa, i primi passi dell’istruzione obbligatoria, opere pubbliche, cura dei poveri, nuova legislazione carceraria (fine delle torture e dei supplizi), abolizione della schiavitù e del commercio degli schiavi (su cui la piccola potenza coloniale danese aveva prosperato).

La vocazione mercantile e marinara di Danimarca e Svezia si realizza con grandi flotte e con la gestione di varie compagnie commerciali delle Indie orientali e occidentali, che portano nei paesi scandinavi e baltici merci da tutto il mondo. La Danimarca possiede basi coloniali in India, nei Caraibi, nell’Africa nera. Gli schiavi neri vengono trasportati sulle isole dei Caraibi, e qui impiegati nella coltivazione della canna da zucchero, da cui si ricava il prodotto finito per tutti i mercati scandinavi. L’industria è nel complesso ancora poco sviluppata: il grande serbatoio di materie prime per la Danimarca (e per l’esportazione) è sempre la Norvegia (legname, metalli, pesce). Sarà proprio il fiorente commercio internazionale della Danimarca a “metterla nei guai”, durante le guerre napoleoniche, quando Inghilterra e Francia cominciarono a imporre blocchi navali e limitazioni del commercio neutrale.

Il Regno Unito infatti considerò l'adesione alla Lega della neutralità armata come un segno di ostilità e per due volte, nel 1801 e nel 1807, attaccò Copenhagen: gli Inglesi volevano impadronirsi della flotta danese nel tratto di mare tra Danimarca e Norvegia, per impedire che la flotta cadesse nelle mani di Napoleone o che continuasse a commerciare con la Francia. Con il primo scontro riuscirono a sconfiggere la flotta danese, mentre nel secondo provocarono l'incendio e la distruzione di ampie zone della capitale. La Danimarca fu così costretta a entrare in guerra e a stringere con Napoleone un’alleanza che le costò cara. Con la sconfitta dei Francesi la Danimarca perse la Norvegia.

Attorno al 1830 il movimento liberale e nazionalista danese prese un grande slancio e anche grazie ad esso, in seguito alle rivoluzioni del 1848, il re Cristiano VIII emanò la prima Costituzione, sostituita l'anno seguente da una carta assai più liberale promossa dal suo successore Federico VII; il paese divenne così una monarchia costituzionale in cui erano garantite più libertà civili e di rappresentanza democratica. Nel 1814 l’assolutistica Danimarca rende obbligatoria l’istruzione elementare: è uno dei primi paesi europei a farlo.

Si forma anche un movimento per l’emancipazione dei contadini non proprietari già nel 1846. In questi stessi anni parte un importante movimento culturale-religioso, capeggiato dal pastore e scrittore N. F. S. Grundtvig (1783-1872), per scolarizzare e formare i contadini danesi: è il movimento dell’“università popolare”. Questa istituzione si diffonderà poi con successo in tutta la Scandinavia; ma è soprattutto in Danimarca che gioca un ruolo importante di promozione, nelle classi subalterne, del senso di appartenenza nazionale, di partecipazione sociale e del diritto di uguaglianza e di cittadinanza. Le “università popolari” offrono corsi liberi agli adulti, di qualsiasi età. Studenti e insegnanti vivono insieme nella stessa scuola, spesso posta in campagna, e sono in un continuo rapporto di scambio e dialogo. All’università popolare ognuno sente il valore e la dignità della propria persona; anche le donne frequentano queste scuole, che dunque diventano fattore di uguaglianza tra i sessi. L’università popolare è un’istituzione emblematica dello spirito paritario scandinavo, ed emblematica della vita associativa che caratterizzerà l’evoluzione dal basso delle democrazie nordiche. Sono diffuse in tutto il Nord ancora oggi.

I movimenti del Quarantotto portano i frutti politici più grandi proprio in Danimarca. Non solo finisce ogni tipo di sottomissione dei contadini e la chiamata alle armi diventa uguale per tutti; ma il suffragio diventa pressoché universale per tutti gli uomini dai trent’anni: anche chi non è proprietario può votare. Un passo avanti anche rispetto alla costituzione norvegese. Il parlamento è bicamerale, composto da una camera alta e una camera bassa con uguali poteri. Le elezioni sono dirette per la seconda e indirette per la prima. Similmente a Svezia e Norvegia, il potere esecutivo è esercitato dal re costituzionale che nomina i ministri del governo e a cui i ministri devono fare riferimento. Siamo in altre parole in una situazione precedente al parlamentarismo.

L’evento di politica estera che coinvolge la Scandinavia tra gli anni Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento è l’acutizzarsi del problema nazionale dello Slesvig-Holsten. Il processo di unione nazionale, che intanto va avanti anche in Germania, porta a rivendicazioni di separazione da parte della popolazione tedesca delle due regioni; d’altro canto il programma dei “nazional-liberali” danesi ha due mete: la nuova costituzione e il cosiddetto Helstat, lo “Stato intero” (Grande Danimarca) che includa tutto lo Slesvig-Holsten, benché i danesi siano in maggioranza solo nello Slesvig del nord. Nello Slesvig del sud e in tutto l’Holsten prevale la popolazione di lingua tedesca. Questo conflitto sfocia in una prima guerra tra il 1848 e il 1851 (la Guerra dei Tre anni). È un conflitto cruento che provoca molte perdite tra i danesi. La diatriba venne temporaneamente placata grazie all'intervento diplomatico delle potenze europee (soprattutto la Russia) che, attraverso il trattato di Londra (1852), decisero di lasciare invariati i confini danesi.

Ma nel 1864 la Danimarca si trovò di nuovo in guerra contro i tedeschi. Il pomo della discordia era rappresentato sempre dai ducati di Schleswig e di Holstein: la Prussia di Bismarck, in fase di espansione, insieme all'Austria attaccò la Danimarca da febbraio ad aprile 1864, spazzando in poco tempo ogni resistenza. Anche questa è una guerra pesante e cruenta, annuncio di una tecnica bellica sempre più devastante.

Per la Danimarca la guerra dano-prussiana è una disfatta nazionale, che coincide pure con la morte di re Federico VII, il padre della costituzione liberale. La monarchia è costretta a cedere il ducato di Holstein all'Austria e quelli di Lüneburg e Kiel alla Prussia (che ottenne anche lo Schleswig in amministrazione). La sconfitta del 1864 significò anche la fine delle ambizioni dei nazional-liberali danesi. Infatti la reazione conservatrice impose nel 1866 un restringimento del suffragio per il parlamento; una parte dei membri della camera alta veniva nominata direttamente dal re e non più eletta. Sarà questo il germe dei duri conflitti politici in Danimarca negli ultimi tre decenni dell’Ottocento. Da allora comunque la Danimarca dovette rassegnarsi ad essere un piccolo Stato tra grandi potenze, il che la convinse ad adottare una politica di neutralità.

Ecco, questo il quadro storico-politico in cui si colloca l'esistenza di Kierkegaard. Durante tutto il suo periodo universitario (1830-41) egli si presenta come un romantico politico-religioso avverso alle idee laico-liberali e di tendenza grundtvigiana, cioè disposto a riformare la chiesa danese in senso sociale, con la partecipazione popolare. L'esperienza ecclesiale veniva da lui vissuta nell'ambito della comunità morava del movimento pietistico.

Viceversa, negli anni della maturazione (1842-48), egli può essere definito come un romantico intellettuale, individualista e formalmente ossequiente all'ordine costituito; formalmente in quanto egli comincia a disinteressarsi alle questioni di carattere sociale o politico (che invece riprenderà nella tarda maturità), problematizzando il primato del singolo, in virtù del quale però costruirà la sua opposizione alla chiesa di stato. Sembra comunque sia risultata più decisiva in lui l'esperienza pietistica che non quella romantica, benché egli si distacchi da entrambe contemporaneamente.

Cioè dal rifiuto del pietismo Kierkegaard non trasse motivo di una partecipazione radical-laicista all'interno dello stesso romanticismo politico - come in molti era avvenuto, p.es. in Engels, il quale si scontrò con la deformazione economicistica degli elementi neo-calvinistici propri del pietismo -, ma egli rinunciò a qualsiasi impegno di tipo politico o sociale, almeno fino al momento in cui, da romantico irrazionalista, non cominciò ad attaccare pubblicamente e senza l'uso di pseudonimi redazionali la cristianità stabilita della chiesa danese.

"Kierkegaard - scrive C. Fabro nell'Introduzione al Diario - vedeva l'epilogo del Romanticismo da una parte nel Nazionalismo politico-religioso dei grundtvigiani e dall'altra nell''ontologizzazione della fantasia'..."(p. 58). Solo che la critica del movimento grundtvigiano non viene fatta in nome del laicismo, ma in nome di un singolo religioso socialmente astratto, che dapprima si porrà un compito semplicemente poetico-evocativo, e successivamente sconfinerà nella follia di attribuirsi il compito di una testimonianza volontariamente sofferta della verità.

In tal senso la polemica di Kierkegaard contro Grundtvig è tutta pretestuosa, in quanto indirizzata al carattere sociale di quella esperienza popolare della fede religiosa, mirante a superare il formalismo della chiesa protestante istituzionale, che si limitava a diffondere i principi del "libero esame", nella convinzione che questo fosse sufficiente per creare un'esperienza cristiana significativa.

Contro Grundtvig Kierkegaard non arriverà mai a proporre un'esperienza laico-sociale ma soltanto l'esistenza dell'individualità isolata, la cui religiosità non può misurarsi con alcuna oggettività e che anzi arriva ad affermare la coincidenza di verità e soggettività, in particolar modo nel momento culmine del martirio, che è poi una sorta di auto-immolazione.

Kierkegaard rifiuta qualunque esigenza di tipo comunitario, sia essa laica (la democrazia liberale e socialista) o religiosa (pietismo e grundtvigianesimo), in quanto la ritiene deresponsabilizzante per la decisione esistenziale del singolo di diventare "cristiano in carattere". Nei confronti della democrazia egli sosterrà esplicitamente - già nei Diapsalmata - ch'essa tutto appiattisce e uniforma a svantaggio dell'individualità.

In tal senso resta più efficace la sua critica della funzione evasiva assegnata da certo romanticismo letterario all'ironia, che, presa come modello di comportamento, tende a trasformare la realtà in possibilità, evitando di porre il soggetto di fronte ai motivi più stringenti della decisione esistenziale, del salto qualitativo, della passione ecc.

Nel Concetto dell'ironia, la tesi di laurea sostenuta nel 1841, Kierkegaard prende le difese di Hegel contro l'estetismo romantico dei vari Tieck, Solger e Schlegel, rivalutando lo Stato e la società civile, sebbene, di contro a Hegel, egli da una parte ponga in rilievo una funzione positiva dell'elemento ironico quale "via verso la verità, non la verità stessa" (di qui peraltro il costante riferimento a Socrate posto come sottotitolo alla dissertazione), e dall'altra tenda a porre in primo piano, nella rivalutazione del concetto di "persona", il primato della comunità religiosa di stampo pietistico.

Paradossalmente la tesi sull'Ironia resterà uno dei testi kierkegaardiani eticamente più robusti, anche se, proprio nel tentativo di superare, nella sua esistenza personale, il dominante atteggiamento ironico che nella fase giovanile l'aveva caratterizzato, egli finirà coll'abbracciare una causa del tutto irrazionale.

Pochi scrittori han saputo descrivere in maniera così sistematica e profonda le manifestazioni della dimensione estetica (Enten-Eller è un vero capolavoro), eppure tutti gli scritti della maturità, a partire da Timore e tremore, arrivano a proporre, come rimedio alla suggestione evasiva di tale dimensione, una soluzione umanamente insostenibile.

Già in Aut-Aut, dove pur ancora non si vuol rompere con la socialità, Kierkegaard arriva a concludere il suo percorso anti-estetico con due affermazioni esistenziali-religiose, spesso ricordate da lui successivamente, che lasciano già presagire i futuri sviluppi del suo esasperato individualismo: 1) la verità è edificante soltanto se è per il singolo; 2) di fronte a Dio l'uomo ha sempre torto.

In Enten-Eller (di cui il testo Aut-Aut tradotto in italiano costituisce solo una piccola parte) l'etica kierkegaardiana è più una morale socratico-kantiana, che giudica prioritari, rispetto allo Stato hegeliano, la società civile e della famiglia, esattamente come fece Marx criticando la Filosofia del diritto pubblico di Hegel. Si può anzi dire che la sospensione dell'etica descritta in Timore e tremore sia già presente nelle due suddette conclusioni esistenziali di Aut-Aut, che però non si ritrovano nel Concetto dell'ironia. Il che fa pensare che in Kierkegaard - a differenza di quanto ritenga C. Fabro - l'approfondimento della critica religiosa alla cristianità dominante abbia subìto un processo involutivo che invece d'avvicinare Kierkegaard al cattolicesimo, l'ha allontanato da qualunque mediazione sociale, portandolo direttamente nelle braccia dell'irrazionalismo.

Quella di rinchiudersi nella propria solitudine è stata una tentazione costante del soggetto romantico, ma in Kierkegaard ha trovato il suo pieno compimento, seppur non nella forma ateistica di Nietzsche. Quanto su questo abbia pesato il patrimonio ereditato dal padre, che praticamente gli permise di vivere di rendita sino alla fine dei suoi giorni, è facile capirlo.

Bibliografia

S. Kierkegaard, Opere, a c. di C. Fabro, ed. Sansoni, FI 1972. Contengono: Diapsalmata, Riflesso del tragico antico nel tragico moderno, Timore e tremore, Il concetto dell'angoscia, Briciole di filosofia, Postilla conclusiva non scientifica, La malattia mortale, L'esercizio del cristianesimo, Il vangelo delle sofferenze, Per l'esame di se stessi, L'immutabilità di Dio.
 Opere, Piemme 1995 (I, II, III)
 Enten-Eller, a c. di Cortese, ed. Adelphi 1976-78 (I, II, III, IV, V).
 Aut-Aut, Mondadori 2002
 Diario, BUR 2000 (vedi anche i 12 Diari pubblicati a c. di C. Fabro, Morcelliana, 1980-83)
 Atti dell'amore, Bompiani 2007 (anche Rusconi 1983).
 Sul concetto d'ironia, ed. Guerini e associati, Milano 1991.
 L'ora, Newton Compton, Roma 1977.
 L'istante, Marietti 2001
 In vino veritas, Laterza 2007
 La ripetizione, ed. Guerini e associati 1991
 Lo specchio della parola, Sansoni 1948.
 La neutralità armata, ed. Sortino, Messina 1972.
 Dell'autorità e della rivelazione (libro su Adler), ed Gregoriana 1976.
 La dialettica della comunicazione etica ed etico-religiosa, Morcelliana 1957.
 La lotta tra il vecchio e il nuovo negozio del sapone, ed. Liviana, Padova 1967.
 Diario di un seduttore, Giunti Demetra 2008
 Il concetto dell'angoscia, SE 2007
 La malattia mortale, Newton 2004
 Don Giovanni, BUR 2006
 Sul matrimonio, BUR 2006
 Sulla mia attività di scrittore, ETS 2006
 Briciole filosofiche, Queriniana 2004
 Timore e tremore, Mondadori 2003
 L'attrice di Inter et Inter, Marietti 2002
 L'istante, Marietti 2001
 Stadi sul cammino della vita, BUR 2001
 Dalle carte di uno ancora in vita, Morcelliana 1999
 Due discorsi edificanti (1843), Marietti 2000
 Prefazioni, BUR 1996
 Sulla filosofia della rivelazione di Schelling, Bompiani 2008
 La comunicazione della singolarità, Herbita 1969
 Accanto a una tomba, Il Nuovo Melangolo 1999
 Mozart. L'erotico nella musica. Dalle «Nozze di Figaro» al «Don Giovanni», Bastogi Editrice Italiana 1998
 Johannes Climacus o De omnibus dubitandum est, ETS 1996
 Una recensione letteraria, Guerini e Associati 1995
 Due epoche, Nuovi Equilibri 1994
 Diapsalmata, Editoriale opportunity book 1996
 Esercizio di cristianesimo, Piemme 2000

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Aggiornamento: 26-04-2015