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EDMUND HUSSERL E LA FENOMENOLOGIA (1859-1938)

I - II

Quadro culturale

Con l'inizio del Novecento vari movimenti filosofico-culturali evidenziano i limiti del positivismo, considerandolo una scienza schematica, astratta, estranea alle problematiche più profondamente umanistiche.

In effetti, dalla fondazione razionale di scienze come l'economia, la sociologia e la psicologia si stava ormai decisamente passando all'organizzazione tecnica dell'economia, della convivenza umana, del comportamento psicologico. Il passaggio dalla scienza alla tecnica, avvertito positivamente quando si trattava di ottenere il dominio della natura fisica e biologica, ora viene avvertito come una minaccia, poiché esso ha investito il campo più propriamente "umano". Di qui l'esigenza di mettere in crisi il concetto di ragione scientifica, quella ragione che non sa cogliere l'originalità dell'esistenza umana nella sua individualità e libertà, quella ragione che si limitava a consacrare i fini dominanti della società borghese delle nazioni coloniali di fine Ottocento.

Sarà soprattutto l'esperienza catastrofica della I guerra mondiale a favorire la consapevolezza della crisi del modello culturale borghese fondato sul positivismo (la fiducia assoluta nelle scienze, nella tecnologia, nel capitalismo, nell'organizzazione razionale della società).

Il movimento fenomenologico prima e l'esistenzialismo dopo (ivi incluso l'ontologismo di Heidegger) furono le correnti filosofiche che tentarono di uscire dall'impasse in cui era caduto il positivismo. L'esistenza umana ora veniva considerata irriducibile a semplice oggetto della ragione scientifica: benché la fenomenologia accentui di più i valori oggettivi di tale esistenza, mentre l'esistenzialismo quelli soggettivi.

Il testo fondamentale per comprendere questo periodo storico è quello di Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale: "crisi" riconducibile al fatto che tutte le scienze hanno voluto far trionfare una ragione tecnico-utilitaristica che ha poi ridotto l'uomo a semplice oggetto tra oggetti. Solo con la riscoperta della ragione filosofica l'uomo potrà diventare soggetto di scienza e artefice della propria storia.

Iter biografico

E. Husserl nasce in Moravia nel 1859, da famiglia ebrea della medie borghesia. Dopo aver studiato astronomia a Lipsia, nel 1878 è all'università di Berlino, per dedicarsi alla ricerca matematica sotto la guida di due famosi docenti, Kronecker e Weierstrass.

Nell'83 discute la sua tesi Sul calcolo delle variazioni a Vienna e s'incontra col filosofo F. Brentano, grazie al quale passa alla psicologia.

La sua carriera universitaria inizia però con l'esame di libera docenza, sostenuto nell'87, con uno studio Sul concetto di numero. Diventa libero docente all'università di Halle dall'87 al '901.

Nel '91 pubblica la Filosofia dell'aritmetica, con la quale cerca di chiarire i concetti fondamentali dell'aritmetica (unità, molteplicità, numero...) rifacendosi agli atti psichici corrispondenti, cioè tenta di fondare l'oggettività dei numeri riportandola all'oggettività dell'atto psichico. Lo strumento che usa è la psicologia analitico-descrittiva di Brentano, secondo cui, mediante la descrizione delle intenzioni interiori si raggiunge la fonte della certezza. Il concetto fondamentale di cui egli si serve è "intenzione", mutuato da Brentano (il quale a sua volta si era ispirato alla logica scolastica medievale).

Per Brentano il carattere specifico dei fenomeni psichici sta nella loro intenzionalità, cioè nella loro direzione verso l'oggetto (dotato di assoluta autonomia rispetto alle rappresentazioni della coscienza). L'oggetto dell'intenzionalità è sempre un oggetto reale: ogni fenomeno psichico è sempre "coscienza di qualcosa". L'oggettività sta dunque nell'atto intenzionale, immediato, che solo la psicologia può studiare.

Husserl tuttavia è più complesso. Egli cerca una corrispondenza fra la struttura necessaria e immutabile delle proposizioni logico-matematiche e la struttura oggettiva che Brentano aveva creduto di ravvisare nell'atto intenzionale, psicologico. Ma, così facendo, Husserl si distacca dallo psicologismo di Brentano e cerca di indirizzare l'attività psicologica verso la logica matematica. Egli infatti riteneva che il soggetto delle operazioni aritmetiche deve essere posto al di sopra dei limiti del soggetto psicologico. Secondo Husserl le forme a-priori dell'intuizione spazio-temporale poste da Kant a fondamento della geometria e dell'aritmetica, sono condizioni necessarie a originare il concetto logico-matematico, ma non sufficienti. Sono cioè condizioni psicologiche preliminari, ma non garantiscono l'oggettività del concetto.

D'altra parte Husserl nega che l'oggettività possa essere raggiunta per via logico-matematica senza il supporto del soggetto. L'oggetto per lui ha valore nella misura in cui rinvia, correlativamente, all'intenzionalità del soggetto. Egli insomma cercava di ricomporre l'antitesi fra empirico e razionale, fra psicologismo e logicismo.

Tuttavia, la dura critica di G. Frege alla Filosofia dell'aritmetica lo porta ad assumere un atteggiamento ambivalente. Infatti nel vol. I delle Ricerche logiche (Prolegomeni alla logica pura) del 1900, egli rifiuta nettamente lo psicologismo, abbracciando le tesi del logicismo di Bolzano, che attribuiva alle verità logiche l'oggettività in sé, ma nel II vol. rivaluta lo psicologismo. Questa, in fondo, è anche una caratteristica della sua filosofia, che è articolata in maniera flessibile, essendo accessibile a punti di vista diversi se non opposti (di qui l'accusa d'essere una "filosofia senza presupposti").

Husserl giunge alla conclusione che le leggi logiche non dipendono dagli eventi psichici, in quanto hanno valore a prescindere dalla nostra consapevolezza. Cioè a dire non è possibile, per Husserl, ridurre le descrizioni di ciò che il soggetto pensa alle descrizioni dei processi interni attraverso i quali egli pensa un determinato oggetto. Tuttavia, il valore delle leggi logiche -a suo giudizio- dev'essere "ontologico" non formale o convenzionale. Le condizioni ideali che rendono possibile la conoscenza sono non solo logiche, ma anche "noetiche", cioè in grado di fondare il senso profondo della conoscenza.

Alla fine del 1901 Husserl viene nominato prof. straordinario a Gottinga e nel 1906 viene promosso prof. titolare. Resterà in questa università sino al 1915. In questo periodo, oltre a dirigere la polemica anti-psicologistica, Husserl partecipa al movimento filosofico della fenomenologia, divenendone l'esponente più significativo.

Nel 1911 pubblica La filosofia come scienza rigorosa e nel '13 Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, di cui uscirà solo il I vol., mentre gli altri due, inediti, subiranno per circa 20 anni continue revisioni.

Nel saggio dell'11 Husserl afferma la vocazione della fenomenologia al rigore scientifico, senza però nascondersi che ciò implicava una ridefinizione del concetto di "scientificità". In tal senso egli decide di sottoporre a critica tre correnti della filosofia contemporanea: il naturalismo, che in nome della scienza mortifica il valore della coscienza; il vitalismo, che esalta l'individualismo; il relativismo storicistico, che nega ogni scientificità. La fenomenologia deve scavare sotto questi pregiudizi e "tornare alle cose".

Presupposti culturali della fenomenologia di Husserl

L'opera di Husserl si riallaccia alla tradizione neokantiana, come effetto dello sviluppo della tematica positivista in Germania. In particolare essa ha in comune col neo-criticismo di Natorp (scuola di Marburgo) la tematica "coscienziale", secondo cui la coscienza dev'essere libera da pregiudiziali matematiche e scientifico-naturali e dev'essere in grado di unificare tutte le sfere culturali e tutte le forme di coscienza (percepire, pensare, ricordare, simbolizzare, amare, volere...). Natorp sviluppo questa tematica col metodo logico-trascendentale, Husserl invece userà quello fenomenologico-trascendentale. (La fenomenologia è l'analisi della coscienza nella sua intenzionalità: essa esamina tutti i modi in cui qualcosa può essere dato alla coscienza ed esamina la validità riconoscibile agli oggetti di coscienza).

In comune i due neokantiani hanno anche l'interesse per i rapporti tra la filosofia e le scienze. Tuttavia, Husserl, ha origini culturali indipendenti (scuola di Brentano). Da notare che la discussione tra fenomenologia e neo-kantismo sarà, dal 1900 in poi, uno dei dati più costanti e fecondi nel dibattito filosofico tedesco di questo secolo.

Per "movimento fenomenologico" s'intende quel gruppo di ricercatori che pubblicarono tra il 1913 e il 1950 una serie di volumi nell'annuario di filosofia e ricerca fenomenologica, diretto da Husserl. Le figure più rappresentative: M. Scheler, A. Pfänder, O. Becker, A. Reinach, M. Geiger. A questi nomi di deve aggiungere N. Hartmann e soprattutto B. Bolzano e F. Brentano (da Bolzano Husserl trae l'esigenza di determinare delle proposizioni che abbiano validità in sé, a prescindere dal loro riconoscimento soggettivo; da Brentano trae l'idea d'intenzionalità della coscienza, la quale non ha bisogno di misurarsi con la realtà per sentirsi vera).

Obiettivi della fenomenologia

Il principale bersaglio della critica di Husserl è l'impostazione empiristica/psicologistica della logica e in generale della teoria della conoscenza. L'analisi fenomenologica della coscienza parte dal presupposto che ogni apriorismo idealistico, così come ogni forma riduttiva di empirismo, hanno fatto il loro tempo, e che la coscienza non è una "realtà" come le altre realtà (la realtà è solo uno dei modi in cui l'oggetto può essere dato alla coscienza). La coscienza, nei confronti del mondo, è uno spettatore disinteressato, al quale gli oggetti sono presenti come fenomeni (nel movimento dei quali essa non è coinvolta).

La fenomenologia pretende d'essere un ritorno alle cose, è il tentativo di lasciar parlare le cose, cogliendo, nel loro dire, quegli aspetti che più interessano la coscienza umana (come i valori, le essenze, ecc.). Per poterli cogliere il ricercatore deve liberarsi da tutte le opinioni preconcette (sospensione del giudizio o epoché). Il fenomeno non è visto in antitesi al noumeno ma, al contrario, come una manifestazione immediata dell'essere alla coscienza. I fenomeni che la fenomenologia deve interpretare sono quelli essenziali, lasciando quelli empirici alle altre scienze. Essa si serve appunto dell'intuizione essenziale o eidetica. Per cogliere l'essenza del fenomeno (qui sta il lato idealistico della fenomenologia) il ricercatore deve compiere la riduzione eidetica, cioè deve prescindere dal fatto che l'oggetto possegga un'esistenza reale (dotata di coordinate spazio-temporali e di leggi causali), altrimenti non ne potrà cogliere l'essenza. Le essenze valgono "a priori" (non perché conferite dal soggetto all'oggetto della conoscenza, come in Kant, ma perché se sono vere per l'essenza di un fenomeno generale lo sono anche per tutti i casi singoli in cui il fenomeno si esprime).

La fenomenologia è scienza contemplativa, apofantica (nella ragione si rivela l'essere), rigorosa (perché fornita di fondamenti assoluti), intuitiva (coglie le essenze delle cose anche attraverso la percezione sensibile), non-oggettiva (prescinde da ogni fatto o realtà e si rivolge alle essenze), soggettiva (perché l'analisi della coscienza mette capo all'io come soggetto unificante di tutte le intenzionalità costitutive), scienza delle origini e dei primi principi (perché la coscienza contiene il senso di tutti i modi possibili in cui le cose possono essere date/costituite), impersonale (perché al ricercatore si richiedono solo doti teoretiche).

Aspetto sistematico

Psicologismo

A proposito della prima opera di Husserl, cioè la Filosofia dell'aritmetica, si parla dello psicologismo caratteristico della prima fase del pensiero husserliano. Tuttavia, tale attribuzione necessita di essere meglio chiarita. Come è noto, Husserl si dedicò, in quell'opera, ad approfondire i fondamenti psicologici di una nozione come quella di numero. Questa operazione fu criticata da Frege, che, spinto dall'esigenza di distinguere nettamente la psicologia dalla logica e di fondare l'aritmetica su basi rigorosamente formali, accusa Husserl di psicologismo. Egli rifiutò, perciò, tutta la problematica husserliana, diretta a definire il carattere e i limiti delle operazioni psicologiche che sono alla base dei concetti elementari dell'aritmetica. Tuttavia lo psicologismo husserliano non va confuso con quello psicologismo, di tipo strettamente empiristico e naturalistico, che misconosce la validità oggettiva e la necessità ideale dei concetti matematici e delle leggi logiche. Fondare certi concetti elementari dell'aritmetica su alcune fondamentali operazioni non significava di fatto, per Husserl, risolvere il razionale nell'empirico, l'oggettivo nel soggettivo. Egli era d'accordo nel salvaguardare, contro gli empiristi, il valore di oggettività e idealità dei principi logici e matematici, ma non era invece disposto a cedere a quella forma di platonismo che separava le idealità matematiche dall'attività del soggetto.

Logicismo

In seguito alle critiche mossegli da Frege, Husserl è spinto ad una severa critica dello psicologismo (e quindi anche dei presupposti della sua prima opera) che svolge nel primo volume delle Ricerche logiche (1900), che ha come sottotitolo Prolegomeni alla logica pura. Gli aspetti e le argomentazioni diverse che vengono sviluppati nella critica al psicologismo sono riconducibili ad un nucleo fondamentale di pensiero, che si è formato in Husserl anche sotto l'influenza di Bolzano, il quale nella sua Dottrina della scienza, identifica le verità logiche con oggettività ideali, che hanno il carattere di oggettività in sé. La reazione a qualsiasi forma di psicologismo conduce Husserl, nella prima parte delle Ricerche Logiche, al logicismo. Il pensiero fondamentale, da cui si sviluppa la critica allo psicologismo, scaturisce dall'esigenza di sottrarre le proposizioni e le leggi logiche alle interpretazioni relativistiche e convenzionalistiche, che le riducevano a "leggi naturali" del pensiero. Se le leggi logiche avessero una fondazione empirico-induttiva, esse non sarebbero altro che leggi empiriche, con un carattere di mera probabilità; ma esse, al contrario, non hanno nulla in comune con i fatti empirici.

Logica e teoria della conoscenza

Il secondo volume delle Ricerche logiche segna un ritorno all'aspetto soggettivo della logica, il tentativo si esplorare il rapporto tra la coscienza e le oggettività ideali della logica, attraverso l'elaborazione di una teoria della conoscenza.

Questa teoria, se riferita alla logica, deve procedere anzitutto ad un esame del linguaggio, cioè delle espressioni in cui le forme logiche si trovano incorporate e con cui formano un'unità fenomenologica. L'indagine sul linguaggio, compiuta sul piano della fenomenologia si propone di giungere all'essenza delle espressioni e degli enunciati, colti direttamente in una intuizione essenziale. La teoria della conoscenza delle verità logiche ha come presupposto soggettivo, l'atto intuitivo, e, come presupposto oggettivo l'essenza come contenuto dell'intuizione. Il terreno proprio dell'indagine fenomenologica è quello dell'astrazione. Uno dei compiti fondamentali di questa teoria sarà quello di definire la conoscenza dell'astratto, l'intuizione e la visione dell'astratto.

Nel II volume delle Ricerche logiche comincia a portare contributi alla soluzione positiva del problema "che cosa è l'ente logico?". Il logico appartiene alla sfera del significato e non a quella del significare, ma il significato non si identifica con la cosa conosciuta. L'erronea identificazione tra significato e cosa conosciuta ha indotto l'empirismo a negare l'esistenza di concetti universali: poiché le cose sono tutte individue, infatti, argomentano gli empiristi, l'universale non esiste. La seconda delle Ricerche logiche mette in rilievo l'esistenza di significati universali: si possono aver presenti oggetti individuali, come questa cosa o questo rosso, ma si possono aver presenti anche significati universali come "il rosso" o "il numero due". Fra i primi e i secondi non c'è solo una differenza di grado, quasi che i secondo fossero solo immagini sbiadite dei primi, ma una differenza specifica: l'oggetto individuale è questo, determinato hic et nunc, il significato universale prescinde dall'hic et nunc, è puramente un quid (Was) o, come dirà Husserl, a partire dalle Idee, una essenza (Wesen), un eidos. L'atto col quale cogliamo l'universale, l'essenza, è ancora chiamato astrazione, nelle Ricerche Logiche, ma Husserl osserva che tale atto non consiste nel separare da un oggetto una qualità che sarebbe comune anche ad altri, poiché le qualità di un oggetto individuo sono tutte individuali, e per considerare una qualità come comune bisogna già averla universalizzata e considerarla appunto nella sua essenza e non nella sua individualità. L'astrazione, che porta a cogliere l'universale o essenza, non è un processo di confronto o mediazione, ma è un originario modo di vedere: per questo Husserl, a partire dalle Idee, parla di intuizione delle essenze (Wesensschau). L'essenza è però sempre colta in un dato di fatto: l'intuizione di un'essenza presuppone quindi sempre un'intuizione individuale. Le essenze, i significati formano quindi una classe di "oggetti-generali", senza per questo essere ipostatizzati in un iperuranio o in uno spirito divino. Il loro essere coincide con il loro essere irreali. Tuttavia, osserva Husserl, poiché siamo in grado di esprimere giudizi veri su numeri o entità logiche, siamo autorizzati a parlare di numeri ed entità logiche come oggetti.

L'intuizione delle essenze è per Husserl la radice dell'apriori: infatti, sono possibili proposizioni universali e necessarie, ossia a priori, in quanto i termini sui quali si fondano sono essenze e non fatti. Ciò che è vero di un'essenza, infatti, è vero sempre e dovunque, ossia è vero di qualsiasi individuo in cui quella essenza si attui. Le proposizioni che hanno per soggetto un'essenza sono di tipo specificamente diverso da quello delle proposizioni induttive , delle generalizzazioni di fatti sperimentati, come sono le leggi scientifiche (delle scienze naturali). La logica e la matematica sono costituite di proposizioni a priori, esprimenti rapporti tra essenze.

L'apriori, comunque, assume nella filosofia di Husserl un significato del tutto diverso dall'apriori kantiano, non è infatti discorsivo e deduttivo, bensì un apriori intuitivo.

Intenzionalità

Ogni attività di pensiero e di conoscenza tende a degli oggetti, a degli stati di cose. Quando l'intuizione ha di mira l'essenza, la forma logica di questi oggetti, quest'ultima è identificabile solo come unità di una molteplicità di atti di pensiero, o di significazioni. Questa unità o identità di significato, che è l'oggetto dell'intenzione conoscitiva della coscienza, viene presa in esame attraverso un'analisi del rapporto espressione-significato. L'espressione, per Husserl, è quella che conferisce un significato a ciò di cui è espressione, in altri termini essa esprime una relazione oggettiva. Il riferimento dell'espressione all'oggetto, vale a dire il suo significato, assume il valore di unità ed identità ideale della specie, di fronte ai singoli atti espressivi. Il significato, idealmente uno, si comporta in relazione a ciascuno degli atti del significare come la specie "rosso" in rapporto alle "cose rosse", che non sono altro che casi particolari della specie del colore rosso. Ebbene, tale identità di significato, che è il significato della specie, costituisce per Husserl una oggettività puramente ideale ed irreale, che non si trova né al di fuori della conoscenza né negli atti reali della coscienza, bensì nella coscienza come atto intenzionale. Dire che la coscienza è essenzialmente intenzionale significa affermare che essa rinvia a qualcosa di diverso da sé, che essa è sempre diretta verso un contenuto che in qualche modo è il suo opposto. L'atto di coscienza, quindi, non è pensabile ed analizzabile che in relazione con l'oggetto, e lo stesso oggetto non è pensabile ed analizzabile che in relazione al soggetto, alla coscienza.

Muovendo da una determinata concezione della coscienza, Husserl intende liberare la filosofia da tutte quelle tendenze, empirismo, positivismo, soggettivismo, psicologismo, che pongono, più o meno consapevolmente, le basi della conoscenza nella relazione di un io con la realtà esterna e trascendente della natura. Il punto di vista intenzionale considera come un'assurdità il presupposto teorico che l'io e il mondo oggettivo debbano entrare in relazione nell'atto conoscitivo, sussistendo già come io e come realtà oggettiva prima di entrare in questa relazione.

Riduzione fenomenologica

Le Ricerche Logiche ci hanno fatto conoscere due tipi di oggetti, con i quali è in relazione la coscienza come intenzionalità: le cose reali, cioè le cose della percezione sensibile, esterna o interna, e gli oggetti ideali, vale a dire le specie o essenze e le formazioni logiche. Delle cose reali si ha un'evidenza che Husserl definisce inadeguata. Idee I introduce la nozione di orizzonte di intenzionalità, che costituisce, rispetto alle Ricerche, un approfondimento del concetto di evidenza, nell'ambito della percezione sensibile. della cosa esterna si ha una percezione che coglie la cosa nella sua corporea presenza, e, tuttavia, è una percezione adombrante. La cosa percepita è percepita solo per singoli aspetti o adombramenti. Intorno ad un nucleo centrale, effettivamente rappresentato, c'è un orizzonte di altri elementi da apprendere, dei quali è possibile un'anticipazione secondo una regola e una maniera che sono preventivamente e necessariamente tracciate. Le diverse percezioni, in quest'orizzonte di determinabilità delle cosa, si unificano nell'unità di una percezione, in seno alla quale al perdurante continuità della cosa si rivela in aspetti e lati sempre nuovi. Da ciò consegue che la percezione della cosa reale sia sempre, essenzialmente, inadeguata. In Husserl si hanno quindi due specie di evidenza, o intuizione, la prima che consiste nella visione di una individualità empiricamente determinata, la seconda che si identifica con la visione intellettuale di una essenza o di un rapporto di essenze.

Si vede quindi come in Husserl il divario incolmabile tra la cosa percepita e la cosa percepibile si risolve nella conseguenza che al di là della cosa percepita vi è sempre una cosa percepibile, un'unica e medesima determinabile x, la cui compiuta determinazione non può mai essere raggiunta. Il significato della trascendenza della cosa naturale è in questo "al di là" del percepito e del determinato. Ma in che senso si parla qui di trascendenza della cosa naturale? L'oggetto, qualsiasi oggetto è soltanto un fenomeno all'interno della relazione intenzionale. Che relazione ci sarà fra l'oggetto come fenomeno, semplice correlato dell'atto intenzionale della coscienza, e la cosa naturale intesa come una realtà trascendente nel senso tradizionale del termine?

La peculiarità della riduzione fenomenologica (od epoché) consiste proprio nel sospendere nel neutralizzare tal problema, cioè nel mentre tra parentesi l'atteggiamento naturale, cioè la persuasione dell'esistenza di un mondo spazio-temporale che sia indipendente da noi, dalla nostra coscienza. La riduzione fenomenologica ha come presupposto l'io, la coscienza, ma non un io psicologico, il cui vissuto sia nel mondo al pari degli altri oggetti naturali. Il suo principio non può essere altro che un io puro che non è nel mondo, ma è il fondamento assoluto, nella sfera dell'intenzionalità, del senso di qualsiasi fenomeno e, perciò, anche del mondo.

Questo potrebbe far pensare ad una tesi idealistica berkeleyana, in cui il mondo è trasformato in "apparenza soggettiva". Ma di fatto, afferma Husserl, nella riduzione fenomenologica, la realtà effettiva non è stata né snaturata, né negata, ne è stata eliminata solo un'interpretazione assurda, che consiste in definitiva nel realismo dogmatico. La tesi naturale, di pensare un mondo esistente al di fuori della nostra coscienza, non è assurda in sé stessa, ma solo a condizione che ci si accorga che il mondo stesso ha il suo essere in un certo "senso", che presuppone la coscienza assoluta, l'io puro, come sfera di conferimento di quel "senso". La difficoltà di interpretazione sta tutta nella necessità di dare un significato definito e non equivoco a questo "conferimento del senso" da parte della coscienza. Husserl scarta l'interpretazione dettata dall'idealismo soggettivo, per cui l'oggetto o la realtà non sarebbero nulla all'infuori del senso che viene loro conferito dal soggetto, la quale comporterebbe la negazione della tesi naturale. Rifiuta però anche l'interpretazione dettata dal trascendentalismo kantiano, perché la posizione del noumeno non è altro che una radicale affermazione della tesi naturale. L'analisi fenomenologica si limita invece a parlare soltanto del fenomeno, che si identifica con l'oggetto intenzionale.

Per Husserl l'oggetto intenzionale, come unità di senso, implica sì gli atti costitutivi della coscienza che conferisce il senso, ma non viene dissolto nella realtà assoluta del soggetto (come nell'idealismo berkeleyano). L'oggetto, il mondo, è semplicemente ciò che ha un senso in virtù dell'attività costitutiva dell'io, ovvero, secondo la terminologia usata nelle Idee, un noema in rapporto alla noesi, cioè all'insieme degli atti della coscienza, la quale, in virtù della struttura e della forma dei suoi atti, condiziona la struttura e la maniera in cui è dato il correlato della coscienza. Anche se qui sembrerebbe di trovarsi di fronte ad una soluzione kantiana, Husserl se ne dichiara lontano, in quanto, avverte, Kant ha teorizzata sulla conoscenza prendendo come base un soggetto psicologico, mondano, anche se astrattamente formale.

Logica trascendentale

Il significato e la funzione dell'a priori, non ben chiariti nelle opere precedenti, vengono esplicitati nelle Idee I e II ed inoltre viene messa in evidenza la distanza che li separa dall'a priori formale kantiano. Mentre l'a priori Kantiano è solo condizione formale di possibilità della conoscenza, e, come tale, non costituisce scienza, l'a priori husserliano è scienza, scienza fenomenologica delle essenze, e, come tale, è il fondamento teorico, che conferisce significato e legittimità al sapere specifico e particolare delle singole scienze della natura.

Tale fondamento può essere dato solo dalla logica, intesa come teoria della scienza, a patto che essa sia svolta in modo fenomenologico. La logica tradizionale si presentava erroneamente come qualcosa di precostituito ed accettato senza discussione, senza una giustificazione. Kant stesso era caduto nell'illusione che la logica formale non avesse bisogno di alcuna spiegazione e fondazione a priori: la logica formale era l'a priori per definizione, un fatto, una necessità e non un principio o insieme di principi da giustificare. La fenomenologia, con la sua analisi critica e trascendentale, respinge questo pregiudizio: anche la logica esige una fondazione e giustificazione. Con l'opera Logica formale trascendentale, Husserl si muove esattamente in questa direzione.

Intuizione delle essenze

Nella Logica Husserl dà per la prima volta una soluzione perspicua ad uno dei problemi fondamentali dell'indagine fenomenologica: l'intuizione delle essenze. Nelle Idee la visione dell'essenza risultava essere di là dalla semplice intuizione sensibile o individuale, ma non si comprendeva in che cosa essa consistesse. Qui, invece, si afferma che l'essenza generale viene colta attraverso l'intuizione sensibile, ma, allo stesso tempo, non si identifica con ciò che è intuito da una singola percezione sensibile. Però è ormai chiaro che l'essenza non viene neppure colta da una intuizione non sensibile o sovrasensibile. A fondamento della intuizione delle essenze c'è un processo di variazione. Attraverso una libera ed arbitraria variazione dell'immaginazione che può essere effettuata senza limiti e a piacere- si coglie ciò che persiste necessariamente nonostante tutte le deformazioni possibili operate su una oggettività scelta a titolo di esempio. Tale procedimento, che per Husserl non ha assolutamente carattere empirico o contingente, dà come risultato l'intuizione dell'eidos, che è ciò che rimane invariante in tutte le possibili variazioni. L'intuizione coglie la struttura necessaria ed insopprimibile di una oggettività nelle infinite possibili variazioni prodotte dall'immaginazione su di essa. Ogni oggettività particolare rinvia ad una forma, a un tipo essenziale che le corrisponde, e che viene definito come forma costitutiva nei confronti di questa oggettività. L'eidos, nel suo carattere di generalità specifica, è un tipo che riassume tutte le esperienze passate ed anticipa quelle future.

Evidenza del cogito

Nelle Meditazioni cartesiane il principio della riduzione fenomenologica raggiunge la sua formulazione più radicale.

L'epoché è, per sua natura, orientata alla ricerca di un'evidenza: si sospende l'assenso a tutto ciò che non è apoditticamente evidente proprio per riservarlo solo a ciò che si presenti in modo assolutamente indubitabile. E' qui evidente il legame con il dubbio cartesiano, e Husserl riconosce a Cartesio il merito di avere, per primo, posto il problema della riduzione. Ma il filosofo francese non ne ha colto il significato veramente originale ed autentico. L'errore principale che egli ha commesso è quello di aver considerato il cogito come una particella del mondo, come substantia cogitans, dalla cui esistenza indubitabile, per un procedimento deduttivo, si giunge alla conclusione logica dell'esistenza del resto del mondo. Anzitutto, per Husserl, il cogito non è una particella del mondo, anche se di natura e dissonanza diversa da tutto il resto. Considerare l'io come una parte del mondo significa includere l'io nella realtà della tesi naturale e quindi farne un presupposto, mentre, per Husserl, l'io trascendentale deve scaturire come una certezza dalla negazione di ogni presupposto. In secondo luogo, la convinzione che il ragionamento filosofico si identifichi con un procedimento avente una necessità deduttiva costituisce quello che Husserl chiama un "a priori ingenuo", il quale, a sua volta, è un presupposto da respingere. Infatti, sul suo fondamento, Cartesio ha costruito quella filosofia assurda che è "il realismo trascendentale": egli ha creduto, cioè, che una volta afferrata la realtà indubitabile dell'ego, su questa base si possa raggiungere la realtà di un mondo esterno e trascendente. Il controsenso della ipotesi realistica consisterebbe nel fatto che essa ammette come possibile che ciò che è esistente per me sia nello stesso tempo esistente per sé. La libera riduzione che viene effettuata in rapporto all'esistenza del mondo, che è una semplice sospensione della tesi naturale, deve darci il significato genuino dell'io.

Husserl afferma che io stesso e la mia vita rimaniamo intatti nel nostro valore di essere, qualunque giudizio io possa dare dell'esistenza del mondo. Ma quest'io e la sua vita, che risultano dall'epoché, non sono un pezzo del mondo. Considerare l'io come un pezzo del mondo significa identificare il cogito con la coscienza empirica. Il mondo oggettivo con tutti i suoi oggetti, compreso l'io empirico, psicologico, attinge il suo senso e il suo valore d'essere al mio io trascendentale. Come l'io ridotto fenomenologicamente non è una parte del mondo, così, reciprocamente il mondo stesso ed ogni oggetto mondano non sono pezzi del mio io, non si possono trovare realmente nel mio vissuto come sue parti reali. Gli oggetti del mondo potrebbero essere parti del mio io psicologico, se li intendessimo come un complesso di dati sensoriali o di atti psichici. Ma non possono essere parti del mio io trascendentale, e quindi sono necessariamente trascendenti. Perciò il carattere della trascendenza appartiene al senso specifico dell'essere nel mondo in virtù del carattere trascendentale dell'io, che conferisce all'essere del mondo tale senso di trascendenza. E' la scoperta dell'io trascendentale che, secondo Husserl, evita alla fenomenologia la caduta nel realismo o nell'idealismo psicologico e soggettivo. Essere trascendente dell'oggetto e io trascendentale sono termini "intenzionalmente" correlativi. Dal mondo dell'atteggiamento naturale, in cui solo il mondo ha senso, sia passa al mondo come fenomeno del soggetto trascendentale, in cui il mondo ha senso per il soggetto trascendentale.

Il passaggio tra questi due mondi avviene tramite il riconoscimento della necessità dell'epoché: l'esistenza del mondo, così come è inteso nell'atteggiamento naturale, non è apoditticamente evidente: quel mondo potrebbe apparire così com'è senza avere un'esistenza indipendente dal suo apparire. Ma che esso appaia è apoditticamente evidente e, se appare, c'è una coscienza alla quale appare. Ecco il residuo fenomenologico dell'epoché, ciò che resiste ad ogni tentativo di dubbio e quindi è apoditticamente evidente: la coscienza, la coscienza trascendentale. Essa è una coscienza personale, un ego.

Angelo Papi - Contatto

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015