PIERRE GASSENDI, PRETE LIBERTINO

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PIERRE GASSENDI, PRETE LIBERTINO

I - II

Pierre Gassendi (1592-1655), canonico e successivamente prevosto a Digione, era amico di libertini (Cyrano de Bergerac, F. La Mothe le Vayer e G. Naudé, che stimavano Montaigne una sorta di padre spirituale). Non ci si deve stupire che fosse un sacerdote. Lo erano anche, a quel tempo, Condillac e Meslier, considerati tra i rappresentanti più significativi dell'incredulità e addirittura dell'ateismo nei secoli XVII e XVIII.

Invece che la teologia Gassendi preferì insegnare filosofia all'università di Aix (1616-22), impegnandosi a confutare Aristotele e quindi, indirettamente, il tomismo, ancora dominante a quel tempo negli ambienti universitari e che a lui non piaceva per i suoi apriorismi indimostrabili e per la supponenza nei confronti della natura.

A partire dal 1628 cominciò a interessarsi di Epicuro, in modo da conciliarlo col cristianesimo, ma, poiché il solo nome di Epicuro era considerato sinonimo di ateismo, decise di pubblicare qualcosa solo nel 1649. Doveva infatti stare attento, poiché, nonostante i tempi fossero cambiati, era quanto meno disdicevole che un sacerdote sponsorizzasse idee come l'atomismo di Democrito e di Epicuro (in cui di dio non si vede neanche l'ombra), o come la materialità dell'anima o l'origine empirica della conoscenza, derivata dai sensi, nonché l'idea che l'etica sta nel piacere, ovvero nella tranquillità dell'anima. Per molto meno Telesio, Bruno, Campanella e Galilei avevano avuto problemi più o meno seri con l'Inquisizione.

Risultava quantomeno stravagante che un esponente del clero affermasse - pur senza fare esplicita professione di ateismo - che la conoscenza sperimentale (quella in cui i fenomeni possono essere riprodotti) restava l'unica scientificamente possibile per l'uomo. Neppure un ateo, oggi, sosterrebbe una cosa del genere. Infatti siamo così cauti che preferiamo dire che, anche di fronte agli esperimenti più comprovati, è sempre possibile che qualcuno dimostri il contrario. Una scienza che pretende di non essere falsificabile, non vale nulla, dice Popper.

A dir il vero Gassendi non era poi così categorico, in quanto ammetteva che una conoscenza scientifica, pur essendo tale nei confronti del singolo fenomeno, non può mai conseguire verità ultime e definitive. Per questa ragione riteneva assurdo perdere del tempo a elaborare una metafisica delle "essenze", che con quel tipo di verità andava a nozze.

In altre parole, se l'ufficialità cattolica avesse ammesso la possibilità di una tale provvisorietà conoscitiva, Gassendi sarebbe stato disposto a riconoscere un certo spazio alla metafisica. Infatti nella sua opera postuma, Syntagma philosophiae Epicuri (1658) egli giudicò plausibile affermare l'immortalità dell'anima e l'esistenza di dio (cosa che invece aveva negato nelle opere divulgate tra i libertini). Questo perché non gli dispiaceva l'idea di fondare una sorta di metafisica ipotetico-probabilistica. In tal senso aveva in orrore anche la metafisica cartesiana, che gli pareva, in forma riveduta e corretta, una riproposizione dogmatica della vecchia metafisica aristotelico-scolastica, che a lui pareva già superata dalla tradizione nominalistica (quella che negava l'esistenza degli universali) e dalla nuova filosofia galileiana della scienza.

Poiché frequentava il circolo di padre Marin Mersenne (amico di Cartesio) e costui aveva chiesto ai partecipanti di commentare le Meditazioni de prima philosophia di Cartesio, Gassendi accettò la sfida.

Una delle prime osservazioni (la più pertinente) fu questa: l'uomo non può autodefinirsi a prescindere dal contesto in cui vive, dalla realtà che lo determina. La stessa distinzione cartesiana di anima e corpo gli pareva insostenibile, in quanto l'essere umano è un tutt'uno: non si può separare il soggetto pensante o senziente dall'attività che svolge. Anche le prove dell'esistenza di dio gli parevano tutte fantascientifiche. L'idea di "essere perfettissimo" era per lui storicamente data e certamente non innata. Assolutamente arbitrario era anche il passaggio cartesiano dall'idea di un dio perfetto alla sua effettiva esistenza. Peraltro, chi ha detto - si chiedeva Gassendi - che l'idea di "esistenza" includa quella di "perfezione"? L'esistenza è solo una condizione in cui la perfezione può essere vissuta.

Cartesio poi gli suscitava ilarità quando, parlando del criterio di evidenza, da un lato diceva che la propria filosofia si basava direttamente sull'io penso, e dall'altro sosteneva essere dio la garanzia ultima dello stesso cogito e delle sue verità matematiche. A questo punto - lascia intendere Gassendi - Cartesio avrebbe fatto meglio ad affermare che "dio" è soltanto una parola, che si può usare per dire qualunque cosa, senza aver la pretesa di dimostrare alcunché. Cioè se Cartesio avesse usato un'impostazione di tipo empiristico-nominalistico avrebbe sicuramente evitato molte tautologie e incongruenze logiche. In effetti, da questo circolo vizioso Cartesio non saprà mai uscire, anche se forse sarebbe meglio dire che "non vorrà" mai uscire, temendo spiacevoli conseguenze su di sé.

D'altronde lo stesso Gassendi, nel tentativo di recuperare Epicuro (fu il primo a farlo in epoca moderna), si sentì indotto a conciliarlo col cristianesimo. E così gli atomi, da increati e incorruttibili, diventano, nella sua filosofia, creati da dio e annientabili; i mondi non nascono casualmente dallo scontro degli atomi, ma secondo un progetto finalistico divino; l'anima non è mortale, ma immortale. Da notare che con questo recupero dell'atomismo democriteo ed epicureo, egli contribuirà agli sviluppi chimico-fisici ulteriori di Boyle e Galton.

Rispetto comunque a Cartesio, che non aveva pubblicato nulla a favore di Galilei, per non rischiare di fare la sua stessa fine, Gassendi, con due opere in latino, era stato sicuramente più coraggioso. Non solo, ma egli ebbe anche l'ardire di sostenere che i teologi scolastici, innamorati com'erano di Aristotele, avevano trasformato la teologia in una filosofia, riducendo la fede a una questione di mera logica. In altre parole la filosofia aristotelico-scolastica non solo era dannosa per la scienza, in quanto del tutto astratta, ma lo era anche nei confronti della fede, in quanto contraria ai misteri della rivelazione.

Questo modo di ragionare di Gassendi era abbastanza curioso: contro la fede (ivi inclusa la magia, l'occultismo e la cabala) opponeva la ragione, ma contro la filosofia religiosa opponeva l'esperienza della fede. Oggi - lo si può facilmente immaginare - non avrebbe avuto un atteggiamento così ondivago (né lo ebbe uno dei suoi seguaci: Cyrano, che recuperò l’atomismo e il materialismo depurandoli dalle cautele cristiane di Gassendi). Questo senza nulla togliere al fatto che già allora il suo atomismo ottenne più successo della filosofia cartesiana, anche se molte opere di Cartesio furono poste all'Indice e la sua filosofia bandita dalle università e dai conventi sin dal 1671. Nulla di tutto questo accadde a Gassendi: la ristampa della sua Opera omnia uscì a Firenze nel 1727 senza che l’Inquisizione avesse potuto opporvisi.

Fonti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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Aggiornamento: 26-04-2015