L'INDIVIDUALISMO RELIGIOSO DEI TRE MAGGIORI FILOSOFI RAZIONALISTI

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L'INDIVIDUALISMO RELIGIOSO DEI TRE MAGGIORI FILOSOFI RAZIONALISTI

Cartesio - Spinoza - Leibniz

L'individualismo religioso dei fondatori del moderno razionalismo (Cartesio, Spinoza e Leibniz) è stato una scelta inevitabile, nell'ambito della borghesia, essendo l'unica possibile per liberarsi della tradizione ecclesiastica senza incorrere immediatamente in una condanna per ateismo. Nessuno dei tre infatti nega l'esistenza di dio, ma nessuno dei tre attribuisce a questa esistenza un valore fondamentale per la propria esperienza religiosa e, tanto meno, per la propria etica e per la propria scienza.

Naturalmente l'approccio che ognuno dei tre ha nei confronti della religione andrebbe esaminato dettagliatamente, anche perché il primo era un cattolico, il secondo un ebreo e il terzo un protestante. Qui però ci atterremo a delle considerazioni meramente introduttive.

Il più ateo dei tre è apparso subito Spinoza, semplicemente perché si era permesso d'identificare dio con la natura. Tuttavia qualunque storia dell'ateismo fa discendere anche da Cartesio l'origine della miscredenza borghese, tant'è che tutte le sue opere filosofiche vennero messe all'Indice e vietate negli insegnamenti universitari. Il più religioso dei tre fu sicuramente Leibniz, ma solo perché si trovava a vivere in una Germania molto più arretrata della capitalistica Olanda, in cui risiedevano gli altri due. La concezione leibniziana di dio resta comunque razionalistica: in lui dio, sapienza e ragione coincidono in funzione anti-dogmatica. Di lui dirà Nietzsche nei Frammenti del 1885, in maniera un po' criptica: "Leibniz è pericoloso, da vero tedesco che ha bisogno di facciate e di filosofie di facciata, temerario e misterioso in sé fino all'estremo, ma senza passato".

La loro fede è individualistica nella sostanza e religiosa solo nell'aspetto formale. È un individualismo ambiguo, appunto perché "borghese": il che non vuol dire "ipocrita" o "falso". Forse sarebbe meglio usare la parola "opportunistico". Tuttavia, facendolo, ci si dovrebbe riferire più che altro alle conseguenze ch'essi temevano di poter avere pubblicamente a causa delle loro concezioni filosofiche. Dei tre razionalisti, sicuramente Spinoza fu quello che rischiò di più, anche d'essere ucciso dai suoi stessi correligionari.

Sarebbe comunque un errore usare l'aggettivo "opportunistico" in riferimento alle loro convinzioni interiori. Questo perché non ne saremmo certi. È indubbio che il concetto di "dio" ha, nei loro sistemi metafisici, un'importanza accessoria (soprattutto agli occhi di noi contemporanei), anche quando lo equiparano alla sostanza o lo pongono come causa del movimento dei corpi nell'universo. Probabilmente era nelle loro intenzioni dimostrare che si poteva credere in dio in maniera diversa da come proponevano le varie confessioni religiose, spesso in lotta terribile tra loro nel XVII secolo.

Chiunque può accorgersi che la loro fede in dio era più filosofica che teologica. Se al posto del concetto di "dio" avessero usato il concetto parmenideo di "essere", in ultima istanza sarebbe stata la stessa cosa. Quel che conta, per capire i limiti delle loro filosofie, è che si sentirono indotti a usare un concetto astratto di tipo mistico per spiegare l'essenza delle cose, il loro movimento, le loro relazioni. Quindi per chi oggi interpreta le loro filosofie appare abbastanza irrilevante sapere se il loro uso del concetto di "dio" partiva da motivazioni autenticamente religiose, per quanto vissute in un'esistenza individualistica di tipo borghese, o se invece le motivazioni erano determinate da ragioni di opportunità.

Ciò che oggi appare evidente è che essi elaborarono una filosofia che non voleva sentirsi dipendente nei confronti di alcuna teologia, ma siccome vivevano in contesti dominati da Stati confessionali o da Chiese di stato, erano in un certo senso costretti a dissimulare il loro pensiero, se volevano rendere pubbliche le loro idee o se volevano accedere a incarichi statali.

Detto questo però non si deve dimenticare che la loro filosofia, essendo "borghese", non poteva non avere riferimenti organici, più o meno espliciti, alla religione. Infatti è la filosofia borghese in sé, a prescindere dalle convinzioni interiori di chi la rappresenta, ad aver bisogno, oggettivamente, di un determinato rapporto con la religione. Come tale essa è costretta a cercare un qualche "compromesso" coi poteri dominanti, proprio perché i filosofi sanno di non avere sufficiente consenso per affermare il loro ateismo.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018