DALLA CRISI DELLA METAFISICA AL PENSIERO POST-MODERNO

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DALLA CRISI DELLA METAFISICA AL PENSIERO POST-MODERNO

Indubbiamente aveva ragione F. Nietzsche quando diceva che la disgrazia del pensiero europeo è iniziata a partire dal momento in cui Platone ha posto la verità delle cose nell'iperuranio. Di Platone, nonostante alcune parti materialistiche di Aristotele, ereditate dalla filosofia moderna e, per certi versi, anche dalla Scolastica, non ci siamo più liberati, in quanto la metafisica e la filosofia in generale non è stata altro che una religione o una teologia laicizzata.

Già con la riscoperta degli Universali i teologi cattolici avevano cercato di ridare dignità alla ragione aristotelica, ma sino a Cartesio non si era stati capaci di uscire dal guscio mistico, e lo stesso Cartesio non aveva potuto evitare, per non aver noie con la chiesa, di fare concessioni metafisiche alla religione.

Da Cartesio a Hegel si è cercato d'impostare una metafisica laicizzata, borghese, ma il risultato, tutto sommato, era stato deludente. Gli intellettuali non riuscivano a dichiararsi esplicitamente atei: potevano farlo solo per via traversa, mascherandosi dietro concessioni incompatibili con le loro tesi di fondo.

Dopo Hegel però nulla fu più come prima. La Sinistra hegeliana pose le basi di una lettura razionalistica della Bibbia; Feuerbach pensò di rovesciare Hegel perorando la causa del materialismo ateo e naturalistico. Kierkegaard arrivò a dire che la fede delle classi dominanti non aveva nulla di religioso, essendo solo ipocrisia, mentre quella delle masse popolari era troppo conformista, per cui scelse la strada dell'individualismo religioso tendenzialmente irrazionalistico.

Schopenhauer rifiutò l'ottimistica coincidenza hegeliana di reale e razionale, dicendo che tutto è determinato da una volontà cieca e irrazionale. Argomento che colpì l'attenzione di Nietzsche, il quale, cercando di offrire un'alternativa positiva, si trovò ad affermare l'irrazionalismo dell'oltreuomo del tutto ateo e individualistico. Si era voluta fare a pezzi la metafisica, con tutte le sue illusioni di matrice religiosa, ma, continuando a restare dentro una speculazione di tipo meramente filosofico, alla fine si erano proposte soluzioni del tutto impraticabili.

Bisognava uscire da questo circolo vizioso, e i primi a farlo furono Marx ed Engels, i quali dissero che, nel migliore dei casi, la filosofia europea, da quando era nata, s'era limitata a "interpretare" il mondo, mentre il vero problema era quello di come "trasformarlo", e fu così che venne fuori l'esigenza di una lotta di tipo politico-rivoluzionario. Marx ed Engels lottarono per realizzare praticamente la democrazia e il socialismo; poi, dopo il fallimento dei moti borghesi del 1848, ripiegarono verso gli studi storici ed economici. La loro idea d'inverare il meglio della filosofia hegeliana (la dialettica) attraverso la politica, verrà ripresa solo da Lenin, che infatti realizzerà la rivoluzione d'Ottobre.

La posizione del socialismo scientifico (che prima era stato utopistico) fece comunque paura alla borghesia europea, che reagì elaborando una nuova ideologia: il positivismo di A. Comte, H. Spencer e J. S. Mill. Essi prendevano atto del fallimento della metafisica hegeliana e sostituivano alla filosofia idealistica la scienza e la tecnologia, convinti altresì di trovare un'alternativa al socialismo e al marxismo. Per realizzare gli obiettivi della metafisica sarebbe stato sufficiente porre in essere un compromesso tra scienza (fisica, sociologia, scienze naturali, matematica...) ed economia borghese, soprattutto quella industriale.

Tale primato concesso alla scienza e alla tecnica tornò comodo allo sviluppo dell'imperialismo europeo e si concretizzò nella cosiddetta Belle Époque. Cosa che però, se era appagante per la borghesia come classe sociale, non lo era certo per gli intellettuali più consapevoli, i quali si sentivano estraniati quando, in buona fede, continuavano a porsi il problema di un significato della vita, che andasse al di là delle mere contingenze connesse a un'affermazione di sé di tipo economico.

Tale insoddisfazione la si riscontra anche nella letteratura di fine Ottocento: Baudelaire, Rimbaud, Dostoevskij, Tolstoj, Kafka, Proust... L'uomo si sente irriducibile alla tecnica e all'economia: cercheranno di dirlo, su posizioni spiritualistiche, anche H. Bergson e J. Maritain, mentre i neoidealisti italiani B. Croce e G. Gentile lo diranno su posizioni ciniche e autoritarie, legate al recupero, riformato, della metafisica hegeliana, in funzione anticomunista.

La prima guerra mondiale non era stata sufficiente a smontare le pretese di una scienza e di una tecnica finalizzate allo sviluppo dell'economia borghese su scala mondiale: occorreranno le illusioni della seconda guerra mondiale, quella voluta da Gentile in Italia e da Heidegger in Germania, per i quali l'essere è l'esserci, cioè il soggetto che deve ridare all'essere della metafisica carne e ossa, facendo coincidere pensiero e atto. Fu un tragico errore, poiché il borghese che pretende d'incarnare l'essere in maniera autoritaria sfocia nell'irrazionalismo delle dittature più disumane. Heidegger se ne pentì amaramente, dedicandosi poi a linguaggio e poesia. Gentile invece non fece in tempo o non trovò l'occasione giusta per farlo.

Chi si pentì d'aver dato troppo peso alla scienza, tra la prima e la seconda guerra mondiale, fu Wittgenstein, il quale, dopo aver considerato la terminologia di tipo metafisico del tutto insensata, trovando, in questo, ampi consensi da parte dei neopositivisti austriaci e inglesi, ritenne opportuno rivalutare l'ambiguità del linguaggio umano, soprattutto nella sua funzione connotativa.

Una lezione, questa, ereditata da Popper, il quale cominciò a sostenere che la metafisica era da buttar via non perché insensata, ma perché non voleva porre se stessa a falsificazione: infatti una qualunque teoria che non si lascia mettere in crisi dall'esperienza doveva, secondo lui, essere considerata un dogma, ivi incluse le stesse teorie scientifiche. Una posizione curiosa, la sua, poiché, in questa maniera, egli finiva con l'accettare delle verità scientifiche solo nella misura in cui esse venivano smentite da altre verità.

Finita la seconda guerra mondiale si arrivò a capire che se il soggetto della metafisica, preceduto da quello della teologia, aveva fatto bancarotta su tutti i fronti, quello della scienza, a fronte di due guerre mondiali e dell'affermazione dei totalitarismi di destra e di sinistra, non poteva vantare alcun successo. Anzi, a questo punto, era addirittura meglio rinunciare alla nozione stessa di "soggetto", o quanto meno ridimensionare di molto le capacità propositive del suo lato razionale. A dir il vero questo soggetto (marxista e positivista), incapace di condurre una politica rivoluzionaria o di compiere dei mutamenti significativi in Europa (che non fossero solo per una classe particolare), s'era già rifugiato, con fare fatalistico, dietro il primato della struttura economica rispetto a qualunque tipo di sovrastruttura.

In S. Freud invece, sotto l'influsso di Schopenhauer, il soggetto veniva sottoposto a pulsioni erotiche da parte dell'inconscio, alle quali non sempre riusciva a capire perché rispondere di no: la struttura diventava così non qualcosa di "esterno" al soggetto ma tutta al suo "interno". In letteratura si vede ancora più nettamente questo freudismo in nuce nelle opere di Wilde, Joyce, Proust, ma anche nell'individuo alienato delle opere di Svevo, Pirandello, Kafka... Ed è un freudismo che, di fronte al soggetto confuso, lacerato, impotente, ci si sforza di considerarlo come un punto di equilibrio provvisorio tra varie istanze appartenenti alla sfera dell'affettività e del desiderio, più che alla sfera della ragione. Anche perché spesso, proprio in nome della ragione, erano stati arbitrariamente ritenuti "folli" dei comportamenti che volevano soltanto essere "critici" nei confronti del sistema dominante - come dirà M. Foucault nei suoi studi sulla storia della follia. In ogni caso, se le pretese della ragione devono essere di tipo "totalitario" (e lo si vede nell'uso che fa della tecnologia), allora - dirà Heidegger - è meglio essere "antiumanisti".

Il pensiero "post-moderno" vuole sancire la fine non solo della metafisica ma di qualunque ragione totalizzante. Quindi il soggetto meno appare, meglio è: sia che, come gli strutturalisti (L. Althusser, C. Lévi-Strauss...), lo si consideri assorbito da un sistema di relazioni costanti tra i fenomeni; sia che, come G. Deleuze, J. Lacan, J.-F. Lyotard, lo si consideri determinato da una struttura di linguaggio, perlopiù inconscia, nei cui confronti bisogna porsi in atteggiamento di ascolto. Nel senso che, per determinare un'identità, bisogna anzitutto accettare l'idea di differenza. J. Habermas dirà questo chiaramente: l'unica dimensione fondativa della ragione è quella dialogante, comunicativa, certamente non quella "oggettivante". I valori insomma sono relativi e il pensiero razionale, nei loro confronti, è bene che resti "debole". Il ritorno alla metafisica platonica (G. Reale) o aristotelica (E. Berti) o parmenidea (E. Severino), in salsa mistica, al fine di ridare potenza alla razionalità e insieme alla fede, rischia soltanto di trasformare una tragedia in farsa.


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018