COSA C'E' DENTRO DI NOI?

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COSA C'E' DENTRO DI NOI?

Aristotele non riusciva a spiegarsi come l'intelletto umano fosse potenzialmente in grado di capire qualunque cosa, cioè di porsi come una tabula rasa dalle capacità di apprendimento virtualmente illimitate. L'animale può essere addestrato quanto si vuole, ma al di là di un certo limite non può mai andare.

In particolare riteneva che il nostro intelletto avesse una facoltà del tutto sconosciuta agli animali, quella di apprendere nuove conoscenze e abilità da oggetti e fenomeni ch'egli stesso ha prodotto. Cioè noi siamo in grado di capire l'essenza delle cose perché in realtà ne siamo i creatori o gli ideatori. Abbiamo una ragione che nello stesso tempo è potenziale e attuale, senza forma e già bella formata: oggi diremmo reale e virtuale.

Infatti, se tutto dipendesse dalla natura, noi non avremmo un'intelligenza né una conoscenza delle cose superiori a quelle degli animali più evoluti. La natura la avvertiremmo come indipendente da noi e vi ci adatteremmo tramite l'esperienza. Ci basterebbero sensazioni e percezioni, abitudini, capacità reattive, istinti naturali e acquisiti, ecc.: quanto però a elaborazione concettuale, fantasia creativa, indole immaginifica e conoscenza critica... saremmo assolutamente a livello zero.

Aristotele, non sapendo spiegarsi il motivo di questa grande diversità tra il mondo animale è quello umano, arrivò a ipotizzare che all'interno dell'anima razionale doveva esserci qualcosa proveniente dall'esterno, qualcosa di eterno, di immodificabile, di irriducibile, in grado di produrre le cose per poter apprendere da esse. Lo disse alla fine del suo trattato psicologico sull'Anima, scatenando, senza volerlo, una serie infinita di polemiche che, in fondo, non sono mai cessate, in quanto ancora oggi vi sono persone che dicono di credere nell'immortalità dell'anima. Di qui la domanda posta nel titolo: "che cosa c'è dentro di noi?".

Dentro di noi c'è qualcosa che va al di là di noi stessi, cioè dell'apparenza di quel che siamo, di quel che noi stessi percepiamo di noi, che spesso non è più vero o più profondo di quel che gli altri percepiscono di noi. C'è qualcosa che per esistere ha bisogno di un corpo: "un corpo" non nel senso sostanziale di "unico", ma nel senso quantitativo di "uno", che è tale in uno spazio e in un tempo determinati.

Il nostro corpo è solo una forma di questa sostanza primordiale, ancestrale, proveniente dalla materia più recondita dell'universo, una materia fatta di pura energia, che per noi è perlopiù impalpabile, invisibile, come una sorta di antimateria, la quale però per esistere ha bisogno di una forma, appunto di un corpo.

Noi veniamo dalle profondità del cosmo, siamo figli dell'universo. Il genere umano è l'unico vero extraterrestre del pianeta Terra, destinato a popolare l'intero universo. Dentro il nostro corpo c'è qualcosa che ha bisogno di un "corpo" determinato per esistere su questo determinato pianeta, ma che in condizioni diverse potrebbe anche farne a meno, dotandosi di una nuova forma materiale o potenziando al massimo le capacità di quella attuale.

Tuttavia la coincidenza piena di Materia ed Energia è possibile solo a livello cosmico, dove tutto è buio e luce allo stesso tempo. Su questa Terra viviamo una coincidenza relativa, dove gli aspetti in ombra tendono a prevalere su quelli luminosi. In questi ultimi seimila anni l'ombra è diventata così grande che l'uomo non sa più chi è, non sa più cosa c'è dentro di sé.

Abbiamo capito solo scientificamente che tra Materia ed Energia c'è una certa equivalenza, seppur mediata dalla Luce, che irradia il nostro pianeta della sua energia, ma senza permetterci di possederla. Ma questa equivalenza ancora non l'abbiamo capita a livello di coscienza. Semplicemente perché a questo livello non possiamo "capirla", ma solo "sperimentarla", cioè possiamo comprenderla solo sperimentandola, senza poterla descrivere né analizzare adeguatamente con gli strumenti del pensiero.

Sotto questo aspetto tutto il pensiero filosofico e scientifico sviluppato in Europa occidentale, dai tempi di Platone, non ci è di alcun aiuto, proprio perché è un pensiero che ama l'identità e non la differenza, che vede solo l'essere e rifiuta il non-essere e quando parla di "differenza" e di "non-essere", lo fa appunto in maniera razionalistica, pensando che quelli siano soltanto dei modi di dire, dei prodotti derivati di una speculazione meramente astratta, priva di sostanza.

C'è un intellettualismo di fondo in tutto il pensiero europeo, di derivazione platonico-aristotelica, che ci pesa come un macigno nel mito di Sisifo.

QUATTRO COSE FONDAMENTALI

Probabilmente tra mezzo millennio riusciremo ad avere quattro cose di fondamentale importanza per la nostra vita, le più importanti di tutte, di cui oggi abbiamo solo una consapevolezza teorica o poco concreta. Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, dice il proverbio. Ebbene su queste quattro cose ci passa in realtà un oceano.

Le abbiamo perse circa 6000 anni fa, all'inizio in maniera lenta, poi sempre più veloce e sempre più in profondità; prima in alcuni luoghi del pianeta, poi ovunque. Subito dopo averle perdute, ci s'illudeva di poterne fare a meno; si pensava che per supplire alla loro mancanza, fosse sufficiente ricordarsele, riviverle in forme diverse, accontentarsi di qualche artificiale surrogato.

Col tempo però, siccome la memoria, priva di esperienza reale, veniva alquanto affievolendosi, e ci si rendeva sempre più conto dell'inefficacia di quei surrogati, il desiderio di riaverle andò crescendo, anche perché senza quelle quattro cose, la vita diventava poco gestibile, poco vivibile.

A forza di combattere contro i gravi problemi causati da un'esistenza priva di quelle cose, si stava, molto lentamente ma progressivamente, recuperando una memoria perduta. Le difficoltà erano davvero grandi, e lo sono ancora oggi, poiché siamo abituati a vivere senza il fondamentale aiuto di quelle cose, per cui ci comportiamo in maniera molto strana, poco comprensibile. Ci rendiamo conto che qualcosa ci manca, ma non sappiamo bene come recuperarla, né dove andarla a cercare.

Queste quattro cose sono strettamente legate tra loro, tanto che, quando abbiamo iniziato a perderle, le abbiamo perse contemporaneamente. Questo per dire che non possono essere messe in ordine cronologico o d'importanza. Se quando si lotta per averne una, si trascurano le altre, non si ottiene nulla. Quindi o si lotta per averle tutte, o è inutile illudersi.

Dunque, eccole: la libertà di coscienza, la proprietà comune dei fondamentali mezzi produttivi, l'uguaglianza di genere tra uomo e donna e il primato delle esigenze riproduttive della natura su quelle produttive dell'uomo.

Chiunque è in grado di rendersi conto che oggi, sul piano pratico, siamo lontanissimi dall'aver realizzato questi obiettivi. Ecco perché è giusto ipotizzare dei tempi molto lunghi, anche in considerazione del fatto che il conseguimento di tali obiettivi dovrà comportare uno sconvolgimento radicale dell'attuale sistema sociale di vita, che non potrà avvenire in maniera indolore.

Sappiamo tuttavia con sicurezza che senza queste cose rischiamo l'autodistruzione e che con queste cose il genere umano è andato avanti per alcuni milioni di anni. È quindi relativamente da poco tempo che abbiamo deviato da un percorso standard ben collaudato. L'abbiamo fatto per colpa nostra: nessuno ci ha costretti. Di sicuro quindi nessuno potrà trarci fuori, se non noi stessi.

Su questo dobbiamo essere fiduciosi. Di fronte a noi abbiamo il compito di popolare l'intero universo e non possiamo certo farlo partendo col piede sbagliato.

ANIMA E CORPO TRA GRECI ED EBREI

Una qualunque separazione "filosofica" di anima e corpo comporta una svalutazione di quest'ultimo. Ma se il corpo viene considerato negativamente, l'uomo finisce con l'isolarsi dalla collettività, assumendo uno stile di vita aristocratico o anarchico. Disprezzare il corpo vuol dire negare valore alla materialità della vita, assumere una visione intellettualistica delle cose, non credere nella possibilità di una giustizia sociale, di una democrazia.

La cultura dell'Europa occidentale ha dato molto peso alla filosofia greca e, ancora oggi, soprattutto in ambito scolastico e accademico, continua a dare molto peso alla filosofia in generale, senza rendersi conto che la cultura più interessante è, in realtà, quella ebraica (laica o religiosa che sia), poiché qui l'astrazione non è mai fine a se stessa, ma sempre in rapporto al compito di trovare una soluzione a problemi concreti.

L'astrazione ebraica ha sempre una finalità etica o politica, come risulta ben visibile nelle opere dei profeti veterotestamentari, ma anche nella sapienza extrabiblica (p.es. nel Talmud). È stata purtroppo la teologia cristiana a impedire il diffondersi di questa cultura, quando addirittura non l'ha strumentalizzata, alterandone il senso, per sostenere la fondatezza delle proprie posizioni (si pensi p. es. all'idea che i profeti avessero anticipato la venuta del Cristo, o che tutto l'Antico Testamento sia "propedeutico" al Nuovo, o alla stessa interpretazione paolina del cosiddetto "peccato originale", dove tutto il problema della separazione dal comunismo primitivo viene racchiuso nell'idea di superare la morte attraverso la resurrezione).

Nella filosofia greca spesso si fanno ragionamenti autoreferenziali, che non possono essere dimostrati in alcun modo o che lo sono solo in maniera superficiale o con una profondità di tipo intellettualistico e non spirituale: questo non solo in riferimento alla natura dell'anima, ma anche alla genesi iperuranica delle idee, alla elaborazione concettuale dei sillogismi, alle cosmologie di tipo orfico, ecc.

I greci, che pur si vantavano di considerarsi un tutt'uno in ogni singola polis, non avevano la concezione ebraica di "popolo", la quale, nei momenti migliori di questa civiltà, poteva essere usata per andare al di là delle differenze etnico-tribali o di appartenenza geografica a questa o quella località. Quando nei vangeli gli intellettuali giudaici disprezzano i samaritani e i galilei, che pur sono ebrei come loro, non si rendono conto di fare il gioco dell'invasore romano, che domina grazie al principio del "divide et impera". Il primato della Giudea sulle altre regioni limitrofe viene stigmatizzato dal Cristo già nel corso dell'epurazione del tempio.

Le città-stato del mondo greco erano sempre in lotta tra loro, e all'interno di ogni polis le forze disgreganti (dovute a differenza di ceti e di classi) erano sempre molto forti. Non è mai esistita una cultura del "popolo greco", anche se i greci - e questo va al loro merito - non hanno mai pensato di sacrificare l'autonomia delle loro città per creare un impero. Quando lo fecero, con Alessandro Magno, non avevano possibilità di scelta: la guerra del Peloponneso li aveva così indeboliti che non potevano opporsi alla forza macedone, la quale comunque s'illuse di poter dominare il mondo grazie anche alla cultura greca.

Con questo ovviamente non si vuol sostenere che l'unica esperienza possibile dell'essere umano sia quella terrena, quanto, più semplicemente, che una qualunque separazione di anima e corpo implica una svalutazione dell'esperienza terrena. Gli uomini devono porsi quei problemi per i quali possono intravedere una qualche soluzione. Parlare di "anima" in un contesto spazio-temporale in cui non è permesso farne esperienza diretta, non ha alcun senso. Ritenere, peraltro, che possa esistere qualcosa di umanamente "spirituale" del tutto separata da una corrispondente forma materiale, è cosa che non merita neppure d'essere presa in considerazione, anche se il fatto che ancora oggi ci troviamo a discutere su come popolare altri pianeti (che, al momento, li vediamo privi di tutto), quando non riusciamo a vivere neppure sul nostro, la dice lunga su quanta influenza abbia voluto la cultura greca in occidente.


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018