DEDUZIONE E INDUZIONE DUE MODI DI DIRE LA STESSA COSA

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DEDUZIONE E INDUZIONE
DUE MODI DI DIRE LA STESSA COSA

La differenza tra ragionamento deduttivo e induttivo non esiste sul piano pratico, essendo solo una speculazione sofistica di tipo filosofico. Tutti i ragionamenti sono induttivi, anche quelli matematici, altrimenti non sono "ragionamenti" ma conclusioni tautologiche, del tutto prive di contenuto.

Ma se il ragionamento che "produce conoscenza" è solo induttivo, si potrebbe in sostanza dire che l'induzione non è altro che una deduzione basata sull'osservazione dei fatti o su un'esperienza personale.

Facciamo un esempio, di quelli classici.

Se io dico: "in un sacchetto ci sono solo fagioli bianchi; se pesco un fagiolo posso dire con certezza che sarà bianco".

Questo viene definito un "ragionamento deduttivo", che è quello per cui, partendo da premesse chiare e distinte (come nella geometria euclidea), i ragionamenti che si sviluppano hanno tutti il carattere della certezza indiscutibile.

Che bella scoperta dedurre che da un sacchetto pieno di fagioli bianchi, vi è il 100% di possibilità di estrarne uno dello stesso colore! Che valore può avere una conoscenza che parte da presupposti certi per ottenere deduzioni altrettanto certe?

Ed ecco il ragionamento induttivo.

Se io estraggo da un sacchetto una serie di fagioli bianchi, posso arguire, con buona approssimazione, che tutti i fagioli di quel sacchetto sono altrettanto bianchi. Ovviamente, per essere sicuro al 100%, dovrei svuotare l'intero sacchetto. Però non lo faccio e mi accontento di un calcolo delle probabilità. Non ho una conoscenza "matematica", ma ne ho comunque una che mi permette di vivere in maniera relativamente sicura.

Il problema però viene proprio adesso, ed è tutto linguistico. Per non usare il verbo "dedurre" ho voluto mettere "arguire", come avrei potuto mettere "inferire". Di sicuro non avrei potuto usare il verbo "indurre", poiché, in un ragionamento del genere, non si troverebbe nessuno disposto ad usarlo.

Nella lingua italiana "indurre" vuol dire tutta un'altra cosa: p.es. "indurre in tentazione". Vuol dire cioè "sollecitare qualcuno a fare qualcosa", buona o cattiva che sia, senza usare, propriamente parlando, la forza fisica, la costrizione materiale. Si induce la coscienza con argomenti persuasivi, spesso capziosi, artificiosi, subdoli, che certamente hanno una loro logica, ma che non presumono di sottoporre il diretto interessato a un esperimento scientifico. Generalmente si è indotti a credere in qualcosa prima ancora di averne fatta esperienza.

L'induzione, nella nostra lingua, non riguarda affatto la scienza ma la psicologia. Essa può anche avvalersi di ragionamenti logici, ma non necessariamente supportati da dimostrazioni pratiche.

Questo per dire che se invece di "arguire" o di "inferire", avessi usato il verbo "dedurre", sarebbe stata la stessa identica cosa. Se da un sacchetto estraggo una serie di fagioli bianchi, posso dedurre, con buona approssimazione, che quelli rimasti dentro sono dello stesso colore.

La differenza quindi non è tra ragionamento deduttivo e induttivo, ma tra ragionamento e tautologia. P.es. un ragionamento come questo, che viene fatto passare per deduttivo, in realtà è tautologico: "è sempre vero che se A è un triangolo, la somma dei suoi angoli interni è uguale ad un angolo piatto". Qui cioè si sono fuse due induzioni separate, ottenute da esperimenti diversi, facendole passare per un'unica deduzione. Nella vita 1+1 non dà 2 ma dà sempre 1. Per avere 2 bisogna sommare 1 a 0. Anzi siccome lo 0 nella vita non esiste, poiché si parte sempre da 1, la conoscenza procede, come unità minima, da questa somma: 1+2=3.

Insomma tutti i "ragionamenti" o sono delle deduzioni che aumentano la conoscenza iniziale o non servono a nulla. Se non c'è questo "incremento", non c'è neppure "conoscenza", ma solo "fede". Infatti la fede religiosa è, per definizione, una conoscenza tautologica, sempre uguale a se stessa: una conoscenza che vive solo di presupposti indiscutibili, considerati certi per definizione.

La fede religiosa è una conoscenza che non fa aumentare di una virgola il processo della conoscenza, proprio perché non ritiene che dalla conoscenza umana possa venir fuori l'umana felicità. E' la sfiducia nell'uomo (negli altri e in se stessi) che fa nascere la fede in dio.

LA RELIGIONE DELLA SCIENZA: ILLUSIONI DEL METODO INDUTTIVO-SPERIMENTALE

Il metodo induttivo-sperimentale è irrealistico semplicemente perché, per verificare le proprie ipotesi, lo scienziato ha bisogno di prescindere da ciò che può influenzare il proprio esperimento. Cioè l'esperimento avviene in una condizione irreale, in cui le variabili (che sono una caratteristica imprescindibile della realtà) vengono ridotte al minimo o addirittura annullate.

Questo metodo non è una sintesi di esperienza e ragione, bensì di ragione e calcolo matematico. Si ottengono delle leggi che valgono solo se non esistono variabili che possono influenzare le condizioni preventivamente isolate. Sono quindi delle leggi astratte. Galilei ha creato una scienza che di "scientifico" non aveva nulla, se non appunto un calcolo matematico basato su un esperimento artificioso.

Il calcolo matematico, basato su condizioni riprodotte artificialmente, in quanto non esistenti in natura, è stato fatto sotto il pretesto di "semplificare" le cose. Ma la realtà, per sua natura, è dialettica, cioè complessa, irriducibile a semplificazioni che non tengano conto del principio secondo cui gli opposti si attraggono e si respingono di continuo. Peraltro tutti gli elementi della realtà sono strettamente interconnessi, per cui una loro suddivisione può essere fatta solo in maniera molto relativa.

Le verità della matematica sono tutte necessariamente astratte, proprio perché necessitano di condizioni che nella realtà sono poco probabili, ovvero molto artificiose, tant'è che, per essere dimostrate, hanno bisogno di esperimenti da laboratorio, oppure si avvalgono di calcoli la cui giustezza è fine a se stessa. Sulla base di questi calcoli si possono costruire imponenti grattacieli, per poi scoprire, una volta che si è preso ad abitarli, che la qualità della vita, da essi offerta, lascia molto a desiderare.

Lo sviluppo abnorme della matematica, quale si è avuto a partire dalla fine del Medioevo, è stato il riflesso di un tipo di vita particolarmente individualistico e alienato, in cui l'illusione di poter dominare la natura e l'intero pianeta con gli strumenti della scienza e della tecnica ha giocato un ruolo preponderante.

La scienza moderna ha avuto la pretesa di anticipare sulla Terra ciò che può avvenire, compiutamente, solo nell'universo, per poi rendersi conto che l'anticipazione non serve a niente (e che per mantenerla come forma illusoria occorre spendere ingenti capitali). Peraltro è sempre possibile che nell'universo si venga attratti da forze gravitazionali di qualche corpo o si possa essere colpiti da corpi le cui traiettorie sono imprevedibili (si pensi ai corpi lanciati nello spazio dall'esplosione delle stelle).

Le dimostrazioni di Newton erano, tutto sommato, semplicistiche e non tanto perché nell'universo le cose sono molto più complesse che sul nostro pianeta (il cui sistema solare si pone come forma sintetica e quindi necessariamente semplificata delle leggi dell'universo), quanto perché nel nostro stesso pianeta le variabili che impediscono il verificarsi costante e uniforme delle leggi matematiche da lui elaborate sono sempre molto alte. Non c'è alcuna legge matematica che, pretendendo d'essere considerata vera a prescindere da forme di spazio e di tempo specifici, e soprattutto a prescindere da quell'elemento imponderabile costituito dalla libertà umana, possa davvero considerarsi "realistica”.

Questo modo pseudo-scientifico di vedere la realtà è storicamente appartenuto alla classe borghese, incapace di accettare l'idea che tutte le cose sono così intrecciate tra loro che non è possibile ottenere, p.es., un moto rettilineo uniforme a prescindere da ciò che può condizionarlo, se non appunto facendo astrazioni arbitrarie (come già Galilei aveva fatto). Newton aggiungerà due nuove astrazioni: tempo e spazio assoluti. Il fatto che Newton parta da presupposti galileiani, relativi al moto dei corpi, è significativo, in quanto tali presupposti presumono, per essere verificati, molta astrazione dalle condizioni di spazio-tempo. Questi scienziati non si rendevano conto che, ricostruendo artificiosamente le condizioni dello spazio, in cui un dato fenomeno doveva verificarsi, andavano necessariamente a modificare anche quelle del tempo, letteralmente inventandosele. Dapprima hanno fatto del reale spazio fisico uno spazio sovra-fisico (ai limiti di quello meta-fisico), in cui poter cimentarsi in dimostrazioni puramente matematiche, e poi hanno prodotto un tempo sovra-storico, cioè non attinente alla realtà, seppur privo di riferimenti religiosi tradizionali, il che però non poteva certo impedire alla loro scienza di diventare una nuova forma di magia.

Una teoria non è vera solo perché produce macchine funzionanti che modificano la realtà e la natura. La verità non sta in questo tecnicismo. L'esperimento deve essere conforme a natura. Non ha senso dire che si conosce la realtà solo perché si è stati capaci di astrarre da essa alcuni elementi perturbatori, che potevano smentire le nostre ipotesi e i nostri esperimenti.

Non serve a nulla dire che dio non può conoscere meglio dell'uomo che 2+2=4. Non è così che si afferma l'ateismo. Ateismo vuol dire che non è scientifico solo ciò che è quantificabile, ma tutto ciò che è conforme a natura. Altrimenti si afferma una presunzione matematica, che però, di fronte all'ipotesi religiosa, resta impotente o quanto meno costretta ad ammettere di non potersi esprimere scientificamente al 100%.

Noi dobbiamo affermare una scienza che non ponga l'uomo contro la natura, poiché, se ci si limita a questo, non ci si può sottrarre al rischio di veder ripresentarsi l'idea di dio in sostituzione a quella dell'uomo prevaricatore e distruttore dell'ambiente. Noi dobbiamo servirci dell'uomo e della natura come partner equipotenti, che insieme possono affermare una totale indipendenza da qualunque idea religiosa.

Dobbiamo dunque tornare all'astronomia aristotelica, privandola delle sue ingenuità metafisiche, che la chiesa poté strumentalizzare molto facilmente. Cioè dobbiamo avvalerci della rivoluzione scientifica compiuta nel Seicento per escludere da qualunque teoria astronomica una qualunque componente religiosa o mistica. E tuttavia dobbiamo tornare a una visione naturale del nostro rapporto con l'universo, una visione non meccanicistica, non matematizzabile. Dobbiamo tornare a una visione basata sul "buon senso", che ci fa sembrare al "centro" dell'universo, pur sapendo di non esserlo fisicamente.

Noi siamo figli della Terra, oltre che dell'universo, cioè dobbiamo concepire il nostro pianeta come il luogo privilegiato in cui ci è dato di vivere. Le nostre coordinate di spazio e di tempo sono esclusivamente terrestri. L'universo ci appartiene solo indirettamente: è una sorta di grattacielo (per stare all'esempio di prima), in cui noi viviamo al primo piano, perché è qui che dobbiamo vivere umanamente. Non ha davvero senso che noi si cerchi di arrivare ai piani superiori quando ancora non siamo capaci di vivere al piano che la natura ci ha assegnato. I mezzi, gli strumenti che abbiamo sono idonei a questo piano; quelli che ci diamo in più non servono a risolvere i nostri problemi quotidiani.

È la natura stessa che ci indica come dovremmo vivere umanamente la nostra condizione terrena. Cosa che, a quanto pare, non siamo capaci di fare, e che c'illudiamo di saper fare usando scienza e tecnica in forme sempre più sofisticate. A che cosa ci sono serviti questi ultimi quattro secoli di rivoluzione scientifica? Abbiamo forse risolto le contraddizioni sociali causate dalla proprietà privata dei mezzi produttivi? Siamo stati forse capaci di rispettare le esigenze riproduttive della natura? Abbiamo forse smesso di vedere popolazioni affamate, assetate, in preda alle malattie più spaventose, sfruttate dai potentati economici e private di qualunque istruzione? Siamo forse riusciti a impedire le guerre, i genocidi, le violenze d'ogni genere che affliggono l'intero pianeta?

Non solo la scienza e la tecnica non sono riuscite a risolvere neppure uno di questi problemi, ma spesso hanno contribuito a crearli. Dunque è ora di fare una nuova rivoluzione scientifica, ma questa volta a immagine e somiglianza dell'uomo naturale, cioè dell'uomo che vuole vivere "conforme a natura", secondo le leggi universali e necessarie della natura.

Noi dobbiamo cercare di capire il motivo per cui gli scienziati del Seicento, per poter affermare idee ateistiche (in sé sacrosante), furono costretti: 1) a fare della natura un semplice oggetto a disposizione dell'uomo, invece di considerarla una partner privilegiata, 2) a eliminare l'antropocentrismo a favore della pluralità dei mondi abitati, che è un'autentica astrazione, in quanto anche se non esiste un geocentrismo fisico né un antropocentrismo religioso, esiste pur sempre un centro ontologico, caratterizzato da umanità e naturalità, e 3) a sostituire il geocentrismo con l'infinità dell'universo, come se le due cose siano incompatibili. Quegli scienziati fecero dell'ateismo o comunque della scienza una nuova religione, illudendosi d'essere più scientifici con l'aiuto della matematica. Inoltre hanno messo la loro scienza al servizio di potentati economici e politici, cioè per liberarsi della servitù ecclesiastica han dovuto sostituirla con un'altra.

Questi intellettuali hanno dato l'impressione d'essere "alienati" come le autorità ecclesiastiche da cui volevano emanciparsi. Apparivano, in forme e modi diversi, come l'altra faccia del clericalismo politico di derivazione feudale. Facendo della matematica la regina delle scienze, questi scienziati han trasformato la natura in un puro e semplice bene strumentale.


Web Homolaicus

Foto di Paolo Mulazzani


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018