TEORIA
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SUL CONCETTO DI MATERIA
Il concetto di materia che ha il marxismo non si differenzia molto da quello,
ilozoistico, che aveva la Scuola di Mileto, cioè quei materialisti
inconsapevoli pre-socratici. La differenza sostanziale sta nel fatto che per il marxismo l'uomo è il
prodotto finale della materia, superiore alla materia stessa, poiché dotato di
coscienza e di libertà, ma che non per questo può prescindere dalla realtà
oggettiva della materia stessa. In questa concezione del marxismo si possono
intravedere delle influenze ebraiche. I greci non hanno mai avuto una concezione così alta dell'uomo,
probabilmente perché la formazione sociale da cui provenivano era basata sulla
divisione in classi e quindi sull'individualismo. Sotto questo aspetto, la
storia del popolo ebraico risulta molto più interessante. Naturalmente, con questo non si vuol dire che “qualunque” esperienza di
collettivismo permette di valorizzare meglio l'identità del singolo. E' però
il caso di precisare che quando il collettivismo è alienante, in realtà esiste
-come ad es. nello stalinismo- la dittatura personale di un singolo leader
politico; nel senso cioè che nel collettivismo forzato deve, per ovvie ragioni,
imporsi la logica dell'individualismo, seppure nei soli livelli dirigenziali. Il
collettivismo forzato dello stalinismo non era molto diverso dal servaggio
feudale di cui si faceva paladina la chiesa cattolica. Anche quando, con Platone e Aristotele, arrivarono a considerare la materia
come qualcosa di rozzo, inerte, ostile allo spirito, i greci non fecero mai
dell'uomo un soggetto attivo della storia. D'altra parte ciò era inevitabile:
ogniqualvolta si svaluta la materia, si finisce col negare una vera libertà
all'uomo. Nel cercare di sottrarre l'uomo al condizionamento della materialità della
vita, l'idealismo lo rende sempre più succube di quel potere (politico,
culturale, religioso...) che vuole la conservazione delle cose. La materia invece va compresa in quei limiti fondamentali che l'uomo deve
assolutamente rispettare, se egli vuole agire con la massima libertà possibile. * * * La moderna filosofia della scienza ha una sorta di approccio religioso nei
confronti della realtà naturale o della materia in generale, in quanto ha
sostituito il concetto di dio con quello di universo. Prima si discuteva
sull'esistenza e sulle proprietà di dio; ora si fa la stessa cosa con
l'universo. Cioè da un concetto astratto si è passati a un altro concetto
astratto, nell'illusione che la matematica, la logica, la fisica possano di per
sé impedire un approccio metafisico, e quindi indimostrabile, alla realtà. Come prima non si poteva avere un concetto adeguato, dimostrabile, di dio, al
punto che si è concluso che dio non esiste o che comunque l'uomo può vivere come
se dio non esistesse, così oggi non si può avere un concetto adeguato di
universo, semplicemente perché le coordinate di spazio-tempo per noi vivibili
sono solo quelle terrestri. L'uomo non può discutere dei problemi dell'universo, poiché non ha le
capacità di dominarne le leggi e non può decidere se vivere o meno in conformità
ad esse. Le leggi dell'universo hanno determinato la nascita del nostro sistema
solare e quindi del nostro pianeta e quindi di noi stessi, pertanto ci
sovrastano infinitamente e noi possiamo comprenderle soltanto pensando che nel
microcosmo umano è racchiuso tutto il macrocosmo dell'universo. Studiare l'universo in sé pensando che da ciò si possa ricavare un beneficio
per la nostra esistenza terrena, è pura illusione, come era illusorio lo stesso
procedimento che la teologia applicava a dio. Nel migliore dei casi una
qualunque analisi scientifica dell'universo o delle leggi della fisica non può
dirci nulla di più di quanto si possa ricavare dall'analisi del comportamento
umano. E se anche può accadere che le analisi scientifiche dell'universo
risultino più avanzate di quelle relative alla persona umana, ciò è una riprova
che l'analisi dell'universo non incide su quella del comportamento umano. Infatti la "corrispondenza d'amorosi sensi" tra uomo e universo è possibile
solo se l'uomo vive un'esistenza naturale, legata ai cicli naturali della terra.
Ai contadini interessava conoscere le fasi della luna quando dovevano svolgere
il loro lavoro. Per il resto va detto che le contraddizioni antagonistiche della vita umana,
quelle che ci impediscono di essere noi stessi, possiamo risolverle anche senza
sapere nulla dell'universo, anche senza sapere che è la terra a girare attorno
al sole e non viceversa. DAL SEMPLICE AL COMPLESSO L'evoluzione della materia, della natura, della specie umana va da semplice
al complesso, ma a condizione che il complesso non neghi l'esistenza o
l'identità al semplice, nel qual caso il complesso torna ad essere semplice e si
ricomincia da capo (un esempio è la transizione dal mondo romano a quello
barbarico). La storia dell'evoluzione dal semplice al complesso è la storia della misura
della libertà, cioè della verifica di una facoltà, che è soprattutto umana:
quella di saggiare le potenzialità del fare, dell'agire, del costruire. Quando questa produzione dell'ingegno mette in pericolo l'esistenza stessa
dell'uomo o della natura, ecco che il complesso tende a distruggersi e a
subentrargli il semplice. O meglio, il complesso in parte si distrugge da sé, in parte invece viene
distrutto da chi subisce le conseguenze della sua malattia mortale. Il complesso, infatti, per non autodistruggersi, è sempre più costretto a
riversare su altri le conseguenze delle proprie contraddizioni insanabili, e gli
altri, per sopravvivere, sono indotti a reagire con forza, in una spirale che
sembra non aver fine. I cosiddetti "altri" possono essere le popolazioni più semplici, più
primitive (secondo l'ottica della complessità), ma anche la stessa natura. L'evoluzione è dunque una linea che va dal semplice al complesso, ma nella
misura in cui il complesso impedisce al semplice di esistere o di manifestarsi
come tale, la linea inverte il suo percorso e dal complesso si passa al
semplice, e tale percorso è spesso l'esito di eventi tragici, di sconvolgimenti
epocali, i cui protagonisti non sono solo gli esseri umani, ma anche la stessa
natura. La vera linea evolutiva non sta dunque in questo andirivieni periodico, bensì
nella progressiva consapevolezza della necessità di non negare le esigenze del
semplice nel mentre si sviluppa la complessità. La complessità ha diritto di esistere se si svolge per gradi, rispettando le
esigenze della semplicità. Quando queste esigenze vengono negate, bisogna fare
un passo indietro. Quando l'uomo non riesce più a essere umano, quando la natura non riesce più
a essere naturale, significa che si è andati oltre, cioè verso l'inumano o
l'innaturale. MATERIA E OLTRE Se non avessimo la consapevolezza di un inarrestabile declino della
nostra efficienza psico-fisica, confermata da uno stato di progressiva
debilitazione, con malattie che col tempo diventano sempre più gravi, fino
all'inevitabile morte, noi dovremmo pensare, in considerazione del fatto che
dentro di noi permangono aspetti positivi, quali la voglia di fare ricerche,
sperimentazioni, nuove conoscenze, che la vita non si concluda affatto con
questa esperienza terrena e che anzi vi sia la possibilità di un'ulteriore
trasformazione del nostro essere, in forme e modi che al momento riusciamo
solo a desiderare, come una specie di sensazione cui non si riesce a dare un
volto razionale, una veste logica. Non sembra tanto la vita a esserci di peso, quanto il fatto che gli
strumenti con cui siamo soliti affrontarla ci paiono sempre più inadeguati.
E' la percezione di uno scarto che va aumentando senza posa, tra la realtà
fuori di noi e le risorse dentro di noi, che ci porta a guardare in maniera
più distaccata i problemi della vita e nello stesso tempo più angosciosa, in
quanto ci si rende sempre più conto di una generale impotenza ad
affrontarli. Da un lato cioè vorremmo che la vita continuasse, dall'altro che finisse
al più presto. Ecco perché si pensa che la vita debba continuare in altre
forme e in altri modi, con una rinnovata energia da parte della nostra
essenza. Uno avrà la faccia, il corpo che vorrà avere e ci si riconoscerà non
solo per quello che si è stati, ma anche per quello che si vuole essere,
da qui in avanti. Tuttavia quello che si vorrà essere dovrà essere conforme a natura,
cioè a ciò che si deve essere, a ciò che tutti dovranno
essere, per essere se stessi, umani. Il riconoscimento reciproco dovrà
essere frutto di una libertà comune e non di pretese individuali. ESSERE E NULLA All'inizio c'era buio e silenzio. Nulla si percepiva, nulla si
distingueva. Tutto stava racchiuso in un punto, ch'era ovunque e che non
possiamo descrivere ma solo immaginare. Il linguaggio per descriverlo può
essere solo poetico. Quando non si ha paura del buio, non si ha paura di se stessi. Ecco tutto
ciò che possiamo dire del buio primordiale. Finché si ha paura di sé, finché
si avverte se stessi come un'anomalia, una diversità, la luce, che anzitutto
è quella interiore, non può risplendere nelle tenebre. Anche se la vedi, non
la senti tua. Ed è solo nel buio, nel silenzio, nel vuoto assoluto che ci si può
concentrare su di sé, racchiudersi in un punto, ascoltarsi, percepirsi,
avvertire quel che si è, come si è, dentro di sé. La serietà di sé
nell'umano che si è, senza infingimenti, senza mascherature, sostanzialmente
nudi. La nudità spontanea è innocenza assoluta: quella dei nudisti è finzione,
ricercatezza intellettuale. L'unica possibile è quella del neonato o quella
dell'uomo primitivo, non civilizzato. La nudità spontanea, naturale, in cui interno ed esterno coincidono, è il
buio assoluto. E' la coscienza di sé nella sua semplicità, nella sua essenza
imperturbabile, paga di sé. Il buio, il silenzio, il vuoto sono la pienezza del sé, il luogo e il
modo in cui il sé può esprimersi, in cui può uscire da sé in maniera
naturale, senza forzature. Le tenebre diventano luce quando l'interiore diventa esteriore, nella sua
esperienza duale, in quanto all'origine di tutto vi è non l'identità ma
l'alterità, cioè la diversità nell'essenza dell'essere. Non c'è prima l'io e
poi il tu, ma nello stesso momento c'è il noi: uomo-donna,
maschile-femminile, gli opposti che si uniscono. L'esperienza della luce dura fintantoché tutto ritorna al buio, che è
valore primigenio. Il nulla diventa essere con naturalezza, anche se in
questa naturalezza può esserci stata una contraddizione. Sono sempre le
contraddizioni che determinano lo sviluppo. La naturalezza dipende dal fatto
che non c'è necessità esterna che possa forzare la libertà a compiere scelte
contronatura. La comunicazione è una scelta interiore. E se dal nulla nasce l'essere,
al nulla ritorna sempre. Ogni cosa che nasce finisce, e tutto nasce da una
nascita e da una morte precedente, poiché a noi non è dato di sapere
diversamente. L'essere umano è solo una delle manifestazioni del nulla, la più
consapevole, che del nulla primordiale può solo immaginare vagamente
qualcosa. Noi non sappiamo nulla del nulla: percepiamo soltanto qualcosa
quando ci liberiamo dell'essere, quando il non-essere diventa la regola
della nostra vita. Non-essere è vivere come se non si possedesse nulla, come se si fosse
vuoti di tutto, come se non si avesse paura di nulla, come se non si fosse
nulla di diverso da quello che si è. Essere quel che si è: questa l'esperienza più profonda del non-essere. UN RAPPORTO OSMOTICO TRA MATERIA ED ENERGIA La materia si trasforma in energia. Se questo è vero in generale,
deve esserlo anche per l'essere umano. Noi siamo destinati a trasformarci in qualcosa che non è identico al
nostro corpo, ma che non è neppure in contraddizione: è una continuità
discontinua. Noi non possiamo rinunciare alla nostra fisicità, poiché è
costitutiva della nostra identità; possiamo soltanto accettare l'idea
che nella fisicità vi sia una sorta di evoluzione, come d'altra parte
appare evidente nel corso della vita di un qualunque essere umano. Noi siamo come un ferro che, riscaldandosi, cambia colore, diventa
malleabile, anzi modellabile, e che quando ridiventa freddo, torna ad
avere le proprietà di prima, ma in una forma diversa. Tra materia ed energia c'è un rapporto osmotico, di simbiosi perenne:
l'una non può negare l'altra senza negare se stessa. Cioè quel che viene
negato, lo è solo provvisoriamente, proprio per poter accedere a una
forma diversa di esistenza, più energetica e meno materiale, o il
contrario, con maggiori o minori possibilità espressive, a seconda della
condizione in cui si sceglie di vivere o in cui il tempo ci costringe a
vivere. La materia non è riconducibile a una qualità o sostanza particolare:
probabilmente per questa ragione non la si può neppure definire. Il
fatto stesso che la materia si trasformi in energia e che questa si
ritrasformi in materia, sta ad indicare che esiste qualcosa in grado di
contenere, contemporaneamente, entrambi gli elementi, in grado cioè di
gestire autonomamente i loro reciproci rapporti di potenziamento o di
condizionamento, producendo una varietà infinita di forme, di
combinazioni, che tutte però devono risultare compatibili con l'essenza
umana, che è la vera ragione della materia e della sua energia. Se la materia fosse qualcosa di assolutamente diverso dall'essenza
umana, noi non riusciremmo neppure a pensarla. Dovremmo dire che è una
cosa in sé inconoscibile, un noumeno. Ma questo modo
kantiano di pensare è contraddittorio, perché non è possibile pensare
qualcosa che non possa essere conosciuto. Se io penso a un ippogrifo,
non faccio altro che pensare a una combinazione virtuale di due animali
realmente esistenti. Con la mia fantasia posso divertirmi quanto voglio a immaginarmi
centauri e meduse. I Greci, in questo, erano formidabili. Il vero
problema in realtà è come pensare se stessi in una dimensione
universale, non semplicemente terrena. Ormai infatti è chiaro che
l'essenza umana non è solo la "ragione" della terra, ma lo è anche dell'intero
universo, altrimenti noi dovremmo comportarci come gli animali, che
vivono felici senza pensare a questi problemi. L'animale non si chiede il perché delle cose, semmai lo subisce,
specie se c'è di mezzo l'uomo. I pochi perché che si chiede riguardano
la sua stretta sopravvivenza e riproduzione. E le risposta che si dà
sono istintive o comunque frutto di un riflesso condizionato
dall'ambiente, nei limiti di adattabilità che può avere un determinato
animale. L'animale non ha il nostro stesso cervello e neppure la nostra stessa
energia. E' solo una delle tante combinazioni dei due elementi:
nell'essenza non è come noi e non ha alcuna possibilità di diventarlo.
Chi ama troppo gli animali non ama abbastanza gli esseri umani. Bibliografia |