Il comico

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Il comico
il cortocircuito tra i riflessi mentali di necessità e libertà

L'estetica del comico nella filosofia esistenzialistica

Vi proponiamo, per gentile concessione, la sezione parziale ma significativa
di un saggio pubblicato nel 2004, Necessità e libertà. L'ateismo oltre il materialismo, dall'Editrice Clinamen di Firenze
 del filosofo Carlo Tamagnone, che si occupa da molti anni di ontologia e di gnoseologia
(corrisponde al § 13.3)

Siamo giunti al punto di occuparci di un argomento che nel DR assume una particolare importanza, in quanto il comico non è soltanto ciò che ci fa ridere ma per noi è un concetto squisitamente filosofico, che ci permette di evidenziare come la necessità e la libertà vengano con esso a collidere. Ciò non avviene però in modo diretto, non potendo essere evidentemente questi due elementi-base di realtà così diverse (come materia ed aiteria) a venire in contatto diretto, bensì soltanto i loro “riflessi” mentali. Riflessi che vengono trasferiti nelle cose e nei fatti della nostra quotidianità, come anche nei principi di valutazione o nei criteri di giudizio che continuamente attiviamo nel relazionarci ai fatti e alle cose. Riflessi, il cui rapporto con la realtà è da considerarsi qualcosa di simile a un’immagine dentro uno specchio, dove lo specchio è la nostra mente. Le nostre funzioni mentali (organizzazioni e infrastrutture) accumulano e traducono ciò che noi percepiamo della necessità e ciò che intuiamo della libertà nel “nostro” linguaggio concettuale, trasferendoli sui modi di pensare e di agire che il contesto antropico (sia a livello intimo sia a livello collettivo) elabora ed istituisce, fissandoli quindi in tradizioni, schemi di riferimento, modi di pensare e modelli culturali.

Ma perché riflessi mentali? Perché nei confronti della necessità (che ci inerisce) e a maggior ragione della libertà(che ci avvolge)  noi possiamo per l’appunto agire soltanto come dei metaforici specchi, che raccolgono e riescono a possedere una mera immagine riflessa della realtà di esse. Tale immagine (il riflesso mentale) nella migliore delle ipotesi riesce ad essere relativamente coerente con la loro essenza, ma molto più spesso si può verificare mediazione o addirittura distorsione delle denotazioni di essi nell’esistenza corrente, il ché è poi in definitiva la modalità(il nostro modo d’essere) con cui siamo collocati entro la realtà stessa. Intendiamo dire che necessità e libertà, quali elementi intrinseci di materia ed aiteria, prescindono dal fatto che ci siano gli uomini a pensarli. In altre parole: i riflessi mentali sono parte della realtà antropica ma non di quella generale, di cui sono copie antropiche imperfette. Tuttavia, in quanto “pensati”, essi assumono una “funzione” particolare, che entra a far parte del nostro modo specifico di “essere uomini” e di rapportarci alla realtà, “attraverso” quegli schemi che si formano e si fissano nella nostra mente e per mezzo dei quali viene formulata la nostra personale concezione del mondo.

Il comico è quindi una sorta di “sovraprodotto” del pensare umano, proprio in quanto prodotto dal nostro riflettere “sopra” la realtà, creato e consumato all’interno del nostro esistere. Tuttavia noi siamo già predisposti ad esso attraverso il senso del comico che possediamo (analogamente a quello del tragico) in quanto eredità filogenetica, il quale è una sorta di facoltà o prerogativa “latente” sempre pronta ad attivarsi appena un’immagine, una frase, un fatto un comportamento (per lo più di carattere banale, convenzionale o rigidamente schematico) si “ribellano” agli schemi mentali ispirati dalla necessità ai quali siamo esistentivamente legati. Questi si rivelano pertanto suscettibili di un sovvertimento, causato dall’irrompere di un criterio di libertà, ad essi estraneo e imprevisto, che si traduce nello “scacco”della loro capacità di guidare o almeno di condizionare il nostro modo corrente di rapportarci al mondo. Ecco allora che il comico, irrompendo all’improvviso in uno schema mentale rigido ma anche fragile, ne rivela la sua pura convenzionalità e la sua inconsistenza, che, come è abbastanza evidente, sono illusorie e scollegate dalla realtà oggettiva. In questa situazione erompe allora il riso, che è il modo di esprimersi di chi somatizza il capovolgimento liberatorio che si è verificato nella sua coscienza. Il quale riso emerge come il modo più significativo di “essere uomini” e che ci qualifica in quanto tali rispetto a tutti gli altri animali, coi quali condividiamo quasi tutto, ma non esso.

Il comico è stato per lo più trascurato dalla filosofia (che su di esso ha anche spesso equivocato) limitandosi a considerarlo, prevalentemente e con poche eccezioni, una categoria estetica abbastanza secondaria. Il comico invece è un aspetto dell’esistenza umana profondo e complesso, che nasconde molto più di quanto riveli nello stesso riso (che ne è l’effetto somatico più noto e frequente); infatti esso può anche dare luogo al pianto, che può essere considerato una conseguenza estrema della comicità stessa. Il pianto, coincidente talvolta con lo “scompisciarsi dalle risa”(che allude ad un imbarazzante effetto fisiologico), deriva da una particolare sensibilità individuale al comico, la quale rende possibile un effetto complessivo che potremmo definire tranquillamente “shock comico”, derivante dal cortocircuito che si verifica nell’istante tra uno schema mentale e il suo stravolgimento.

Il comico si presenta quindi come un fattore fondamentale del DR in quanto si colloca (unico tra le esperienze esistenziali) sullo spartiacque tra le forme riflesse di necessità e libertà (con la quantità e la qualità i più importanti attributi della materia e dell’aiteria ) o per usare un'altra metafora “sul filo della lama” che le divide in due versanti opposti della realtà antropica. Ma nel ribadire ancora una volta che nel comico la necessità e la libertà entrano in gioco “soltanto” in una loro forma riflessa in quel metaforico specchio che è la nostra mente, ci vediamo costretti ad essere un po’ più precisi. Per cui, a voler essere un po’ pignoli, ci toccherebbe precisare che la necessità (del cui contesto noi facciamo parte) si manifesta soprattutto attraverso il riflesso che la psiche rende di essa (e secondariamente dalle altre organizzazioni), mentre per quanto riguarda la libertà(sostanzialmente fuori contesto, o meglio fuori ambito) ciò avviene prevalentemente attraverso il suo riflesso nell’intelletto e nell’idema, dove per “riflesso”, oltre ad immagine speculare, si può anche intendere la “traduzione” che viene operata della realtà percepita o intuita. Questa affermazione però richiede un chiarimento immediato, poiché qualcuno potrebbe chiedersi se il “riflesso” antropico della libertà non possa essere l’eleuteria. Ebbene la risposta è: no! L’eleuteria entra in gioco nel comportamento “attivo” avendo la propria base nella volizione mentre “il riflesso antropico della libertà” entra in gioco in un comportamento automatico e “passivo”, quale specifica caratteristica della “reazione” al comico. Ciò significa che l’esercizio dell’eleuteria avviene nella consapevolezza (sinergia tra intelletto e coscienza) mentre la “presa” del comico è un fenomeno reattivo, che coinvolge in qualche modo tutte le funzioni mentali, ma il cui destinatario finale è la psiche. La quale, in questo caso (ed è l’aspetto più interessante del comico) nel ridere di qualcosa ride nel contempo di se stessa, quale soggetto mentale produttore, anzi istitutore, di schemi mentali rigidi.

Quando il comico erompe, e talvolta si può dire “esplode” (nel riso), in un qualsiasi contesto rappresentativo o discorsivo, tutti i parametri della logica vengono sovvertiti e si apre una voragine di contrasto che crea un capovolgimento di senso tra ciò che ci si aspetta e ciò che invece arriva. Ma c’è di più: questo fatto spiazza non soltanto la psiche, che è il soggetto primario, ma anche le altre due organizzazioni materiali (intelletto e ragione) mentre l’idema resta spettatrice relativamente periferica (ma non per questo estranea) all’accadimento, in quanto è l’organizzazione che ha aperto la porta all’intuizione della libertà, che il resto della mente accoglie come riflesso esistenzialmente “utilizzabile”. All’operazione di “spiazzamento” della psiche succede però quasi contemporaneamente un “rimpiazzamento”, ma in una logica capovolta che manda gambe all’aria tutte le coordinazioni delle organizzazioni. Ciò avviene in un fenomeno mentale istantaneo assai complesso, per cui nel comico non si verifica una normale con cadenza delle organizzazioni, bensì un accavallarsi straordinario e inatteso di esse (una sorta di uscita dai loro binari funzionali) che innesca l’ilarità, che la psiche traduce in quegli stimoli nervosi che generano le contrazioni muscolari facciali tipiche del riso. Abbiamo qui adombrato l’elemento della “sorpresa” che è un ingrediente molto importante della comicità, ma non indispensabile al verificarsi di essa; infatti la sorpresa può essere anche del tutto assente, venendo rimpiazzata dall'“attesa” [165] di riudire o rivedere la battuta o la scena comica. Non è inusuale il voler rivedere un certo film più volte aspettando sempre e soprattutto “quella” scena particolare, per riprovare il piacere sperimentato la prima volta. Questa possibilità di risperimentare il comico a partire da una fonte di esso “già data e definita” non è illimitata ma dipende dalla “forza” (o meglio ancora dallo “spessore”) dell’espediente comico creato e utilizzato. D’altra parte questo può funzionare per poche o molte volte (a seconda del “dato” che si offre e del soggetto interessato che lo riceve) tendendo verso il su annullamento effettuale appena lo stravolgimento dello schema mentale si esaurisce nella noia del “già acquisito”. Tale esaurimento avviene perché la psiche ad un certo punto fissa quel “dato”di comicità come un ineliminabile “allegato” dello schema stesso che è risultato stravolto; succede infatti che ad un certo momento essa assimili la causa di rottura del suo ordine interno e nel far questo ne annulli l’effettualità.      

Il comico è stato per lo più considerato quale effetto di ciò che di per sé sarebbe (in quanto ridicolo) causa di esso. In realtà il fenomeno si verifica non già a partire da ciò che (avendo la natura della comicità) lo provocherebbe, bensì dal suo opposto. È infatti in riferimento alle cose “serie” [166], ed a partire da esse, che si scatena il comico, ed il massimo grado di esso si verifica in contrasto con ciò che rappresenta il massimo grado (o enfasi) della “serietà”, cioè il drammatico (vedi paragrafo 6.3). Così, sia l’uno che l’altro, si qualificano per la specifica appartenenza alla sfera della “rappresentazione” [167], che è come dire dell'“irrealtà” del puro rivelarsi e mostrarsi di una forma o di una situazione. Tuttavia, mentre il drammatico (che non è nelle cose e nei fatti, ma in un certo modo psichico “di vederli”) si contrabbanda per qualcosa di importante e grave afferente la realtà (di cui invece è soltanto rappresentazione psichica e spesso fittizia), al suo opposto il comico, proprio agendo sullo stesso palcoscenico della “rappresentazione”, smaschera lo “scenario” irreale che il drammatico determina. E mettendo in mostra l’inconsistenza della drammatizzazione ne smaschera soprattutto i presupposti schematici e canonici (che la psiche ha elaborato e fissato) diventando così uno straordinario demistificatore di ciò che è spesso falsamente qualificato come elemento grave e importante della realtà [168]. In questo senso, nel mostrare l’inconsistenza del “serio” il comico diventa  “rivelatore” della realtà stessa nella sua essenza, al di là della pura apparenza della rappresentazione.

Per esemplificare quali siano i presupporti del comico che abbiamo indicato come schemi mentali legati alla “serietà” si pensi all’insieme delle norme comportamentali (leggi, regole sociali, consuetudini, abitudini, ecc.), vale a dire a ciò che in generale o istituzionalmente è ritenuto importante, irrinunciabile, sacro, perfetto, ecc.. Si pensi alle credenze in generale, a ciò che riceve unanime attenzione, a ciò che tradizionalmente richiede impegno o un certo tipo di atteggiamento e così via; si avrà un quadro dei veri elementi che sono all’origine del comico. Più in generale si può anche rilevare che il comico costituisce lo smascheramento di tutti gli schemi mentali e di tutti gli stereotipi accumulati dalla cultura umana attraverso i millenni in termini di regole, costumi, usanze, canoni, norme e in modo particolare di tutti i criteri di riferimento per i concetti di bello, di buono, di normale, di regolare, di perfetto, di lodevole, di desiderabile, ecc.Nella misura in cui in un gruppo umano nascono degli schemi assiologici di riferimento, insieme con il dubbio e la critica sulla loro validità, nasce, accanto alla trasgressione attiva, la trasgressione virtuale che il comico opera, la quale consiste nel proiettare lo schema assiologico sul piano della “rappresentazione” e su questo piano operare la sua demistificazione. Il ribaltamento di valori che tale negazione opera è il più importante ed interessante aspetto esistenziale del comico.

L’opposizione serio/comico ricalca quella più comprensibile di bello/brutto, dove il concetto di “brutto” si pone perché è stato già posto prima quello di “bello”, al quale si oppone in termini di rappresentazione. Infatti il bello e il brutto in realtà non posseggono una vera realtà, vale a dire che essi non esistono in quanto realtà oggettive afferenti le cose, ma “si mostrano”, ovvero “vengono rappresentati”, quali proprietà delle cose, in base ad un nostro canone estetico di riferimento. Vi sono tuttavia un paio di differenze sostanziali tra la coppia bello/brutto e quella serio/comico, che rendono la prima più debole dal punto di vista gnoseologico (ma per contro molto forte sul piano estetico).In una certa misura non è del tutto illegittimo affermare che la bellezza appartiene alla realtà delle cose (per le ragioni che diremo) e quindi essa non si qualifica esclusivamente in base alla cultura (che ne fissa il canone) ma anche in base ad un senso estetico innato, che collima con il “piacevole”. La bellezza è tale principalmente in quanto afferisce ciò “che piace” ed infatti affinché qualcosa possa essere finito bello è necessario che esso presenti l’irrinunciabile prerogativa di risultare “comunque” piacevole. In senso lato (e non solo visivo) ciò che è bello possiede il requisito fondamentale di provocare godimento al percipiente, in primo luogo tramite i suoi sensi. Il canone del “bello” (che domina specificamente ogni contesto culturale e in modo assai diversificato) si sovrappone perciò all’innato “senso del bello” (ciò che “naturalmente” piace) e non lo elimina mai. Lo può modificare in maniera anche notevole, ma la base di partenza del concetto di bellezza, ancorché “fossilizzata”, rimane naturale e non culturale. Nel caso della coppia serio/comico la situazione si presenta in modo del tutto differente, poiché l’elemento naturale è quasi inesistente, mentre è invece determinante quello culturale. Questo rende una cosa “opportuna e lodevole”, oppure “inopportuna e disdicevole”, secondo un criterio di riferimento precostituito, quasi sempre su base sociale, possedendo pertanto tutti i caratteri della “convenzionalità”. È su tale distinzione/opposizione che si innesta il comico, il quale (facendo emergere la realtà/naturalità) mette in mostra ed enfatizza il secondo termine (l'“inopportuno-disdicevole”) smascherando così la pura convenzionalità del primo (l'“opportuno-lodevole”).

Emerge da quanto detto sopra la fondamentale funzione di smascheramento (e quindi di ripristino di una relativa “verità” concernente la realtà dell’accadere e del mostrarsi) della quale, da parte della cultura corrente e condivisa (o dominante), viene messa in opera una manipolazione a fini di utilità sociale e quindi operata una più o meno consapevole interpretazione/mistificazione. Il comico allora, molto più di ogni altro elemento etico od epistemologico, ripristina, attraverso l’ilarità, i termini reali in cui si presenta l’esperibile. Il comico, sia nella forma casuale/spontanea sia in quella artistica/intenzionale, è quindi un importantissimo mezzo di recupero (in forma più o meno rappresentativa e spettacolarizzata) della naturalità, che rivendica attraverso il riso i suoi diritti. Questo recupero di naturalità ha un’importanza fondamentale per il mantenimento e l’incremento della carica vitale (quale energia psico/somatica che regola il funzionamento di tutto il nostro essere) della quale parleremo nel prossimo paragrafo, insieme con la nichilìa, che ne costituisce la sua pericolosissima caduta.

Il comico nella forma “casuale/spontanea” è quello che compare indipendentemente dall’aspetto sociale della rappresentazione e quindi può offrirsi anche ad una singola persona. La quale può scoprirlo improvvisamente nel comportamento di un'altra persona o semplicemente nel modo in cui si veste o si muove, ma ciò può accadere altresì in un qualsiasi aspetto di un accadimento qualunque, come pure in un gesto “proprio”, colto in uno specchio o in una registrazione filmica. La forma che abbiamo definita “artistica/intenzionale” è invece quella tipica dello “spettacolo” professionale, dove lo sceneggiatore, il regista e gli interpreti costituiscono un gruppo di persone che contribuiscono al confezionamento di un “prodotto” che funziona come “produttore di ilarità”.Inutile dire che la prima forma è quella esistenzialmente più interessante, peraltro la seconda assolve una funzione socializzante di grande importanza e si deve ammettere che nelle sue migliori espressioni si rivela come un opera artistica degna di riconoscimento e stima non certo inferiori a quelli concernenti  opere “drammatiche” di pari qualità.

Ma per capire meglio quale sia la genesi del comico e come esso si produca e funzioni occorre analizzare le modalità attraverso le quali esso si genera, vale a dire gli “strumenti” coi quali, per mezzo di un’alterazione della usuale (o data per acquisita) rappresentazione di un certo aspetto o momento della realtà antropica (il “rappresentato”), si genera l’ilarità. Tali strumenti sono piuttosto vari, ma per cercare di delineare un quadro sintetico di essi ne tenteremo una classificazione provvisoria. Potremo allora dire che, a grandi linee, si possano identificare due gruppi principali di strumenti del comico: quelli che determinano una “deformazione” del “rappresentato” (di un oggetto o di una “fase” della realtà antropica) e quelli che determinano una “delocazione” di esso o di un suo elemento caratterizzante. Per proseguire nel nostro tentativo classificatorio aggiungeremo che la deformazione comica potrebbe avvenire per 1) “caricamento”, per 2) “aggiunta”, per 3) “riduzione” e per 4) “sottrazione” e che la delocazione potrebbe avvenire per 1)“inversione”, per 2) “confinamento”, per 3)“sovrapposizione” e per 4)“sostituzione”. Essendo questo libretto un’introduzione al DR e non un saggio sul comico una serie di esemplificazioni al riguardo sarebbero fuori luogo e peraltro neppure facilmente realizzabili, poiché gli esempi a cui penso e mi riferisco richiederebbero una lunga descrizione circostanziata e potrebbero anche essere poco condivisi data una certa inevitabile “personalizzazione” del comico. Ciò non tanto dal punto di vista concettuale, ma per quanto riguarda il giudizio di efficacia della rappresentazione che provoca o dovrebbe provocare ilarità, che non è mai generalizzabile essendo abbastanza spesso piuttosto individuale o contestuale (basti pensare alla satira politica o religiosa).

Tuttavia qualche indicazione di massima si rende necessaria e cercherò di darla anche se il lettore dovrà scusare una certa sommarietà semplificatoria. Per quanto riguarda il primo gruppo di strumenti del comico (quelli di deformazione) diremo che il 1) caricamento potrebbe essere essenzialmente basato sull’accentuazione di un elemento del rappresentato che già di per se stesso risulti “fuori norma”, la 2) aggiunta nell’addizione di un elemento non compatibile con l’essenza del rappresentato, la 3) riduzione con un’operazione opposta ad 1) e la 4) sottrazione con l’eliminazione di un elemento del rappresentato a causa della quale esso diventa incompatibile col contesto in cui risulta inserito. Per quanto riguarda invece il secondo gruppo (quelli di delocazione) la 1) inversione potrebbe essere prevalentemente costituita dalla decontestualizzazione del rappresentato verso una sistemazione incongruente e incompatibile, il 2) confinamento dallo svuotamento del contesto di appartenenza, in modo che al rappresentato venga a mancare il suo spazio di collocamento logico, la 3) sovrapposizione potrebbe nascere dall’accostamento al rappresentato di un suo contrario o di un diverso, incompatibili con esso nel contesto dato, la 4) sostituzione infine potrebbe consistere nello spostamento o nell’adombramento del soggetto primario della rappresentazione, mettendo al suo posto un elemento poco o per nulla conciliabile.

Tale sommaria classificazione degli strumenti del comico non va considerata ovviamente né definita né esaustiva, poiché anzi la sua eventuale validità dipenderà soprattutto dalla sua applicabilità “generale”, essa deve cioè risultare valida sia per la comicità che abbiamo definito “naturale” (concernente la vita corrente) sia per quella “artificiale” (concernente le attività letterarie, grafiche o dello spettacolo in generale) e per tutti i contesti possibili (la famiglia, la strada, il luogo di lavoro o di svago, la letteratura, la grafica,.il cinema, la TV, ecc.).  Il lettore potrà fare mente locale sulle sue fonti di ilarità e verificare se i criteri classificatori che qui abbiamo abbozzato risultino applicabili ai suoi usuali o pregressi rappresentati che lo muovono o lo hanno mosso al riso. Tuttavia, questo schema potrebbe anche essere assunto in modo flessibile, e quindi aggiornato o completato in base alle personali preferenze. Anche se penso che l’importante sia trovare quante più possibili fonti ed occasioni di comicità senza poi preoccuparsi troppo di inquadrarle in uno schema: l’importante infatti è ridere più spesso che si può e se poi se ne è anche capaci (dote di eccezionale valore) saper “far ridere” (volontariamente) gli altri .

L'interpretazione che il DR dà del comico e la sua assunzione ad aspetto fondamentale dell’esistere e del rapportarsi al mondo si offre ad un confronto con le interpretazioni canoniche di esso; dalla kantiana “attesa che si risolve nel nulla” [169], alla bergsoniana “reificazione dello spirito” col “sopravvento dell’anima sul corpo” [170], al freudiano “senso di piacere” nel vedere l “altro” che compie un eccessivo dispendio di energia fisica [171], al liberatorio trionfo del “non senso” in Baudrillard [172]o dello “spreco” in Bataille [173].

Per completare correttamente questo paragrafo sul comico dobbiamo però inserirgli un’indispensabile coda, per aggiungere qualche considerazione relativa al rapporto tra il riso in generale e la comicità, in quanto essi sono sì connessi ma non interdipendenti. Intendo dire che il comico fa sempre ridere, ma che si può ridere anche senza che si manifesti il comico o tutt’al più per effetto di una sua forma degradata di esso. Non si può infatti che sostenere la validità del vecchio proverbio che recita “il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi’’ ove si consideri che vi sono persone che ridono per un nulla e altri che sanno ridere solo di fronte alle scurrilità o alle più basse volgarità. Si badi bene, la scurrilità e la volgarità sono ingredienti importanti del comico ed è probabile che abbiano costituito una delle sue forme ancestrali, ma esse di per se stesse sono raramente generatrici di comico autentico, a meno che attuino in qualche modo una trasgressione di stereotipi sociali dominanti. In altre parole, la volgarità è un ottimo elemento della comicità, purché non diventi fine a se stessa. Per altro verso va detto che la satira e specialmente una sua forma “cattiva” (ciò che comunemente si chiama “sarcasmo”) provocano sì il riso (ma soprattutto in chi li fa più che in chi ascolta) però non necessariamente posseggono i caratteri del comico nei termini in cui l’abbiamo posto, poiché non sempre rilevano la collisione di necessità e libertà, ma piuttosto quella tra soggettività diverse, che in modo reciproco o unidirezionale cercano di danneggiarsi agli occhi degli altri. Il sarcasmo è quasi sempre fenomeno interpersonale (colpisce la persone più che gli schemi mentali generali) e la satira ha abbastanza spesso una base ideologica o comunque di parte; entrambi richiedono comunque un elevato grado di artificiosità e di elaborazione che in generale mancano alla comicità nella sua forma più autentica.

NOTE

[165] Da questo punto di vista ciò che avviene è esattamente il contrario di ciò che pensava Kant, il quale aveva definito il comico come l’effetto di un’attesa “che si risolve nel nulla”.

[166] A questo proposito è significativo che Aristotele, uomo di mondo e rispettoso di leggi e tradizioni, considerasse il comico «qualcosa di sbagliato e di brutto che non procura né dolore né danno» (Poetica, 5, 1449 a, 32 e sgg.).

[167] Potremmo definire la “rappresentazione” semplicemente come la “forma” percepibile ed intelligibile di un elemento della realtà antropica.

[168] Non sfuggirà qualche analogia con la tesi di Jean Baudrillard secondo il quale si ride del comico in quanto con esso si verifica un dissolvimento del “senso”. In altre parole il comico sarebbe effetto dell’apparire del “non-senso”.

[169] Kant definisce il riso «un’affezione che deriva da un’aspettativa tesa, la quale d’un tratto si risolve nel nulla» Critica del Giudizio, § 54).

[170] Henry Bergson in Le rire (1900) conduce un’estesa analisi del comico, visto come un importante fenomeno sociale, che si oppone alla meccanizzazione della vita quale stimolo delle facoltà immaginative e creative.

[171] Freud tratta del comico ne Il motto di spirito del 1905 e in L’umorismo del 1927. Sostanzialmente il suo punto di vista è che il riso è piacevole perché con esso si recupera l propria infantilità perduta (per F. l’infanzia è l’epoca in cui si vive con minima spesa di energia psichica) e che si ride quando si gode di un risparmio di energia psichica. Infatti, noi, nel rapportarci al mondo, dobbiamo spendere energia, ma quando ci troviamo improvvisamente in una situazione o di fronte a qualcosa che rende superfluo tale dispendio l’energia così risparmiata viene scaricata col riso.

[172] Per Jean Baudrillard «il godimento è l’emorragia del valore» ed esso c’è quando si verifica la «liberazione del non-senso », dove nulla più si risparmia ma tutto si disperde nel ridere, che assume anche il carattere di uno “scambio simbolico” con gli altri, poiché, secondo B., si ride sempre in compagnia.

[173] Georges Bataille considera il riso quasi un’esperienza mistica, simile all’estasi, all’erotismo, al sacrificio, all’ubriachezza, ecc. Tutte esperienze che Bataille qualifica come “esperienze interiori”, nelle quali domina lo sperpero di ogni riserva di logica e di ricchezza inutilmente accumulate e che sono pertanto destinate alla loro dilapidazione.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teoria
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Aggiornamento: 14/12/2018