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IDA MAGLI E I VANGELI
Impressiona abbastanza, nei vangeli, la negazione dei valori parentali operata dal Cristo, tanto più che per la società ebraica di allora i legami di etnia sangue tribù clan erano considerati fondamentali per l'identità stessa dell'individuo. A tale proposito Ida Magli fa delle affermazioni molto giuste: "Alla propria madre in quanto madre Gesù non riconosce nulla" (cfr La rivoluzione compiuta da Gesù, in AA.VV., Gesù di Nazareth: il "caso" non è chiuso, ed. Cittadella, Assisi 1984, p. 103, con successivi ampliamenti nel volume Gesù di Nazaret, apparso nel 1987). Sintomatico l'episodio riportato da Mc 3,31 ss. Allorché giunsero sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle a prenderlo per riportarlo a casa, "poiché dicevano: E' fuori di sé"(3,21), Gesù rispose pubblicamente, indicando quei discepoli intenti ad ascoltarlo in quel momento: "Ecco mia madre e i miei fratelli!"(3,34). Col che dava ancor più l'aria di uno uscito di senno. La Magli prosegue dicendo che questi passi vengono riportati dagli evangelisti "senza commenti proprio perché non ne capivano i motivi"(ib.). Il che in realtà non è vero, poiché lo stesso Marco, subito dopo, sostiene che i parenti più stretti di Gesù sono coloro che compiono "la volontà di Dio"(3,35). E lasciamo qui perdere le due osservazioni che alcuni esegeti sono soliti fare su questo versetto, e cioè che al posto di "volontà di dio" si dovrebbe intendere la realizzazione di un regno libero dalla dominazione romana, e che Maria, essendo stata vicina alle posizioni politiche dell'apostolo Giovanni (come testimonia il doppio affidamento sulla croce), non godette di alcun favore da parte di Pietro, che è fonte di Marco. E' noto infatti che la subordinazione dei legami di sangue ai legami politici, Marco la spiega semplicemente trasformando quest'ultimi in legami religiosi, in coerenza alla sua visione mistica del Cristo, il quale così, nella fattispecie della pericope, si limiterebbe semplicemente a fare un'affermazione di tipo metaforico, nel senso che non si può anteporre alla volontà divina quella umana. Se dovessimo leggere i vangeli per come essi vorrebbero essere interpretati, non capiremmo nulla della vita di Gesù, il quale, in tale occasione, avendo la pretesa di porsi come leader di un movimento politico, quello nazareno, può in realtà aver sostenuto la necessità di far valere gli interessi generali di una liberazione nazionale a quelli particolari di chi voleva rinchiuderlo in una visione privata e quindi opportunistica del problema. Nello spazio di due versetti Marco fa dire a Gesù una cosa: il pubblico è più importante del privato, e il suo contrario: la religione è più importante della politica. Ma prosegue la Magli: "l'affidamento reciproco fra Maria e Giovanni che Gesù fa sulla croce: non è 'figlio' il figlio di sangue, non è 'madre' la madre di sangue. Non si tratta soltanto di un messaggio [che però la Magli non spiega] ma anche di un'azione contraria alla legge ebraica, che prescriveva che una donna vedova rimanesse coi figli e, in mancanza di questi, coi parenti del marito"(ib.). Come noto - non però agli esegeti cattolici - il Cristo ebbe almeno quattro fratelli (di cui uno abbastanza importante per i destini della chiesa primitiva, Giacomo) e un paio di sorelle (Mc 3,32; Mt 13,55). Maria non avrebbe certo avuto problemi di "abbandono". Se Cristo affidò sua madre al discepolo prediletto, il motivo doveva esser chiaro (anche nel caso che quell'affidamento, ai piedi della croce, non fosse concretamente mai avvenuto, ma che si fosse comunque realizzato in un momento successivo): o Gesù stava protestando contro i fratelli e altri fidati discepoli che l'avevano abbandonato nel momento più difficile della sua vita, oppure voleva consegnare a Giovanni le chiavi della successione nella guida politica del movimento, dimostrando che il reciproco affidamento fattuale tra madre e discepolo prediletto, andava interpretato anche in chiave simbolica, come una sorta di ultimo testamento. Ciò di cui Pietro, intento a spiegare la crocifissione secondo la categoria della "necessità storica" o della "prescienza divina", non poté certo tenere in considerazione. Tuttavia le affermazioni più interessanti della Magli vanno oltre queste pur giuste considerazioni, e riguardano in particolare quell'umanesimo integrale che il Cristo voleva sostenere contro la cultura religiosa giudaica. "Gesù - dice l'antropologa -, eliminando qualsiasi forma di rituale, ha eliminato le basi del sacrificio, ha negato la necessità della 'vittima' e ha, di conseguenza, messo in crisi tutta la struttura del potere nelle sue più profonde e nascoste radici"(p. 105). Cioè ha voluto eliminare il "sacro" e quindi la religione, o comunque ha cercato di togliere a questi aspetti l'esercizio del potere civile e politico, con cui gli uomini vengono illusi e oppressi. "In un mondo che attribuiva l'unica possibilità di salvezza all'adempimento ossessivo delle tecniche di purificazione... rompere il 'sabato' significava... farsi simili a Dio, ossia eliminare l'opposizione 'sacro-profano'..."(p. 104). Riflessioni del genere, se sviluppate in maniera conseguente, porterebbero difilate alla tesi che nel messaggio originario del Cristo vi era molto più ateismo di quanto l'esegesi laica riesca a immaginare, cioè una weltanschauung che oggi definiremmo col concetto di "umanesimo laico", da viversi in maniera naturale quando politicamente ci si oppone all'oppressione sociale e nazionale. Non so quanto la Magli sia consapevole di questo: probabilmente essa preferisce immaginare un Cristo che rivendica "il diritto a credere in una divinità senza religioni, senza mediazioni, ossia senza il potere"(p. 105). Tuttavia una posizione del genere, che riflette maggiormente quella critica del mondo protestante, non farebbe giustizia alla radicalità del messaggio cristico, che pur la Magli stessa individua, con sufficiente chiarezza, là dove afferma che Gesù non ha mai sostenuto l'onnipotenza del dio-padre, bensì il potere del singolo uomo, cioè la sua "volontà di amore che nega il dominio sull'altro, in quanto l'altro è assoluto"(p. 106). Frase, questa, che, per evitare la caduta nell'astrattezza dovrebbe essere meglio declinata in un determinato contesto storico-politico. Ci si può chiedere, in tal senso, se l'umanesimo integrale affermato dal Cristo (che ovviamente nulla ha da spartire con quello di memoria maritainiana) non debba essere visto come strettamente correlato alla proclamata uguaglianza dei sessi. In effetti, non poco coraggio occorreva per superare la categoria della contaminazione che relegava le donne mestruate e puerpere nell'ambito della diversità intoccabile: per fare ciò si doveva comunque preliminarmente operare una rottura di quel collaudato meccanismo istituzionale che sulla base di primitive distinzioni tra "puro" e "impuro", stabiliva, in ultima istanza, ciò ch'era "sacro" da ciò che non lo era. E' vero che tale meccanismo, ai tempi del Cristo, era entrato irrimediabilmente in crisi: già il Battista, d'altra parte, aveva promosso una torsione esistenziale di non poco conto, trasferendo nell'ambito della sola coscienza la battaglia tra "puro" e "impuro". Ma è anche vero che per demolire l'edificio della falsità, in cui ancora risiedeva il potere religioso giudaico, occorreva un'energica e risoluta azione politica (contro p.es. il primato del Tempio): cosa di cui il Precursore non fu mai capace. E per la Magli neppure i discepoli del Cristo riuscirono mai ad andare oltre la semplice sostituzione di un "sacro" con un altro: anche su questo è difficile darle torto. Magli Ida, Gesù di Nazaret, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano 2004 |
Le immagini sono state prese dal sito Foto Mulazzani (sezione Natura/Fiori)