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LA LETTERA DI BERLINGUER A MONS.
BETTAZZI
storia dei rapporti tra socialismo e cattolicesimo in Italia
In una lettera aperta scritta nel luglio del 1976 a Enrico Berlinguer,
segretario generale del Pci, mons. Bettazzi, vescovo di Ivrea, mostrava d'avere
un certo timore dell'ideologia comunista e delle conseguenze politiche ch'essa
poteva determinare (il riferimento, in questo senso, andava a quei cattolici
indipendenti nelle liste del Pc, i quali, secondo lui, si stavano lasciando
ingannare dalle manovre strumentali di questo partito, sempre più intenzionato a
non fare della "questione cattolica" un impedimento per la militanza dei
credenti nelle proprie fila).
A questa lettera Berlinguer risponderà con una lunga lettera nell'ottobre
dell'anno successivo, che susciterà immediate reazioni da parte dell'"Osservatore
Romano", che si chiedeva che cosa avrebbe fatto il Pci dell'art. 5 del proprio
statuto, cioè come avrebbe conciliato il riconoscimento del valore della fede religiosa con
l'ideologia marxista-leninista.
La successiva risposta di Berlinguer non si fece attendere: nel febbraio del
'78 affermò che la filosofia del Pc non era una filosofia atea. Il XV congresso
comunista decise di modificare il suddetto art. 5 e presentò rilevanti novità
con altre due tesi, la n. 16 e la n. 68: i militanti del Pc non erano più
obbligati a riconoscere ed applicare il marxismo-leninismo. Il programma
politico del partito era, in pratica, compatibile con la singola fede religiosa
del militante.
Nella sua lettera a mons. Bettazzi, ispirata dal catto-comunista F. Rodano,
Berlinguer cercò di rassicurare il prelato dimostrandogli che l'ideologia del Pc
era diversa da quella che lui s'immaginava. Il Pc italiano infatti - secondo il
segretario generale - non si caratterizzava affatto per il suo riferimento
dogmatico al marx-leninismo. Anzi, esso aveva smesso da tempo d'essere un
partito ideologico e quindi settario, preferendo di gran lunga una soluzione più
laica e democratica.
In pratica Berlinguer, pur osservando giustamente che il riferimento al
marxismo non poteva avere alcunché di dogmatico, rinunciava a caratterizzare
ideologicamente il proprio partito, cioè dopo aver distinto - com'è necessario
fare - le questioni ideologiche da quelle politiche, aveva abbandonato
definitivamente le prime, qualificando le seconde con l'appellativo di "laicità"
e sostenendo che questa impostazione della strategia del partito esisteva già
prima della sua segreteria.
In realtà Berlinguer aveva dato una formulazione di laicità del tutto inedita
in seno al partito. Nella lettera veniva detto che il Pc non era un partito "né
teista, né ateista, né antiteista". Sino a Longo le cose non stavano così.
Ideologicamente il partito era ateista, solo che politicamente non faceva di
questo ateismo un argomento per selezionare i propri aderenti.
Anzi, sin dal 1945 Togliatti aveva introdotto una distinzione tra ideologia e
politica, permettendo l'iscrizione al partito sulla base dell'adesione al
programma politico, a prescindere dalle convinzione filosofiche o religiose dei
singoli militanti.
Ma questo anche Lenin l'aveva permesso, aggiungendovi, semplicemente, che non
era compito del partito sindacare sulle convinzioni di coscienza; semmai sarebbe
stato un problema personale per il militante conciliare le proprie convinzioni
religiose con la propaganda del partito a favore del materialismo
storico-dialettico e dell'ateismo scientifico.
E' anche vero però che Togliatti non volle mai mettere il militante credente
in una posizione scomoda del genere; anzi, pur di avere l'appoggio dei
cattolici, evitò sempre con cura di far svolgere al partito una politica
culturale a favore del materialismo e dell'ateismo. Il confronto tra cattolici e
comunisti doveva vertere su questioni politiche, socioeconomiche o al massimo su
valori culturali unanimemente riconosciuti. L'unico storico di un certo spessore
che all'interno del Pc si era permesso di fare delle ricerche chiaramente
orientate a favore dell'ateismo era stato Ambrogio Donini, che però non arrivò
mai ad analizzare criticamente il Nuovo Testamento.
Tuttavia Togliatti non mise mai in discussione il ruolo privilegiato che sul
piano ideologico andava riconosciuto al marxismo, nella versione che se n'era
data durante la III Internazionale, anche se di questo marxismo riteneva
soltanto ciò che poteva non urtare la sensibilità religiosa dei cattolici, o
comunque egli cercava di attenuare il più possibile le differenze di principio
tra filosofia marxista e teologia cattolica. Qualunque controversia ideologica
veniva considerata controproducente per il consenso elettorale, specie in un
paese politicamente arretrato come l'Italia. Anche con Longo la situazione
rimase inalterata.
Berlinguer invece volle superare ogni identificazione della politica
comunista con una particolare filosofia o visione del mondo. Non si preoccupò di
attualizzare il marxismo e il leninismo, rendendoli più coerenti con le esigenze
del mondo contemporaneo: semplicemente li considerò ideologicamente superati,
sia perché troppo legati agli sviluppi deleteri dello stalinismo, sia perché
culturalmente ottocenteschi, influenzati dal giacobinismo, non molto diversi da
una qualunque teoria del socialismo utopistico.
Il partito doveva diventare ideologicamente neutrale, totalmente
indifferente, sul piano dei principi, alle questioni filosofiche o religiose;
doveva diventare una sorta di collettore delle esperienze più eterogenee, il cui
compito non era tanto quello di realizzare il socialismo, quanto piuttosto
quello di
rendere vivibile il capitalismo.
Nella lettera a mons. Bettazzi, Berlinguer precisò a chiare lettere, con una
definizione che restò poi famosa, che il partito non era "né teista, né
antiteista, né ateista". Il fatto che non fosse teista non c'era neppure bisogno di dirlo, in quanto al massimo era alla
Democrazia cristiana che si poteva fare un rilievo del genere. Che non fosse
neppure antiteista, anche questo era da tempo scontato, poiché
l'anticlericalismo non è mai stato accettato dal comunismo italiano, né mai si
sono volute fare guerre di religione di alcun tipo (Togliatti arrivò addirittura
ad accettare l'art. 7 della Costituzione). La novità invece stava nella
negazione dell'ateismo, che sempre è stato considerato una componente
fondamentale dell'ideologia e della cultura del socialismo scientifico, benché
mai inserito (se non forse in Albania) nei programmi politici dei partiti
comunisti.
Nella sua lapidaria e inconsueta affermazione, Berlinguer aveva messo sullo
stesso piano una posizione ateista, cioè scientifica, con una teista, cioè
religiosa; e sul medesimo piano aveva messo l'ateismo, cioè il raziocinio, con
l'antiteismo, cioè l'intolleranza. In nome di non si sa quale presunta laicità,
egli aveva mescolato nello stesso brodo ideologico ingredienti
completamente diversi, e aveva trattato questi ingredienti come ideologie di
derivazione illuministico-radicale (più o meno piccolo-borghesi), considerando
in definitiva l'ateismo non una conquista matura del socialismo scientifico, ma
una sopravvivenza oscurantista ereditata da un passato da dimenticare perché
troppo intollerante.
Influenzato dalle idee dei catto-comunisti, Berlinguer era arrivato alla
conclusione che se la parola "laicità" voleva necessariamente dire (anche)
"ateismo", allora il partito sarebbe inevitabilmente rimasto integralistico,
cioè dogmatico, al pari della Dc. Per lui la "laicità" era l'antitesi
dell'"ideologia", era la forma scientifica della politica. Facendo questo però
non si accorgeva: 1. di sostituire un'ideologia con un'altra (poiché ciò è
inevitabile che avvenga), 2. di dare alla sua nozione di laicità
un'interpretazione di tipo positivistico, cioè borghese.
E' vero che il marxismo non è un dogma ma una guida per l'azione, e tuttavia
nessun vero marxista si permetterebbe di dire che su certe questioni di
principio il marxismo non è dogmatico: in questa filosofia politica vi sono
alcune leggi oggettive che per nessuna ragione al mondo un marxista vorrebbe
abbandonare, anche nel caso in cui la loro pratica applicazione fosse o fosse
stata la più sbagliata del mondo (si pensi p.es. alle tesi filosofiche
sull'automovimento e sulla perenne trasformazione della materia, sulla
dialettica, ma anche a quelle economiche sulle crisi cicliche
di sovrapproduzione, sulla caduta tendenziale del saggio di profitto, ecc.).
Privo di ideologia, il Pc finiva col cadere proprio in quel pericolo che
Berlinguer pensava di poter scongiurare, e cioè di elaborare programmi "in modo
meramente empirico, 'praticistico', senza alcun collegamento a principi, ecc.".
Son proprio queste le conseguenze che in verità bisognerebbe temere, quando si
rinuncia a un'ideologia di fondo, frutto di elaborazioni intellettuali durate
dei secoli.
La "nuova" laicità proposta da Berlinguer altro non era che una sorta di
filosofia utilitaristica ammantata di idee vagamente socialiste, un'indifferenza
gnoseologica assunta a livello di concezione ideale di vita. Separare non
tatticamente ma strategicamente la politica dall'ideologia significava fare
della politica una sorta di scienza neutra e dell'ideologia una questione
meramente privata della coscienza.
A causa di questa impostazione "sospensiva" del rapporto socialismo/credenti, il Pc arrivò a rinunciare definitivamente a una politica culturale a
favore dell'ateismo e si limitò a sostenere una sorta di agnosticismo in materia
di religione, venendo così ad equiparare le funzioni del partito con quelle
dello Stato. Si adottò questa strategia nella speranza, rivelatasi poi
illusoria, di veder allargata la propria base elettorale, facendo in modo che la
propria debolezza politica venisse compensata dall'idea di realizzare un
"compromesso storico" con la Dc, che avrebbe dovuto servire per portare al
governo i comunisti senza compiere alcuna rivoluzione.
In effetti Berlinguer non aveva fatto altro che applicare sul piano
ideologico quanto cercava di realizzare su quello politico, con la sua idea di
"compromesso storico" e di "solidarietà nazionale". Egli s'era persuaso di poter
avvicinare meglio la Dc quanto più rinunciava a qualificare il suo partito sul piano
ideologico. Voleva approfittare dell'ondata contestativa del '68 per proporre ai
democristiani una co-gestione del paese sconvolto dai disordini e dalla crisi, e
quindi per proporre un maggiore interventismo statale nell'economia.
Il problema per lui non era più quello di superare la proprietà privata dei
fondamentali mezzi produttivi, ovvero quello di come uscire dal capitalismo
senza finire nelle secche dello stalinismo, ma semplicemente quello di far
credere ai propri militanti che la democrazia borghese (tutelata dalle basi
Nato, sotto il cui "ombrello protettivo" egli diceva di voler restare) era un valore umano universale, la vera anticamera del socialismo prossimo
venturo.
La chiesa romana, timorosa di veder perdere consensi in seguito alla suddetta
contestazione generale, s'era decisa nel 1976 a por fine, almeno teoricamente,
al collateralismo dell'associazionismo cattolico verso la Dc, e aveva in parte
appoggiato gli sforzi di mediazione politica operati dallo statista A. Moro,
favorevole all'ingresso dei comunisti nel governo.
L'iniziativa ecclesiale, presa nel convegno "Evangelizzazione e promozione
umana", era stata preceduta dall'enciclica Octogesima adveniens, del
1971, con cui Paolo VI apriva il dibattito sulla pluralità delle scelte
politiche dei cattolici. I quali però nel complesso rimasero ancorati al loro integrismo politico-religioso
e talune posizioni aperturiste, analoghe a quella di Moro, furono solo delle
eccezioni. I timidi tentativi di dar credito alla laicità della sinistra, da parte della chiesa
istituzionale, furono improvvisamente interrotti dall'assassinio di Moro (cui lo
stesso Paolo VI contribuì chiedendo alle Brigate Rosse di liberarlo senza porre
alcuna condizione) e soprattutto dall'elezione al soglio pontificio
dell'integrista filo-ciellino Karol Wojtyla.
La lettera che Berlinguer spedì a Bettazzi fu oggetto di migliori attenzioni
negli ambienti sudamericani della teologia della liberazione, dove infatti si
usava la metodologia marxista senza però accettarne l'intera filosofia. Inoltre
questi teologi cattolici avevano particolarmente apprezzato il fatto che
Berlinguer riconoscesse alla religione cristiana una possibile funzione positiva
nella trasformazione della società anche in senso socialista.
Senonché la teologia della liberazione fu presto oggetto, a causa di queste
dichiarazioni, di una dura reprimenda da parte sia di Wojtyla che dell'allora
cardinale Ratzinger, i quali praticamente scomunicarono definitivamente quella corrente
ecclesiale.
Dopo il crollo della I Repubblica italiana e la fine della Democrazia
cristiana, una parte minoritaria di cattolici aderì a una sinistra che di
"socialista" non aveva più nulla e che preferiva relegare alla
coscienza dei singoli militanti l'affronto di tutti i problemi etici e
valoriali. La fetta maggiore dei cattolici preferì invece aderire alla nuova destra di
Forza Italia e della Lega Nord.
L'idea di "socialismo democratico" oggi va ricostruita completamente e di
sicuro non può essere fatto rinunciando a tutelare gli interessi del laicismo
per favorire il consenso elettorale dei credenti, né si può pensare di far
convergere la militanza cattolica verso le idee laico-borghesi rinunciando a
qualunque idea di socialismo democratico.
A. Tatò,
Comunisti e mondo cattolico oggi, Editori Riuniti, Roma 1977
(clicca
qui)
Le Carte Gozzini. Il dialogo tra cattolici e
comunisti nel secondo dopoguerra (pdf-zip)
Il carteggio tra Bettazzi e Berlinguer (pdf)
www.mondoperaio.com
Fonti
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La filosofia e la teologia filosofale. La conoscenza della realtà e la
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Vita morte evoluzione. Dal batterio all'homo sapiens
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Dal nulla al divenire della pluralità. Il pluralismo ontofisico tra energia,
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