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LA CROCE DI SPINE
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L'ultima settimana del Nazareno
L'intero capitolo 9, l'ultimo del libro di Tranfo, merita un commento a
parte, essendo quello decisivo per la comprensione della tragica settimana del
Nazareno a Gerusalemme.
Anzitutto una precisazione di merito relativa a una preoccupazione di fondo
che attraversa l'intero volume, che, ricordiamo, supera le 450 pagine ed è
frutto di molti anni di studi. Ormai l'esegesi laica dei vangeli non ha più
bisogno di dimostrare che quella confessionale è viziata in partenza, essendo
apologetica dei testi che esamina. Una qualunque interpretazione "religiosa" del
Nuovo Testamento è falsa in partenza o è comunque molto limitata, poiché non
arriva mai a mettere in dubbio le fondamenta mistiche dell'impianto cristiano.
Tranfo sarebbe dovuto partire da questo presupposto metodologico, limitandosi
a un confronto meno polemico e più concreto con tesi afferenti al laicismo, che
appartengono a tantissimi esegeti, citati solo in parte nella sua bibliografia,
e che danno per scontato un ruolo messianico del Cristo non da redentore
morale-universale ma da liberatore politico-nazionale.
Equiparare Gesù a un leader zelota è già stato fatto assai prima di Tranfo
(sono dei classici i testi di Reimarus, Eisler, Hengel, Brandon, Belo ecc.),
suscitando sempre molte perplessità. Non pochi esegeti si sono sentiti
autorizzati a proporre tale identificazione in virtù del fatto che il partito
zelota effettivamente è stato il principale protagonista della guerra giudaica.
Oltre a questo, è ben noto che tra gli stessi apostoli del Cristo ve n'erano alcuni provenienti proprio da quegli ambienti.
In realtà il movimento nazareno si costituì sulle ceneri di quello zelota,
che nel 6 d.C. aveva subìto una pesante sconfitta contro i romani: Giuda di
Galilea, insieme all'ala più radicale dei farisei, guidata da Sadok, s'erano
opposti al censimento ordinato da Quirino per la ripartizione dei tributi. Il
partito degli zeloti, nato appunto in quella occasione, era caratterizzato da un'ideologia
nettamente farisaica e, dopo la sconfitta del movimento nazareno, riprenderà la
propria ultima battaglia nel 66 d.C. con la grande guerra giudaica, senza mai
mutare la propria ideologia.
All'interno del movimento nazareno erano dunque confluiti zeloti e farisei
sconfitti, nonché quella parte di esseni-battisti che giudicava l'operato del
Precursore insufficiente per una rivoluzione nazionale.
E' importante affermare questo, proprio per evitare il rischio di equiparare
l'identità politica dei nazareni a quella degli zeloti, che, stando alle fonti
extra-bibliche, appaiono come i più intenzionati a cacciare i romani dalla
Palestina. E non solo per questo, ma anche per convincersi dell'idea che la
rappresentazione fatta nei vangeli del partito fariseo non corrisponde
esattamente alla realtà, in quanto i farisei, al tempo di Cristo, erano non meno
disposti degli zeloti a un'insurrezione armata (lo dimostra anche il fatto che
quando il fariseo Saulo di Tarso perseguitava i cristiani lo faceva perché con
la predicazione del Cristo risorto infiacchivano la volontà di resistenza
anti-romana). I farisei avevano già subìto pesanti sconfitte ai tempi di Erode
il Grande, cioè prima ancora che si costituisse il partito zelota.
Dunque quali erano le differenze fondamentali tra i nazareni e gli
zeloti-farisei? Stando ai vangeli se ne ravvisano almeno cinque:
1. i nazareni rifiutavano le forme di guerriglia extra-urbana o gli atti
urbani di terrorismo politico, preferendo la predicazione pubblica, nelle
campagne e soprattutto nelle città della Palestina, col proposito di educare il
popolo a tenersi pronto in caso di insurrezione armata nazionale;
2. i nazareni non hanno mai associato organicamente le questioni politiche a
quelle religiose, proprio perché aspiravano a ottenere il consenso di tutte le
etnie e nazionalità oppresse da Roma, a prescindere dall'atteggiamento che
ognuna di esse aveva nei confronti della religione. Nonostante che i vangeli
siano dei testi "religiosi", è difficile incontrare degli atteggiamenti di tipo
"mistico" che non siano frutto di un'evidente manipolazione redazionale;
3. i nazareni non hanno mai professato una ideologia nazionalistica che
escludesse per principio la diversità non ebraica o che esaltasse l'ortodossia
giudaica (basta leggersi l'episodio della samaritana al pozzo di Giacobbe o la
stessa parabola del buon samaritano);
4. i nazareni non hanno mai manifestato un attaccamento fanatico nei
confronti della legge mosaica (sono ben note le critiche al primato del sabato,
al divorzio facile da parte maschile, alla priorità delle offerte al tempio
rispetto ai doveri dell'assistenza sociale, alla legge del taglione e alla pena
di morte ecc.);
5. i nazareni, nella loro predicazione pubblica, si rivolgevano a tutti,
senza fare distinzioni di ruoli, di censo, di appartenenza sociale, di sesso, di
religione, di provenienza geografica, etnica o tribale. Sono molteplici gli
episodi evangelici che attestano questi atteggiamenti laici, democratici e
pluralisti.
Questo per dire che per i nazareni non si poneva all'ordine del giorno
soltanto la liberazione politico-nazionale della Palestina, ma anche una
profonda revisione dei principi etici e culturali su cui quella società
antichissima si reggeva (Gesù contestava persino la differenza tra cibi puri e
impuri, e, pur non avendo mai messo in discussione la circoncisione, facilmente ci si
sarebbe potuti arrivare partendo proprio dalla questione dei suddetti cibi: cosa
che infatti farà Paolo di Tarso, distinguendo tra circoncisione della carne e
dello spirito).
Quando il Cristo entrò in pompa magna a Gerusalemme, seduto
significativamente su un asino e non su un cavallo, nell'imminenza della pasqua,
fu accolto da migliaia di seguaci, pronti a muoversi in modo insurrezionale. Le
autorità romane e giudaiche si trovarono letteralmente spiazzate e furono
assalite dal panico: "tutto il
mondo gli va dietro!", si legge nel vangelo di Giovanni (12,19). Persino i
non-ebrei (greci) erano disposti ad associarsi coi nazareni in funzione
anti-romana (Gv 12,21). Anche tra i leader non-nazareni molti credevano in lui
in quel momento (Gv 12,42).
C'erano insomma tutte le premesse per compiere una vittoriosa insurrezione
armata, in cui il protagonista principale sarebbe stato l'intero popolo (unica
condizione peraltro per poter resistere all'inevitabile controffensiva
imperiale).
Seguendo la cronistoria dei Sinottici, la prima cosa che fece Gesù, una volta
entrato nella città santa, fu quella di cacciare i mercanti dal tempio, ma
questa azione di aperta sfida sarebbe stata del tutto irrilevante in quel momento,
poiché i nazareni avevano già il consenso necessario per compiere la
rivoluzione: i sommi sacerdoti, gli scribi, i sadducei, i farisei conservatori
sapevano che se la guarnigione romana lì stanziata fosse stata disarmata, non
avrebbero avuto di fronte a loro che due alternative: o aderire alla
rivoluzione, o farsi da parte, rinunciando a ogni forma di potere.
Quando si hanno dei dubbi circa la scansione temporale degli eventi, è sempre
bene preferire quella giovannea, la quale, in tal caso, pone l'espulsione dei
mercanti all'inizio e non alla fine della carriera politica di Gesù, esattamente
nel momento in cui i nazareni vollero porre in atto un gesto dimostrativo che li
distinguesse politicamente sia dai
farisei (che pur in parte, con Nicodemo, condivisero l'iniziativa) che dagli esseni-battisti,
i quali, pur accettandola sul piano etico, preferirono non
appoggiarla politicamente in maniera diretta.
Veniamo ora al tradimento di Giuda. La motivazione di questo gesto può essere
compresa analizzando l'atteggiamento tenuto dall'apostolo in occasione
dell'arrivo di Gesù a Betania, dopo la morte di Lazzaro. Proprio a motivo di
quella sconfitta (Lazzaro può essere stato ucciso in uno scontro armato tra i
suoi seguaci e i romani), Giuda ritenne fossero prematuri i tempi per
un'insurrezione nazionale; di qui la sua riprovazione nei confronti di Maria,
sorella di Lazzaro, che cospargendo di profumo il Cristo voleva anticipare
simbolicamente il trionfo di lui come messia.
Tuttavia, proprio la morte di Lazzaro (che probabilmente era un leader
zelota) convinse molti giudei ad affrettare il momento dell'insurrezione
generale, anche a motivo dell'imminente pasqua, sicché si misero d'accordo col
Cristo per preparare il suo ingresso nella festività delle palme.
Giuda entrò nella capitale insieme agli altri apostoli. Non aveva ancora
deciso di tradire la causa rivoluzionaria, e certamente, di fronte a quella
imponente accoglienza, non avrà neppure pensato minimamente di farlo.
Sbaglia tuttavia Tranfo a considerare Giuda un estremista zelota, un
appartenente alla "setta dei sicari", poiché se ciò fosse stato vero, il
tradimento avrebbe avuto motivazioni opposte a quelle che risultano leggendo il
IV vangelo. Giuda non tradì perché vedeva nel Cristo un insopportabile
temporeggiatore, ma, al contrario, perché nel proprio moderatismo (farisaico) egli
temeva che la decisione di compiere in quel momento l'insurrezione non avrebbe
sortito l'effetto sperato.
Giuda era più vicino ai farisei che agli zeloti, e lo dimostra anche il fatto
che quando il Cristo lo incarica di compiere la missione decisiva per
organizzare l'assalto alla guarnigione romana ("Quello che devi fare, fallo
presto"), il target di riferimento non poteva certo essere il partito zelota
(già convinto sul da farsi), ma solo quello fariseo, diviso al proprio interno
tra favorevoli e contrari. Che il partito zelota "scalpitasse" lo dimostra anche l'episodio di Barabba,
che rischiò di mandare tutto all'aria col proprio atteggiamento terroristico.
Giuda insomma non eseguì l'ordine di Gesù coll'intenzione di tradirlo, ma lo
tradì nel mentre lo eseguiva, condizionato dal parere avverso dei farisei. Il ritardo con cui compì la sua missione fu dovuto al fatto che le autorità
giudaiche andarono ad avvisare la guarnigione romana di tenersi pronta a uno
scontro armato notturno; e lo stesso ritardo indusse Cristo e gli apostoli a
intuire il pericolo imminente e a rifugiarsi sul Getsemani, come altre volte
avevano fatto, anche insieme a Giuda.
Che i romani fossero d'accordo sin dall'inizio nell'eliminare quel leader
pericoloso chiamato Gesù Nazareno, disperdendo tutto il suo movimento, è
dimostrato non solo dalla presenza della coorte al momento della cattura, ma
anche da tutta la messinscena del processo pubblico, attraverso cui le autorità
giudaiche e romane dovevano far risultare che il Cristo veniva giustiziato col
consenso popolare, anzi, dalla stessa volontà popolare.
Infatti la sua fama era ormai diventata troppo grande perché la si potesse
eliminare in gran segreto (come p.es. accadde nel caso del Battista). Se gli
scherni della soldataglia possono essere stati improvvisati, certamente non
possono esserlo stati né la flagellazione né lo scambio con Barabba, che
dovevano entrambe servire per saggiare il livello di partecipazione alla
decisione di eseguire una condanna a morte.
Tranfo si è scandalizzato del fatto che la popolazione che aveva accolto Gesù
come un messia liberatore nella festività delle palme, sia stata la stessa che
lo condannò a morte una settimana dopo. In realtà la condanna a morte non
avvenne affatto nella convinzione di dover rinunciare alla liberazione
nazionale. Semplicemente in quel momento si riteneva che uno come Barabba o un
partito come quello zelota avrebbe dato maggiori garanzie di successo rispetto a
quello nazareno. Per poter eliminare il Cristo, Pilato fu costretto a liberare
Barabba, che la folla fu indotta in quel momento, dalla maestria politica dei
poteri giudaici costituiti, a ritenere più
pericoloso per i romani. Al massimo dunque ci si potrebbe meravigliare della
brevità dei tempi con cui è avvenuto questo capovolgimento di fronte.
Certo, la folla avrebbe dovuto insospettirsi che la decisione di condannarlo
trovasse all'unisono le autorità giudaiche e quelle romane. Tuttavia, per fugare
il dubbio della complicità, le autorità giudaiche affermarono ad un certo punto
che Cristo meritava di morire non perché voleva la liberazione della Palestina,
ma perché faceva professione di "ateismo". Questioni politiche e
questioni ideologiche si sono trovate sullo stesso binario quando si dovette
prendere la decisione di giustiziarlo.
Fonti
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La filosofia e la teologia filosofale. La conoscenza della realtà e la
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Vita morte evoluzione. Dal batterio all'homo sapiens
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Dal nulla al divenire della pluralità. Il pluralismo ontofisico tra energia,
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