METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICA
Dalle conoscenze alle competenze, passando per le opzioni


LO SCHIAVISMO NELLA STORIA

Manifesto sovietico del 1 maggio 1920

Quando si parla del passaggio dalla preistoria alla storia e si introduce la descrizione delle cosiddette "civiltà", si dovrebbe precisare immediatamente che si tratta pur sempre di civiltà basate sullo schiavismo e che il termine di "civiltà" andrebbe considerato in relazione a questa specifica formazione socio-economica, sostanzialmente assente nel periodo della preistoria.

In tal senso la storia andrebbe studiata a ritroso, partendo dall'epoca contemporanea e risalire fino a quella primitiva. La storia non dovrebbe essere basata tanto sull'evoluzione della scienza e della tecnica, quanto piuttosto sull'involuzione dei processi sociali e dei comportamenti umani. Eroi, miti, leggende, religioni, monarchie, guerre... tutto fa parte in maniera diretta e consequenziale della scelta che ad un certo momento è stata operata a favore dello schiavismo, ovvero a favore della proprietà privata in antagonismo a quella collettiva.

E sarebbe interessante verificare se nella preistoria il passaggio dal nomadismo alla stanzialità, in cui si praticavano agricoltura e allevamento e in cui si cominciò con le manifestazioni artistiche a esprimere una certa nostalgia per i tempi passati, può essere letto come una sorta di innocente anticamera alla formazione dello schiavismo.

Resta comunque incredibile che ancora oggi nei manuali scolastici di storia si ponga una netta differenza tra "storia" e "preistoria" basandosi sull'introduzione della scrittura, sullo sviluppo delle città o dei metalli, senza precisare che tali fenomeni sono una diretta conseguenza della nascita dello schiavismo.

Come non rendersi conto che i cosiddetti "documenti storici", basati appunto sulla "scrittura", altro non sono che testimonianze di un interesse di classe (dei potenti o comunque dei vincitori in guerre sanguinose)? Come non rendersi conto che gli intellettuali che li hanno redatti erano semplicemente al servizio esclusivo di questi potentati? Queste sono fonti storiche che ci fanno capire le cose meno dei fossili e dei reperti archeologici.

A noi occidentali sembra del tutto naturale considerare come appartenenti alla storia tutte quelle civiltà che si sono fondate sulla guerra, sullo sviluppo delle civiltà e dei commerci, sulle differenze sociali e gerarchie politiche ecc. Questa scontatezza metodologica proviene dal fatto che non mettiamo mai in stretta correlazione capitalismo con schiavismo. Nessuno storico avrebbe mai il coraggio di affermare che le attuali radici del capitalismo affondano nel lontano schiavismo di quelle civiltà.

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Nell'analizzare le cosiddette "meraviglie" delle civiltà scomparse (p.es. le piramidi egizie), spesso gli storici o i ricercatori si limitano a osservazioni di tipo tecnico-scientifico e dimenticano di sottolineare il fatto che è stato il sistema schiavistico ha produrre quelle "meraviglie". Si cita lo schiavismo solo per dire che ci vollero moltissimi schiavi per realizzare quelle opere.

In realtà lo schiavismo non produsse solo quelle opere colossali (utili al prestigio dei potenti), ma trasformò anche l'ambiente in cui quelle opere venivano collocate; nel senso che, non meno dei colossali mutamenti climatici, lo schiavismo è stato responsabile di guasti irreparabili all'ambiente (desertificazione e spopolamento di zone un tempo rigogliose e densamente abitate, estinzione di specie animali ecc.).

Lo schiavismo ha modificato il corso dei fiumi e le temperature, i climi, l'umidità atmosferica: è stato un processo storico così violento, pur nella sua progressiva gradualità, che sono andate distrutte persino le prove di queste immani tragedie.

E' grave che gli intellettuali trascurino di considerare gli effetti negativi sull'ambiente che possono aver avuto delle civiltà basate sull'antagonismo di classe. Anche perché poi, nonostante la nostra pretesa scientificità, si arriva spesso a credere che le cosiddette "meraviglie" di quelle mitiche civiltà sono state costruite in maniera del tutto (o quasi del tutto) sconosciuta.

Il sistema schiavistico, basato sullo sfruttamento dell'uomo e della natura, è durato almeno 4.000 anni, raggiungendo il massimo dell'efficienza possibile sotto i romani. In Africa la più potente civiltà schiavistica è stata quella egizia; in Medioriente quella assiro-babilonese; in Sudamerica quella azteca; in Asia tantissime popolazioni vivevano in stato di schiavitù sia in India che in Cina.

Oltre allo schiavismo vi sono stati, nel complesso, altri 2.000 anni di sfruttamento meno violento, che passa sotto i nomi di colonato e di servaggio.

Oggi ci troviamo a cavallo del millennio che caratterizzerà lo sfruttamento del lavoro salariato, tipico del sistema capitalistico, che è appunto iniziato nel XVI sec.

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Dopo il cristianesimo lo schiavismo, cioè lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, non poteva avvenire che nella formale determinazione giuridica della libertà personale.

Lo sfruttamento cioè non poteva più porsi, almeno in apparenza, come conseguenza di un esplicito rapporto di forza (come appunto nello schiavismo classico), ma doveva necessariamente celarsi dietro la maschera del consenso volontario dello sfruttato.

Tuttavia, per poter sfruttare la manodopera (attraverso il lavoro salariato), a prescindere da un esplicito rapporto di forza (come p.es. nel servaggio, in cui il contadino era incatenato alla terra), era indispensabile che tra lo sfruttato e lo sfruttatore si ponesse un terzo elemento: la macchina, sostitutivo del primato che in precedenza si attribuiva alle braccia e alla terra.

E' appunto la macchina che media un rapporto che non può più essere diretto, ovvero basato sull'uso esplicito della forza. La macchina e la tutela giuridica della libertà personale vanno di pari passo sotto il capitalismo.

Il macchinismo quindi non è nato semplicemente allo scopo di produrre di più in minor tempo: esso piuttosto è il risultato di una vera e propria "rivoluzione culturale". Non ci sarebbe stato lavoro salariato, cioè moderno schiavismo (fisico e oggi soprattutto intellettuale) se non si fosse dovuto tener conto che il cristianesimo aveva posto in essere il valore della persona.

LO SCHIAVISMO EUROPEO E AMERICANO

Spesso noi diciamo che gli europei hanno compiuto un enorme genocidio in America, subito dopo i viaggi degli esploratori. Tra indios e indiani sono state sterminate circa 80 milioni di persone.

Questo è un fatto e su questo fatto gli storici si sono divisi in due grandi categorie: gli uni giustificano il genocidio in nome del progresso e della diffusione di una civiltà più avanzata e lo addebitano alle enormi distanze che le separavano; gli altri fanno risalire proprio a quel massacro la nascita del colonialismo e, in definitiva, la fonte delle principali ricchezza dell'occidente: in tal senso il colonialismo oltreoceano verrebbe a situarsi in quella linea di tendenza che ha caratterizzato l'Europa occidentale a partire praticamente dai romani, passando attraverso il medioevo cristiano.

Detto questo però noi non riusciamo ancora a capire il motivo per cui un'immensa popolazione, come quella indigena delle due Americhe, si sia lasciata sopraffare, in maniera così repentina, da un nemico numericamente così poco significativo.

Sono state naturalmente formulate alcune ipotesi, che però non spiegano sino in fondo le cause di quella incredibile catastrofe:

  1. gli indigeni non possedevano le armi dei conquistatori;
  2. gli indigeni pensavano che la loro terra fosse sufficiente per tutti, inclusi in conquistatori, per cui non vedevano particolari conflitti di proprietà;
  3. gli indigeni capirono troppo tardi che i nuovi arrivati erano in realtà dei conquistatori senza scrupoli;
  4. gli indigeni furono sterminati anche da nemici invisibili, come le malattie o i virus introdotti dagli europei.

Anche supponendo che tutte queste cause, ed altre ancora, siano giuste, rimane sempre la chiedersi la domanda di fondo: perché non ci fu adeguata resistenza? Cioè per quale ragione il numero assolutamente superiore degli indigeni non ebbe la meglio su quel pugno di colonizzatori della prima ora? E per quale ragione non ci fu mai un momento in cui quell'enorme numero abbia assunto la fisionomia di un unico popolo in lotta contro l'invasore? Qual è stato il colossale errore di valutazione compiuto dalle popolazioni indigene? E' stato soltanto un errore di valutazione o, in definitiva,  la successione degli eventi non poteva andare diversamente?

Dev'essere tristissimo per una popolazione entrare nella storia come popolo colonizzato. Oggi non resta quasi nulla di quelle antiche civiltà pre-colombiane. Ovvero, se esiste, non è su di esso che viene basata l'opposizione al capitalismo. E comunque più il tempo passa e meno possibilità ci sono di salvaguardare queste forme di civiltà alternative al capitalismo.

Bisognerebbe riflettere di più sulle motivazioni culturali che hanno portato alla catastrofe. E' infatti probabile che che nel momento in cui gli europei approdarono nelle Americhe, qui le civiltà fossero già fortemente in declino sul piano delle motivazioni ideali.

E' cioè probabile che quelle civiltà avessero al loro interno delle lacerazioni già così forti da rendere praticamente impossibile una resistenza collettiva al nemico.

L'Europa non ha vinto le Americhe perché aveva una civiltà superiore, ma perché era superiore la propria organizzazione dello schiavismo rispetto a quella degli indigeni. I colonizzatori avevano un'ideologia molto più sofisticata con cui legittimare lo schiavismo e, nel contempo, l'esigenza del suo superamento: il cristianesimo, nelle sue varianti cattolico-romana prima e protestante poi.

Si è trattato insomma dello scontro di due civiltà schiavistiche, di cui una era agli albori (nella versione moderna, quella europea), e l'altra alla fine. Non a caso la resistenza maggiore ai conquistatori non è stata fatta all'inizio, dagli indigeni delle Americhe centrali e meridionali, ma alla fine, dagli indiani del Nord America, che non avevano conosciuto lo schiavismo, essendo sostanzialmente una civiltà nomade.

Già al tempo di Colombo lo schiavismo era diffuso in quasi tutta l'America latina, o comunque esso era largamente praticato dalle civiltà dominanti. Tant'è che non incontrò schiavismo solo nelle poche isole del suo prima approdo.

Detto questo, bisognerebbe cercare di capire il motivo per cui lo schiavismo delle civiltà andine non sia riuscito a evolvere verso forme superiori di organizzazione basata sullo sfruttamento del lavoro altrui o, al contrario, verso forme di democrazia.

Per quale motivo ha prevalso nei confronti dei conquistatori la filosofia della sconfitta e della rassegnazione? E perché i conquistadores sono stati percepiti come "giustizieri" mandati da un dio remoto, con l'intento di punire una civiltà che aveva enormemente "peccato"?

Forse l'arrivo degli europei ha impedito agli amerindi di attribuire a loro stessi le cause del loro irreversibile declino come civiltà schiavista, un po' come gli egizi nei confronti dei romani. Lo si comprende dal fatto che, pur potendolo fare con successo, non opposero alcuna vera resistenza al loro massacro. La sconfitta venne percepita come una sorta di autoimmolazione per la colpa di aver deviato dalle tradizioni più antiche, che certo schiaviste non erano.

Forse un giorno gli amerindi e le classi più oppresse che discendono dall'Africa e dagli stessi europei là emigrati per necessità riusciranno a capire che il loro debito è stato già abbondantemente pagato e che nessuno ha il diritto di approfittare delle debolezze altrui per poter vivere di rendita.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Metodologia della ricerca storica
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Aggiornamento: 01/05/2015