METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICA
Dalle conoscenze alle competenze, passando per le opzioni


ERMENEUTICA STORIOGRAFICA MINIMALISTA

I

Quando si prende in esame qualunque testo, la prima cosa da fare è analizzare il periodo storico in cui è stato scritto. Tutte le cose hanno un senso relativamente preciso solo se vengono collocate in uno spazio e in un tempo determinati. Questo a prescindere da tutto il resto, cioè dal contenuto dell'opera e dal modo come è stata scritta.

Il contesto spazio-temporale riguarda non solo il luogo in cui l'opera è stata prodotta, ma anche la cultura dominante di quel luogo (che può avere più o meno riferimenti alla filosofia, alla religione, alla scienza, all'arte, al diritto ecc.), e naturalmente gli avvenimenti salienti accaduti nell'arco di almeno un secolo, quelli di tipo socio-economico e politico (ed eventualmente militare).

Fatto questo, non resta che prendere in esame la biografia dell'autore, là dove è possibile farlo. Anche questa, infatti, può aiutare a capire il significato di un'opera letteraria (se non di tutto il suo contenuto, almeno di una sua parte: molto dipende da quanto l'autore ha investito di sé la propria opera). In genere, tuttavia, la biografia non è mai più importante del contesto storico, neppure nel caso in cui si sia in presenza di un'opera autobiografica.

Un'opera è tanto più interessante quanto più ci permette d'interpretare un'epoca, un periodo storico, un contesto sociale, una tendenza culturale, più che la psicologia di un intellettuale. Il che ovviamente non vuol dire che il testo debba essere un'opera storiografica: può essere qualunque cosa.

Peraltro, un autore può anche aver scritto mille volumi autobiografici e non per questo avere di sé maggiore consapevolezza di un interprete che lo prende in esame un secolo dopo. Questo perché l'interprete ha il vantaggio di poterlo vedere in un determinato contesto spazio-temporale che ha subìto una certa evoluzione storica.

Uno non può mai avere la pretesa d'interpretare se stesso meglio di quanto possa fare un altro. Certamente tutto è relativo, ma si è soliti dire che una visione distaccata delle cose, non coeva ai fatti vissuti, può aiutare a formulare giudizi più obiettivi.

Tuttavia, se si pensa che possa bastare un distacco cronologico del genere per riuscire a formulare giudizi più obiettivi, ci s'illude. Questa cosa può aiutare sul piano psicologico, ma per l'oggettività di un'interpretazione ci vuole ben altro. In fondo il passato non ha meno diritti del presente. Non possiamo pensare, solo perché viviamo nel presente, di poter giudicare il passato meglio di quanto il passato potesse giudicare se stesso.

Per poter formulare un giudizio obiettivo dei fatti storici e della vita di una persona, occorrono conoscenze dettagliate, riguardanti soprattutto gli aspetti conflittuali che si sono dovuti affrontare. Sono almeno 6000 anni che l'uomo vive in società caratterizzate dagli antagonismi sociali. Non si può certo prescindere da questo fatto.

Un qualunque testo scritto è condizionato da questi conflitti. Anzi, il fatto stesso che si sia in presenza di una scrittura, è di per sé indice della presenza di un certo conflitto. La scrittura infatti è una caratteristica delle civiltà basate sulla divisione oppositiva in ceti o classi.

In tal senso diventa fondamentale sapere il motivo per cui un autore ha voluto scrivere una determinata opera. I motivi possono essere alti o bassi: voler cambiare le cose o semplicemente limitarsi a sopravvivere. Scrivere opere per contestare il sistema o una sua parte e scriverle invece per compiacersi i potenti di turno son cose del tutto diverse. Chiunque è in grado di capire che c'è differenza tra speranza e rassegnazione, anche se i rassegnati interpretano la speranza come una forma d'illusione. Senza poi considerare che molti intellettuali vedono nei potenti di turno l'incarnazione di tutte le loro speranze, e, proprio per questa ragione, diventano spietati contro chi nutre speranze diverse.

In ogni epoca storica e in ogni autore di opere letterarie (che poi possono essere artistiche in senso lato) vi sono istanze di liberazione o di emancipazione che si vorrebbero veder realizzate. E poiché esistono poteri dominanti che lo impediscono, è evidente che le motivazioni possono esprimersi in forme e modi controversi.

Un autore deve sempre tener conto del fatto che non è libero di esprimere le proprie istanze come vorrebbe: deve tener conto di un potere che l'opprime, che lo minaccia, che può infierire contro di lui proprio a motivo di quanto ha scritto. Una cosa infatti sono le parole che si dicono, un'altra i testi scritti, pubblicati e divulgati da un editore. Un'altra ancora son le parole o i testi che si concretizzano in movimenti sociali o politici. In tal caso i poteri dominanti non fanno alcuna differenza tra parole e testi: tutto diventa ugualmente pericoloso.

Questo significa che un interprete deve saper andare al di là delle parole (che per lui sono prevalentemente scritte, se non può fare riferimento a una consolidata trasmissione orale). Parabole, allegorie, metafore, fiabe, miti... possono essere non meno significativi dei riferimenti diretti, espliciti, a luoghi e persone; anzi, spesso, sul piano più strettamente linguistico-letterario possono risultare più efficaci. La censura può produrre, indirettamente, dei capolavori.

Dopo aver esaminato il contesto storico e la biografia dell'autore, sarebbe opportuno, al fine di dare una collocazione attendibile alla sua opera, leggersi le interpretazioni che di quell'opera sono già state date. Quante più informazioni si possono ottenere, tanto meglio sarà. In tal senso non è affatto vero che le interpretazioni altrui possono influenzarci negativamente. I criteri interpretativi uno deve già averli nella propria testa.

Il vero problema, nell'ermeneutica, è piuttosto quello d'individuare i luoghi semantici più significativi di un'opera, al fine d'interpretarne al meglio il suo senso generale, le motivazioni che l'hanno generata, la personalità dell'autore in riferimento all'epoca in cui è vissuto o anche semplicemente le novità concettuali rispetto a quanto prima di lui era stato detto.

Non meno interessante, nel caso in cui si abbiano a disposizione più opere dello stesso autore, è di verificare le coerenze o le contraddizioni o gli sviluppi tra un'opera e l'altra. Non è detto, infatti, che le opere più significative di un autore siano quelle della maturità, magari solo perché scritte infinitamente meglio di quelle del periodo giovanile. Non è certo un caso raro vedere un autore che nella sua maturità nega un valore significativo alle istanze che aveva in gioventù.

Generalmente i luoghi più semantici di un'opera letteraria, che possono essere singole affermazioni o determinati brani, non vengono quasi mai evidenziati dall'autore. Certo, è possibile usare il grassetto, il corsivo, il sottolineato o altri accorgimenti, ma di regola l'autore vuole che la sua opera venga letta tutta intera, proprio perché lui stesso la vede come un unicum, come fosse un dipinto o una scultura, per cui è compito dell'interprete saperne sviscerare i tratti salienti.

Non bisogna peraltro sottovalutare il fatto che non tutto quanto un autore mette in evidenza può davvero essere considerato più importante di altre cose. Cioè non è detto che un autore debba essere interpretato così come voleva esserlo. Anzi, di solito, questa è cosa da evitarsi, per quanto un autore possa sempre sostenere che se dalle sue teorie sono scaturite delle pratiche irrazionali, ciò è appunto dipeso dal fatto che lo si era frainteso. Spesso, per comprendere un autore, risulta più importante non ciò che ha scritto, ma ciò che non ha scritto (e che magari avrebbe dovuto scrivere, nel senso che era nelle sue possibilità il farlo e che invece non ha voluto fare per determinate ragioni, non necessariamente esplicitate).

Gli uomini non sono macchine: quando scrivono qualcosa, sono incredibilmente complicati. È la scrittura stessa che induce a esserlo, proprio perché è un'esperienza individuale, che, nel mentre la si pratica, sottrae se stessi dal giudizio altrui (a meno che non si tratti di un'opera a più mani, ma non è questo che fa di per sé aumentare il suo tasso di "oggettività": non è la quantità degli autori che rende un'opera più significativa). La scrittura, di per sé, che sia individuale o collettiva, è sempre una forma di alienazione e, come tale, presuppone elementi di falsificazione o addirittura di mistificazione, anche a insaputa dello stesso autore, anche a prescindere dal tipo di filosofia o di ideologia che si vuole rappresentare.

Nell'ambito delle civiltà antagonistiche la scelta di un mezzo espressivo non è mai innocente: l'uso di un qualunque mezzo espressivo è viziato in partenza. Il che non vuol dire che un'opera artistica contenga aspetti meno falsificanti o mistificanti di un'opera letteraria. Nessuno pubblica qualcosa in un'isola deserta, poiché, se davvero capitasse una situazione del genere e uno si sentisse libero di dire o di fare quel che vuole, alla fine non avvertirebbe la motivazione a produrre alcunché. Si produce arte o letteratura per dire qualcosa a qualcuno, anche se, proprio mentre si fa questa comunicazione, si esprime un certo disagio, una certa sofferenza.

Se in una data comunità non si producono opere artistiche o letterarie, si può anche pensare, molto semplicemente, che non avessero alcun bisogno di farlo. L'assenza di opere artistiche o letterarie non necessariamente deve far pensare a bassi livelli culturali, a insufficienti forze produttive, a scarse divisioni del lavoro, o addirittura a forti oppressioni da parte dei poteri dominanti. Non siamo obbligati a vedere dei problemi laddove è possibile che non ve ne siano. È vero che non dobbiamo essere ingenui, ma è anche vero che dobbiamo stare attenti a non leggere il passato con gli occhi del presente. Guardare obiettivamente le cose non significa che dobbiamo anzitutto essere "critici".

II

L'ultima cosa da considerare, quando si fa ermeneutica (soprattutto quella di tipo storiografico), riguarda il concetto di "cultura". Oggi il meglio della cultura si esprime in due direzioni - dalle quali, se vogliamo essere un minimo onesti, non possiamo prescindere -: una è quella dell'umanesimo laico, l'altra quella del socialismo democratico. Queste due direzioni culturali sono frutto di un'evoluzione storica. Certo, non si sono ancora affermate in tutta la loro evidenza, in quanto vi sono stati tragici errori e clamorosi ripensamenti, e tuttavia il processo storico tende verso di esse.

Ora, com'è possibile interpretare obiettivamente il passato sulla base di queste due direzioni culturali quando esse stesse sono il prodotto di un'evoluzione storica? Inevitabilmente rischiamo di dare del passato un giudizio sempre negativo, o comunque rischiamo di non essere sufficientemente obiettivi.

Tuttavia riusciremo a superare questo handicap se ci atterremo a due tipologie di considerazione storica: la prima riguarda il fatto che le civiltà antagonistiche sono nate proprio opponendosi all'ateismo naturalistico e al comunismo spontaneo dell'epoca cosiddetta "preistorica". Questo per dire che le due suddette direzioni culturali sono sì il frutto di un'evoluzione storica, ma solo nel senso che oggi stiamo recuperando, consapevolmente, ciò che un tempo vivevamo in maniera del tutto spontanea e naturale. Tutte le civiltà, in tal senso, andrebbero considerate come delle anomalie caratterizzate da molta artificiosità, la quale tende ad aumentare quanto più ci si allontana dalla preistoria, ma tende ad aumentare, proprio a causa della gravità delle contraddizioni, anche la necessità di ritornarvi per poter sopravvivere come genere umano.

La seconda considerazione riguarda il fatto che all'interno delle stesse civiltà antagonistiche si possono trovare, relativamente alle due suddette direzioni, delle tracce, più o meno visibili, di umanesimo laico e/o di socialismo democratico, espresse in forme che oggi tendiamo a giudicare superate, ma che, a quel tempo, avevano un certo significato: le forme cosiddette "religiose".

Nell'ambito delle civiltà antagonistiche la cultura dominante e, spesso, anche quella contestativa hanno sempre delle connotazioni di tipo religioso (si pensi che il primo Stato chiaramente laico, separato dalla chiesa, è nato solo con la rivoluzione d'Ottobre, anche se il marxismo-leninismo usato in maniera dogmatica si trasformò ben presto in una sorta di religione laicizzata). Ora, se ci caliamo nei periodi storici di determinate civiltà, non possiamo esimerci dall'affrontare i loro contenuti religiosi solo perché oggi, dall'alto della nostra scienza, li consideriamo del tutto irrilevanti. Un interprete non solo deve saper individuare, all'interno di queste religioni o filosofie religiose, quegli elementi suscettibili d'essere svolti in maniera laicistica, ma anche quegli elementi che, nell'ambito della stessa religione e quindi con tutti i limiti ch'essa ha in sé, rappresentano un progresso verso l'umanesimo e la democrazia sociale.

In tal senso bisogna dire che non tutte le religioni sono uguali e che in ognuna di esse vi sono elementi più significativi di altri. P.es. le religioni indo-buddiste hanno un senso della natura superiore a quelle europee, dove comunque il paganesimo politeistico aveva più legami con la natura di quanti non ne abbia avuti il cristianesimo. È altresì indubbio che le tre religioni monoteistiche hanno storicamente rappresentato una volontà di modificare le cose di molto superiore a quella delle religioni asiatiche. Nell'ambito del cristianesimo la confessione ortodossa ha un senso della collegialità più democratico di quello delle confessioni cattolica e protestante. La religione cattolica ha aperto la strada allo sviluppo della borghesia, ma questa, per svilupparsi al massimo, ha avuto bisogno del protestantesimo. Vi sono religioni più "universaliste" di altre, meno legate ai confini nazionali, all'esecuzione scrupolosa dei riti, alla formulazione dogmatica dei princìpi, all'attaccamento nei confronti di una determinata tradizione, all'affermazione di precise gerarchie, ecc. E naturalmente all'interno di ogni religione vi sono contenuti culturali a favore dei poteri dominanti e altri invece che li contestano, in maniera più o meno radicale, cioè in maniera unicamente etica o anche politica.

Gli uomini si esprimono con le categorie culturali che il loro tempo mette a disposizione. Si tratta di capire in che misura tali categorie venivano utilizzate pro o contro la democrazia, pro o contro le esigenze dell'umanesimo. Se si guarda, p. es., la teologia scolastica medievale è impossibile non scorgere in essa delle anticipazioni relative alla moderna laicizzazione borghese, e tuttavia proprio per questa ragione essa presenta motivi meno umanistici della coeva teologia bizantina. Una parte della Scolastica favorì la teocrazia pontificia, mentre un'altra parte favorì l'individualismo borghese: due facce che, in ultima istanza, riguardavano una stessa medaglia anti-umanistica.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Metodologia della ricerca storica
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Aggiornamento: 01/05/2015