UMANESIMO E RINASCIMENTO

NASCITA E SVILUPPO DELLA MODERNA CULTURA BORGHESE


INQUADRAMENTO STORICO DELL'UMANESIMO E DEL RINASCIMENTO

Umanista fa lezione in una corte principesca

Sul piano storico l’inizio dell’epoca moderna viene fatto risalire non solo alla scoperta dell’America (1492) e alla caduta di Costantinopoli in mano turca (1453) ma anche alla discesa in Italia di Carlo VIII re di Francia (1494) per far valere i suoi diritti di successione sul regno di Napoli, ove ai francesi Angioini (chiamati dalla chiesa alla fine del XIII sec. in funzione anti-normanna) erano subentrati con la forza, nel 1442, gli spagnoli Aragonesi.

Gli Angioini avevano ottenuto il permesso dalla chiesa romana di occupare il regno di Napoli e di Sicilia (1266 - 1285), che i sovrani Normanni, attraverso una politica matrimoniale, avevano invece consegnato agli Svevi di Germania. Il più grande sovrano degli Svevi era stato Federico II. Alla sua morte la chiesa impedì ai successori di continuare a governare il Mezzogiorno, chiamando appunto in aiuto gli Angioini, i quali però furono cacciati dai siciliani nella guerra del Vespro, per cui poterono insediarsi solo nel regno di Napoli.

I siciliani erano stati aiutati dagli Aragonesi, che nel 1442 avevano occupato anche il regno di Napoli, cacciando definitivamente gli Angioini, sicché in pratica gli Aragonesi erano diventati padroni di tutta l’Italia meridionale, inclusa la Sicilia e la Sardegna. Ecco perché mezzo secolo dopo il re francese Carlo VIII viene a rivendicare i suoi diritti alla successione sul regno di Napoli.

Carlo VIII fu chiamato dal duca Ludovico Sforza (detto il Moro), che aveva usurpato il potere della città di Milano al nipote Gian Galeazzo Sforza, il quale, essendo sposato con Isabella d'Aragona, nipote di Ferdinando I, re di Napoli, pensava, con l'aiuto di quest'ultimo, di poter cacciare l'usurpatore Lodovico.

Tuttavia non solo Milano aveva interesse a che Carlo VIII scendesse in Italia. Venezia sperava che con la distruzione del regno di Napoli finisse la concorrenza dei porti pugliesi nel mar Ionio e Mediterraneo; a Firenze le correnti politiche guidate dal frate domenicano Savonarola, speravano di abbattere la signoria (o monarchia) dei Medici e di ripristinare la repubblica; nel Napoletano non pochi baroni e sudditi erano contrari al regime aragonese.

Scendendo in Italia, Carlo VIII garantì a Ludovico il Moro il ducato di Milano; a Firenze aiutò a cacciare i Medici; col papa Alessandro VI (Borgia), di origine spagnola, non poté trovare un accordo: infatti non ottenne l’investitura del regno napoletano; a Napoli aiutò a cacciare gli Aragonesi. Senonché, appena egli si insediò nell'Italia meridionale, si formò una coalizione anti-francese promossa dal papato, composta da Milano, Venezia e Roma, che con l'aiuto della Spagna e dell'Impero asburgico di Massimiliano I (che univa Austria, Ungheria, Boemia, Belgio, Olanda e che con la sua politica matrimoniale riuscirà in seguito a unire strettamente le Case d'Austria e di Spagna), riuscì a cacciare i francesi dall'Italia.

E così gli Aragonesi poterono riprendersi il trono di Napoli (1495), anche se il successore di Carlo VIII, Luigi XII, s'impadronì con la forza del ducato di Milano, vantando dei diritti alla successione e costringendo gli Aragonesi a non intervenire (1499), grazie all’appoggio di Venezia e del papato.

In quel difficile periodo avvennero molte altre guerre in Italia. Cesare Borgia, figlio del papa Alessandro VI, combatté le piccole signorie anti-papali della Romagna e delle Marche, impadronendosi dei loro territori e cercando di estenderli verso Bologna e la Toscana, ma il tentativo fallì. Venezia approfittò della situazione occupando alcuni territori della Romagna. Il papato rispose dichiarando guerra a Venezia con l'aiuto di Francia, Spagna, Ducati di Ferrara e Mantova. Venezia fu costretta a ritirarsi.

Poi il papato organizzò una Lega Santa (1511-13) contro i francesi di Milano, vedendo che questi avevano intenzione di estendere i loro territori verso le Romagne. La Lega riuscì ad assegnare Milano agli Sforza e Firenze (che nella guerra aveva parteggiato per i francesi) ai Medici. Ma la Francia non si rassegnò alla perdita della Lombardia e col re Francesco I la riconquistò (1515-21).

La guerra tra Francia e Spagna riprende quando il nuovo re di Spagna, Carlo I d'Asburgo (1500-1558), in virtù di una precedente politica matrimoniale, riceve in eredità, oltre ai possessi spagnoli in Italia: regno di Napoli, Sardegna e Sicilia, nonché alcuni possessi spagnoli in America, anche tutti i territori della corona imperiale (Austria, Boemia, Ungheria, Paesi Bassi). Egli assunse il titolo di Imperatore e il nome di Carlo V.

La Francia si oppose a questa eredità e rivendicò la propria candidatura al trono dell'Impero (in linea di diritto, infatti, la corona era elettiva, anche se per consuetudine veniva trasmessa secondo i legami di parentela). Non avendo ottenuto nulla e temendo l'accerchiamento, la Francia scatena contro la Spagna quattro guerre, sostanzialmente tutte favorevoli a Carlo V, che si concludono con la pace di Cateau-Cambrésis (1559), che per quasi un secolo segnerà le linee fondamentali dell'assetto europeo.

Con questa pace, che sostanzialmente confermò l’egemonia spagnola in Italia e in buona parte d’Europa:

1. la Francia ottiene la rottura dell'accerchiamento, in quanto, Carlo V, alla sua morte, divide il proprio impero nei due rami di Austria e di Spagna;

2. la Francia però deve rinunciare a ogni pretesa su Milano e Napoli (che restano in mano spagnola) e deve restituire il Piemonte ai duchi di Savoia, anche se ottiene il riconoscimento della sua espansione verso il Reno;

3. il grande disegno di Carlo V, di restaurare l'unità politico-universale e religiosa (cattolica) dell'Europa contro i protestanti e i musulmani fallisce completamente (francesi e turchi si erano alleati, i turchi arriveranno quasi fino a Vienna, inoltre con la pace di Augusta del 1555 si concede ai principi e re di decidere se la religione dei loro Stati sarà cattolica o protestante, mentre i sudditi dovranno rassegnarsi a seguire la religione dei rispettivi sovrani: cuius regio eius religio). Nella Germania del nord, nei Paesi Scandinavi, in Inghilterra, nei Paesi Bassi si affermano le confessioni protestanti.

4. Inghilterra, Olanda e Francia si affermano come moderne monarchie centralizzate, legate, sul piano economico, allo sviluppo della borghesia.

LE PREMESSE STORICO-CULTURALI DELL'UMANESIMO

La cattività avignonese del papato (1309-77) fu lo spartiacque culturale che divise il Medioevo dall'epoca moderna. Politicamente infatti la chiesa si trovava alle dipendenze della monarchia francese e l'imperatore tedesco si guardò bene dal cercare di liberarla. Filippo IV il Bello era riuscito a fare ciò che per qualunque altro imperatore cristiano era stato solo un sogno. Questo perché il papato non solo aveva posto fine, nell'800, all'idea imperiale del basileus bizantino, facendo diventare imperatore Carlo Magno, ma aveva posto fine, con la lotta per le investiture (conclusa nel 1122) e l'alleanza coi Comuni, anche all'idea imperiale dei sovrani germanici, benché proprio a motivo della propria arroganza politica, esso si fosse condannato a una sorte analoga, tant'è che quando, nel 1378, rientrò a Roma, il Medioevo, almeno in Italia, era già diventato "Umanesimo".

Il principale obiettivo dell'Umanesimo fu quello di abbattere il primato culturale e ideologico della Scolastica e delle sue Università, le cui fondamenta logiche e metafisiche erano già state minate da alcuni filosofi e teologi francescani inglesi (R. Bacone, Duns Scoto e Ockham), dei quali l'ultimo (morto nel 1349) sferrò un attacco molto duro al papato anche sul piano politico ed ecclesiologico, trovando, in questo, ampi consensi da parte di un intellettuale di spicco come Marsilio da Padova: sia quest'ultimo che Ockham verranno posti come capostipiti di due correnti per molti versi simili e differenti, quali l'Umanesimo laico e la Riforma protestante.

Dopo la cattività avignonese la chiesa romana continuerà ad essere forte politicamente ed economicamente, ma del tutto screditata sul piano sia etico che culturale, nel senso che le sue idee medievali venivano considerate superate, contraddette peraltro da una pratica immorale, basata su varie forme di corruzione. La stessa chiesa, per cercare di recuperare prestigio anche in questi campi pensò di abbracciare decisamente la causa della borghesia e di trasformarsi esplicitamente in una sua istituzione di potere, almeno sino a quando non si sentirà politicamente minacciata dalle monarchie nazionali che avevano abbracciato il protestantesimo o da quelle correnti borghesi riformate che nella penisola pretendevano, in nome di una nuova religione, di unire al potere economico quella politico. È indubbio infatti che la cultura religiosa per tutto il Quattrocento e sino al concilio di Trento (1545-63) era diventata la cultura della borghesia, la quale però ambiva a rendersi autonoma dalla stessa chiesa, in quanto questa, sul piano etico e culturale non costituiva più un punto di riferimento imprescindibile.

Tuttavia la borghesia italiana non riuscì affatto ad approfittare politicamente della debolezza della chiesa: la sua contestazione si limitò appunto ai piani etico e culturale, dando inizio a quei fenomeni che gli storici sono soliti chiamare coi termini di Umanesimo e Rinascimento.

Dal 1494 (anno della discesa in Italia del sovrano francese Carlo VIII) sino all'unificazione del 1861 quasi tutta la penisola resterà terra di conquista di potenze straniere, più o meno alleate della chiesa. Quindi praticamente dal 1309 al 1494 la borghesia buttò al vento due secoli. Si accontentò di una mera rivoluzione culturale, così come, a partire dal 1517 la Germania protestante si accontentò di una mera rivoluzione religiosa, senza avere il coraggio di abbattere il predominio di casta degli junker e la divisione del territorio in molteplici Länder: per molti versi quindi Italia e Germania ebbero un destino comune. Ci si illuse di non aver bisogno di compiere una faticosa e rischiosa lotta politica e militare per l'unificazione: i principati italiani perché pensavano di disporre ancora di ricchezze così ingenti da poter continuare a vivere tra loro separati, in quanto finanziavano i grandi sovrani nazionali europei e detenevano quasi l'intero monopolio dei traffici mediterranei; i principi tedeschi perché pensavano che la classe latifondistica non avrebbe potuto incontrare ostacoli di sorta, essendo fortissima sul piano militare.

Le illusioni però caddero improvvisamente, almeno per l'Italia, quando gli ottomani conquistarono Costantinopoli e soprattutto quando Spagna e Portogallo erano in grado di approvvigionarsi di pregiate materie prime andando direttamente alle fonti dell'oriente asiatico, senza dover passare per il Mediterraneo bizantino, arabo o turco. Per la Germania invece ci vorrà la guerra dei Trent'anni prima di capire che una società feudale come la sua non avrebbe avuto alcun futuro in un'Europa borghese, ma anche per essa bisognerà aspettare il 1871 prima di vederla unificata.

Sarebbe sciocco però pensare che l'Umanesimo si sia formato nel XV sec. In realtà esso aveva iniziato a porre le prime pietre a partire dal Mille, con la nascita dei Comuni, anche se in effetti arrivò a imporsi, come fenomeno culturale, dopo il fallimento della teocrazia pontificia, la quale però cercò subito di riacquistare forza politica sfruttando a proprio vantaggio una serie di fattori concomitanti:

  1. la scomparsa dalla scena dell'ecumene cristiano degli storici patriarcati ortodossi di Bisanzio, Alessandria d'Egitto, Antiochia e Gerusalemme, conquistati definitivamente dagli arabi e dai turchi;
  2. l'appoggio della Spagna colonialista alla causa ideologica della Controriforma;
  3. il sostegno politico di alcuni principati borghesi alla causa della chiesa, il più importante dei quali era quello mediceo di Firenze.

È difficile quindi dire che l'Umanesimo e il Rinascimento esprimano una netta rottura con le idee del mondo medievale. Diciamo che dalla fine della cattività avignonese sino agli inizi della Riforma protestante s'instaurò, all'interno del cattolicesimo europeo, una sorta di tacita intesa tra un papato che aveva capito la lezione avignonese e una borghesia che aveva rinunciato ad approfittarne. Il compromesso era stato reso possibile dal fatto che la chiesa aveva attenuato le sue pretese egemoniche universali, le sue ambizioni politiche fondamentaliste, accettando l'idea di imborghesirsi, anzi facendo della borghesia un alleato con cui ripristinare i propri antichi splendori. Di qui l'accusa che le muoveranno i protestanti d'essere diventata particolarmente corrotta e avida di denaro.

La borghesia non fece che laicizzare ulteriormente la critica alla Scolastica, maturata nel Trecento, proprio perché aveva di fronte a sé una chiesa abbastanza disponibile a laicizzarsi. Se gli umanisti fossero nati come "movimento anticlericale", probabilmente avrebbero anche avuto quella forza politicamente necessaria per realizzare l'unificazione nazionale. In realtà essi si limitarono ad accogliere la critica medievale del Trecento al temporalismo pontificio, non prima di averla depurata di tutti quegli elementi teologici o metafisici che avevano fatto il loro tempo, non rispecchiando più la prassi borghese dominante. Essi non apparivano affatto, agli occhi della chiesa, come dei "rivoluzionari", proprio perché essa stessa aveva smesso d'essere eccessivamente autoritaria, almeno sino a quando non tornerà ad esserlo col concilio di Trento. Certo, l'ideale sarebbe stato che il papato avesse perduto la battaglia contro il movimento democratico-conciliare espresso dai concili di Costanza (1414-18) e di Basilea (1417-31), ma la caduta di Bisanzio favorì enormemente la monarchia pontificia, che trionfò nel concilio di Ferrara-Firenze (1438-39) e il cui carattere assolutistico è rimasto ancora oggi.

"Umanesimo" quindi volle soltanto dire, di diverso, rispetto alla situazione borghese del basso Medioevo: recuperare le tradizioni pre-cristiane. Il che sarebbe stato impossibile senza una progressiva laicizzazione della fede. La differenza tra Umanesimo e Riforma luterana stava proprio in questo, che il primo non riteneva necessario combattere la corruzione morale della chiesa romana in nome di un modo diverso di vivere la fede. Semplicemente questa veniva considerata come un aspetto del tutto formale o convenzionale, mentre, per quanto riguardava la sostanza, ci si rifaceva ad autori pre-cristiani e, tra i maggiori di questi, si preferì riscoprire Platone, in polemica con la riscoperta, molto razionalistica, di Aristotele, operata dalla Scolastica. In tal senso è possibile dire che l'Umanesimo fu una sorta di neoplatonismo con elementi poco significativi di religiosità cristiana, dei quali comunque non si poteva non tener conto dopo milletrecento anni di storia.

I centri culturali di questo nuovo irraggiamento culturale non furono però le Università, egemonizzate dagli ordini mendicanti e dalla astratta teologia Scolastica, bensì le Accademie delle maggiori città italiane, il cui carattere elitario era incontestabile, in quanto, invece di usare il volgare di Dante, Petrarca e Boccaccio, si preferì il latino classico, sotto il pretesto che, in tale maniera, avrebbe potuto esserci uno scambio di idee tra intellettuali europei.

Anche da questa scelta linguistica si comprende bene la differenza tra il carattere intellettualistico dell'Umanesimo italiano e quello popolare della Riforma protestante. Abituati a veder laicizzati i contenuti religiosi già a partire dal Mille, gli intellettuali umanisti si sentivano incredibilmente più avanti rispetto agli altri intellettuali europei, ma, per quanto borghesi fossero, non riuscirono mai a fare della loro cultura un punto d'incontro di istanze politiche e nazionali emancipative. Chi non faceva parte della borghesia restava egemonizzato dall'ideologia cattolica. Non può quindi non sorgere il dubbio che l'operazione laicista compiuta dagli umanisti abbia potuto svolgersi in tutta tranquillità, almeno sino al concilio di Trento, proprio perché beneficiava di un consenso implicito da parte del papato.

Si può anzi azzardare che se non vi fosse stata la Riforma protestante, la chiesa avrebbe evitato di includere, tra i nemici della Controriforma, anche gli umanisti. Probabilmente Umanesimo e Rinascimento in Italia avrebbero continuato a svilupparsi sino al punto da diventare un fenomeno davvero popolare, capace di rivendicare quel protagonismo politico-democratico che il papato però non avrebbe più potuto tollerare. Esattamente come accade in Francia nei confronti degli illuministi che, ad un certo punto, si trasformarono in politici rivoluzionari. La differenza fondamentale tra la cultura laica italiana e quella straniera è sempre consistito in questo, che da noi si arriva, prima o poi, a un punto in cui si trova un compromesso reciprocamente vantaggioso tra forze conservatrici e forze progressiste.

LA NATURA DI CLASSE DELL'UMANESIMO

L'Umanesimo e il Rinascimento non furono affatto un'alternativa reale, praticabile, al feudalesimo e alla teologia scolastica. Furono soltanto una laicizzazione della fede cristiana, condotta non più da teologi francescani in odore di eresia, come Ruggero Bacone, Duns Sconto e Guglielmo di Ockham, ma da intellettuali borghesi. Una laicizzazione che non si tradusse in ateismo esplicito, ma, al massimo, in deismo o in panteismo.

Generalmente, infatti, gli umanisti erano abbastanza accorti da evitare discussioni di tipo teologico, preferendo assumere atteggiamenti di distacco o d'indifferenza o sostenendo, in alcuni casi, la dottrina averroista della "doppia verità", per cui due affermazioni apparentemente contraddittorie possono essere entrambe vere, a seconda del contesto, filosofico e teologico, in cui vengono considerate. Vivevano la fede in maniera del tutto convenzionale, quel tanto che bastava per non essere sospettati di eresia.

Benché non scrivessero in volgare, avevano di fatto ereditato l'irriverenza del Boccaccio, i dubbi del Petrarca e l'anticlericalismo di Marsilio da Padova. Ma stavano molto attenti a non trasformare tutto questo in una battaglia politica avere propria. Si limitavano a perorare la causa dello scetticismo in materia di religione.

Gli umanisti avevano saputo approfittare della decadenza morale e intellettuale del papato per diventare, essi stessi, privi di autentici e rigorosi valori etici, o comunque disponibili a subordinarli alle esigenze del profitto o dell'interesse personale, senza cimentarsi in opere filosofiche di largo respiro: in tal senso, e nel migliore dei casi, erano più "filologi" che "filosofi". Il loro mestiere prevalente era quello d'essere dei cortigiani al servizio dei Principati dinastici delle Corti signorili.

Essi vivevano come classe sociale intellettuale il medesimo individualismo amorale del papato, con due fondamentali differenze: 1) non disponevano di altro potere che il loro ingegno, il loro talento artistico o letterario o filosofico o scientifico, per cui, per fare fortuna, si dovevano adeguare a una corruzione che non dipendeva da loro; 2) appartenevano a un'epoca moderna, quella appunto borghese, cui la stessa chiesa, se voleva sopravvivere con successo, doveva adeguarsi.

Non erano intellettuali democratici, non avevano rapporti con le masse popolari: i loro ambienti privilegiati ed esclusivi erano le Accademie e le Corti signorili. Erano molto diversi da quei riformatori protestanti che infiammeranno mezza Europa e che daranno vita, negli Stati Uniti, a una nazione in grado di competere col mondo intero.

Considerando gli ambienti in cui vivevano e i valori che incarnavano, può apparire paradossale che parlassero di "arti liberali", per indicare quelle attività che dovevano forgiare "uomini liberi", o di "humanae litterae", per indicare le opere dei classici greco-romani come esempio di "alta umanità". Il fatto è che volevano assolutamente emanciparsi da un mondo, quello feudale, che ai loro occhi appariva, soprattutto sul piano ideologico, come "barbaro", assolutamente insopportabile nelle sue fissazioni e costrizioni mentali, nelle sue ambizioni di dominio universale, che infiniti lutti avevano provocato a partire soprattutto dal Mille (persecuzioni di eretici, crociate, lotta per le investiture ecclesiastiche, ecc.).

Formatasi coi primi Comuni, la borghesia voleva prendersi una rivincita, obbligando tutti a una maggiore concretezza e realismo, e fece questo appunto come classe particolare, non esattamente "popolare" come quella contadina e operaia. L'Umanesimo borghese, pur con l'ostentata volontà di recuperare valori etici più autentici di quelli religiosi, resta sempre un'ideologia di parte, che si riferisce a una ristretta categoria di persone.

Quando si parla di "dignità dell'uomo" o di "homo faber" s'intende sempre qualcuno al servizio di un potente, preposto a fare lavori artistici o intellettuali o diplomatici o politico-amministrativi di alto livello, caratterizzato da una mentalità opportunistica, affaristica, arrivistica, del tutto indifferente alle problematiche sociali delle classi marginali.

Il Rinascimento non è che la realizzazione intellettuale più significativa del più generale Umanesimo borghese. Sono stati due processi socio-culturali che non sono mai riusciti a svolgersi in maniera politica coerente, proprio a motivo del loro contenuto elitario, di classe, non popolare.

Una delle differenze fondamentali tra questi intellettuali e quelli odierni è che quest'ultimi sono finanziati da uno Stato nazionale, cioè da un ente impersonale, nei cui confronti si può anche avere un atteggiamento critico, senza per questo rischiare di doverci rimettere di persona. L'altra grande differenza è che gli intellettuali di oggi, dopo la sconfitta della Ccontroriforma e il notevole ridimensionamento dei poteri dello Stato della chiesa, in seguito all'unificazione nazionale, si sentono più liberi nei confronti della religione.

Esiste tuttavia una linea di continuità tra l'Umanesimo e la situazione odierna, come d'altra parte ne esiste una tra l'Umanesimo e il sorgere dei Comuni medievali. Anzi possiamo dire che nell'ultimo millennio ha preso forma e si è enormemente sviluppato, in varie modalità, diffondendosi a livello planetario, un unico valore borghese: l'individualismo, per il quale gli aspetti economici e finanziari risultano prevalenti su tutto, sia che essi vengano vissuti come scelta di vita, sia che vengano accettati come condizionamento sociale.

In una qualunque società che voglia definirsi "sviluppata" o "avanzata", l'uso del denaro è assolutamente imprescindibile. La passata civiltà basata sull'autoconsumo, sulla rendita in natura o in corvées, sui rapporti di dipendenza personale e sulle altre caratteristiche tipiche del feudalesimo, o non esiste più da nessuna parte del pianeta o comunque non ha alcuna possibilità di determinare il corso degli eventi.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 14/09/2014