L'OTTOCENTO ITALIANO ED EUROPEO
DAL CONGRESSO DI VIENNA
ALLA VIGILIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE


LA TRATTA DEGLI SCHIAVI NELL'OTTOCENTO

Dalla fine del XVIII sec. nel sud degli Stati Uniti si sviluppò a ritmo impetuoso il sistema schiavistico delle piantagioni, che era il principale fornitore di cotone per l'industria tessile inglese e di altri paesi europei, ivi inclusi ovviamente gli Stati nordamericani.

La cosa singolare fu che durante la guerra delle colonie nordamericane dell'Inghilterra per l'indipendenza dalla madrepatria (1775-83), l'importazione di negri africani in America si era ridotta notevolmente. Tuttavia questo non era avvenuto perché l'ideologia liberista e rivoluzionaria dei coloni fosse più democratica di quella dei colonialisti inglesi, ma semplicemente perché il problema principale in quel momento era di vincere una guerra anticolonialista. Infatti, conclusa la pace, la tratta degli schiavi fu ripresa in proporzioni ancora più ampie. Per vincere la concorrenza economica della più forte madrepatria, gli americani pensavano di non avere altra soluzione che accentuare al massimo le condizioni di sfruttamento del lavoro.

Dal 1791 (anno del primo censimento) al 1808 furono introdotti nel paese non meno di 70.000 negri (in media 4.000 l'anno). E questo nonostante che già nel 1807 il Congresso avesse approvato una legge che vietava la tratta.

Che non la rispettassero né i trafficanti di schiavi del nord del paese, né i piantatori del sud è dimostrato anche dal fatto che dopo la fine della seconda guerra contro l'Inghilterra (1812-14), il traffico schiavistico aumentò ancora di più, a dispetto di una legge del 1820 che addirittura prevedeva la pena di morte per il mercante di schiavi.

Fino allo scoppio della guerra civile nessuna legge anti-schiavista venne mai rispettata. D'altra parte agli incrociatori inglesi era vietato perquisire le navi americane, né vi erano navi da guerra americane, presso le coste africane, che impedissero il traffico.

Non solo, ma se negli Usa i controlli diventavano più stringenti, gli schiavisti utilizzavano come piazze di mercato i porti del Brasile e l'isola di Cuba, dove la tratta non era proibita. Da lì poi le navi approdavano lungo le coste meridionali americane o entravano addirittura nella foce del Mississippi, dove, servendosi di porti o territori di frontiera, i trafficanti potevano praticare il contrabbando di schiavi, che divenne particolarmente attivo negli anni 1818-20.

Il primo caso di nave ispezionata e di merce confiscata (18 schiavi negri) che salì alla ribalta dei giornali fu quello dell'estate 1825 all'Avana. Ma cinque anni dopo il ministro americano della marina era ancora lì a lamentarsi che senza golette e navi guardacoste sarebbe stato impossibile stroncare la pirateria. Anzi, le autorità americane intervennero nel 1839 a favore degli schiavisti quando i negri della nave Amistad, provenienti dalla Liberia, insorsero uccidendo il capitano, il cuoco e due marinai dell'equipaggio; quando decisero di tornare in Africa, furono catturati da una goletta americana. Il processo contro gli imputati ribelli ebbe grande risonanza e favorì la causa degli abolizionisti.

Approssimativamente negli anni 1808-1820 furono importati negli Usa 60.000 schiavi africani; nel 1820-30 circa 50.000 e nel 1830-40 scesero a 40.000 (in media circa 5.000 schiavi l'anno).

Le cose cominciarono a cambiare dopo la firma di un accordo anti-tratta stipulato nel 1841 tra Inghilterra, Russia, Francia, Austria e Prussia. Tuttavia, temendo che queste nazioni, sotto la bandiera dell'abolizionismo, potessero ledere la libertà dei propri traffici, gli Usa fecero l'anno dopo un accordo con la sola Inghilterra, impegnandosi a far stazionare lungo le coste africane occidentali dello smercio dapprima due navi da guerra, poi diventate sei nel 1846 e cinque nel 1850. (Il calo di una nave non deve far pensare a un'attenuazione dell'intensità del traffico, ma, al contrario, alla propensione del governo americano a non voler affrontare il problema alla radice).

La politica del governo americano era ambigua, poiché da un lato si voleva che la propria economia rispondesse alla crescente domanda di cotone da parte dei paesi più industrializzati del mondo, dall'altro però si doveva dimostrare all'opinione pubblica, nazionale ed estera, l'effettiva intenzione di smantellare lo schiavismo.

Nel decennio 1850-60 le navi militari americane sulle coste africane continuarono a diminuire, mentre la tratta degli schiavi si effettuava praticamente senza alcuna limitazione, tanto che non meno di 70.000 negri furono importati. Gli europei non presero mai delle decisioni unanimi contro il governo americano, proprio perché dovevano tener conto anche degli interessi degli imprenditori privati dei loro paesi. A quel tempo il tessile era l'arma vincente per affermarsi sul piano economico.

Paradossalmente (rispetto alle dichiarazioni solenni fatte in sede giuridica dagli europei) negli ultimi due anni del suddetto decennio entrarono negli Usa ben 11.000 schiavi africani e il centro di questo intenso traffico era addirittura diventata New York, con circa un centinaio di navi registrate preposte alla tratta, che facevano convogliare uomini d'affari provenienti da Boston, Filadelfia, Portland, New Orleans...

Dal dicembre 1859 all'agosto 1860 furono bloccate soltanto 12 navi. Peraltro a quell'epoca negli Usa si faceva largo uso non solo di velieri ma anche di navi a vapore, sicché alla vigilia della guerra civile si portavano via dall'Africa assai più negri che non ai tempi in cui il traffico degli schiavi era legale.

La situazione era diventata schizofrenica: all'aumentare della rigorosità delle leggi, aumentava il permissivismo sul piano pratico. E quando venivano applicate, la sorte dei negri, essendo ancora in vigore la pena di morte per i trafficanti, diventava anche più tragica, poiché quando la tratta veniva scoperta i trafficanti li buttavano in acqua. Questa palese contraddizione veniva mistificata persino dal presidente J. Buchanan, che nel 1860 dichiarava finito l'import di negri negli Usa. Proprio nello stesso anno il "New York Daily Tribune" (su cui peraltro scrivevano Marx ed Engels) arrivò a dire, in tutta tranquillità, che gli schiavisti preferivano gli africani perché, non conoscendo l'inglese, avevano molta più difficoltà a orientarsi.

I numeri complessivi della tratta proposti dagli storici variano da un minimo di mezzo milione di negri a un massimo di un milione, benché non tutti ovviamente raggiunsero le coste americane. Di sicuro se ne importarono di più nel periodo 1809-61 che non in quello 1786-1808, quando la tratta era più libera.

Il motivo è semplice. Alla fine del XVIII sec. i vecchi Stati americani schiavisti di frontiera (Maryland, Virginia, Nord Carolina, Delaware) avevano subito una profonda metamorfosi. Poiché col passaggio alla coltivazione intensiva del cotone si accelerava l'esaurimento del suolo, per attenuare i danni dal calo dell'export, gli schiavisti avevano preso ad "allevare" negri da vendere ai nuovi Stati americani, produttori di cotone, situati nell'estremo sud-ovest, evitando così i rischi degli acquisti transoceanici.

Questo mercato interno fu così fiorente che alla vigilia della guerra civile non erano più i piantatori dei vecchi Stati schiavisti a esercitare un'influenza decisiva sulla politica del governo, ma erano i piantatori dei principali Stati sud-occidentali, insieme ai mercanti e banchieri ad essi strettamente collegati.

Il traffico interno degli schiavi fruiva addirittura dell'appoggio della maggioranza dei parlamentari al Congresso, anche perché i suoi centri principali erano Alexandria e Washington D.C., almeno sino al 1850. Le aste degli schiavi, le prigioni e i recinti loro riservati erano situati proprio davanti alle finestre della sala delle riunioni del Congresso.

Nei vecchi Stati schiavistici i centri principali del traffico erano Baltimora, Richmond, Norfolk e Charleston. All'estremo sud erano invece Memphis, New Orleans e Montgomery. New Orleans era la principale fornitrice di schiavi agli Stati del Mississippi, della Louisiana e del Texas, dove si conquistavano nuove terre e la domanda di forza-lavoro era maggiore.

Gli schiavi, trasferiti con catene sui mercati, venivano venduti all'età di 20-40 anni. Le schiave diventavano facilmente madri a 13-14 anni. I matrimoni tra schiavi erano illegali, e in ogni caso era del tutto normale vendere i coniugi separatamente sul mercato. In media un maschio adulto, nel 1860, poteva essere venduto all'asta per 1100-1200 dollari. Le altre variabili del prezzo erano relative al tipo di lavoro da svolgere, all'età, alla docilità nei confronti dei piantatori, alla religiosità, alla presenza di tracce di punizioni, al livello della domanda e dell'offerta ecc.

I prezzi dovevano ovviamente tener conto della congiuntura economica, ma a volte si cercava di far valere la vecchia regola secondo cui se una libbra di cotone costava 12 cent, un negro valeva 1200 dollari, se 15 cent 1500 dollari, e così via.

Solo in seguito alla guerra civile degli anni 1861-65 si abolì la schiavitù.

Mappe degli Stati Uniti

Fonti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
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Aggiornamento: 02/04/2014