STORIA MODERNA
|
|||
|
NAPOLEONE BONAPARTE
PREMESSA Si può dire che la rivoluzione francese si è espressa in due fasi: la prima è stata quella che ha visto protagonista la piccola borghesia e il proletariato agricolo e urbano; la seconda invece è quella che vede come protagonista la borghesia medio-alta, che spesso si trovava alleata con l'aristocrazia. Il risvolto più radicale, in senso democratico, della rivoluzione piccolo-borghese fu rappresentato dalla Congiura degli Eguali, che anticipò le idee del socialismo. Il risvolto più radicale, in senso autoritario, fu invece rappresentato dalla dittatura napoleonica. GLI ESITI CONTRORIVOLUZIONARI DELLA RIVOLUZIONE DEL 1789 Quando la rivoluzione francese si radicalizza in senso democratico-giacobino, praticando il terrore contro gli avversari (girondini, realisti, cordiglieri e sanculotti estremisti, come gli hébertisti), fino al punto in cui vengono eliminati persino i due principali leader giacobini, Robespierre e Saint-Just, la borghesia moderata (molto conservativa dei diritti acquisiti nella lotta contro l'aristocrazia) ha bisogno di una propria dittatura per impedire il ripetersi di situazioni che porterebbero la rivoluzione a esiti troppo estremi. E così, sotto la guida dei termidoriani, la Convenzione repubblicana compie nel 1795 il proprio colpo di stato controrivoluzionario, che comportò l'eccidio di numerosi giacobini-montagnardi in tutta la Francia, e l'emanazione di una nuova Costituzione (la terza), che abolì il suffragio universale previsto da quella giacobina del 1793, e ripristinò il regime censitario della Costituzione del 1791. La nuova Costituzione prevedeva una piena affermazione della libertà di commercio, senza alcuna regolamentazione dei prezzi (che ovviamente presero a salire vertiginosamente) e tanto meno dei salari, e una decisa difesa della proprietà privata. Essa stabiliva anche due Consigli parlamentari elettivi per evitare l'eccessiva concentrazione dei poteri (1), e l'istituzione di un Direttorio, dal quale dipendevano i ministri, composto da un collegio di cinque membri, scelti dai due suddetti Consigli. Esso durava un quinquennio, ma ogni anno almeno un componente andava sostituito. Il Direttorio aveva la possibilità di annullare gli atti degli amministratori comunali e dipartimentali. Vedendo che le folle parigine tornavano a mobilitarsi a causa della politica liberista del governo, il Direttorio ricorse all'esercito. Persino i realisti ripresero vigore: il conte di Provenza, fratello di Luigi XVI, si era autoproclamato re di Francia e aveva annunciato il ritorno della monarchia assoluta e la restituzione dei beni confiscati all'aristocrazia e al clero. Ma il Parlamento, affidando la repressione dei monarchici a cinque generali (tra cui Napoleone Bonaparte), ebbe la meglio. L'ultimo tentativo (1796) di ripristinare la democrazia sociale di marca giacobina fu condotto da François-Noël Babeuf, ch'era stato vicino agli hébertisti, e che aveva come suo principale collaboratore il toscano Filippo Buonarroti. Essi progettarono una congiura per rovesciare il Direttorio e proclamare una repubblica che prevedesse l'abolizione della proprietà privata della terra e l'uguaglianza delle condizioni materiali. In sostanza si anticipavano idee di tipo socialistico. La cosiddetta "Congiura degli Eguali" fu però stroncata sul nascere e Babeuf giustiziato, mentre Buonarroti finì in esilio. Tuttavia il Direttorio, di fronte a questo tentativo insurrezionale e alle persecuzioni indiscriminate, a livello nazionale, contro i giacobini e i sanculotti, voluta dal "terrore bianco monarchico", favorevole alla restaurazione dell'Ancien Régime, fece in modo di stringere un'alleanza sempre più stretta tra borghesia ed esercito, che caratterizzerà la storia della Francia nei successivi vent'anni. Il Direttorio infatti, per annullare la vittoria elettorale dei monarchici, ottenuta nell'aprile 1797, fece occupare Parigi dai militari. Ma siccome la situazione sul piano economico si era rivelata ingestibile, in quanto la borghesia non riusciva a risolvere neppure uno dei problemi delle masse popolari, il ricorso alla guerra di conquista, camuffato sotto le grandi idealità rivoluzionarie, divenne inevitabile, come già avevano fatto i girondini nel 1792. L'ESPORTAZIONE DELLA RIVOLUZIONE Le armate francesi, negli anni 1794-95, mentre combattevano contro la prima coalizione, avevano già ottenuto il controllo, diretto o indiretto (quest'ultimo come "protettorato"), di vari territori, come Belgio e Olanda (2) (chiamata Repubblica Batava dal 1795 al 1806), ma l'esito di queste conquiste non era stato minimamente accettato dai più potenti paesi europei: Gran Bretagna, Austria, Russia e Prussia. Anche il papato era del tutto avverso ai francesi. Fu così che nella primavera del 1796 il Direttorio iniziò l'offensiva contro l'Austria, affidando gli eserciti a tre generali, di cui due avrebbero dovuto varcare i confini della Germania, mentre Napoleone sarebbe dovuto entrare in Italia a scopo diversivo. La situazione invece si capovolse: i due generali furono subito bloccati e respinti oltre il Reno, mentre Napoleone conseguì successi spettacolari contro i piemontesi, ottenendo Nizza e Savoia, e contro gli austriaci, ottenendo la Lombardia, che trasformò in Repubblica cisalpina ("al di qua delle Alpi"), sotto l'egida della Francia. Poi proseguì la sua campagna attaccando i Ducati di Parma e di Modena, nonché la fortezza di Mantova, aprendosi la strada verso il Veneto e Venezia e quindi verso Vienna. Bologna, Ferrara, Modena e Reggio crearono la Repubblica cispadana ("al di qua del Po"), adottando una Costituzione simile a quella francese del 1795 e come bandiera l'attuale tricolore (anche in Liguria si formò una Repubblica, 1797-1800). Quando poi Napoleone varcò le Alpi, arrestandosi a 100 km da Vienna, l'imperatore Francesco II chiese l'armistizio, che fu firmato a Campoformio nell'ottobre 1797. Il trattato prevedeva la cessione della Repubblica veneta all'Austria, che acquisiva anche l'Istria e la Dalmazia, in cambio del riconoscimento della Repubblica cisalpina e dell'annessione francese del Belgio, ma non della riva sinistra del Reno. Il Direttorio però fu contrario all'accordo, poiché, per avere la Renania, era disposto a restituire all'Austria Modena e la Romagna, per cui, pur di togliersi di torno un personaggio scomodo come Napoleone, che voleva agire con troppa autonomia, accettò ben volentieri la sua idea di compiere una spedizione in Egitto per bloccare i traffici inglesi verso l'Oceano Indiano. Napoleone aveva pensato a questa soluzione perché gli stessi inglesi stavano fortemente danneggiando i francesi nell'importazione di un fondamentale prodotto coloniale per la loro industria tessile: il cotone. Intanto gli italiani stavano cominciando a capire che i francesi rimasti nella penisola non erano molto diversi dagli austriaci. Non solo avevano mal digerito la fine della gloriosa repubblica veneta, coi suoi mille anni di storia, ma non sopportavano neppure le continue spoliazioni delle loro opere d'arte e l'eccessiva imposizione fiscale a favore degli eserciti francesi. Questo nonostante che, dopo la partenza di Napoleone per l'Egitto, i suoi generali avessero occupato due Stati particolarmente detestati dalla borghesia: quello pontificio, cui opposero la Repubblica romana (Pio VI, fatto prigioniero, morirà in Francia nel 1799), e il regno di Napoli, dove nacque la Repubblica partenopea (gennaio 1799). L'annessione del Piemonte alla Francia e l'occupazione della Toscana (marzo 1799) completavano il quadro del controllo francese di quasi tutta la penisola. Solo in Sardegna continuavano a dominare i Savoia e in Sicilia i Borbone, con l'aiuto della flotta inglese. Anche in Svizzera si era formata una repubblica borghese (1798). D'altra parte Napoleone voleva fare dell'Italia una sorta di colonia francese. Infatti, anche se aveva introdotto istituzioni e regole amministrative moderne, aboliti i titoli nobiliari e i privilegi feudali, proclamata l'uguaglianza giuridica di tutti i cittadini di fronte alla legge, concesse le libertà di parola, di stampa e di associazione, di fatto, quando si procedette alla requisizione dei beni ecclesiastici, questi furono messi all'asta, a disposizione del miglior offerente, sicché la gran massa del popolo non ottenne alcun beneficio dall'occupazione francese. Se poi si aggiungono alle ruberie e alle inique tassazioni anche la leva militare obbligatoria e la forzata laicizzazione pretesa dai francesi, è facile capire perché in molte parti della penisola si svilupparono forti insurrezioni con cui si poterono abbattere le repubbliche giacobine, anche grazie all'ingresso dell'esercito austro-russo a Milano nell'aprile 1799, in seguito alla seconda coalizione anti-napoleonica. LA CAMPAGNA D'EGITTO Per la campagna d'Egitto (maggio 1798-giugno 1799) Napoleone si servì di un centinaio di navi, 35 mila soldati, 170 cannoni e 167 "esperti" (matematici, fisici, chimici, astronomi, ingegneri, letterati...). La guerra fu disastrosa, non solo perché si formò subito in Europa una seconda coalizione (Gran Bretagna, Turchia, Russia e Austria), con cui si costrinsero i francesi ad andarsene dall'Italia (1799), ma anche perché l'ammiraglio inglese Horatio Nelson affondò la flotta francese nella baia d'Abukir, impedendole di controllare il Mediterraneo, e anche perché la peste decimò le sue truppe. Napoleone, che pure aveva occupato Malta e vinto la battaglia delle piramidi contro i Mamelucchi (3) rimase del tutto bloccato in Egitto, per cui pensò di rifarsi cercando di abbattere la fortezza di San Giovanni d'Acri (simbolo delle crociate cristiane in Terrasanta), per ottenere una rivolta siriana contro i dominatori turchi, ma dopo un assedio di due mesi fu respinto dai turchi, aiutati dagli inglesi, sicché dovette ritirarsi. L'unica cosa che davvero riuscì a ottenere in Egitto fu la decifrazione dell'antica scrittura geroglifica grazie al lavoro interpretativo condotto dallo studioso Champollion sulla cosiddetta "Stele di Rosetta": cosa che però avvenne solo nel 1822. Questa campagna egiziana rientrava nello scontro tra due potenze europee, le maggiori del mondo, per l'egemonia delle colonie. Ma in questo scontro ebbe sempre la meglio il Regno Unito, proprio perché dominava gli oceani. Anzi, proprio la guerra contro la Francia e poi contro i suoi alleati, Spagna e Olanda, fu sfruttata dagli inglesi per l’ampliamento dei loro possedimenti coloniali: essi infatti acquisirono le colonie francesi delle Antille, Martinica e Guadalupa e alcune colonie spagnole (le isole di Trinidad e di Curasao); così il commercio estremamente vantaggioso dello zucchero delle Indie Occidentali divenne quasi un monopolio esclusivo dell’Inghilterra. Gli inglesi occuparono poi le più importanti colonie olandesi, compresa la Guayana, Ceylon e la base di Città del Capo. All’inizio del XIX sec. la Compagnia inglese delle Indie Orientali aveva conquistato il monopolio del commercio marittimo fra l’Europa e l’Asia e in particolare fra la Cina e l’India grazie all’eliminazione temporanea del suo concorrente olandese. Questo fu possibile perché il sultano indiano del Mysore, Tipu Sahib, che cercava l’appoggio della Francia, fu definitivamente sconfitto nella quarta guerra anglo-mysore (1799). LA VITTORIA DELLA SECONDA COALIZIONE E LA REAZIONE DI NAPOLEONE La vittoria della seconda coalizione antifrancese, consistente nella liberazione dell'Italia da parte delle truppe austro-russe e in alcune vittorie decisive in Germania, dove i francesi ripiegarono oltre il Reno, determinò la crisi del Direttorio, il cui governo non era in grado di affrontare né i problemi economici né quelli politici. Ecco perché Napoleone tornò subito a Parigi nell'ottobre 1799 e, con un colpo di stato militare, esautorò il Direttorio dalle sue funzioni. I poteri furono consegnati a un triumvirato formato dallo stesso Napoleone, da Sieyès e Ducos. Una nuova Costituzione entrò in vigore nel febbraio 1800. Tutti i poteri venivano assegnati per un decennio ai tre consoli, di cui però Napoleone era l'unico ad avere la prerogativa di proporre leggi e detenere il potere esecutivo con cui nominare i ministri e i funzionari pubblici. L'esecutivo, in sostanza, finiva col prevalere nettamente sul legislativo. Al posto del diritto di scegliere i deputati, i cittadini francesi ottennero solo quello d'indicare i deputati, fra i quali poi il governo stesso nominava i membri degli organi legislativi. Fu ristabilito il suffragio universale maschile, ma in maniera tale che le elezioni venivano pilotate a favore di liste precostituite di candidati favorevoli al colpo di stato. Fortemente centralizzata si voleva la struttura burocratico-amministrativa; anzi, tutto il sistema di autonomia locale e regionale (dipartimentale) fu sostituito da una sorta di sistema poliziesco-amministrativo delle prefetture: il ministro degli interni nominava il prefetto del dipartimento, il prefetto nominava i sindaci e i membri dei consigli municipali e dei comuni. Anche i giudici venivano nominati dal governo, senza più essere eletti dalla cittadinanza locale. Ogni organizzazione con più di 20 associati venne proibita. Quanto agli organi di stampa, sopravvissero solo quelli interamente subordinati al governo (quattro giornali contro i 335 del 1790). Si istituì la Banca di Francia, con cui si proteggeva l’industria. Fu mantenuta la legge Le Chapelier, che vietava agli operai il diritto a una difesa organizzata dei loro interessi e concedeva agli imprenditori la possibilità illimitata del loro sfruttamento. S'imposero alte tariffe doganali ai danni della concorrenza britannica. Si diminuirono le imposte dirette, aumentando quelle indirette, che ovviamente colpivano gli strati meno abbienti. Si pretesero infine scuole di alto livello per la formazione di una nuova classe dirigente. Nell'agosto 1800 Napoleone istituì una commissione per la riforma della legislazione civile. Essa produsse nel 1804 un Codice civile che, per la sua chiarezza e per la vastità degli argomenti trattati, sarà destinato a diventare un modello per le legislazioni di tutti i paesi europei (4). L'imponente apparato di polizia che doveva far rispettare questo sistema poliziesco era diretto da un ex-giacobino, Joseph Fouché. LE RICONQUISTE DI NAPOLEONE Approfittando del ritiro della Russia dalla coalizione europea, a causa delle gravi sconfitte subite in Svizzera, Napoleone pensò di nuovo di scendere in Italia nel maggio 1800, seguendo la strada più difficile, la catena delle Alpi, nel punto in cui gli austriaci non si aspettavano un attacco. E così a Marengo li sconfisse, ripristinando la Repubblica cisalpina e quella ligure. La pace firmata a Lunéville permise alla Francia di ottenere la riva orientale del Reno. Napoleone stipulò una pace anche con la Russia e la Turchia (a quest'ultima riconsegnò l'Egitto). In una situazione del genere gli inglesi si videro costretti a riconoscere le nuove conquiste europee a Napoleone, anche perché cominciavano a sentire fortemente il peso economico di una guerra decennale. Sicché con la pace di Amiens del 1802 l'Inghilterra s'impegnava a restituire le colonie conquistate (meno l’isola di Trinidad e gli ex-possedimenti olandesi di Ceylon), e anche a evacuare Malta e le altre isole occupate nel Mar Mediterraneo. La Francia invece avrebbe dovuto richiamare le sue truppe da Napoli, Roma e dall’isola d’Elba. Napoleone provvide anche a regolare i propri rapporti col papato attraverso un Concordato (luglio 1801), con cui viene abolita la Costituzione civile del clero e si stabilì che il cattolicesimo andava considerato non una religione di stato, bensì la religione della maggioranza del popolo francese; al papa veniva riconosciuta l'autorità suprema sul clero, mantenuto a spese dello Stato. In cambio si chiedeva il giuramento di fedeltà alla repubblica da parte degli ecclesiastici, la rinuncia a rivendicare i beni ecclesiastici già incamerati dallo Stato durante la rivoluzione e l'accettazione della nomina dei vescovi da parte del primo console, anche se poi spettava al pontefice consacrarli, come al tempo della monarchia. Con una ulteriore convenzione si riconosceva anche ai pastori luterani e calvinisti la possibilità di ricevere uno stipendio pubblico. Nel 1803 egli s'intromise negli affari interni della Svizzera, imponendole una nuova Costituzione, che la trasformava da Repubblica Elvetica (1798-1802) a una Confederazione di Cantoni, interamente subordinata alle autorità militari francesi. Nello stesso anno cedeva però agli americani, dietro un compenso di 15 milioni di dollari (3 centesimi per acro!), l'immenso territorio della Louisiana (2.140.000 kmq, quasi quattro volte la Francia), che andava dai Grandi Laghi al Golfo del Messico, e che permise agli americani di raddoppiare l'estensione del loro paese. Napoleone s'era deciso a questa soluzione perché temeva di perderla senza ricavarci nulla: già doveva far fronte alla rivolta della parte francese di Santo Domingo (oggi Haiti), capeggiata da Toussaint-Louverture; poi, siccome si stava rompendo la pace di Amiens col Regno Unito, aveva assolutamente bisogno d'incamerare velocemente i fondi necessari per intraprendere una nuova guerra contro gli inglesi e, in quel momento, la Louisiana era solo un costo (la sua colonizzazione aveva prosciugato le casse dello Stato). Da notare però che quasi tutto il territorio era occupato dai nativi americani, dai quali in seguito la terra venne acquistata un pezzo per volta, sicché il reale prezzo pagato per la Louisiana fu molto più alto della somma corrisposta alla Francia. L'oggetto della vendita quindi non fu la reale proprietà della terra ma semmai la possibilità di renderla propria in seguito. Ad ogni modo nessuno dei contraenti consultò i nativi, i quali erano i reali possessori del territorio, e probabilmente questi ultimi nemmeno vennero a conoscenza della stipulazione del trattato. DAL CONSOLATO ALL'IMPERO Fatto questo non restava che passare dal Consolato all'Impero. Infatti il consolato a vita gli fu conferito dal Senato nell'agosto 1802 in seguito ai risultati di un plebiscito accuratamente preparato (i "sì" furono oltre 3,6 milioni, i "no" poco più di 8000). A Sieyès restava soltanto la carica onorifica di presidente del Senato. Subito dopo il Senato gli conferì il potere di designare il proprio successore e di nominare nuovi membri del Senato. Infine, siccome aumentavano i dissensi, veri o presunti, contro questa involuzione autoritaria, il Senato attribuì a Napoleone il titolo di imperatore dei francesi (dicembre 1804), trasmissibile agli eredi (legittimi o adottati): ciò sempre in seguito a un plebiscito, in cui i voti favorevoli furono oltre 3,5 milioni, mentre quelli contrari poco più di 2500 (l'uso di questi plebisciti stava ad indicare la volontà dell'imperatore di avere un rapporto diretto con le masse: di qui la parola "bonapartismo"). Sicché egli assunse il nome di Napoleone I (alla cerimonia s'incoronò lui stesso e poi incoronò l'imperatrice Giuseppina di Beauharnais: il papa Pio VII poté assistere solo come spettatore). Era di nuovo nato un regime monarchico assolutistico, espressione, questa volta, della grande borghesia, non più di diritto divino, come quelli feudali, ma basato sul consenso plebiscitario della nazione. (5) Subito dopo, trasformando la Repubblica Italiana (ex-Cisalpina) in regno d’Italia, prese il titolo di re d’Italia: la Francia divenne un impero. Imperatore di Francia, re d’Italia, protettore della Confederazione renana, mediatore della Svizzera, signore dell’Olanda, del regno di Napoli, del granducato di Varsavia e di altri Stati vassalli, Napoleone era il sovrano di decine di milioni di persone. Egli si sentiva così potente che non si fece scrupolo a ristabilire in Francia la nobiltà: gli aristocratici ritornati dall’emigrazione ottennero nuovamente i loro titoli, e accanto ad essi si creò una nuova nobiltà imperiale. Napoleone premiava generosamente i suoi generali, marescialli e i grandi funzionari, regalando loro castelli e terre, titoli di principe, duca, conte e barone. Nel 1808 entrò in vigore il Codice commerciale e nel 1811 il Codice penale. Notevoli furono i progressi in campo economico: anzitutto nel campo dell’industria tessile (lana, cotone, seta e lino). Poi nell’industria pesante (altiforni per la fusione della ghisa), che restava comunque ancora molto arretrata rispetto a quella inglese. Infine si registravano notevoli successi nella produzione di cereali, dell’uva e nell'allevamento. LA TERZA COALIZIONE Gli inglesi, temendo l'invasione della loro isola (cosa a cui Napoleone stava pensando), riuscirono a costituire una terza coalizione nel 1805, coinvolgendo Austria, Russia, Svezia e Regno di Napoli. Né loro né i francesi rispettarono la pace di Amiens. Napoleone infatti rafforzò la politica protezionistica, impedendo alle merci inglesi di entrare in Francia e continuava a rivedere i confini del suo impero, favorendo gli Stati vassalli (anche per indebolire l’influenza di Austria e Prussia sugli Stati tedeschi); le truppe inglesi non evacuarono da Malta e in Egitto cercavano di trasferire il potere nelle mani di un gruppo di Mamelucchi a loro favorevoli. Poiché non voleva essere attaccato alle spalle, nel caso avesse deciso di sbarcare in Inghilterra da Boulogne, sulle rive della Manica (in quel momento infatti la sua flotta, dopo la disfatta di Abukir, s'era ricostituita), Napoleone preferì rivolgersi contro gli austro-russi, che sconfisse a Ulm e Austerlitz. La pace di Presburgo (dicembre 1805), imposta all'Austria, fu durissima: la Dalmazia e l'Istria passarono alla Francia e il Veneto fu unito al regno d'Italia, creato nel 1805 (con capitale Milano), i cui territori confinavano col regno napoletano e con lo stesso impero francese (che comprendeva gli attuali Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria e Lazio): questo regno fu affidato al figliastro Eugenio di Beauharnais. Un suo generale rioccupò il regno napoletano, obbligando il re Ferdinando IV a fuggire in Sicilia, sempre protetto dagli inglesi: fu Giuseppe, fratello di Napoleone, a insediarsi nel napoletano. Il regno d'Etruria fu invece trasformato in Granducato di Toscana, annesso direttamente all'impero (1807) e affidato a Elisa, sorella di Napoleone. Tuttavia con la sconfitta navale di Trafalgar (vicino Cadice) nell'ottobre 1805 (dove pur morì Nelson) Napoleone deve rinunciare definitivamente a battere gli inglesi sui mari. LE RIFORME FRANCESI IN ITALIA In Italia Napoleone introdusse una serie di riforme, alcune delle quali avranno conseguenze anche dopo la fine del suo impero:
Inevitabilmente il blocco continentale contro gli inglesi danneggiò il commercio marittimo italiano, portando non solo alla decadenza i porti di Genova, Ancona e Livorno, ma anche alla forte crisi di vari settori industriali (p.es. la celebre industria del vetro di Venezia). Nel regno di Napoli abolì il feudalesimo con una legge apposita (agosto 1806), secondo cui la feudalità, come sistema giuridico e giurisdizionale, non poteva più esistere; tutta la rendita fondiaria era obbligata a pagare il fisco; vengono abolite le corvées e altri diritti signorili, ma viene riconosciuta ai baroni la proprietà delle loro terre, per cui non viene fatta alcuna riforma agraria in grado di spezzare il latifondo e di ripartire le terre comuni di cui i nobili s'erano appropriati abusivamente. Nell'aprile 1809 rioccupò lo Stato pontificio per porre fine al potere temporale dei papi. Pio VII lo scomunicò, ma Napoleone lo fece arrestare e trasferire a Fontainebleau. I patrioti italiani, delusi dai risultati del dominio napoleonico, presero a organizzare, sin dal 1807, nel sud del paese, un'associazione segreta, detta dei “Carbonari”, intenzionata a liberare il paese dalla presenza francese. Nel Mezzogiorno nacque anche il "sanfedismo", cioè un movimento "realista" o "legittimista" d'ispirazione cattolica, creato dal cardinale Fabrizio Ruffo, il cui obiettivo principale era quello di riportare il papa e il sovrano Borbone sui rispettivi troni. LA GUERRA CONTRO INGHILTERRA, SPAGNA E PORTOGALLO L'Inghilterra continuava a essere la minaccia più grande per i francesi, soprattutto sul piano economico e navale. Napoleone si vide costretto a imporre il blocco continentale (novembre 1806), con cui vietava i traffici commerciali col Regno Unito a tutti i paesi europei sottomessi alla Francia o comunque alleati, proibendo anche di accogliere navi britanniche. Tutti i prodotti inglesi scoperti nel territorio francese e degli Stati alleati venivano confiscati. Dopodiché pensò di occupare il Portogallo, che da vari secoli aveva rapporti commerciali diretti con gli inglesi. Alla Spagna, disposta ad aiutare Napoleone militarmente, aveva promesso di concederle una parte del territorio lusitano. Affidò il comando dell'esercito al generale Gioacchino Murat, che costrinse la famiglia reale a cercare rifugio in Brasile. Tuttavia lo sbarco di forze inglesi, chiesto dagli insorti portoghesi di Oporto, costrinse quelle francesi ad arretrare verso la Spagna (agosto 1808). Ora, siccome esisteva in Spagna un problema relativo alla successione al trono, Napoleone ne approfittò per destinare la corona a suo fratello Giuseppe, già re di Napoli (il trono di Napoli verrà affidato a Gioacchino Murat, un maresciallo che aveva sposato Carolina Bonaparte, sorella di Napoleone). Si noti che tutto l'impero era gestito dai familiari di Napoleone: anche in Olanda il re, Luigi Bonaparte, aveva sposato una figliastra di lui. Intanto nel continente sudamericano non poche colonie si ribellano alla Spagna con l'aiuto degli Stati Uniti. Anche l'isola di Haiti si ribella ai francesi, ottenendo l'indipendenza nel 1804. In Spagna però la popolazione non aveva alcuna intenzione di stare sottomessa ai francesi, che avevano proceduto immediatamente a fare due cose rivelatesi controproducenti: lo scioglimento dell'esercito regolare spagnolo e l'abolizione degli ordini religiosi per requisirne le proprietà. Nel luglio 1808, 20.000 uomini dell’esercito francese furono circondati dai partigiani spagnoli e, dopo infruttuosi tentativi di rompere l’accerchiamento capitolarono nei pressi di Bailén. Ciò produsse un'enorme impressione in Europa: l’esercito francese, ritenuto invincibile, si era arreso alle formazioni partigiane. Ma Napoleone inviò un potente esercito di 300.000 uomini (dicembre 1808) per assicurare il trono al fratello. Tuttavia gli spagnoli continuarono a sfiancare l'esercito francese adottando la tattica della guerriglia, i cui elementi militari provenivano proprio dall'esercito regolare sciolto. Quanto all'embargo commerciale contro gli inglesi, non ebbe alcun vero effetto, sia perché essi erano già in grado di disporre di un mercato mondiale e di praticare un vasto contrabbando (i loro prodotti giungevano sul continente attraverso la penisola iberica, i Balcani e i mari della Germania settentrionale, nonostante il contrabbando fosse punito con lunghi anni di detenzione e persino con la pena di morte), sia perché loro stessi potevano applicare un contro-blocco, facendo mancare alla Francia beni divenuti indispensabili per l'industria, come p.es. il cotone, o di largo consumo, come p. es. lo zucchero e il caffè. Le navi inglesi erano in grado d'impadronirsi di quelle francesi e neutrali, bloccandone i relativi porti. Questi svantaggi economici indussero Napoleone ad accentuare il lato autoritario del suo regime già dispotico, aumentando le imposte indirette, gli arruolamenti nei suoi eserciti, le requisizioni delle opere d'arte... L'esercito permanente era formato da mezzo milione di uomini (nel 1813 arriverà al milione): ogni anno doveva reclutare 150.000 uomini, sicché era diventato inevitabile che le spese militari venissero pagate anche coi bottini di guerra e le confische. LA QUARTA COALIZIONE Tutto ciò spiega il motivo per cui nel 1806 si formò una quarta coalizione tra Russia, Prussia e Regno Unito. Tuttavia il sovrano prussiano, Federico Guglielmo III, senza aspettare l'aiuto russo, volle affrontare da solo l'armata francese: la sconfitta a Jena e Auerstädt (ottobre 1806) fu disastrosa: la disfatta, totale e immediata, fu praticamente senza precedenti nella storia della Prussia. Napoleone entrò a Berlino come trionfatore, mentre il re di Prussia si rifugiò presso lo zar Alessandro I. Era proprio nel modo di condurre le operazioni belliche che Napoleone era in grado di dimostrare la superiorità del sistema sociale borghese rispetto a quello assolutistico-feudale. La stessa Russia subì due pesanti sconfitte a Eylau e a Friedland (febbraio-giugno 1807), per cui accettò la pace di Tilsit, con la quale lo zar riconosceva tutti i cambiamenti territoriali e politici attuati da Napoleone in Europa, diventando suo alleato contro l’Inghilterra. La Prussia fu mantenuta come Stato indipendente, ma fino al pagamento dei tributi fissati dal trattato le truppe francesi sarebbero rimaste sul suo territorio. Essa perse le terre conquistate durante le spartizioni della Polonia e anche tutti i suoi possedimenti sulla riva sinistra dell’Elba. Con le sue regioni occidentali e altri Stati tedeschi, Napoleone formò il regno vassallo di Westfalia, facente parte della Confederazione renana (composta da 16 Stati vassalli), a capo della quale mise suo fratello Gerolamo; con le terre polacche tolte alla Prussia fu creato il granducato di Varsavia, del quale Napoleone mise a capo il re di Sassonia suo alleato. In conseguenza di tutti questi cambiamenti, la popolazione della Prussia si ridusse da 10 a 5 milioni e l’esercito prussiano fu limitato a 42 mila uomini. Scompariva così il millenario Sacro Romano Impero, la cui corona viene deposta da Francesco II d'Asburgo nel 1806: le 360 unità politiche esistenti dell'impero vengono accorpate in 38 Stati. La lingua francese fu dichiarata obbligatoria nelle amministrazioni e nei tribunali prussiani. Nel 1807 fu emanato un decreto che annullava in Prussia lo stato di servitù dei contadini. Con un altro decreto, del 1811, ai contadini fu concesso il riscatto dai censi feudali a condizione che pagassero una somma pari a 25 volte l’ammontare dei canoni annuali, oppure che concedessero al proprietario terriero da 1/3 alla metà dell’appezzamento di terra da essi coltivato. Le riforme agrarie del 1807-1811 non indebolirono le posizioni economiche degli junkers, che poterono continuare a sfruttare gli ex-servi della gleba in qualità di operai agricoli salariati. Le condizioni del riscatto erano estremamente pesanti e svantaggiose per i contadini, ma nel contempo esse aprirono la strada allo sviluppo del capitalismo nell’agricoltura della Prussia. Il filosofo Fichte, che nel 1799 era stato nettamente filo-francese, negli anni 1807-1808 prese posizione, con I discorsi alla nazione tedesca, a favore di una lotta di liberazione nazionale della Germania. Nel 1808 un gruppo di cittadini, studenti e ufficiali, organizzò a Königsberg un’associazione patriottica tedesca denominata “Tugendbund” (“Unione della virtù”), che aveva come obiettivo la liquidazione dei rapporti feudali, l’introduzione di un sistema costituzionale, la rinascita della Germania e la sua liberazione dal dominio straniero. LA QUINTA COALIZIONE Praticamente solo gli inglesi resistevano. Essi infatti, insieme agli austriaci, incoraggiati dai successi dei patrioti spagnoli, organizzano la quinta coalizione (aprile 1809), obbligando Napoleone, che si trovava in Spagna, a rientrare in tutta fretta a Parigi. La Russia, formalmente alleata con la Francia, si rifiutò di dare un appoggio attivo a Napoleone. Gli austriaci invasero la Baviera, alleata della Francia, ma Napoleone, con una rapidità incredibile, li sconfisse ed entrò a Vienna per la seconda volta (maggio 1809), sferrando il colpo di grazia nella battaglia di Wagram. Il nuovo cancelliere, per pacificarlo, si sentì indotto a offrirgli la mano della diciannovenne Maria Luisa, figlia dell'imperatore Francesco I e nipote di Maria Antonietta, ghigliottinata durante la rivoluzione francese. Napoleone, che non aveva avuto figli dalla prima moglie, Giuseppina Beauharnais, accettò di sposarla nell'aprile 1810: l'anno dopo nacque l'erede Francesco Carlo Giuseppe, cui diede il titolo di "re di Roma". Con la pace di Schönbrunn l'Austria dovette cedere Salisburgo e il Tirolo settentrionale alla Baviera, il Tirolo meridionale al regno d'Italia, la Galizia al granducato di Varsavia e la Carinzia, la Croazia, Trieste e Fiume alla Francia (quest'ultimi quattro territori, insieme a Istria e Dalmazia, andranno a formare le Province Illiriche, sottoposte direttamente all'impero). In sostanza l’Austria perse 1/6 della sua popolazione (cioè oltre 3,5 milioni di abitanti), fu espulsa dall’Italia e dovette impegnarsi a pagare alla Francia un tributo di 40 milioni di fiorini. Ora tutta Europa, salvo l'Inghilterra e la Russia e in parte la Spagna, era ai piedi di Napoleone, che poteva esercitare un dominio su 1/3 dell'intera popolazione (circa50 milioni). La Francia era diventata la più forte potenza del mondo. Il che in Europa non veniva accettato tanto tranquillamente: p.es. nell’aprile del 1809 iniziò la rivolta dei contadini tirolesi sotto la direzione dell’oste Andreas Hofer e del contadino Speckbacher. I partigiani tirolesi colpirono duramente le truppe francesi, anche se alla fine di quell'anno la loro lotta venne soffocata e Hofer fucilato a Mantova. Quasi contemporaneamente si registrarono delle ribellioni in Prussia, in Westfalia, nel Braunschweig e nella Sassonia. Tuttavia la situazione più difficile era in Spagna, poiché qui, a causa della resistenza partigiana, Napoleone era costretto a tenere circa 300.000 soldati scelti francesi. In particolare, nel 1810, in quella parte di territorio spagnolo liberato dagli occupanti iniziarono le sedute delle Cortes costituenti. Fra i deputati eletti prevalevano i rappresentanti della borghesia e della nobiltà liberali. Nel marzo del 1812 le Cortes approvarono la prima Costituzione della storia spagnola: essa, ispirata a quella francese del 1791, limitava il potere del re con la Camera elettiva e sopprimeva le sopravvivenze medievali, quali l’Inquisizione, le dogane interne, le decime a favore della Chiesa e alcuni privilegi feudali della nobiltà. Furono però mantenute le proprietà latifondistiche e quelle della Chiesa. Tale Costituzione rappresenterà un punto di riferimento per il movimento costituzionale europeo nei decenni successivi. Anche in Sicilia avverrà la stessa cosa: il re Ferdinando IV approverà, sempre nel 1812, una Carta costituzionale che affidava il potere legislativo a un Parlamento bicamerale dotato di ampi poteri di controllo sul governo e sul re. LA DISFATTA IN RUSSIA Giunto al culmine della propria potenza, Napoleone s'era reso conto che la situazione economica della Francia non era affatto così florida come avrebbe dovuto essere, in seguito allo sfruttamento di buona parte dell'Europa. In particolare le continue guerre avevano prodotto in Francia un incredibile aumento delle tasse e avevano costretto a riorganizzare tutta l’economia in funzione dei bisogni militari (si pensi solo al continuo reclutamento sotto le armi). L'industria francese aveva bisogno di alcune materie prime che giungevano soltanto dall’Inghilterra o dalle sue colonie (cotone, coloranti ecc.), e di molti prodotti dell’industria inglese (p.es. il panno). In seguito al blocco inglese si era ridotta significativamente l’importazione in Francia di prodotti coloniali, compresi quelli di prima necessità come p.es. lo zucchero e il caffè. Alcuni settori dell’industria francese (p.es. quello della seta), accusavano la mancanza di un mercato così vantaggioso come quello inglese. Nella stessa situazione si trovò anche il settore vinicolo (i prezzi dell’uva e del vino erano diminuiti sensibilmente). Inoltre la spoliazione dei paesi europei impediva a questi di acquistare i prodotti francesi. Napoleone fu così costretto a introdurre un sistema di licenze che permetteva di esportare in Inghilterra seta e vino e di importare zucchero, al fine di migliorare la posizione dei viticoltori francesi e degli industriali della seta di Lione, gravemente danneggiati dalla crisi. Ma egli considerava tale provvedimento come provvisorio. E per dimostrare che per lui le questioni militari erano prioritarie su quelle economiche, così come la politica estera su quella interna, si accinse a compiere un'impresa di cui poi dovrà poi pentirsi amaramente. Volle scontrarsi con un nemico che avrebbe fatto crollare il suo impero molto rapidamente: la Russia. Lo scoppio della guerra contro lo zar fu dovuto a varie cause:
La Russia era una delle più forti potenze d’Europa. Il suo territorio era aumentato di 1/3 nel corso del XVIII sec., e la popolazione di due volte e mezzo, raggiungendo all’inizio del XIX sec. i 36 milioni. Nel 1804 essa contava quasi mille manifatture (oltre alle miniere) con 95.000 operai, dei quali circa la metà erano salariati. All’inizio del secolo si hanno i primi tentativi d'impiego delle macchine nell'industria tessile. Tuttavia ancora forte era la servitù della gleba, cui i contadini tentavano continuamente d'opporsi (nel primo decennio del XIX sec. vi erano state oltre 80 rivolte). Le condizioni del riscatto dal servaggio erano estremamente pesanti per loro. Una parte della burocrazia si rendeva conto ch'era giunto il tempo di dare una veste costituzionale all'autocrazia zarista. Prima di decidersi di attaccare la Russia, Napoleone fece in modo che la sua diplomazia contrastasse l’annessione della Transcaucasia alla Russia, e istigasse la Turchia a continuare la guerra contro lo zar, iniziata nel 1806 (quest'ultima cosa non gli riuscì, in quanto la Russia firmò un trattato di pace a Bucarest nel maggio 1812, con cui ottenne la Bessarabia). La stessa annessione della Galizia al granducato di Varsavia fu giudicato dal governo zarista come un passo preliminare alla dichiarazione di guerra. Napoleone pensò anche di spingere la Svezia a un nuova guerra contro la Russia, ma il governo svedese preferì astenersi da rischiose avventure. In tal modo non gli riuscì d'isolare diplomaticamente la Russia. Il malcontento della nobiltà russa per il blocco continentale, che impediva al loro paese di vendere all' Inghilterra i propri prodotti agricoli e di ricevere da essa merci a buon mercato, costrinse il governo zarista nel dicembre del 1810 a permettere l’ingresso nei porti russi di navi neutrali, ossia, praticamente, di riprendere il commercio con l’Inghilterra attraverso intermediari dei paesi non belligeranti. Nel 1811 fu introdotta una tariffa doganale che colpiva con forti dazi le merci francesi. Da quel momento Napoleone iniziò la preparazione della campagna militare contro la Russia, nella quale pensava d'impiegare anche le forze delle potenze dell’Europa continentale a lui sottomesse (in particolare la Prussia e l’Austria). Senza alcuna dichiarazione di guerra, nel giugno 1812 egli entrò in Russia con un esercito di circa 600 mila uomini (il cui nucleo centrale era composto dalle truppe francesi in servizio permanente, cioè le forze migliori, ma che comprendeva anche militari polacchi, austriaci, prussiani e italiani). Calcolava di sconfiggere le forze principali dell’esercito russo in una battaglia generale vicino alla frontiera, per poi recarsi a Mosca e dettare le sue condizioni di pace. La Russia non disponeva di riserve addestrate e poté mettere in campo all’inizio della guerra un esercito ch'era la metà di quello francese. Per questo motivo il comando russo evitava battaglie decisive, cercando piuttosto di unire le sue armate, ritirandole in profondità nel paese. Il comando francese fu costretto a impiegare grossi contingenti nelle guarnigioni dei territori occupati, per difendere le comunicazioni che si estendevano per 600 km e coprire i fianchi. Di tutta la “grande armata” giunsero a Smolensk solo 180 mila soldati. La superiorità numerica delle forze di Napoleone era andata perduta. La guerra si stava prolungando oltre il previsto e, per di più, lontano dalle basi di rifornimento e dalle riserve: il che rappresentava un grave rischio per i francesi. Lo stato maggiore avrebbe voluto limitarsi a rafforzare i territori occupati, rinviando la marcia su Mosca all’estate successiva. Ma Napoleone volle fare una battaglia risolutiva sotto le mura di Smolensk e, dopo averla vinta, porre termine alla campagna. Tuttavia, dopo due giorni di scontri molto cruenti, le due armate russe si ritirarono da Smolensk verso oriente. Napoleone le insegui, convinto di sconfiggerle nelle vicinanze di Mosca. Ma così non fu. L'invasione francese, infatti, aveva provocato in Russia un eccezionale risveglio del patriottismo. La guerra contro il nemico invasore si era trasformata in una vera e propria "guerra patriottica", in cui tutti si sentivano coinvolti per la difesa della nazione. La cosa singolare è che, nonostante questo risveglio popolare, il fatto che le truppe russe continuassero ad arretrare aveva cominciato a preoccupare seriamente lo zar, che si vide costretto a incaricare un nuovo generale, Kutuzov, alla loro guida. Kutuzov decise di fronteggiare Napoleone a Borodino (a 120 km da Mosca). All’inizio della battaglia l’esercito russo, che aveva ricevuto rinforzi, contava 120 mila uomini e 640 pezzi di artiglieria, contro 130 mila francesi con 587 pezzi di artiglieria. La battaglia dissanguò l’esercito napoleonico, che perse 58 mila soldati e ufficiali e 49 generali. Ma anche Kutuzov non riuscì a sfruttare il successo. I russi persero 38.500 uomini e non avevano riserve fresche. Kutuzov decise perciò di ritirarsi, dando persino l'ordine di abbandonare Mosca senza combattere, pur di salvare l’esercito. I francesi quindi arrivarono a Mosca e la trovarono completamente abbandonata. Le truppe russe avevano distrutto le riserve alimentari e i depositi militari. Inevitabilmente l'esercito napoleonico si diede al saccheggio delle case abbandonate dalla popolazione, finché scoppiarono numerosi incendi, che distrussero interi quartieri (i 3/4 degli edifici); nel fuoco scomparvero libri rarissimi, quadri, documenti d’archivio e altri valori materiali e culturali. Napoleone contava di concludere molto presto un trattato di pace favorevole, ma dallo zar non ricevette mai alcuna risposta. La permanenza a Mosca diventava per lui, rimasto con 110 mila uomini, non solo senza senso ma anche pericolosa, perché l’esercito russo si era salvato e, coi suoi 120 mila effettivi, minacciava il nemico preparandosi a tagliargli la ritirata. Decisa appunto la ritirata, a Napoleone, giunto al traghetto del fiume Beresina, dopo essere stato ripetutamente attaccato in varie direzioni, era rimasto un esercito di soli 40.000 uomini, e qui ne perse altri 29.000. Quando poi seppe che a Parigi vi era stato un tentativo di colpo di stato repubblicano, abbandonò il resto del suo esercito nelle mani di Murat e si recò immediatamente in Francia. Di tutto il suo esercito soltanto 20.000 soldati riuscirono a salvarsi, altri 150 mila finirono prigionieri. Questa tragedia, unita all'insurrezione in Spagna dei liberali nel marzo 1812, a Cadice, costrinsero i francesi a ritirarsi nei due fronti estremi del loro impero. Essa aveva dimostrato ai popoli europei che l’esercito napoleonico non era affatto invincibile. LA SESTA COALIZIONE La sconfitta dei francesi nella guerra contro la Russia fu la spinta verso un impetuoso sviluppo del movimento di liberazione nazionale in Prussia. Cominciarono a formarsi reparti di partigiani, e fra di loro si distinse in seguito il reparto comandato dal capitano Lützov. I poeti Körner, Arndt e il compositore Weber scrivevano poesie e canzoni che incitavano il popolo tedesco alla guerra di liberazione. L’associazione segreta patriottica “Tugendbund” accolse migliaia di nuovi adepti; in tutti gli angoli della Germania essa sollevava la popolazione alla lotta contro Napoleone. Il re Federico Guglielmo III comprese che se non si fosse unito al movimento di liberazione nazionale, la monarchia avrebbe corso il rischio di essere deposta. Il 28 febbraio 1813 fu conclusa l’alleanza fra la Prussia e la Russia contro la Francia napoleonica. Il re chiese alla popolazione di abbattere il giogo dei conquistatori francesi e promise, sebbene in modo molto vago, di effettuare dopo la guerra ampie riforme, fino alla concessione della Costituzione. In realtà né il re prussiano Federico Guglielmo III, né l’imperatore russo Alessandro I perseguivano obiettivi di liberazione e tanto meno erano intenzionati a concedere la libertà ai popoli d’Europa. Semplicemente Alessandro I voleva annettere alla Russia il granducato di Varsavia, mentre Federico Guglielmo III voleva estendere i possedimenti della Prussia a scapito del regno di Sassonia e degli altri Stati tedeschi. Ritornato alla fine del 1812 a Parigi, Napoleone si apprestò immediatamente a organizzare un nuovo esercito. Dalla Francia e dai paesi vassalli egli attinse uomini, derrate alimentari, materiali bellici e mezzi finanziari, senza curarsi di nessuno. Egli voleva colpire gli eserciti russo e prussiano prima che questi riuscissero a ottenere rinforzi e finché gli alleati tedeschi della Confederazione renana gli fossero rimasti fedeli. In breve tempo armò tutti gli uomini che poté raccogliere, più di 300.000. Mezza Europa si coalizzò per la sesta volta contro la Francia (Gran Bretagna, Russia, Prussia e Svezia). Le ostilità si aprirono nella primavera del 1813 nel territorio della Sassonia. Nel maggio Napoleone riuscì in due battaglie, Lützen e Bautzen, a sconfiggere le truppe degli alleati. A questo punto anche l’Austria si associò alla coalizione. Gli eserciti degli alleati contavano oltre un milione di uomini. Intanto nelle città occupate dai francesi scoppiavano ribellioni. I reparti degli Stati della Confederazione renana che facevano parte dell’esercito di Napoleone non volevano combattere contro i loro connazionali. La Baviera si unì agli alleati. Il 16-19 ottobre 1813 avvenne a Lipsia la battaglia decisiva. L’esercito di Napoleone contava 155 mila uomini, contro i 220 mila dei prussiani e degli austriaci, ma poi entrò in azione un altro esercito alleato di 110 mila uomini, composto in prevalenza da soldati russi e svedesi. Nel pieno dell’accanita battaglia un corpo di truppe sassoni che si batteva nelle file dell’esercito francese passò al completo dalla parte degli alleati. Ciò determinò il risultato definitivo della battaglia. Dopo la battaglia di Lipsia terminò il dominio francese in Germania. La Confederazione renana si disgregò. Gli Stati tedeschi sottoposti a Napoleone, seguendo l’esempio della Baviera, passarono dalla parte degli alleati. Cessò di esistere il regno di Westfalia creato dai francesi; Gerolamo, il fratello di Napoleone, fu costretto a fuggire. La sconfitta delle truppe francesi e la loro ritirata oltre il Reno causarono il crollo del dominio francese anche in Olanda e negli altri paesi europei. In Spagna, dove insieme alle forze armate degli insorti spagnoli combattevano le truppe inglesi sotto il comando di Wellington, l’esercito francese subì una sconfitta decisiva nella battaglia di Vitoria (giugno 1813), e fu quindi costretto a ritirarsi in Francia. Nell’ottobre 1813 un esercito di 70.000 uomini, sotto il comando di Wellington, attraversò i Pirenei, e all’inizio del 1814 la Francia fu invasa dagli eserciti degli alleati. Per la prima volta, dopo il 1793, il nemico entrava nel territorio francese. Ma non ci fu una vera sollevazione popolare: dopo 15 anni di dittatura anche la Francia era esausta. Su 300 mila uomini richiamati nell'esercito nel novembre 1813, se ne erano presentati all’inizio del 1814 solo 63 mila. Le truppe degli alleati che avevano invaso la Francia avevano una superiorità numerica di cinque volte sull’esercito di cui disponeva ancora Napoleone. I coalizzati, nel marzo 1814, entrarono a Parigi, costringendo Napoleone ad abdicare. Gli diedero la sovranità dell'isola d'Elba. Sua moglie però non lo seguì, preferendo tenersi il Ducato di Parma, e il figlio rimase a Vienna. Sul trono francese tornarono i Borbone, col fratello di Luigi XVI, il conte di Provenza, che assunse il titolo di Luigi XVIII. Nel maggio 1814 fu concluso il trattato di pace, secondo cui alla Francia venivano tolti tutti i territori conquistati alla fine del XVIII secolo; le sue frontiere erano ristabilite in conformità alla situazione del 1792. In Italia il viceré Eugenio di Beauharnais sperava di tenersi il Lombardo-Veneto, ma una sommossa popolare, esplosa a Milano, lo costrinse a lasciare il regno in mano austriaca. Quanto al re borbonico di Napoli e al papa Pio VII, ripresero possesso dei loro Stati. Nell’ottobre del 1814 si aprì a Vienna il Congresso dei rappresentanti di tutti gli Stati europei, i quali dovevano rifare la carta politica dell’Europa. I CENTO GIORNI E LA SETTIMA COALIZIONE La restaurazione dei Borbone, invisi alle larghe masse del popolo francese, avvenne con l’aiuto delle truppe dei monarchi reazionari europei. In Francia ritornarono gli aristocratici emigrati, nemici accaniti della rivoluzione e delle sue conquiste. In seguito alle insistenze degli alleati e di quei dirigenti politici francesi, i quali capivano l’impossibilità di un ritorno agli ordinamenti assolutistico-feudali rovesciati un quarto di secolo prima, Luigi XVIII promulgò la Costituzione, che ratificava giuridicamente il compromesso politico fra l’aristocrazia e la grossa borghesia. Tuttavia larghi strati della popolazione furono assolutamente tagliati fuori dalla vita politica. Il diritto di voto apparteneva praticamente a una cerchia ristretta di cittadini ricchi (il loro numero oscillava dai 12 ai 15 mila). Luigi XVIII fu costretto anche a riconoscere i cambiamenti nell’agricoltura avvenuti negli anni della rivoluzione e dell’impero e ad accettare la soppressione dei privilegi di casta. Tuttavia gli ultrarealisti (gli elementi più reazionari dell’aristocrazia), capeggiati dal fratello del re, il conte di Artois, si comportavano come se in Francia non ci fosse stata alcuna rivoluzione. Volevano riportare completamente il paese al regime pre-rivoluzionario. Nei circoli nobiliari degli ex-emigrati si discuteva seriamente il problema della restituzione delle vecchie proprietà terriere confiscate durante la rivoluzione. I contadini erano minacciati dal ristabilimento dei tributi feudali e delle decime da versare alla Chiesa. Fu per questi motivi che nel marzo 1815 Napoleone, dall'isola d'Elba, decise di sbarcare a Cannes con un’esigua formazione di mille uomini e sei cannoni. Tre settimane dopo, senza colpo ferire, egli, a capo di un forte esercito inviatogli contro ma che era passato dalla sua parte, entrò come trionfatore a Parigi. Luigi XVIII e la sua corte fecero appena in tempo a rifugiarsi in Belgio. I partecipanti al Congresso di Vienna si misero rapidamente d’accordo. Fu costituita la settima coalizione delle monarchie europee con a capo l’Inghilterra aristocratico-borghese. La coalizione mise in campo un fortissimo esercito di circa un milione di soldati, mentre Napoleone aveva a disposizione appena 275 mila uomini. L’unica possibilità di successo che gli restava era quella di sollevare alla lotta la Francia popolare, ma non gli riuscì, né fu accettata dalla coalizione la sua proposta di pace. Fu così ch'egli decise, prima che giungessero le forze principali degli alleati, di provare a sbaragliare gli eserciti inglese e prussiano, dislocati in Belgio. Nel giugno 1815 il suo esercito entrò in combattimento a Waterloo (presso Bruxelles) con le truppe inglesi comandate da Wellington. Ma nel pieno della battaglia intervenne in aiuto agli inglesi il corpo prussiano di Blücher. L’esercito di Napoleone subì una disfatta decisiva. Le truppe degli alleati invasero il territorio francese e occuparono nuovamente Parigi. Dopo la battaglia di Waterloo Napoleone abdicò nuovamente (il 22 giugno 1815). Egli pensò di andare in America, ma il suo piano non riuscì a causa del blocco istituito da una squadra navale inglese sulle coste francesi; e fu costretto ad arrendersi agli inglesi. Il governo inglese, d’accordo con le altre potenze alleate, esiliò Napoleone nell’isola di S. Elena (nella parte meridionale dell’Oceano Atlantico). Qui egli morì nel maggio del 1821. In Francia ritornarono i Borbone. In Italia il re di Napoli, Gioacchino Murat, si spinse col suo esercito fino a Rimini, da dove con un proclama invitò gli italiani a cacciare gli austriaci e a formare un'unica nazione, ma non venne ascoltato e fu sconfitto a Tolentino, nelle Marche. Ferdinando IV, ripresosi il suo trono, lo fece fucilare. Fu così che nacque la cosiddetta "Restaurazione", sanzionata dal Congresso di Vienna del 1815, che ridiede legittimità ai sovrani tardo-feudali precedenti alla stessa rivoluzione francese. Difficilmente comunque si poteva prescindere da ciò che Napoleone aveva fatto, esportando all'estero le principali conquiste rivoluzionarie della Francia: la legislazione civile e penale, l'amministrazione statale centralizzata, la laicizzazione dello Stato, l'abolizione dei vincoli personali feudali, la vendita dei beni ecclesiastici, la possibilità per i ceti borghesi di accedere a importanti cariche pubbliche. Forse gli unici due imperi che meno di tutti subiranno gli influssi dell'eredità napoleonica saranno quello asburgico e quello russo. Note (1) Il Consiglio dei 500 proponeva le leggi che il Consiglio degli anziani (250 membri di oltre quarant'anni) doveva approvare o eventualmente respingere. (2) I termini Paesi Bassi e Olanda sono spesso utilizzati come sinonimi. In realtà il termine Olanda identifica soltanto due delle dodici province che formano i Paesi Bassi: l'Olanda Settentrionale e l'Olanda Meridionale. Quanto al Lussemburgo, si può qui ricordare ch'esso venne ricreato nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, sebbene controllato dal regno dei Paesi Bassi, da cui si rese indipendente nel 1839, pur perdendo tuttavia parte del suo territorio in favore del Belgio. Il Belgio invece divenne indipendente dai Paesi Bassi nel 1830. (3) I Mamelucchi erano una casta di origine turca che dominava l'Egitto sin dal XIII sec. Dopo la partenza dei francesi salì al potere Muhammad Alì, che cominciò a rivendicare l'autonomia dall'impero ottomano. Circa 150 Mamelucchi si arruolarono nell'esercito napoleonico. (4) Accanto a molti provvedimenti democratici si ristabilirono però alcune norme dell'Ancien Régime, come p.es. la schiavitù nelle colonie, forti limitazioni al divorzio e non poche discriminazioni a carico della donna e dei figli naturali. (5) Proprio nel 1804 Napoleone fece rapire e giustiziare immediatamente Luigi Antonio di Borbone, Duca di Enghien, solo perché lo sospettava d'essere a capo d'una congiura contro di lui. L'evento destò l'indignazione delle corti europee per l'arrogante violazione francese della sovranità di uno Stato estero (granducato di Baden in Germania, presso cui il duca viveva sin dal 1789), e per la sorte che gli era stata riservata: gettato in una fossa. Contro di lui non fu mai trovata alcuna prova e Fouché, capo della polizia, ammise l'errore. Pare che l'eliminazione del duca sia stato il segnale che Napoleone intendeva inviare ai Borbone e ai loro sostenitori nel momento in cui preparava il colpo di stato con cui, meno di due mesi dopo, si sarebbe proclamato imperatore. |