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GUERRA CIVILE IN FRANCIA (1562-98)
Dopo la pace di Cateau-Cambresis (1559) e l'improvvisa morte accidentale del sovrano Enrico II (1547-59), scoppia in Francia una guerra civile in cui i contrasti sociali tra nobiltà, borghesia e corona s'intersecano con quelli di natura religiosa tra cattolici e calvinisti. Il fatto d'aver perso la guerra con la Spagna per l'egemonia dell'Italia e delle Fiandre, fa piombare la Francia in una grave crisi interna, in cui emergono le contraddizioni di una monarchia non sufficientemente centralizzata e autorevole, di una nobiltà cattolica che ancora pretende una propria indipendenza e che non si fa scrupolo di allearsi con gli spagnoli pur di averla, e di una borghesia sempre più calvinista, che aspira ad avere un ruolo politico nazionale anche in chiave ideologica, mirando a uno scontro diretto con la corona e la classe feudale. Sul piano economico la situazione era drammatica: l’erario completamente vuoto, il debito pubblico enorme, l’esercito era stato sciolto senza che gli venisse pagato lo stipendio arretrato, le imposte ovviamente aumentavano sempre più. Quando i nobili, abituati ai saccheggi di guerra, tornarono nelle proprie tenute, vi trovarono edifici cadenti e rendite assai ridotte: erano inoltre scontenti dell’accentramento statale e della esclusione degli alti dignitari dagli affari politici. La miseria era crescente ovunque. Ma quel che è peggio è che, grazie alle strette relazioni commerciali con la Spagna, in Francia, prima che negli altri paesi, cominciò ad arrivare una grande quantità di monete spagnole svalutate, il cui argento proveniva massicciamente dalle colonie, rompendo il secolare rapporto stabile tra il valore dell’oro e quello dell’argento, sicché ebbe inizio un rapido aumento dei prezzi dei prodotti agricoli, dei prodotti manifatturieri e industriali. I calvinisti in Francia amavano chiamarsi "riformati", ma i cattolici li chiamavano "ugonotti". L'etimologia del termine "ugonotto" rimane incerta: forse va cercata nella parola tedesca Eidgenossen ("congiurato" o "confederato"); ma potrebbe anche derivare dal cognome di Besançon Hugues, il leader cattolico del "Partito della Confederazione" di Ginevra, che, prima di Giovanni Calvino (che vi giunse nel 1536), lottò contro il dominio della dinastia sabauda (1525), ottenendo l'indipendenza di Ginevra nel 1526. Il termine Huguenot apparve per la prima volta in Francia per indicare i cospiratori (tutti membri aristocratici della chiesa riformata) implicati nella Congiura di Amboise del 1560. Gli ugonotti, guidati da Calvino, avevano organizzato il loro primo sinodo nazionale a Parigi nel 1558. Nel 1562 il loro numero complessivo si poteva stimare in almeno due milioni di persone, specialmente nel sud e nel centro-ovest della Francia. Nemici giurati della chiesa cattolica, gli ugonotti erano iconoclasti (distruggevano altari, immagini sacre e in qualche caso demolivano edifici di proprietà ecclesiastica, come a Bourges, Montauban e Orléans), erano anche contrari al monachesimo. In genere appartenevano a classi sociali abbastanza agiate: commercianti di città e artigiani specializzati, ma vi erano anche molti esponenti della piccola nobiltà, che miravano alla secolarizzazione dei beni ecclesiastici per uscire dalla loro crisi economica, e anche esponenti del proletariato urbano e rurale, che vedevano nella lotta anti-fiscalista e nelle tendenze separatistiche una forma di emancipazione dalla dittatura della corona. I protestanti francesi erano già stati perseguitati sia dal re Francesco I che dal re Enrico II. Alla morte di quest'ultimo, i figli Francesco II (1559-60) e Carlo IX (1560-74) erano ancora minorenni, sicché la reggenza passò alla loro madre, Caterina dei Medici (1519-89), avversata dai francesi per la sua origine straniera e per il suo esasperato gusto del lusso, dell'arte e dei costumi italiani. Con l’aiuto di consiglieri della cerchia degli "uomini di toga", Caterina mirò a difendere le posizioni principali dell’assolutismo e a non ammettere gli alti dignitari alla direzione dello Stato. Fino agli anni '80 riuscì, a grandi linee, nel suo intento. In politica estera seppe, senza rompere i rapporti allacciati con la Spagna dopo la fine delle guerre italiane, difendere gli interessi della Francia dalle mire di Filippo II. Le grandi famiglie aristocratiche feudali cercarono di approfittare della minorità dei figli di Enrico II per limitare i poteri della corona e, se protestanti, anche per ridurre i privilegi della religione cattolica. Tra queste famiglie spiccavano i Guisa (cattolici), che avevano vastissimi possedimenti in Lotaringia, in Borgogna, nella Champagne e nel Lionese, e i Borbone (protestanti), capeggiati dai principi di casa Borbone (il re di Navarra, Antonio, poi suo figlio Enrico, più tardi divenuto re di Francia col nome di Enrico IV, i principi di Condé) e da rappresentanti della casata nobile degli Chatillon (l’ammiraglio Coligny e altri). Gli uni e gli altri avanzavano rivendicazioni quali la convocazione degli Stati Generali e Provinciali come organi limitativi del potere regio, la cessazione della vendita delle cariche statali e la concessione di queste cariche alle persone di “nobile” origine, l’estensione dei privilegi locali della nobiltà a scapito del potere centrale. A quel tempo, tra i difensori dell’assolutismo la forza più stabile era costituita dagli “uomini di toga” (funzionari scelti dal sovrano), e in parte dalla "nobiltà di spada" della Francia settentrionale, con i quali si schierava una parte notevole della borghesia settentrionale. Gli "uomini di toga" e la borghesia costituirono all’inizio della guerra civile il partito cattolico dei cosiddetti "politici", appoggiato anche da alcuni strati della nobiltà semplice. I "politici" anteponevano gli interessi dello Stato francese agli interessi della religione (di qui il nome di questo partito); essi difendevano, contro le tendenze autonomistiche dei Guisa e il calvinismo dei Borbone, i successi politici della Francia legati allo sviluppo della monarchia assoluta: l’unità politica del paese, l’accentramento del potere e i privilegi della Chiesa gallicana, legalizzati dal Concordato di Bologna del 1516 e che assicuravano alla Francia una notevole indipendenza dallo Stato pontificio. Nel 1560 il governo fu affidato al duca Francesco I di Guisa e a suo fratello, il cardinale di Lorena, zii della regina Maria Stuarda (1), entrambi cattolici intolleranti. Di fronte a quest'aperta sfida, i protestanti, alla cui testa si pose allora il principe di Condé, tentarono un colpo di mano, che sfociò nella suddetta congiura di Amboise, con cui i protestanti cercarono, invano, d'impadronirsi del re Francesco II per sottrarlo alla tutela dei Guisa. La repressione del duca di Guisa fu molto dura, anche se il principe di Condé fu risparmiato. Intanto la nobiltà cattolica dei Guisa cercava di accattivarsi le simpatie del recente nemico dichiarato della Francia: la Spagna. E, in cambio del proprio appoggio, Filippo II rivendicava la Borgogna, oltre alla Provenza o ad una qualsiasi altra provincia meridionale, per esempio il Delfinato. Viceversa l’aristocrazia ugonotta, ostile alla Spagna, cercava la protezione della regina Elisabetta d’Inghilterra, la quale si faceva passare per difensore disinteressato di tutti i protestanti dell’Europa continentale. Le furono promessi Calais e la sovranità sulla Guienna, il che avrebbe significato la concessione all’Inghilterra di importantissime posizioni strategiche e economiche in Francia. L'improvvisa morte di Francesco II alla fine del 1560 produsse una momentanea tregua. La regina Caterina dei Medici tenne la reggenza in nome dell'ancora troppo giovane Carlo IX e cercò un'intesa tra cattolici e protestanti. Pur essendo più vicina ai cattolici, Caterina, nel gennaio 1562, promulgò l'Editto di Saint-Germain-en-Laye, che proclamava la libertà di culto pubblico per i protestanti, ma solo nei sobborghi e nelle periferie delle città o in zone di campagna, ponendo limiti al numero di partecipanti; inoltre essi dovevano restituire i luoghi di culto, già cattolici, di cui si erano precedentemente appropriati. I Guisa si dichiararono contrari a queste concessioni, che ritenevano un pericoloso cedimento della corona al nemico. La prima guerra di religione (1562–63) La rottura fu consumata il 1º marzo 1562, mentre si svolgeva a Vassy o Wassy (Champagne), un culto religioso calvinista. Poiché il numero dei convenuti era troppo alto (circa 600), rispetto a quanto stabiliva l'Editto, s'era reso necessario l'invio di truppe armate, al cui comando vi era il duca Francesco I di Guisa. In quel frangente vi fu un massacro di 63 ugonotti e il ferimento di un altro centinaio. Al suo ritorno a Parigi, il Guisa fu accolto come un eroe e con richieste di una crociata contro gli ugonotti. Ma la regina non ne volle sapere; anzi, tentò di far perdere tutti gli incarichi di stato alla famiglia dei duchi di Guisa. Allora il duca si presentò con i suoi soldati a Fontainebleau, dove si trovava la famiglia reale, costringendo Caterina e il giovane re a seguirlo a Parigi, con il pretesto di proteggerli dai protestanti (che s'erano già impadroniti della città), ma in realtà per indurli a stare completamente dalla parte dei cattolici. Così iniziò la prima guerra di religione. Cattolici e protestanti si affrontavano militarmente soprattutto nelle città (Orléans, Lione, Rouen, Tolosa, Bordeaux...). L'esercito protestante era costituito essenzialmente da mercanti e artigiani, sostenuti da mercenari tedeschi e guidati da capi nobili esperti; ottenne anche l'appoggio inglese. La scomparsa dei principali capi delle due guerre (Francesco I di Guisa morì nell'assedio di Orléans) permise a Caterina dei Medici di ristabilire la pace: propose al principe di Condé dei negoziati che si conclusero il 19 marzo 1563 con l'Editto di Amboise che, più restrittivo ancora di quello di Saint-Germain, autorizzava i non nobili protestanti a celebrare liberamente il loro culto in un solo luogo ben stabilito per ciascun distretto amministrativo (i nobili potevano farlo nelle loro residenze), ma aprì comunque un periodo di tolleranza civile. Le città di Rouen, Orléans e Lione furono restituite ai cattolici, ma siccome le chiese prese dai protestanti erano state gravemente danneggiate, proprio in queste città riprese vigore l'intransigenza cattolica. Durante il 1563 si istruirono numerosi processi contro i protestanti accusati di aver devastato le chiese e distrutto le reliquie (atto che allora veniva considerato un gravissimo sacrilegio) e le immagini sacre. Peraltro molti cattolici erano stati uccisi o condannati da tribunali protestanti. La pace quindi restò precaria. La grande maggioranza dei cattolici non ammetteva che i protestanti potessero professare liberamente la loro confessione, mentre i protestanti, non avendo gli stessi diritti dei cattolici, si sentivano sudditi di seconda categoria, e continuavano a cercare di convertire il paese e il re alla loro religione. Inoltre gli ugonotti volevano rendere più puritano e borghese il Paese: avevano p.es. abolito la prostituzione (cacciando le prostitute), la moda dei vestiti colorati e sfarzosi (gli ugonotti tendenzialmente si vestivano di nero), le feste carnevalesche e "pagane", l'elemosina ai mendicanti... La regina Caterina, tuttavia, mirava soltanto a mostrare che la pace religiosa dipendeva unicamente dalla corona, la quale, pur essendo formalmente cattolica, restava favorevole alla libertà di coscienza in materia di fede religiosa. La seconda guerra di religione (1567–68) La ripresa delle ostilità nel 1567 si spiega con due motivi di ordine interno: il fallimento dell’Editto di Amboise, che di fatto permetteva la piena libertà di culto solo ai nobili, e la rivalità fra il principe di Condé e il giovane fratello del re, Enrico di Valois (quarto figlio di Enrico II e Caterina dei Medici, duca d'Angiò e futuro re Enrico III). L'ambizioso Condé si adombrò dell’ascesa politica di un principe di soli 16 anni e lasciò la corte a dimostrazione della sua ostilità. Ma vi era anche un motivo di ordine esterno. Nel 1566 una violenta ondata iconoclasta dei Fiamminghi protestanti s'era abbattuta sulle chiese e sui conventi cattolici delle Fiandre. Questo grande sommovimento popolare, conosciuto con il nome di "rivolta dei pezzenti" fu rapidamente soffocato dagli spagnoli che governavano i Paesi Bassi, ma la nobiltà locale ne approfittò per reclamare più libertà. Benché la calma fosse stata ristabilita nel 1567, Filippo II spedì un esercito per punire i ribelli. L'esercito si diresse verso i Paesi Bassi marciando lungo le frontiere francesi: una tale minacciosa vicinanza ravvivò i timori del re francese, che decise di preparare molti battaglioni svizzeri per prevenire un eventuale attacco spagnolo alla Francia. La leva suscitò l’inquietudine dei protestanti francesi, diffidenti dopo l’incontro di Bayonne fra Caterina e l’inviato di Filippo II, il duca d’Alba, la cui conclusione, tenuta segreta, era stata interpretata come un accordo dei due regnanti ai loro danni. La seconda guerra scoppiò il 28 settembre 1567 quando il principe di Condé tentò d’impadronirsi della famiglia reale. La reggente Caterina, interpretando questa iniziativa come un tradimento, decise di ricorrere all’uso della forza: le città protestanti del Mezzogiorno si sollevarono e i due eserciti si affrontarono nuovamente. Alla testa dell’esercito protestante, Condé era intenzionato a conquistare Parigi, ma non vi riuscì. Il resto della campagna militare si svolse in varie parti del Paese, in un faccia a faccia privo però di scontri significativi, anche perché vi era una forte mancanza di denaro da entrambe le parti, sicché si giunse a una tregua, firmata a Longjumeau il 22 marzo 1568. La terza guerra di religione (1568-70) La pace di Longjumeau era fragile, perché il governo reale non aveva più fiducia nel principe di Condé. La tregua permise ai due eserciti di riorganizzarsi e qualche mese dopo la guerra riprese. I cattolici riuscirono a eliminare il Condé e a impadronirsi di varie città protestanti, m non ebbero mai la forza sufficiente per imporsi in maniera definitiva. Di qui la firma della pace di Saint-Germain, l’8 agosto 1570, che garantiva ai protestanti le quattro piazzeforti di Cognac, La Rochelle, Montauban e La Charité-sur-Loire. La quarta guerra di religione (1572–73) La quarta guerra si aprì il 24 agosto 1572, con un terribile massacro di ugonotti avvenuto in quella che passò alla storia come la notte di san Bartolomeo. Per rinsaldare il mantenimento della pace tra i due partiti religiosi, Caterina aveva progettato il matrimonio tra la figlia Margherita di Valois e il principe protestante Enrico di Borbone, sovrano del regno pirenaico di Navarra (futuro re Enrico IV). Il matrimonio, previsto per il 18 agosto 1572, non accettato dai cattolici intransigenti, aveva richiamato a Parigi una gran numero di nobili ugonotti. Sembra che Caterina, pressata dal papa che chiedeva l'intervento degli spagnoli per eliminare gli ugonotti, abbia cercato di sfruttare quest'occasione per porre termine alle continue guerre, eliminando in un colpo solo pressoché tutti i capi della fazione protestante. Enrico di Guisa diresse personalmente la strage: dalla notte del 23 agosto al mattino del 24 migliaia di ugonotti furono assassinati nelle loro case (Enrico di Borbone riuscì però a salvarsi, ma non l’ammiraglio Coligny). La strage fu imitata in altre città: a Orléans, a Troyes, a Rouen, a Bordeaux, a Tolosa (si parla di circa 15-20.000 morti), ma non ebbe i risultati sperati, perché la guerra riprese ugualmente e si concluse senza concreti risultati, dopo il fallimento, da parte delle forze cattoliche, dell’assedio di La Rochelle, dotata di un porto considerato inespugnabile. Venne rimessa in discussione l’autorità del potere reale, con la costituzione dell'Unione dei protestanti del Midi, una sorta di repubblica di città e di nobili, con un proprio governo parallelo, che imponeva imposte, organizzava gli Stati generali, manteneva un proprio esercito e contestava il principio d’ereditarietà della monarchia e la legittimità della reggenza, particolarmente se tenuta da una donna straniera. Le città-fortezza di La Rochelle, Montpellier, Montauban ecc. fornivano i mezzi finanziari ed erano i punti d’appoggio fortificati; la numerosa piccola nobiltà costituiva le forze armate. Nello stesso periodo si costituì la Lega cattolica, per iniziativa dei Guisa, cui aderirono nobili e borghesi della Francia settentrionale (ma la funzione dirigente era esercitata dall’aristocrazia feudale, che mirava a indebolire il potere centrale e a restaurare le antiche autonomie delle province e degli Stati). Le enormi spese per finanziare le continue guerre, unite alle devastazioni portate dagli eserciti, avevano ancor più aumentato la pressione fiscale su una popolazione che, nella sua maggioranza, subiva da decenni un costante impoverimento. Il risultato fu una crescente ostilità contro la dinastia dei Valois. Il duca Enrico di Guisa stava seriamente cominciando a pensare di diventare successore di Enrico III, che non aveva avuto figli. Dopo la separazione di fatto del sud, il territorio sotto il dominio del governo si era ridotto all’incirca della metà. Inevitabilmente il governo accentuò la pressione fiscale sulle città, in particolare sui grandi centri, che godevano ancora di una certa autonomia nell’amministrazione. La lealtà della borghesia settentrionale nei confronti della dinastia dei Valois cominciò a venir meno. Il governo era ormai screditato. La quinta guerra di religione (1574–76) La guerra si riaprì con il complotto dei "Malcontenti", detti anche i "Politici", il partito dei cattolici moderati, ostile all’appoggio dato dal re agli estremisti del partito cattolico dei Guisa. Essi si raccolsero intorno al figlio minore di Caterina, Francesco Ercole di Valois, duca d'Alençon e d'Angiò (ottavo figlio di Enrico II di Francia e di Caterina dei Medici), contro il re Carlo IX e soprattutto contro il fratello Enrico di Valois, la cui influenza politica era al culmine dopo la strage di San Bartolomeo (in quel momento era partito per prendere possesso del trono polacco). Al complotto di Francesco Ercole di Valois, ordito con la speranza di eliminare Enrico di Valois dalla successione al trono francese, dopo la morte di Carlo IX, si unirono i protestanti della casa dei Montmorency e del re di Navarra. Vi furono anche appoggi all’estero, tedeschi e inglesi. Ma il complotto fallì. Quando Enrico di Valois, alla morte del fratello Carlo IX, lasciò il trono polacco per assumere quello di Francia con il nome di Enrico III, non riuscì a raggiungere un accordo coi protestanti. Anzi fu costretto dagli eserciti avversari a firmare il 6 maggio 1576 l’Editto di Beaulieu, con cui si aumentava la libertà di culto ai protestanti (non però a Parigi) e si concedeva loro l'uso di quattro piazzeforti. Inoltre si riconoscevano le vittime del massacro di San Bartolomeo e i loro beni venivano restituiti alle famiglie, esentate da imposte per un periodo di sei anni. Il fratello Francesco Ercole di Valois ebbe il titolo di duca d'Angiò. La sesta (1576–77) e la settima (1579–80) guerra di religione La sesta guerra fu provocata dal fatto che Enrico III s'era pentito d'aver concesso troppo potere ai protestanti, anche perché aveva a che fare con un forte deficit finanziario causato dalle continue guerre. Sicché, dopo essersi riconciliato col fratello, che manifestava forti ambizioni nelle Fiandre ai danni degli spagnoli, riprese le ostilità e, dopo aver soppresso, con l'Editto di Poitiers (17 settembre 1577), le libertà concesse in precedenza agli ugonotti, occupò alcune loro città. Tuttavia il fratello Francesco Ercole di Valois fallì completamente il proprio tentativo d'imporsi ad Anversa per l'indipendenza delle Fiandre dalla Spagna, per cui, di fronte all'ira degli spagnoli di Filippo II, Enrico III si vide costretto a cercare un'alleanza con la regina anglicana Elisabetta I d'Inghilterra. Due anni dopo dell'Editto di Poitiers fu dichiarata da una minoranza di protestanti la settima guerra, che risultò una delle più brevi. Finì quasi nell'indifferenza generale con la presa di Cahors da parte di Enrico di Navarra (futuro re Enrico IV) e la pace di Fleix, in Aquitania. Questa pace tuttavia fu seriamente minata quando Francesco Ercole di Valois morì nel 1584, senza aver avuto figli, e lo stesso Enrico III ne era privo e quindi senza eredi. La dinastia dei Valois era perciò destinata a estinguersi. Secondo la legge salica la corona sarebbe dovuta andare ad Enrico di Borbone, re di Navarra, esponente del ramo cadetto dei Borbone, che discendeva direttamente e per linea maschile da Luigi IX di Francia; Enrico era, tra l'altro, marito di Margherita di Valois, sorella di Enrico III di Francia. Il fatto che il re di Navarra fosse protestante causava però un grande problema per le coscienze cattoliche, per le quali era assolutamente impossibile che un protestante potesse salire sul trono di Francia. L'ottava guerra di religione (1585–98) Per i cattolici era difficile ipotizzare una riconciliazione tra il re di Francia e il re di Navarra. Sotto la spinta della Lega cattolica e del suo capo Enrico di Guisa (che aveva preso il potere in molte città di provincia, trasformandosi in una Confederazione di città del Nord), Enrico III firmò il Trattato di Nemours (7 luglio 1585) con cui s'impegnava a riconoscere ufficialmente la Lega e la sua organizzazione militare e a revocare gli editti di tolleranza nei confronti degli ugonotti e dei protestanti in generale. In particolare il re dichiarò guerra all'ugonotto Enrico di Navarra, suo potenziale successore. Iniziò così l'ottava e ultima guerra di religione, detta anche Guerra dei tre Enrichi (Enrico III di Francia, Enrico di Navarra ed Enrico di Guisa). Tuttavia, le ambizioni della Lega Cattolica e la sua vasta dimensione provocarono molta apprensione da parte del re. Il movimento infatti lamentava la mancanza di energia nella guerra contro i protestanti. Il 12 maggio 1588 gli estremisti cattolici parigini, guidati dai Guisa provocarono un'insurrezione popolare e il giorno successivo il re fu costretto a lasciare a Parigi (gli stessi giuristi della Sorbona avevano liberato i sudditi dall'obbligo di fedeltà nei suoi confronti). Ad Orléans, Amiens, Lione, Rouen, Poitiers, Le Havre furono cacciati i funzionari regi, e ovunque il potere, compresa Parigi, passò nelle mani della ricca borghesia, che aspirava ad avere nella Lega una funzione autonoma, non sottomessa ai Guisa. Enrico III ormai non aveva più nulla da perdere: convocò gli Stati Generali a Blois e fece assassinare Enrico di Guisa (e anche il cardinale di Lorena, fratello di Enrico). Privata del suo capo, la Francia della Lega destituì il re. Le truppe reali e quelle protestanti allora si unirono contro la Lega, che in quel momento non poteva contare sull'aiuto degli spagnoli, tragicamente sconfitti dagli inglesi nella grande battaglia navale della Manica. Ma il 2 agosto 1589, Enrico III morì assassinato da Jacques Clément, monaco domenicano, appartenente alla Lega. Suo cugino, Enrico di Navarra gli succedette con il nome di Enrico IV di Francia, pur essendo scomunicato dal papa Sisto V. Era stato lo stesso Enrico III che, in punto di morte, l'aveva designato come successore, a condizione che diventasse cattolico. Finiva così la dinastia dei Valois, che regnava in Francia dal 1328. Divenuto re di Francia col nome di Enrico IV, il Navarra aveva il problema di rendere effettivo il suo regno, per metà controllato dalla Lega e dalla stessa Parigi, ch'egli strinse d'assedio, ma invano. La capitale s'era data un governo autonomo degli strati piccolo-borghesi, il Consiglio dei Sedici quartieri della città, ostili non solo alla Corona ma anche ai Guisa, ch'erano non meno fiscalmente esosi. Nel frattempo il re spagnolo Filippo II, intenzionato a far diventare sua figlia Isabella regina di Francia, visto che il papa non aveva riconosciuto la successione, cercava di approfittare della situazione mandando truppe dai Paesi Bassi in soccorso della capitale assediata e nel 1591 fu introdotta una guarnigione spagnola con il consenso della Lega, che intanto aveva presentato il suo candidato al trono, il fratello del duca di Guisa. Le vittorie militari del re, in varie parti della nazione, non sembravano sortire l'effetto sperato. Decisiva invece fu, nel 1592, la rivolta dei contadini scoppiata nel sud-ovest, chiamata sprezzantemente "des croquants". Obiettivo della loro protesta violenta erano gli esattori delle imposte e le ville dei nobili. Nel 1594-96 essa si era già estesa ad un vasto territorio nel sud-ovest: il Quercy, il Perigord, il Saintonge, la Marche ed altre province. I contadini si univano in reparti armati di molte migliaia di uomini, eleggevano capi e funzionari, allacciavano rapporti con i poveri delle città, assediavano le case e i poderi dei nobili, punendoli severamente e dichiarando che non erano più disposti a sopportare le loro estorsioni, e nemmeno quelle degli appaltatori ed esattori delle imposte, ai quali avevano dato il soprannome sprezzante di "croquants" ("sorci"). In questo modo, i contadini prendevano posizione sia contro l’oppressione feudale dei loro signori, sia contro il gravame fiscale dello Stato. Questa rivolta spaventò parecchio i nobili, che cominciarono a pensare di cambiare strategia di alleanze. Per loro infatti solo uno Stato forte e unito poteva ristabilire l'ordine minacciato all'interno, dai contadini e, all'esterno, dalle ingerenze spagnole. L'atto di conversione al cattolicesimo di Enrico IV, avvenuto il 25 luglio 1593 gli aprì, il 22 marzo 1594, le porte della capitale, delusa dalla politica dei Sedici, che non aveva mutato le condizioni di vita come la popolazione si attendeva (questa soprattutto aveva mal digerito l’alleanza della Lega con la Spagna e dall’introduzione a Parigi di una guarnigione spagnola). Famosa la frase che il Borbone in quell'occasione pare abbia detto: "Parigi val bene una messa". Questo a testimonianza che negli ambienti istituzionali della Francia del Cinquecento si aveva nei confronti della religione un atteggiamento esclusivamente politico, come già Francesco I ed Enrico II avevano dimostrato, alleandosi, nella loro guerra contro Carlo V, sia coi protestanti che coi turchi. Sarà proprio questo atteggiamento che porterà progressivamente i francesi a caratterizzare il loro Stato in maniera sempre più laica, mantenendolo equidistante nei confronti delle religioni; ma la spinta decisiva, in questa direzione, verrà data solo dalla rivoluzione del 1789. Dichiarata guerra alla Spagna, Enrico IV sconfisse definitivamente il 5 giugno 1595 le forze della Lega cattolica e nel 1597 gli spagnoli. Nel sud-ovest, intanto, le forze dei nobili, appoggiate dai mercenari del re, schiacciarono la rivolta dei croquants in due anni di lotta accanita. Enrico si recò a Nantes per ottenere la resa del governatore della Bretagna e per emanare il 13 aprile 1598 l'Editto di Nantes con il quale il cattolicesimo fu proclamato religione ufficiale (in quanto maggioritaria) dello Stato, ma i protestanti ottenevano la libertà di professare la loro confessione - tranne che a Parigi e in poche altre città - e il diritto di accedere alle cariche pubbliche (previo giuramento di fedeltà al sovrano), e di mantenere un proprio esercito di 25.000 uomini e duecento fortezze a garanzia della loro sicurezza. L’Editto trasformò il sud ugonotto da repubblica indipendente in "Stato nello Stato". Inoltre alle città e alle province ugonotte nel loro complesso furono lasciati grandi privilegi fiscali e politici. Di conseguenza, anche l’unità politica della Francia non fu totalmente restaurata. Nonostante ciò, la vittoria del potere regio consolidò notevolmente la monarchia assoluta, la quale ritrovò il suo perno nella nobiltà, e favorì l’instaurazione di più stretti rapporti fra assolutismo e borghesia. Tale esito era favorevole allo sviluppo dei rapporti capitalistici nell’ambito dello Stato feudale. La guerra civile si concluse con la pace di Vervins, firmata il 2 maggio 1598 dalla Francia e dalla Spagna, con cui quest'ultima restituì tutti i territori occupati e rinunciò a qualunque rivendicazione. Enrico IV, che nel 1572 aveva sposato Margherita di Valois, non ebbe alcun figlio, per cui ottenne l'annullamento nel 1599, per potersi risposare l'anno dopo con Maria de' Medici, figlia di Francesco I de' Medici, granduca di Toscana, e di Giovanna d'Austria, dalla quale ebbe sei figli. Margherita accettò subito non solo dietro un generoso compenso, ma anche perché il sovrano dava scandalo circondandosi di amanti, una delle quali gli aveva già dato tre figli. Il papa gli concesse l'annullamento solo dopo la morte di questa amante, temendo che volesse diventare regina. Quanto a Maria dei Medici, fu consigliato al re di sposarla non solo perché era una donna di alto rango, ma anche perché gli permetteva di ottenere in dote l'estinzione del debito contratto dal sovrano coi banchieri fiorentini. Oltre ai sei figli avuti da Maria (il primo dei quali fu Luigi XIII), Enrico IV continuò a frequentare le sue amanti, avendo da queste, in tutto, altri nove figli, la maggior parte dei quali legittimati. Per quanto riguarda la politica economica, il sovrano si avvalse del ministro ugonotto duca di Sully, che mise in atto una politica teorizzata alla fine del Cinquecento, detta "mercantilismo", basata sul principio del protezionismo, con cui poté riassestare le finanze e l'economia dello Stato, anche in virtù del fatto ch'era terminata la rivoluzione dei prezzi. In particolare vennero imposti pesanti dazi doganali sulle merci d'importazione provenienti dall'estero (soprattutto dall’industria dell’Italia settentrionale, olandese e inglese); si concessero forti sovvenzioni e privilegi a chi cercava di favorire la produzione interna, al fine di coprire l'intero fabbisogno nazionale, soprattutto alimentare, e di esportare le eccedenze (come nel caso del grano e del vino); si decise di favorire l'esportazione di prodotti in cui la Francia potesse vantare un monopolio, e lo si trovò nei generi di lusso (tessuti di seta, di velluto e di broccato, vasellame di vetro e di ceramica, gioielli, costosi merletti, mobili, ornamenti vari, oggetti artistici); si unificarono le condizioni del mercato nazionale, eliminando tasse doganali e pedaggi interni; si migliorarono tutte le reti di comunicazione, bonificando anche le terre paludose e incolte; si tutelarono le riserve auree nazionali, tenendo sotto controllo le spese (si era infatti convinti che la ricchezza di uno Stato dipendesse dal possesso di metalli pregiati); si lottò contro il banditismo nelle campagne... Si istituì anche la "paulette" (dal nome di Charles Paulet, il primo finanziere che ne beneficiò), secondo cui i detentori di appalti per la riscossione delle imposte e coloro che potevano accedere alle principali cariche pubbliche (amministrative e giudiziarie), beneficiavano del diritto di lasciare in eredità la carica ai propri discendenti, dietro pagamento di una tassa annuale, corrispondente a un sessantesimo della rendita dell'incarico. In questa maniera, da un lato, il sovrano poteva incamerare somme di denaro senza dover ricorrere alla convocazione del Parlamento, e dall'altro si consolidava enormemente la "nobiltà di toga", un ceto privilegiato molto fedele alla corona (praticamente era il solo ad avere una funzione predominante nel Consiglio del Re), contrapposto alla tradizionale "nobiltà di spada", discendente dalle grandi casate medievali e sempre in competizione con le tendenze assolutistiche della Corona. Non a caso gli stati Generali non venivano mai convocati dal sovrano. Molto più consistente si fece anche la politica coloniale francese: dalle isole Antille alla costa nord-orientale dell'America settentrionale (grande estuario del fiume san Lorenzo e la regione del Québec). Fu nel 1604 che una compagnia di mercanti normanni diede alla Francia il primo possedimento coloniale: il Canada. Ma l'espansione avvenne anche nella regione dei Grandi Laghi e nel bacino del Mississippi. Proprio mentre cercava alleanze in funzione anti-asburgica con Svezia, Danimarca, Olanda, Svizzera, Savoia, Inghilterra..., Enrico IV fu ucciso da un fanatico monaco cattolico nel 1610, che evidentemente rappresentava gli interessi di chi non sopportava i diritti concessi ai protestanti con l'Editto di Nantes. La Francia rischiò di piombare in una nuova guerra civile, e in effetti per una decina d'anni l’aristocrazia cattolica e ugonotta approfittò dell’indebolimento del potere regio durante la minorità del figlio di Enrico IV, Luigi XIII (1610-1643), e la reggenza di sua madre, Maria de’ Medici, ed agì di comune accordo contro il governo. Ma le speranze dell’aristocrazia di fare degli Stati Generali, convocati in seguito alle sue insistenze nel 1614, uno strumento della lotta contro l’assolutismo, crollarono, poiché i deputati del Terzo stato appoggiarono il governo. I tentativi dell’aristocrazia di attrarre dalla propria parte gli abitanti delle città risultarono vani; tutte le città erano fermamente dalla parte del potere regio. Il nuovo corso degli avvenimenti testimoniava quindi che l’assolutismo si era sufficientemente consolidato. E i due cardinali che, in successione, dirigeranno la politica del re Luigi XIII (1601-43), cioè Richelieu (1585–1642) e Mazzarino (1602-61), lo dimostreranno eloquentemente. Sarà infatti proprio la guerra dei Trent'anni (1618-48), contro gli Asburgo d'Austria e di Spagna, a far diventare la Francia il più potente Stato dell'Europa continentale. Editto di Nantes (1598) L'Editto di Nantes, emanato dal re Enrico IV il 13 aprile 1598, pose termine alla serie di guerre di religione che avevano devastato la Francia dal 1562 al 1598, regolando la posizione degli ugonotti (calvinisti). Esso fu revocato nel 1685 da Luigi XIV (Editto di Fontainebleau). L'Editto riconosceva la libertà di coscienza, cioè la libertà di avere convinzioni interiori e di comportarsi di conseguenza, in tutto il territorio francese; la libertà di culto pubblico nei territori dove i protestanti si erano già installati prima del 1597, tranne che a Parigi, Rouen, Lione, Digione e Tolosa e l'inverso (cioè il divieto di praticare il culto cattolico) a Saumur, La Rochelle e Montpellier; la possibilità di accedere a cariche pubbliche e scuole; concedeva inoltre ai protestanti un centinaio di piazzeforti. Nelle città di Bordeaux, Grenoble e Castres i protestanti ebbero il diritto di venire giudicati da tribunali costituiti per metà da loro correligionari. Nell'Editto tuttavia la parola "tolleranza" non compare mai: in quel tempo infatti essa era associata ad un concetto negativo per entrambe le fedi. Ciascun credente si riteneva il detentore della verità assoluta e colui che praticava un altro credo pregiudicava così la propria vita eterna e quindi era un dovere impedire che “l’altro” permanesse nell'errore. Ciascuna fede pretendeva pertanto il diritto di salvare, anche con la costrizione fisica, gli appartenenti alla fede avversa. Pertanto i cattolici considerarono l'editto un mezzo per contenere l'espansione protestante, in attesa della futura estinzione del nuovo credo, mentre i protestanti lo considerarono nient'altro che una pausa nell’impegno doveroso di conversione dei cattolici. Attuazione e revoca dell'Editto di Nantes (1661-85) I provvedimenti contenuti nell'editto non furono mai pienamente posti in atto e si assistette a una abrogazione progressiva, compiuta per via amministrativa o legislativa. La concessione ai protestanti di mantenere piazzeforti militari fu revocata dal Luigi XIII con la promulgazione dell’Editto di Alès (28 giugno 1629). Tale editto, che seguì la fine dell'assedio di La Rochelle (1628), primo porto francese sull'Atlantico, da cui gli ugonotti ricevevano armi e viveri dalla flotta inglese, vietò le assemblee politiche protestanti e pretese la cessione immediata di ogni città e fortezza militare da loro controllata, ma mantenne la libertà di culto nel regno (sempre esclusa Parigi). Nel 1661 furono emessi dei decreti reali che facevano divieto ai pastori di predicare fuori dai templi e perciò anche nelle città che fossero prive di templi dedicati al culto riformato; i divieti furono estesi al canto dei salmi fuori dal luogo di culto. Nel 1663 fu fatto divieto alle chiese protestanti di comunicare fra di loro per lettera e furono permessi i funerali dei protestanti solo all'alba e nelle prime ore della notte, con un numero di partecipanti non superiore a trenta, ridotto a dieci l'anno successivo, salvo revocare il decreto sul numero chiuso dei partecipanti nel 1669. Fu poi vietato ai protestanti di accedere alle cariche pubbliche di grado elevato e di esercitare un certo numero di mestieri: di fronte ai ricorsi presentati contro tali decreti (ricorsi, del resto, quasi sempre rigettati dalle corti di giustizia), nel 1665 un altro decreto reale proibì a chi fosse protestante di istruire procedimenti giudiziari e nel 1676 furono soppresse le Camere comuni di cattolici e protestanti già attive nei Parlamenti di Tolosa e di Grenoble. Le abiure dei protestanti - soprattutto di notabili, di commercianti e di artigiani che vedevano compromessa la loro attività - s'incrementarono dal 1675 a seguito della creazione delle Casse di conversione, finanziate a loro volta dalla Cassa degli Economati, precedentemente costituita con i proventi derivanti dalle abbazie vacanti: ogni conversione veniva ricompensata con una somma di denaro (in verità già dal 1598 l'Assemblea del clero francese aveva deliberato di ricompensare con denaro i pastori che si fossero convertiti al cattolicesimo). In ogni caso, i risultati ottenuti furono molto inferiori alle attese, ottenendo in tre anni circa diecimila conversioni, vere o presunte, in tutto il regno. I protestanti non mancarono di sottolineare la mancanza di scrupoli della Chiesa cattolica, che approvava un'iniziativa che ricordava la vecchia e mai abrogata pratica delle indulgenze. Dal 1679 si stabilisce che ai sinodi riformati deve presenziare un commissario reale e si aumentano le pene contro i relapsi, cioè coloro che, avendo già abiurato, si riconvertono al protestantesimo. Nel 1680 si vieta la possibilità ai cattolici di convertirsi al protestantesimo, alle protestanti di esercitare l'attività di levatrice e si rende obbligatorio tentare la conversione al cattolicesimo dei malati in pericolo di morte. Il 17 giugno 1681 l'età minima per la conversione al cattolicesimo si abbassa a 7 anni, considerata "età della ragione"; in luglio viene soppressa l'Accademia protestante di Sedan, nel settembre del 1684 quella di Die, nel gennaio 1685 l'Académie de Saumur e nel marzo l'accademia di Puylaurens. Sempre nel 1681 vengono istituite le "dragonnades": consistono nell'alloggiare i dragoni, un particolare corpo militare, nelle case dei protestanti, autorizzando i militari, allo scopo di provocare la conversione al cattolicesimo, a ricorrere a qualunque mezzo, dal saccheggio alla tortura e allo stupro, fino a permettere l'omicidio in caso di estrema resistenza. In questo modo si ottennero conversioni in massa, per quanto fittizie, e anche una forte ripresa dell'emigrazione nei paesi riformati, nei quali fu forte l'emozione provocata dalle brutalità francesi e la solidarietà verso gli emigrati, ai quali furono concesse facilitazione d'ingresso e, nel Brandeburgo, l'esenzione fiscale sulla proprietà della terra. Nel gennaio 1682 si stabilisce che i figli illegittimi dei protestanti siano allevati nel cattolicesimo; in maggio, mentre viene distrutto il tempio di La Mothe-Saint-Héray, si proibisce ai marinai e agli artigiani ugonotti di emigrare; nel giugno, si proibisce l'esercizio delle professioni di notaio, procuratore, assessore e ausiliario di giustizia; nel luglio si decide la confisca dei beni degli emigrati e in agosto si vietano le riunioni fuori dai templi. Nel 1683 si proibisce ai pastori la propaganda religiosa, pena l'espulsione e si rende obbligatorio riservare ai cattolici un luogo di frequenza nei templi protestanti. Nel 1684 si vieta anche il culto privato, mentre quello pubblico è interdetto nei paesi che contino meno di 10 famiglie protestanti e si confiscano i beni dei concistori, che passano agli ospedali cattolici. Nel 1685 le "dragonnades" si estendono ovunque siano presenti i protestanti. I decreti di quell'anno prevedono la distruzione dei templi dove siano stati celebrati matrimoni misti, la proibizione ai protestanti di avere servitori cattolici, di pubblicare libri di contenuto religioso, di esercitare la professione medica; si stabilisce di affidare gli orfani solo a tutori cattolici e di ricompensare chiunque denunci un protestante. Nel mese di ottobre l'eresia sembrava ormai estirpata e non restava che revocare l'ormai anacronistico Editto di Nantes, cosa che fece il re Luigi XIV nello stesso anno con l'Editto di Fontainebleau, con cui riprendono le persecuzioni contro i protestanti. Ciò comportò una forte emigrazione di questi ultimi verso l’Inghilterra e le sue colonie della Virginia e della Carolina del Sud, la Germania, la Svizzera e l’Olanda, in particolare verso le sue colonie nordamericane degli attuali stati di New York e New Jersey. Si trattava prevalentemente di artigiani o di membri della borghesia (si parla di una cifra intorno ai 200.000), il che favorì l’economia dei paesi accoglienti a scapito di quella francese. Morto Luigi XIV, sotto i suoi successori la politica persecutoria si attenuò e molte comunità protestanti sopravvissero sul territorio francese. Nel 1787 Luigi XVI mise ufficialmente e definitivamente fine alle persecuzioni con l'Editto di tolleranza, ma la restituzione piena dei diritti ai protestanti avrà luogo solo due anni dopo, con la Rivoluzione Francese. Note (1) Mary Stuart, italianizzata in Maria Stuarda (1542–87), fu regina di Scozia (1542-67), regina consorte di Francia (1559-60) e regina d'Inghilterra per i legittimisti inglesi dell'epoca che non riconoscevano Elisabetta I come legittima erede di Enrico VIII. |