STORIA DEL MEDIOEVO
|
|
|
L'USURA NEL MEDIOEVO
Premessa Se accettiamo l'idea che il capitalismo commerciale sia nato prima di quello industriale, stando bene attenti a non confondere le due formazioni economiche, allora dovremmo anche accettare l'idea che il cattolicesimo-romano dell'epoca basso medievale ha contribuito enormemente, nonostante in genere appaia il contrario, allo sviluppo della prima forma di capitalismo. Infatti l'Italia cattolica della seconda parte del feudalesimo, quella che va dal Mille alla scoperta europea dell'America, fu caratterizzata, al pari delle Fiandre, da una fiorente attività commerciale, invidiata da tutta Europa, un'Europa che sarebbe diventata "protestante" solo molti secoli dopo. Se le cose stanno così è forse riduttivo sostenere che l'etica economica medievale, qui gestita dalla sola chiesa romana nella parte occidentale dell'Europa, fu di tipo "concessivo", nel senso che tendeva progressivamente ad adeguarsi alle spinte borghesi che emergevano "ad extra" del proprio perimetro d'azione, delle proprie concezioni e dei propri stili di vita. In realtà l'etica economica basso medievale fu anche il risultato di determinate posizioni politiche e ideologiche che la chiesa romana assunse "ab intra", posizioni orientate verso la rottura dei tradizionali legami comunitari (ereditati dal mezzo millennio dell'alto Medioevo), verso l'affermazione di un temporalismo teocratico e, all'interno di questo, verso la supremazia autoritaria, sempre più monarchica, del pontefice su ogni altra istanza ecclesiale. Lo sviluppo dei rapporti mercantili-monetari, chiaramente di tipo borghese, in cui il denaro diventava equivalente universale di tutti gli scambi, fu conseguenza indiretta di un mutamento di mentalità e quindi di posizione politica che avvenne all'interno della chiesa di Roma a partire sostanzialmente dalla costituzione del Sacro Romano Impero e proseguita sino alla nascita dei Comuni, alla riforma gregoriana e alla lotta per le investiture, all'inizio delle crociate nel Vicino Oriente e nei paesi Baltici, alla riscoperta accademica dell'aristotelismo e allo sviluppo della scolastica, all'eliminazione del dissenso ereticale dei movimenti pauperistici e alla rottura definitiva nei confronti della tradizione greco-ortodossa e bizantina. Se questa tesi è vera, la storia del basso Medioevo va in parte riscritta, poiché stando ai documenti ufficiali dell'epoca e in genere alle tesi principali dei maggiori medievisti, la chiesa romana non appare come un fattore propulsivo del mercantilismo, ma semmai come un freno. Ed indubbiamente è stato così nella maggior parte dei paesi euroccidentali di quel periodo storico. Non tuttavia in Italia. Non a caso qui i grandi traffici commerciali fanno nascere quelle grandi rivoluzioni culturali che passano sotto il nome di realismo giottesco, di umanesimo nel pensiero e di rinascimento nelle arti. Le Goff, Capitani ecc. sostengono che il mercantilismo, nato al di fuori delle tradizionali abitudini e competenze della chiesa romana, fu inizialmente tollerato in quanto non ritenuto particolarmente pericoloso per i criteri di vita della società feudale, tanto che l'etica economica medievale si configura come un'etica "concessiva", disposta ad adeguarsi in maniera relativa al mutamento delle circostanze. Solo che ad un certo punto la situazione assunse degli sviluppi che sfuggirono al controllo della chiesa, e in questa incapacità politica delle gerarchie i medievisti laici vedono in genere un fattore di progresso per lo sviluppo dell'Europa, in particolare per quelle classi sociali che la stavano portando al di fuori dei cosiddetti "secoli bui". Qui sarebbe bene fare una puntualizzazione di metodo storiografico. Ci rendiamo conto che sarebbe ingenuo pensare di poter trovare un riscontro esplicito alla tesi che vogliamo sostenere nei documenti ufficiali dell'epoca, non foss'altro che per una ragione: le fonti storiche, specie quelle scritte, spesso servono non per svelare ma per nascondere la realtà. Fa specie, in tal senso, vedere come Le Goff definisca il secolo XIII con l'espressione "secolo della giustizia", solo perché i canonisti avevano equiparato "il furto usurario" a un "peccato contro la giustizia". Ormai dovrebbe essere ritenuta pacifica la tesi secondo cui un periodo storico non può essere interpretato sulla base della concezione che esso ha di se stesso (e questo ovviamente vale anche per una persona o per una classe sociale). Il passato non è più comprensibile del presente solo perché è "passato". Esistono sempre margini tali di ambiguità che nessuna fonte storica è in grado di colmare. Pensare di poter ricostruire delle vicende passate sulla base delle fonti storiche prodotte nello stesso periodo in cui sono avvenute quelle vicende, è pura illusione. Peraltro nel Medioevo i falsi elaborati dal clero, regolare e secolare (l'unico ceto in grado di poterlo fare), non sono pochi, per cui le fonti scritte meno di altre possono servire per ricostruire quelle vicende storiche e comprendere le motivazioni che ne hanno determinato lo svolgersi. Lo stesso vale per il presente. Infatti, anche se è vero che la lettura e la scrittura riguardano la stragrande maggioranza delle persone (almeno nei paesi industrializzati), è però anche vero che nelle civiltà antagonistiche le opinioni dominanti sono soltanto quelle espresse dai poteri dominanti, politici ed economici, che tutelano interessi di una ristretta minoranza di persone. Se fra mille anni gli storici che vorranno comprendere la realtà dell'attuale Terzo Mondo, si baseranno unicamente sulle fonti reperite nei paesi capitalisti, di quella realtà non capiranno assolutamente nulla, e non capiranno nulla neppure se useranno le fonti di quei potentati che in questo momento sono presenti nello stesso Terzo Mondo. L'usura e l'etica economica medievale Prima di procedere nella disamina dell'argomento in oggetto, è bene precisare che qui si ha intenzione di rispondere a quattro precise domande. Nel Medioevo:
Concluderemo poi la trattazione con delle considerazioni finali. I - Chiesa cristiana e usura Periodo Alto Medievale L'atteggiamento che ha avuto la chiesa cristiana nei confronti dell'usura teoricamente è sempre stato piuttosto netto, sicuramente più netto di quello della cultura ebraica, che poneva il divieto entro i confini del solo giudaismo, tra aderenti alla medesima confessione ebraica, ma lo tollerava tranquillamente nei rapporti con gli stranieri di religione pagana (cfr Dt 28,12; 23,20; Es 22,24; Lv 25,35 ss; Sal 15,5; Pr 28,8; Ez 18,13ss; 22,12 ecc.). Sappiamo comunque che anche il divieto ebraico restava un lontano ideale, in quanto la Legge in più punti prescriveva dei limiti al creditore nell'esigere pegni (cfr Es 22,25; Am 2,8; Gb 24,3.9; Dt 24,6; 24,10), proprio per non far diventare il povero lo schiavo di un proprio connazionale (cfr Lv 25,39ss; Am 2,6; Ne 5,1-13). D'altra parte i tassi praticati da Israele non superavano mai quelli delle civiltà ad essa coeve (p.es. nel codice Hammurabi si arriva fino a 50-70%). Nel periodo ellenistico si arrivò (se si esclude l'Egitto dove rimase al 24%) a un tasso ragionevole dell'8-10%. Nel I secolo d.C. un decreto imperiale lo fissò al 12% nelle province d'Asia. Nella legislazione giustinianea troviamo i primi “massimali” relativi all'usura su base annua: i senatori non potevano chiedere più del 4%, la maggior parte della popolazione non poteva chiedere più del 6%, gli uomini d’affari non potevano superare l’8%; ma per i prestiti marittimi, ad alto rischio, si poteva giungere sino al 12%. Sotto l'imperatore Niceforo (802-811) si proibì ai sudditi di riscuotere interessi: solo lo Stato poteva farlo al 16,66%. Anche Basilio I (867-86) proibì l'usura. E’ evidente che con queste misure si tentava di salvare capra e cavoli: da un lato si scoraggiava la partecipazione dell’aristocrazia al mercato dei capitali, dall’altro si permetteva che venissero richiesti interessi superiori al 6% generalizzato, al fine di incoraggiare le spedizioni a rischio. Tuttavia nell'XI il tasso ufficiale d'interesse, ch'era andato aumentando progressivamente in base al corso della moneta, arrivò al 5,5% per le persone di alto rango, al 8,33% per la maggior parte della popolazione e al 11,71% per gli uomini d'affari. Questo significa che, malgrado la condanna religiosa del prestito ad interesse, gli imperatori bizantini, realisti, non tentarono mai seriamente di proibirlo; piuttosto, scelsero di autorizzarlo per meglio controllarlo. Quanto alla chiesa, essa si limitava a condannare gli ecclesiastici che la praticavano. Ostrogorsky afferma che "sebbene l'usura fosse contraria alla moralità medievale, la proibizione di prestare a usura era molto rara a Bisanzio. Le esigenze dell'economia monetaria, molto sviluppata nell'impero, ignoravano i precetti della morale e il prestito a usura era stato in ogni tempo molto diffuso a Bisanzio"(Storia dell'impero bizantino, Einaudi, p. 171). Generalmente l'usura si forma quando si è in presenza di un'economia mercantile e di antagonismi sociali. Il fatto che l'usura avesse dei tassi ufficiali regolamentati dallo Stato può far pensare anche al fatto, oltre al mercantilismo e alle classi contrapposte, vi fosse da parte delle istituzioni il tentativo di far valere alcuni valori etico-religiosi volti a impedire che il fenomeno dilagasse. Non c'è fonte patristica, latina o greca, che non condanni decisamente il fenomeno dell'usura. La prima condanna la troviamo in Clemente Alessandrino (Paedagogus, 1,10 e Stromata 2,19), ma subito dopo gli fanno eco Tertulliano (Adversus Marcionem, 4,17), Cipriano (Testimoniorum libri III ad Quirinum, 3,48), Commodiano (Instructiones 65), Lattanzio (Institutiones divinae, 6,18), Ilario (Tractatus in Ps XIV 15), Ambrogio (De Off. II,3, De Bono Mortis 12,56, De Nab. 4,15, Epistola 19 e De Tobia 42), Girolamo (In Ez. Commentarii 6,18), Agostino (Ennarationes in Ps. XXXVI, sermo 3,6; 38,86 e De baptismo contra Donatistas 4,9), Leone Magno (Ep. IV e sermo XVII). In particolare Girolamo sosteneva che il divieto dell'usura tra "fratelli (ebrei)" (Dt 23,20) era stato "universalizzato" dai profeti e dal Nuovo Testamento, e tuttavia non si diffonderà mai in occidente un'interpretazione universalistica della parola "fratello", poiché anche quando si comincerà a parlarne, nei secoli XII e XIII, lo si farà in maniera del tutto astratta e convenzionale, in riferimento ai cattolici-romani sparsi nel mondo, certamente non in riferimento ai cristiani ortodossi né tanto meno ai musulmani, nei confronti dei quali, proprio in quei secoli, sarà durissima la contrapposizione ideologica, politica e militare. Per non parlare dei padri greci: Basilio (Homilia II in Ps XIV), Gregorio Nazianzeno (Or. 16,18), Gregorio Nisseno (Ep. ad Letoium, Contra usurarios, Homilia IV in Ecclesiastem), Giovanni Crisostomo (Homilia LVI in Mt, Homilia XVI in Gen, Hom. XIII in 1 Cor, Hom. X in 1 Tess.). E non si devono dimenticare il canone 20 del concilio di Elvira (300), Arles (314), Nicea (325) e Clichy (626). Tra i padri latini bisogna spendere una parola per Ambrogio, il quale pur dipendendo da Basilio, se ne discosta su due punti fondamentali (nel suo De Tobia, a cura di M. Giacchero, Genova 1965): 1) accetta che l'usuraio faccia il prestito a condizione che il beneficiario possa disporre del denaro come vuole, possa cioè investirlo, restituendo la somma con gli interessi solo una volta ottenuta una rendita dal proprio investimento; 2) nei confronti dello straniero, nemico di guerra, egli permette che si esiga l'interesse sul debito quando lo straniero non può essere facilmente vinto in guerra o quando lo si potrebbe uccidere senza compiere un delitto, secondo il principio "dov'è il diritto di guerra, lì è anche il diritto di usura": col che egli poneva un'adesione pressoché letterale, e certamente poco cristiana, al dettato veterotestamentario. Ambrogio non intenderà mai la parola "fratello" in senso universalistico. Periodo Basso Medievale Nell'età carolingia Rabano Mauro (784-856) proibisce l'usura fra cristiani, siano essi laici o ecclesiastici, ma nei confronti degli infedeli o dei criminali ritiene giusto l'interesse "spirituale" (il pentimento, la fede, la conversione...), come "compenso" per le spese sostenute per la predicazione loro rivolta della parola di dio. Coll'inizio delle crociate si comincia a sostenere in Italia che si può chiedere usura ai musulmani, anche se questo avrebbe potuto voler dire per i musulmani impiegare i capitali ricevuti contro gli interessi dei cristiani. D'altra parte durante le crociate l'usura ebbe grande diffusione, tanto che già alla fine del XII sec. gli usurai cristiani erano di molto superiori a quelli di origine ebraica. Tra il Mille e il XIII secolo il tasso annuale che gli ebrei in Francia non devono superare era del 33,5%. Analogamente a Firenze, Milano, Pistoia, Lucca il tasso medio annuo si aggirava sul 30% (in Inghilterra invece andava dal 12 al 33%). Anche nell'area bizantina nell’XI secolo si passa ad una scala diversa e più elevata dei tassi usurari: per i senatori il 5,55%, per la gente comune il 8,33%, per gli uomini d’affari l’11,71%, per i prestiti marittimi il 16,66%. I medesimi tassi resteranno in vigore nel corso del XII secolo. Ma Catacolone Cecaumeno, duca di Antiochia caduto in disgrazia, militare e aristocratico, continua a tuonare contro il prestito a interesse. Il vecchio generale approvava soltanto il prestito finalizzato al riscatto dei prigionieri (che tra l’altro era l’unico motivo che giustificasse la vendita di beni ecclesiastici) e condannava tutte le altre forme di prestito: per ricavarne interessi; per ricavarne guadagni illeciti (quindi sono da evitare anche le associazioni d’affari); per guadagnare i favori di una donna; per favorire chi vuole appaltare un posto nell’amministrazione o chi vuole acquistare schiavi o terreni... Per tutto il basso Medioevo schiere di teologi e canonisti favorevoli o contrari all'usura si dividevano sulla questione di sapere a chi essa fosse rivolta: infatti, quanti appoggiavano l'idea clericale di un'affermazione temporale della chiesa non avevano dubbi nel ritenerla lecita nei confronti degli stranieri, degli infedeli, dei nemici di guerra e della chiesa romana in generale; quanti invece affrontavano l'argomento in chiave puramente etica, erano in genere contrari a qualunque forma di usura, che veniva paragonata a una sorta di "furto" e a volte persino di "eresia". Tra i seguaci del primo atteggiamento si annoverano: Graziano (1140), Pietro Comestore (m. 1179) e Guglielmo di Auxerre (m. 1230), che giustificavano in qualche modo l'usura praticata dai cristiani nei confronti degli stranieri o dei nemici, dicendo che anche il Vecchio Testamento aveva permesso la stessa cosa agli ebrei, al fine di evitare che la praticassero tra loro; Alessandro di Hales (m. 1249), per il quale non si può riconoscere il diritto di proprietà a chi può essere legittimamente ucciso, per cui l'usura non può essere considerata un furto; papa Alessandro III (1159); Bernardo da Pavia (m. 1213); Uguccione (1188); Giovanni Teutonico (1216); Enrico Bohic (1340). Tra i seguaci del secondo atteggiamento troviamo Anselmo d'Aosta (1033 - 1109), Pietro Lombardo (1100-1160) che paragonano l'usura al furto; Pietro Cantore (m. 1197) che accusa principi e prelati cristiani di non avere scrupoli nel servirsi dei prestiti a interesse da parte degli usurai cristiani; Alberto Magno (1193-1280), Tommaso d'Aquino (1225-74), Raimondo da Peñafort (1234), Ostiense (1271) e Guglielmo Durand (1237-96), per i quali l'usura andava proibita anche agli ebrei. Quanto ai concili ecclesiastici bisogna dire che mentre il Lateranense II (1139) è ancora fermo nel condannare teoricamente l'usura (l'usuraio cristiano non pentito è indegno dei sacramenti e del funerale religioso), il Lateranense III (1179), costatando che molti cristiani abbandonavano i loro mestieri per diventare usurai, condanna soltanto i veri e propri "professionisti" dell'usura, quelli che campavano facendo questo mestiere, non quindi gli usurai occasionali, mentre il Lateranense IV (1215) pone per la prima volta una netta distinzione tra "usura", sempre vietata, e "interesse", lecito entro tassi ragionevoli, impedendo però ai cristiani di commerciare con ebrei usurai. In questo concilio si riprendono termini più in uso nella giurisprudenza romana che in quella alto medievale. Il II concilio di Lione (1274) e il concilio di Vienne (1311) ribadiscono la condanna dell'usura, anzi minacciano la scomunica a quei capi di Comuni o di Stati che la tollerano nei loro territori. II - Il problema dell'usura ovvero quando l'usura diventa un problema Situazione generale Le condanne dell'usura cominciano a inasprirsi tra la metà del XII secolo e la metà del XIII. L'usura scoppia praticamente subito dopo il Mille, ma le premesse "ideologiche" non "materiali" per la sua affermazione erano già latenti nell'alto Medioevo, in concomitanza con la costituzione illegale del Sacro Romano Impero, in opposizione a quello del basileus di Costantinopoli, che determinò la corruzione del clero, lo smantellamento delle tradizioni bizantine, la revisione profonda di principi conciliari (il Filioque) e di prassi ecclesiali, sino alla rottura definitiva, con le reciproche scomuniche, del 1054, anticamera dello scatenamento delle crociate anche in funzione anti-ortodossa. In questa situazione di lassismo etico e di revisionismo ideologico (cui si cercherà di porre rimedio con l'integralismo politico-religioso della riforma gregoriana), fu facile agli ebrei, soggetti già a molte discriminazioni, approfittare del fatto che la legislazione vigente non colpiva direttamente la loro categoria. Se fino ad allora l'usura non aveva attecchito in misura significativa, era stato semplicemente perché l'economia rurale basata sull'autosussistenza, in una neonata società cristiana, la rendeva assai poco praticabile. Certo, poteva accadere che durante un periodo di carestia, usuraio fosse anche chi non esitava a vendere i beni di prima necessità a prezzi esorbitanti, magari dopo aver tenuto la merce nascosta dolosamente, nell'attesa fiduciosa del rincaro dei prezzi. Tuttavia anche dopo la riforma gregoriana la condanna dell'usura si porrà più che altro sul terreno delle enunciazioni teoriche (la proibizione di vendere il tempo o di far generare denaro dal denaro, sterile per definizione, ecc.), cui si riuscirà a dare un seguito pratico solo nei confronti degli ebrei, facilmente individuabili e legalmente poco tutelati. Gli ebrei venivano condannati anche perché erano visti dagli usurai cristiani come dei concorrenti. Non a caso già nel XIII secolo si afferma il principio che l'usura è semplicemente "un peccato contro il giusto prezzo", quello di mercato, ovvero che è un interesse esagerato, dettato dalla personale cupidigia. All'usuraio, che specula sul denaro, si tende sempre più a opporre il mercante, che guadagna legittimamente coi commerci. Si accetta tranquillamente, nel XIII secolo, il fatto che il lavoro (quello ovviamente mercantile) sia a fondamento della ricchezza e si rifiuta l'usura in quanto guadagno senza lavoro. L'antisemitismo apparso nei secoli XII-XIII è una conseguenza del fatto che alle contraddizioni del capitalismo commerciale non si sa opporre altra soluzione che quella di criminalizzare singole categorie di persone. Gli ebrei, pur essendo economicamente forti, erano politicamente molto deboli, per cui era molto facile far passare la loro situazione finanziaria come un privilegio ingiustificato. Tant'è che mentre gli usurai cristiani venivano processati in tolleranti tribunali ecclesiastici, quelli ebrei invece erano sottoposti ai più severi giudizi dei tribunali laici. I sovrani infatti, che pur ricorrono abbondantemente a prestiti usurari, possono espropriare gli usurai come e quando vogliono, sicuri di non incorrere in sanzioni ecclesiastiche. In generale tuttavia la condanna dell'usura, in tutto il basso Medioevo, è più teorica che pratica, anzi forse è tanto più teorica quanto meno è pratica. Gli italiani in particolare erano dei grandissimi usurai, i toscani, i vicentini ma soprattutto i lombardi, che vivevano negli attuali Piemonte, Lombardia ed Emilia e che provenivano dai ceti dirigenti dei maggiori Comuni italiani. Costoro erano usi a frequentare i periodici incontri commerciali che dalla seconda metà del XII secolo si tenevano in quei centri della francese Champagne in cui confluiva la produzione francese e fiamminga. E lì cominciarono a praticare non solo il commercio delle mercanzie ma anche quello del denaro, finché ad un certo punto si specializzarono nella sola attività creditizia, che rendeva molto di più. All'inizio la loro attività fu resa necessaria dal fatto che esistendo numerosissime monete, occorrevano esperti in grado di cambiarle, assegnando a ciascuna moneta il giusto valore. In seguito, nonostante i divieti canonici, essi si trasformarono in veri e propri usurai, dotati, a differenza degli ebrei, di ampi diritti civili e politici, in quanto cittadini di autonomi Comuni italiani. Ed erano usurai legalizzati, in quanto detenevano il monopolio di un'attività permessa dalle autorità pubbliche. L'attività del banco si esplicava principalmente nel prestito su pegno, fissato a scadenza settimanale e di solito prorogato per un anno. I tassi variavano a seconda del cliente e del tipo di pegno e non erano certo bassi, se è vero che in Borgogna nel 1390-91 i lombardi furono costretti dal sovrano Filippo l'Ardito a restituire tutti i pegni, annullando i debiti dei loro clienti. I re francesi (p.es. Luigi IX nel 1258 e 1268, ma anche Filippo il Bello nel 1291) spesso li cacciavano dal regno, requisendo tutti i loro beni, ma poi, dietro pagamento di una forte tassa, li riammettevano tranquillamente. E se le tasse erano insostenibili, i lombardi preferivano trasferirsi altrove, sicuri di poter continuare meglio i loro affari. A Treviri, nel 1262, furono addirittura accolti dall'arcivescovo! Nella seconda metà del XIII secolo, dopo aver largamente frequentato territori come la Borgogna, l'Alsazia e la Lorena, la valle della Sarre, il Brabante, il Lussemburgo e altri ancora, si insediano stabilmente, sino all'età moderna, nelle Fiandre, uno dei principali centri industriali e commerciali del Nord Europa. Ma bisogna dire che per tutto il '300 non c'è regione europea che non abbia conosciuto la frenetica attività degli usurai e cambiatori italiani. Le prime serie misure contro questi usurai furono prese con l'istituzione dei Monti di Pietà, agli inizi del '500. Ma nelle Fiandre (Paesi Bassi) tali Monti furono istituzionalizzati solo nel 1618, dopo che s'era tentato, invano, di far abbassare i tassi degli usurai lombardi dal 33% al 22%. Qui infatti i lombardi erano diventati consiglieri di conti, ricevitori generali delle finanze pubbliche, abili precettori d'imposte e zecchieri, per non parlare dei titoli nobiliari ch'erano riusciti ad acquistare e a trasmettere alla loro discendenza. Non dimentichiamo che le Fiandre furono all'origine della trasformazione dell'Inghilterra da paese feudale a paese capitalistico. [Per la stesura di questo paragrafo ci si è avvalsi di un contributo trovato nel seguente sito: www.villaggiomondiale.it. Trattasi di un estratto da una tesi di laurea della dr.ssa Daniela Capone, avente come tiolo "Profili dell’usura e della polemica antiebraica nel Rinascimento. Il mercante di Venezia di Shakespeare". Le parti utilizzate sono state poste tra parentesi quadre.] Situazione degli ebrei [A partire dal XII secolo, si assiste, in Europa occidentale, a uno straordinario diffondersi dell'usura tra gli ebrei: l’usuraio è di norma un ebreo, e la parola “ebreo” acquista il significato di “usuraio”. Gli ebrei prestano denaro ai governi per i loro eserciti e le loro funzioni, ai nobili per i loro lussi, ma anche alle classi più modeste, artigiani e contadini e perfino alle abbazie e ai conventi.] [In tutta Europa, la loro condizione sociale è quella di “servi della corte del re” (“servi camerae regis”); secondo la legge inglese sono considerati parte integrante dei beni del sovrano; in Germania gli imperatori del Sacro Romano Impero rivendicano sui loro averi diritto di proprietà assoluta, con la facoltà di espellerli, venderli o darli in pegno; mentre in Francia, a norma degli Statuti di San Luigi re (1270), i giudei sono di proprietà dei nobili nel cui territorio risiedono.] [Per legge, gli ebrei potevano soltanto esercitare taluni mestieri manuali, quali quelli dell’artigiano (fabbro, sarto, muratore, tessitore, vasaio, ecc.), alcune occupazioni del settore terziario (osti, librai, scrivani, ecc.), ma non potevano svolgere alcuna libera professione, salvo quelle di medico, prestatore di denaro, coniatore di monete e importatore di spezie.] [Anche se il mestiere di usuraio non era scevro da gravi pericoli, sia per l’incerto status sociale dei giudei, sia perché i debitori spesso tendevano a sottrarsi ai loro impegni contrattuali fomentando l’antisemitismo e le persecuzioni razziali, gli ebrei avevano buoni motivi per farsi usurai.] [Anzitutto, non essendo cristiani, non erano toccati dal divieto della Chiesa e non avevano nulla da perdere; in secondo luogo, soggetti com’erano a persecuzioni, sopraffazione e soprusi d’ogni genere, erano naturalmente portati a scegliere un mestiere i cui profitti fossero facili a nascondersi e a trasferirsi; in terzo luogo, la strettezza dei rapporti che intrattenevano con i loro correligionari non solo in Europa ma anche nelle contrade islamiche rendeva loro più agevole procurarsi e scambiarsi la valuta occorrente per grosse operazioni finanziarie. Gli ebrei, esercitando l’usura, soddisfacevano un bisogno reale della società, in un’Europa che stava passando da un’economia di mera sussistenza a un’economia che richiedeva un maggiore uso di denaro, bene che allora era assai scarso.] [Esposti a infamanti accuse d’avvelenamento e d’omicidio rituale, sempre minacciati di repentina espulsione, privati perfino del diritto alla vita, gli ebrei erano indotti a vedere nel denaro la sola arma di difesa, anzi, una cosa dotata di valore sacro. Era col prestito di questa cosa preziosa, il denaro, che gli ebrei si guadagnavano da vivere, anche se non è da credere che tutti accumulassero ingenti fortune.] [I tassi applicati ai prestiti erano spesso alti, ma soprattutto variavano in modo considerevole da luogo a luogo. Allora come ora, l’entità del saggio d’interesse era indicativa dello stato dell’economia di un paese: per esempio, il tasso praticato nella Repubblica di Venezia, che oscillava tra il 5 e l’8 per cento, era prova della floridezza della Serenissima, mentre un tasso assai elevato, come quello massimo in uso in Austria verso la metà del XIII secolo denunciava il sottosviluppo di quel paese.] [Essere usuraio era a quel tempo una cosa estremamente scomoda: l’usuraio si trovava costantemente tra due fuochi: la Chiesa e lo Stato.] [La Chiesa si sforzò di cristianizzare la società e lo fece con metodi consueti ai potenti: il bastone e la carota. Il bastone fu satana e il diavolo fu razionalizzato e istituzionalizzato dalla Chiesa e cominciò a funzionare bene intorno all’anno Mille.] [La carota fu il purgatorio; in altre parole, l’usuraio non aveva che una scelta: se sceglieva il profitto usuraio, che gli consentiva di vivere e prosperare, cadeva nelle grinfie del diavolo e optava per l’inferno e la dannazione eterna; se invece, anche solo in punto di morte, si pentiva sinceramente e restituiva il maltolto, la sua anima andava in purgatorio. La via del purgatorio, però, era tutt’altro che agevole; infatti, sovente l’usuraio moriva di morte improvvisa, ovvero perdeva la parola quand’era vicino alla resa dei conti con Dio, e comunque non riusciva a confessare i suoi peccati.] [Tutto ciò quanto al destino della sua anima; quanto al suo corpo, ci pensava il potere temporale a sistemarlo a dovere. “Usurai ebrei e stranieri dipendevano dalla giustizia laica, più dura e repressiva. Filippo Augusto, Luigi VIII e soprattutto San Luigi emanarono una legislazione assai dura nei confronti degli usurai ebrei, contribuendo così a fomentare l’antisemitismo già assai diffuso fra la popolazione”.] [Come ben sappiamo, la Chiesa aveva da tempo tassativamente proibito ai cristiani, religiosi e laici, d’esercitare l’usura, dando inoltre facoltà ai preti d’esimere i debitori dal pagare interessi, come pure d’indurre gli usurai, spesso in punto di morte, a rendere ai debitori le somme percepite come interessi sui mutui, ovvero a farne donazione alla Chiesa stessa.] [Questa, intanto, rimaneva ferma sulle sue posizioni dottrinali; anzi, a partire dall’XI secolo, calcò sempre più la mano sui divieti e sulle pene da comminare ai trasgressori. Il divieto del prestito a interesse si fece assoluto in concomitanza con lo sforzo di attuare il progetto ierocratico dei papi, progetto che tendeva alla “clericalizzazione della società dei fedeli”, e che inevitabilmente produsse l’irrigidimento delle norme antifeneratizie.] [Quale sia nei primi secoli dopo il Mille l'origine dello stereotipo dell'"ebreo usuraio", quello stereotipo che si trasformerà poi in pregiudizio e sarà una delle giustificazioni dell'antisemitismo, è dunque il risultato di un contrasto, allora insanabile, tra la Chiesa e la comunità ebraica.] [La Chiesa fra il Due e il Quattrocento fissò una netta distinzione fra usura e credito e identificò come usura solo il prestito a interesse su pegno gestito pubblicamente. Gli ebrei ebbero il ruolo di usurai non perché effettivamente monopolizzassero il mercato del denaro, ma per due ragioni principali:
[Si giunse così, nel 1215, in occasione del quarto Concilio Lateranense, alla descrizione dell'usura come di un comportamento tipicamente ebraico e specificamente mirato ad indebolire economicamente la società cristiana e le chiese.] [Il Concilio Lateranense II (1139) confermava la scomunica degli usurai; nel III Concilio Lateranense (1179) il prestito a interesse veniva di nuovo condannato con la massima severità, mentre col IV Concilio di Lione (1214) papa Gregorio X chiamava i cristiani a fare ogni sforzo per porre termine alla pratica dell’usura; l’anno dopo, Innocenzo III imponeva ai giudei l’obbligo di portare sul petto il distintivo della loro condizione di emarginati o di mettere in capo un berretto giallo (disposizione che però non fu sempre rigorosamente applicata a Roma e, in genere, in Italia).] [Questi severi provvedimenti delle somme autorità religiose, ovviamente supportate dal “braccio secolare”, rendevano pericoloso l’esercizio dell’usura da parte dei cristiani; mentre come si è detto per gli ebrei, popolo reietto e abbandonato dal Dio cristiano, non avevano nulla da perdere, né sulla terra né in cielo, essendo già, salvo il caso di pronte conversioni alla vera fede, predestinati alla dannazione eterna.] [Accadeva così che gli usurai ebrei, ancorché odiati e disprezzati, fossero preferiti agli usurai cristiani, i quali, correndo rischi anche più gravi dei giudei, praticavano spesso tassi d’interesse più esosi.] [Col progredire dei traffici, il numero dei cristiani che osavano praticare l’usura era andato crescendo di continuo.] [A peggiorare la situazione si aggiungeva questa complicazione: i re di Francia, di Spagna, d’Inghilterra e così via, non solo pretendevano denaro a prestito dagli ebrei per le loro guerre, le sante crociate, le opere pubbliche, ecc., ma imponevano loro pesanti taglieggiamenti sotto forma di tasse sui proventi dell’usura.] [C’erano, a disposizione dei monarchi, altri e più duri metodi, peraltro, di taglieggiare gli ebrei e rimpinguare i forzieri reali: si poteva emanare un editto per la cancellazione di tutti i debiti, o si potevano arrestare gli ebrei in massa, costringendoli a pagare un forte riscatto; si potevano applicare loro multe esorbitanti, o imporre “donazioni” per circostanze straordinarie (matrimoni regali, nascite di principi e così via); e infine- soluzione finale - si potevano espellere dal regno tutti gli ebrei, facendo loro pagare assai cara l’eventuale riammissione.] [Uno dei primi a far ricorso a questo odioso mezzo fu Filippo Augusto, re di Francia, che nel 1182 cacciò dal paese tutti gli ebrei e ne confiscò i beni; di lì a pochi anni li riammise imponendo loro una pesante donazione.] [Molti ebrei espulsi trovarono rifugio in Inghilterra, ma per essere espulsi un secolo dopo anche in questo paese.] [In Europa, gravi avvenimenti fecero seguito alla cacciata degli ebrei dall’Inghilterra: l’espulsione delle importanti comunità ebraiche della Francia e in Germania. Molti dei giudei cacciati trovarono rifugio in Turchia, in Polonia e anche in Italia.] [Nel XIII secolo, un fatto nuovo era sopravvenuto a complicare le cose: i primi banchieri italiani avevano cominciato a prendere il posto degli ebrei nella vita economica dei paesi. A volte il re, trovandosi indebitato con prestatori di denaro stranieri (non ebrei), e specialmente con italiani, concedeva ai suoi creditori la facoltà di rivalersi sugli ebrei, riscotendo in sua vece le imposte da loro dovute.] [Infatti questo fenomeno aggravava la situazione economica e peggiorava la posizione sociale degli ebrei nell’Europa del nord: lo sviluppo e il rafforzamento delle iniziative finanziare dei lombardi cominciavano a spezzare quello che era stato un vero e proprio monopolio degli ebrei, l’usura, riducendo molti di costoro alla più umile professione di prestatori su pegno.] [Lo stereotipo dell’ebreo usuraio e il marchio di usura attribuito all’intero popolo ebraico a partire dai primi secoli dopo il Mille e a causa della loro esclusione da quasi tutte le attività economiche ad eccezione di quella del prestito ad interesse, hanno determinato e sviluppato le radici dell’antisemitismo moderno.] Commento alla tesi di Daniela Capone Come si può notare la tesi sostenuta da Daniela Capone è in sostanza la seguente: la chiesa romana cominciò ad un certo punto ad emanare tante più sentenze antiusuraie quanto più diventava politicamente teocratica, nel senso che dette sentenze riflettevano l'inevitabile antisemitismo conseguente a quella ideologia integralistica. La chiesa romana non si opponeva all'usura per motivi etici, ma perché, ambendo a un potere assolutistico, doveva necessariamente opporsi a tutte quelle realtà che la contestavano, che sfuggivano al suo controllo, che minavano la sua credibilità o che potevano servire per coagulare consensi: tra queste realtà sociali vi erano gli ebrei, per i quali fu facile trovare l'accusa d'essere usurai. L'antisemitismo era dunque funzionale a esigenze politiche e la lotta contro l'usura rientrava in un piano strategico più generale di affermazione imperiale del papato. Dove sta il limite di fondo di questa tesi, che pur presenta aspetti condivisibili? Il limite sta nel fatto che la chiesa cominciò a perseguitare gli ebrei nel momento stesso in cui cominciò a favorire i mercanti. Il suo progetto di affermazione teocratica andò di pari passo con l'affermazione del mercantilismo, e di quest'ultimo gli ebrei costituirono soltanto una componente limitata, che in nessun modo avrebbe potuto mettere in discussione l'evolversi dei processi ecclesiastici iniziati con la riforma gregoriana, né favorire in maniera decisiva l'evolversi dei processi mercantili iniziati con lo sviluppo del sistema comunale. L'usura praticata dagli ebrei non favoriva infatti, direttamente, il mercantilismo, ma semmai minava le basi del feudalesimo. Il mercantilismo aveva bisogno di ben altre condizioni, strutturali e sovrastrutturali, per potersi diffondere. E in ogni caso l'usura era tanto più praticata dagli ebrei quanto più praticato dai cristiani era il mercantilismo. E l'antisemitismo, sempre e ovunque, diventa tanto più marcato quanto meno si riesce a porre un freno allo sviluppo delle contraddizioni antagonistiche del mercantilismo. La chiesa romana non fu dunque contraria all'usura semplicemente perché contraria agli ebrei; anzi, l'antisemitismo fu indirettamente un favore che la chiesa romana fece al mercantilismo, il quale conosceva forme di usura praticate abbondantemente anche dai cristiani. Tale mercantilismo, per potersi sviluppare "legalmente", aveva bisogno di una realtà da presentare come forma antitetica da superare, come negatività da reprimere, e quella ebraica veniva facilmente incontro a tale esigenza. Se vogliamo, la chiesa romana favorì addirittura l'usura cristiana, riveduta e corretta coi concetti di "interesse", "rischio", "prestito su pegno", "purgatorio" ecc., proprio opponendosi formalmente all'usura ebraica e venendo incontro alle nuove esigenze della classe borghese, e si opporrà nettamente al mercantilismo solo quando questo rivendicherà un potere politico, cioè sostanzialmente solo verso la prima metà del '500, quando il mercantilismo troverà nel protestantesimo il suo decisivo e definitivo puntello ideologico. III - La giustificazione dell'usura La giustificazione dell'usura avviene in maniera progressiva nell'ambito della chiesa romana. I fattori ideologici che l'hanno favorita sono stati i seguenti:
IV - Capitale commerciale, usurario e industriale "Gli iniziatori del capitalismo sono gli usurai", dice Le Goff. E lo dice facendo così apparire la chiesa romana come una sorta di Pilato che ha dovuto adeguarsi, obtorto collo, a un fenomeno che non sentiva come proprio ma che ad un certo punto non era più in grado di controllare. La tesi di Ovidio Capitani non è molto diversa. Egli infatti sostiene che l'etica economica medievale è "risonanza e indicazione di un comportamento" e non "causa" o "concausa" dello stesso. L'etica economica medievale non poteva promuovere il capitalismo ma soltanto ammettere la liceità di talune pratiche commerciali. Fu un'etica "concessiva" non "costruttiva". Ed egli, al pari di Le Goff, vede nell'incapacità degli scolastici e dei canonisti di portare alle conseguenze più moderne le loro teorie proto-borghesi un limite di fondo, che poi verrà superato - aggiungiamo noi - dai teologi esplicitamente protestanti. In realtà queste tesi sono deficitarie su alcune questioni controverse:
Considerazioni finali I Nel Medioevo una forte presenza dell'usura era già indice di una prevalenza dei rapporti mercantili-monetari su quelli naturali dell'autoconsumo. L'usura si sviluppa sempre là dove i commerci sono fiorenti, ma anche là dove i rapporti di classe sono molto antagonistici, dove l'individualismo dei proprietari (fondiari o di capitali) è molto accentuato. L'usuraio infatti è un individuo che si pone contro dei legami comunitari indeboliti, insinuandosi nelle debolezze di un sistema sociale dominante e portandole a completa rovina. E' come un virus in un corpo che si trascura, di un malato che s'illude di poter guarire senza medicine, che sottovaluta la gravità della propria patologia. Non ha senso sostenere - come fa Le Goff - che gli usurai non diventavano capitalisti solo perché avevano paura dell'inferno nell'aldilà e che cominciarono a diventarlo quando si prospettò loro la possibilità di finire in paradiso passando attraverso il compromesso del purgatorio. Il capitalismo nasce quando da un lato il borghese poteva chiaramente differenziare la propria attività da quella usuraria, facendola in un certo senso passare per un'alternativa legittima, convincente, adeguata, e dall'altro quando la pratica dell'usura, legalizzata nelle forme del moderno credito, si trasformava in un forma incentivante a sviluppare rapporti di sfruttamento di lavoro, in cui le parti contraenti erano giuridicamente e formalmente libere. Cosa che il cattolicesimo-romano, essendo una religione feudale, impostata sul rapporto personale di soggezione e quindi sulla rendita, non avrebbe potuto accettare sino in fondo, senza prima trasformarsi in una religione protestante, adatta a un credente di tipo borghese e imprenditoriale. La teoria del "giusto prezzo" in tal senso è molto eloquente per spiegare i limiti di un'impostazione cattolico-romana in materia di economia politica. Detta teoria (anche nel teologo più "oggettivo" come Tommaso d'Aquino) ha sempre avuto per tutto il Medioevo uno sfondo prettamente moralistico, in quanto ci si affidava alla buona volontà dei contraenti (venditore ed acquirente), i quali avrebbero dovuto evitare iniziative commerciali intenzionalmente fraudolenti o tali da favorire forme di monopolio. Dal canto suo la chiesa cercava di stemperare l'avidità del guadagno chiedendo al mercante di devolvere parte delle ricchezze ad opere di carità. Un trend del genere avrebbe potuto funzionare al massimo nell'ambito di un mercato locale, dove tutti si conoscevano, ma proprio nel momento in cui tale teoria veniva formulata lo scatenamento delle crociate nel Vicino Oriente e nei Paesi Baltici faceva sì che i mercati diventassero internazionali e con essi le loro dinamiche e soprattutto i loro prezzi, che finivano inevitabilmente per influenzare quelli dei mercati locali. La chiesa romana era convinta di poter controllare il fenomeno del mercantilismo in piena espansione perché sul piano politico imponeva a tutta la società una concezione piuttosto rigida della stratificazione sociale dei ceti e dei loro ruoli, e non aveva motivo di pensare, finché ognuno fosse rimasto nel posto che gli veniva conferito dalla gerarchia, che l'attività mercantile avrebbe col tempo scardinato sia la tradizionale ideologia cristiana che i consolidati poteri costituiti. II Sul piano metodologico - come indicazione per ulteriori ricerche storiografiche - occorrerebbe focalizzare l'attenzione su alcuni aspetti per noi di fondamentale importanza:
Bibliografia
SitiWeb
Download
N.B. Per la parte relativa alla situazione dell'usura nell'area bizantina si ringrazia il sito www.imperobizantino.it |