LA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE
dall'esordio al crollo


Per una storia del trotskismo. Appunti introduttivi

1. Introduzione

“La scienza del movimento operaio è il marxismo” (L. Trotskij)

Il marxismo come scienza della rivoluzione è la cristallizzazione dell’esperienza della lotta di classe che il proletariato conduce contro il capitalismo da oltre due secoli. In ultima istanza ogni partito e ogni corrente rappresentano una certa parte della società (“Una qualsiasi lotta di frazione in un partito è sempre, in ultima analisi, il riflesso della lotta di classe” ha scritto giustamente Trotskij). Lo studio della storia del marxismo è dunque lo studio della storia della lotta di classe vista da un punto di vista delle tendenze politiche e teoriche che questa lotta rappresentano, anche da un punto di vista scientifico. La posizione tipica dei riformisti è il rifiuto dello studio di questa storia con la scusa veramente geniale dei cambiamenti intervenuti nella società “nell’ultimo periodo”.

Questa volontà di ignorare le lezioni delle lotte passate ha molte ragioni, tra cui quella di recidere il legame tra i grandi rivoluzionari del passato e la nuova generazione della classe operaia. La ragione principale sta però nel fatto che lo studio delle lotte del movimento operaio e del marxismo dimostrano chiaramente quanto le “novità” del capitalismo e dei burocrati riformisti ricorrono con noiosa ciclicità nei decenni passati. I dirigenti si aggrappano a ogni trovata di qualche professore di “sinistra” per confutare il marxismo, per dimostrare le rotture col passato ecc. Sperano in questo modo di difendere i propri privilegi per i tempi a venire. In questo senso, come quinta colonna borghese nelle file del movimento operaio, agiscono correttamente, perché sanno che il marxismo è l’arma più potente che la classe operaia ha forgiato nella sua secolare storia.

Dal nostro punto di vista lo studio del marxismo nelle sue varie fasi ha un’importanza fondamentale. In questo contributo verrà trattata la storia del trotskismo[1], ovvero del marxismo del nostro secolo, nel periodo che va dalla degenerazione del primo stato operaio ai giorni nostri. Nella storia del marxismo possiamo scorgere un filo ininterrotto di analisi e di azione politica che parte da Marx ed Engels, passa per il bolscevismo e approda alla quarta internazionale e alla sua tendenza rivoluzionaria. Non c’è niente di sentimentale, di feticistico, che ci lega attraverso questo filo ai marxisti del passato, c’è la finalità comune di lottare per la liberazione del proletariato e per il progresso dell’umanità. Possiamo lasciare gli scettici, i pessimisti inguaribili e i pasdaran del capitalismo al loro ruolo di freno della storia. Questa stessa storia si incaricherà di rendere il loro lavoro sempre più faticoso e impossibile. Dal nostro punto di vista lo studio delle lotte politiche, sociali e teoriche del passato costituisce una indispensabile guida per l’azione.

2. L’Internazionale Comunista dopo Lenin

La terza internazionale, nel decennio che va dal 1923 al 1933, cessò di essere il partito della rivoluzione mondiale e divenne il partito della controrivoluzione mondiale. Il processo iniziò con il fallimento della rivoluzione in Germania, dovuto anche a politiche scorrette suggerite dall’ala destra del partito bolscevico, e terminò con la presa del potere da parte dei nazisti.

Non è questo il luogo per analizzare il processo di degenerazione dello stato operaio russo e del partito bolscevico. E' comunque importante notare che i dirigenti principali del partito e soprattutto Lenin e Trotskij erano ben consci dei pericoli insiti nell’isolamento e nell’arretratezza dell’economia russa. Già nel ‘22 Lenin si mosse, compatibilmente con le sue ormai precarie condizioni di salute, per tentare di porre un freno alla deriva burocratica del partito. Il 1923 fu l’anno in cui cominciò la lotta tra la frazione bolscevica, guidata da Trotskij, e l’apparato burocratico intorno a Stalin. In quell’anno venne formata l’Opposizione di sinistra come mezzo per riformare il partito e lo stato. Nell’ottobre del 1923 Trotskij scrisse alcune lettere al CC del Pcr sulla democrazia nel partito e firmò la “dichiarazione dei 46” (un documento che prendeva il nome dai 46 dirigenti che formavano l’opposizione). L’apparente imminenza della rivoluzione in Germania rafforzò l’opposizione e al Plenum di dicembre del CC la politica di “Nuovo Corso” venne approvata, anche se non verrà mai portata avanti.

La sconfitta della rivoluzione tedesca, causata anche dagli errori della direzione russa, isolarono l’opposizione. Nell’autunno del 1924 Stalin propose la teoria assolutamente nuova e antimarxista del “socialismo in un solo paese”. La burocrazia, sfidata dall’opposizione, aveva preso coscienza di sé e cominciava a crearsi una giustificazione teorica delle proprie politiche. Le sconfitte che si susseguirono negli anni ‘20 (in Cina, in Inghilterra ecc.), furono sia causa che risultato dello spostamento a destra della burocrazia e consentirono all’apparato, paradossalmente grazie ai propri errori, di isolare l’avanguardia bolscevica nel Pcr e in ogni altro partito comunista.

Dal 1926 al 1928 si consumò la breve esperienza dell’opposizione unificata: Zinoviev, Kamenev e altri, sottovalutando Stalin, avevano pensato in un primo momento di servirsene contro Trotskij. Essendosi resi conto della totale estraneità di Stalin dalle pratiche e dai principi del bolscevismo, compirono una svolta unendosi a Trotskij. Ma di nuovo, dopo due anni, operarono una nuova svolta e si arresero alla burocrazia. Nello stesso anno Stalin lanciò le prime ampie purghe nel partito[2]. Al sesto congresso della Internazionale Comunista Trotskij propose una piattaforma alternativa che, data la ancora incompleta degenerazione del partito, venne ammessa alla discussione. Molti dirigenti dell’Internazionale presero contatto per la prima volta con le idee dell’opposizione russa ed estesero la battaglia dell’Osi in molti partiti comunisti del mondo.

Nel 1929 Trotskij venne esiliato in Turchia e l’Osi allontanata dai partiti comunisti. Nello stesso periodo la burocrazia stalinista compì una svolta settaria di 180 gradi nel suo orientamento politico. Scavalcò formalmente a sinistra l’Osi, dichiarò giunta l’epoca del declino finale dell’imperialismo e definì i partiti riformisti come “gemelli” del fascismo. In questo modo preparò la colossale disfatta del proletariato tedesco.

Questa politica non era che l’esportazione all’estero della svolta a cui Stalin era stato costretto all’interno: distruzione della nascente borghesia (basata sulla Nep) e applicazione, seppur mostruosamente distorta, delle misure proposte dall’opposizione di sinistra (pianificazione, piano quinquennale ecc.). A quell’epoca, definita dall’Internazionale Comunista il “terzo periodo”, Trotskij considerava ancora l’Osi come la tendenza rivoluzionaria della terza internazionale e resisteva alle pressioni di alcuni estremisti che avrebbero voluto formalizzare una scissione per formare subito una nuova internazionale. I gruppi rivoluzionari nei vari paesi cercavano di organizzarsi come tendenze dentro e fuori i partiti comunisti.

Nel 1933 ci fu la disastrosa sconfitta del proletariato tedesco, in cui i nazisti poterono prendere il potere e annientare il più potente movimento operaio mondiale senza sparare un colpo, anzi con la complicità del partito comunista. Questo infatti si rifiutò di allearsi con la Spd contro i nazisti, ripetendo che la Spd e i nazisti erano gemelli. Arrivò addirittura a votare insieme ai nazisti contro la Spd in un referendum che chiedeva l’abbattimento di un governo socialdemocratico. Mentre i suoi dirigenti dichiararono trionfanti che ora era il loro turno e che Hitler era solo di passaggio, Trotskij realizzò l’impossibilità di riformare l’Internazionale Comunista e lo stato operaio sovietico. Dal 1933 l’Osi si chiamerà Lci (lega comunista internazionalista) per la quarta internazionale.

3. Per una nuova internazionale

Negli anni successivi Trotskij chiarì che in Urss non era più possibile una riforma dello stato e del partito, era necessaria una rivoluzione politica che eliminasse la burocrazia. In questo periodo i deboli gruppi trotskisti nel mondo, a volte isolati dal movimento operaio, ma a volte con ottimi quadri e un certo appoggio tra i lavoratori, cominciarono la costruzione della nuova Internazionale.

Nel 1936, mentre si consumava il sabotaggio della rivoluzione spagnola, in Urss cominciarono i processi intesi a eliminare ogni dirigente e ogni militante che avesse una qualsiasi connessione con la rivoluzione d’ottobre. Molti di questi non erano neanche attivi nel partito, altri appoggiavano passivamente Stalin, ma vennero comunque sterminati dal primo all’ultimo. All’inizio della seconda guerra mondiale il partito più rivoluzionario della storia era stato completamente sradicato dalla Russia e dal mondo. Trotskij era l’unico legame rimasto tra il bolscevismo e le nuove generazioni. Stalin ovvierà anche a questo.

Quando Trotskij decise di fondare la quarta internazionale, il movimento operaio stava attraversando uno dei periodi peggiori della propria storia, probabilmente quello più denso di sconfitte, disastri e massacri. Gli anni ‘30 si aprirono con la lotta rivoluzionaria dei lavoratori spagnoli e si chiusero con l’infame patto tra Stalin e Hitler che arrivò come colpo finale a demoralizzare completamente una classe operaia esausta. In Europa il tallone nazifascista aveva schiacciato il movimento operaio e atomizzato le sue organizzazioni. In Urss avvenne lo stesso processo, anche se con un altra base sociale, perché la burocrazia manteneva la proprietà statale dei mezzi di produzione come strumento per l’accrescimento dei propri privilegi.

Questo quadro sembra ben diverso, e in realtà decisamente opposto, a quello in cui venne fondata l’Internazionale Comunista, sull’onda di una rivoluzione vittoriosa e delle ripercussioni mondiali della prima vittoria operaia della storia. “Non ci sono le condizioni oggettive per una nuova internazionale”, con questa ovvia diagnosi molti condannavano la decisione ‘utopica’ di Trotskij e dei quadri rivoluzionari che si raccoglievano attorno a lui[3]. Come fanno spesso i ‘realisti’, questi signori rifiutavano di analizzare dialetticamente la situazione, estraevano gli aspetti più appariscenti e ovvi e se ne servivano per confermare le proprie tesi. Trotskij partiva da un altro presupposto. Nonostante l’immane sconfitta subita dal proletariato in molti paesi, nonostante l’imminenza di una nuova carneficina globale, ancora una volta la classe operaia si sarebbe aperta la strada verso il potere. Il problema fondamentale di questa epoca, aperta con la rivoluzione d’ottobre e perdurante ancora oggi è il problema della direzione rivoluzionaria. Anche se debole e isolata, la quarta internazionale, basandosi sui principi del marxismo e con un giusto orientamento verso il movimento operaio, poteva porsi come una seria alternativa alle direzioni moribonde e corrotte riformiste e staliniste.

Il 3 settembre 1938, 25 delegati in rappresentanza di undici paesi proclamarono ufficialmente la fondazione della quarta internazionale. Nel complesso la nuova internazionale venne fondata con tendenze in circa trenta paesi. Molte di queste erano deboli, inesperte e di composizione sociale scarsamente proletaria. Ma vi erano eccezioni considerevoli. Per esempio negli Stati Uniti aderirono James Cannon e la sua corrente; Cannon uno dei fondatori del partito comunista, si era unito all’Osi nel 1928 dopo aver conosciuto e fatto conoscere i documenti di Trotskij. Era anche uno dei dirigenti più riconosciuti dalla classe operaia americana. In Cina aderì Chen Tu-Hsiu, fondatore del partito comunista cinese, che aveva aderito all’Osi dopo la sconfitta della rivoluzione cinese. Nel complesso comunque, la quarta internazionale nasceva con meno forze di quante ne avesse avute l’Osi nel ‘33 e questo spinse alcuni a non farvi parte. In Urss, dove per Trotskij vi era ancora la sezione più importante della quarta internazionale, la situazione era tragica e l’opposizione già era stata quasi completamente annientata. Tra il marzo e il maggio del 1938 a Vorkuta circa tremila oppositori trotskisti vennero sistematicamente massacrati.

4. Chiarezza politica

La rivoluzione d’ottobre aprì la strada a una serie di rivoluzioni su scala mondiale. Nonostante l’eroismo rivoluzionario delle spesso giovanissime avanguardie comuniste, molte occasioni andarono perdute per inesperienza e per errori settari. I bolscevichi, nei congressi dell’Internazionale Comunista, cercavano di mettere le direzioni dei giovani partiti comunisti al passo coi i compiti immani della presa del potere. La tattica del fronte unico venne proposta in questo periodo a quei partiti che operavano in paesi in cui i riformisti avevano ancora un peso importante, se non decisivo, nel movimento operaio. Alcuni partiti e alcune tendenze rifiutarono questa tattica, ritenendola un arretramento opportunista. Tra di essi c’era anche la direzione del Pcd’I (allora compatta dietro Bordiga). Quando Trotskij cominciò la battaglia di opposizione, attirò anche alleati di questo tipo, settari convinti che lui avesse finalmente capito gli sbagli precedenti. Una parte di questo settore che in Italia definiamo bordighista, passerà effettivamente al trotskismo, ma per la sua gran maggior parte romperà con l’Osi nel corso della lotta allo stalinismo. Indubbiamente molti di questi dirigenti erano rivoluzionari onesti, come Bordiga, che difese sempre l’Osi, pagando cara la propria coerenza. Tuttavia il loro orientamento settario li tagliava fuori dal movimento operaio organizzato.

5. La Quarta Internazionale dopo Trotskij

“Nei periodi di reazione e declino saltano fuori da tutte le parti gli stregoni e i ciarlatani” (L. Trotskij)

Poco dopo lo scoppio della guerra, Stalin fece uccidere Trotskij, in un momento in cui gli occhi del mondo erano puntati altrove, proprio come Trotskij stesso aveva previsto. Due anni prima suo figlio, Leon Sedov, aveva subito la stessa sorte. Il movimento trotskista[4] si ritrovava ad entrare in guerra in condizioni critiche. Nell’Europa continentale, in cui tradizionalmente vi era la stragrande maggioranza del movimento operaio organizzato, i trotskisti erano stati pressoché sradicati dall’azione congiunta dei nazifascisti e degli stalinisti. Tuttavia negli anni ‘30 i trotskisti riuscirono a condurre importanti lotte sindacali e politiche in vari paesi.

In Francia, la sezione della quarta internazionale ottenne un grande appoggio con la proposta di fronte unico delle organizzazioni operaie per fermare il fascismo a metà del decennio, e fu in riferimento alla sezione francese che Trotskij propose per la prima volta la tattica dell’entrismo. Tuttavia con la conquista nazista anche questa sezione venne schiacciata. Le poche cellule sopravvissute portarono avanti una politica rivoluzionaria come poterono, spesso nei campi di concentramento. In questo periodo quelli che diventeranno i due dirigenti principali della quarta internazionale, Mandel e Pablo, diedero le migliori prove di sé, operando eroicamente in paesi occupati dalla dittatura hitleriana. I trotskisti così, si trovavano ad agire, con una certa libertà, in soli due paesi avanzati: la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Negli Stati Uniti la direzione del Swp, grazie anche ai consigli di Trotskij, ebbe successi notevoli, acquisendo un peso considerevole nelle lotte sindacali del tempo (Minneapolis, New York ecc.). Della sezione inglese parleremo dopo.

Nei paesi coloniali la quarta internazionale aveva alcuni punti di forza notevoli: in Vietnam la sezione aveva un’influenza di massa e guidava il movimento per l‘indipendenza del paese. Anche nello Sri-Lanka la sezione era un partito operaio di massa. Nel complesso, nonostante tutto, la quarta internazionale poteva contare su un nucleo importante di quadri rivoluzionari e su un certo numero di sezioni in vari paesi del mondo. La morte del “Vecchio” portò lo scompiglio. Non si trattò solo della perdita del simbolo stesso della rivoluzione d’ottobre, nonché del più grande rivoluzionario del secolo con Lenin, ma si trattò della scomparsa del legame tra direzioni nazionali molto diverse, spesso immature e poco temprate. Non passò un anno dall’omicidio di Trotskij e già l’internazionale era spaccata. Non a caso la spaccatura avvenne sull’analisi dell’Urss e la posizione che i trotskisti dovevano assumere verso di essa.

E' sulla questione della natura dell’Urss che la quarta internazionale si distinse politicamente da ogni altra corrente del movimento operaio. E' grazie all’analisi della degenerazione della rivoluzione bolscevica che i trotskisti acquisirono la capacità di comprendere allora, come in seguito, il proprio tempo, le svolte continue dei partiti comunisti e dunque la guida per intervenire nella classe operaia. Si può dire che almeno nove decimi delle spaccature, che si contano a dozzine, che la quarta internazionale e le sue sezioni nazionali hanno subito, sono partite o si sono concentrate sulla natura dell’Urss. Anche la nostra tendenza è nata in questo modo.

6. La natura di classe dell’Urss

Già prima della fondazione della quarta internazionale, vi erano gruppi estremisti che proponevano la teoria che l’Urss fosse uno stato capitalista in cui la borghesia era formata dalla casta burocratica che estorceva plusvalore al proletariato come il capitalista ‘privato’ fa nel resto del mondo. In Italia per esempio, questa teoria venne fatta propria dai bordighisti. In seno alla quarta internazionale l’analisi di Trotskij veniva accettata da tutti, o almeno così sembrava. Poco prima della sua morte, nella sezione americana, il Swp, una corrente cominciò a muovere critiche alla teoria dello stato operaio degenerato e propose una nuova teoria, quella del “collettivismo burocratico”.

Secondo questa teoria l’Urss sarebbe un nuovo tipo di stato, né capitalista né operaio che esprimerebbe peraltro una tendenza generale dell’economia mondiale. Una tendenza peraltro progressista, che dunque sarebbe un errore contrastare. Tanto il nazifascismo, quanto il New Deal, quanto l’Urss non sarebbero che diverse modalità con cui i manager pubblici e privati, i burocrati aziendali e statali, vanno acquisendo il potere nella società. I fondatori di questa teoria erano due dirigenti del Swp, Burnham e Schachtman, che avviarono un’aspra lotta di frazione in seno alla sezione americana contro l’idea che i trotskisti dovessero difendere l’Urss contro l’imperialismo. Trotskij e la maggioranza del Swp difesero la posizione dello stato operaio degenerato. La frazione che difendeva la concezione del ‘collettivismo burocratico’ rifletteva il cambiamento di umore nella piccola borghesia radicale. Finché difendere l’Urss significava una politica astratta, basata su eventi che accadevano lontano, allora si poteva essere rivoluzionari senza sforzi. Quando, all’avvicinarsi della seconda guerra mondiale, la difesa dell’Urss diveniva un problema che investiva tutto il mondo, questi intellettuali, professori di filosofia e simili, si rifiutavano di difendere la mostruosa dittatura stalinista, accusando i trotskisti di voler difendere il totalitarismo.

La loro fine dimostra quali erano le basi sociali della spaccatura: dopo essersi scissi dal Swp e aver formato il Workers’ Party, diventeranno nel dopoguerra politici reazionari (partecipando alla campagna maccartista). Questo episodio evidenzia una lezione che si dimostrerà più e più volte vera nella storia: la critica alla concezione dell’Urss come stato operaio deformato è l’inizio di una rottura politica e organizzativa con il movimento rivoluzionario. Questo non significa che tutte le correnti politiche che hanno rifiutato l’analisi di Trotskij sono poi passate alla reazione. Ma questa rottura è una condizione necessaria sulla strada di una svolta controrivoluzionaria. Così fu anche nella lotta di frazione in senso al Swp.

All’inizio questa concezione sembrava una deformazione peculiare di una corrente del partito, ma col tempo, si dimostrò per quello che era, una teoria profondamente reazionaria. Trotskij rispose magistralmente a queste deformazioni in In difesa del marxismo. Anche se prima della sua morte queste correnti restavano minoritarie, non bisogna dimenticare che il SI[5], rifugiato a New York, appoggiava maggioritariamente la frazione Burnham-Shachtman della sezione americana che proponeva di modificare la posizione della quarta internazionale verso l’Urss e questo dimostrava fondamentalmente l’immaturità di questo organo. In generale la lotta di frazione in senso al Swp era solo un sintomo di un processo generale.

7. Vittoria e diversificazione dello stalinismo

Come detto la guerra distrusse gran parte della direzione della quarta internazionale. Molti quadri, che sarebbero stati decisivi nel dopoguerra, finirono nei campi di sterminio nazisti e stalinisti, altri vennero assassinati dai servizi segreti delle ‘democrazie’ occidentali. Questa debolezza oggettiva non era però cosa nuova per i rivoluzionari. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, i socialisti internazionalisti che si incontravano in Svizzera, potevano stare in qualche carrozza di un treno, secondo la nota battuta di Trotskij, eppure dopo nemmeno cinque anni era stata fondata un internazionale comunista di massa come culmine della vittoria della classe operaia in Russia. Il problema fu che gli esiti della seconda guerra mondiale agirono sulla direzione internazionale come fattori di scompiglio decisivo.

La burocrazia, vincitore del nazifascismo, otteneva una incredibile ricompensa per i suoi crimini, mezza Europa da edificare a propria immagine e somiglianza. L’Armata Rossa a Berlino era la prova che Stalin aveva avuto ragione, che l’esempio sovietico andava apprezzato e seguito. Nei dieci-venti anni successivi alla vittoria contro Hitler, lo stalinismo raggiunse il suo apogeo. L’enorme sviluppo economico e tecnologico dell’Urss, di cui lo sforzo bellico era la prova più convincente, dimostrava la superiorità della pianificazione sovietica su ogni forma di capitalismo, anche la più brutale. Lo stalinismo aveva occupato militarmente l’Europa dell’Est e in qualche anno, peraltro molto facilmente, modellava questi paesi a propria somiglianza. In Iugoslavia e in Cina gli stalinisti prendevano il potere in modo autonomo da Mosca ma pur sempre entrando a far parte del sistema sovietico.

La guerra di Corea fu l’ennesima frustrazione per l’imperialismo occidentale, in specie americano. Mezzo mondo era saldamente nelle mani di caste burocratiche sovietiche e l’influsso sovietico si faceva sentire in ogni angolo del mondo coloniale, spingendo colonnelli e satrapi locali a definirsi socialisti, nazionalizzare fabbriche e miniere e passare armi e bagagli con Mosca. Perfino Cuba, squallida provincia dell’impero americano, una specie di bordello galleggiante al largo della costa americana, sollevò la testa. La vittoria di Castro e Guevara a Cuba, una nazione intimamente dentro il sistema imperialista statunitense sconvolse la borghesia americana. Sebbene ingrassati da anni di boom economico, i capitalisti americani non risero quando Krusciov urlò nel palazzo di Vetro: “Vi seppelliremo!”. C’era già chi faceva il conto alla rovescia per prevedere l’anno in cui l’Urss avrebbe dovuto superare il colosso americano (il 1984 circa).

In Italia e in Francia, ma non solo, il movimento operaio era controllato saldamente dagli scagnozzi del Cremlino. L’apoteosi della barbarie stalinista ebbe un effetto deprimente e disorganizzatore sulla quarta internazionale. Ancora una volta sorsero profondi dissidi sulla natura di questi stati. I satelliti di Mosca erano stati operai degenerati? E la Cina o la Iugoslavia, in cui gli stalinisti avevano preso il potere autonomamente, che natura di classe avevano? E i vari staterelli che si dichiaravano socialisti in giro per il mondo? Oggi potrebbe sembrare curioso che qualcuno potesse vedere delle differenze nella natura dell’Urss degli anni ‘60 e della Ddr o della Bulgaria, o anche della Iugoslavia e della Cina.

A uno sguardo anche superficiale questi stati apparivano così simili che qualsiasi differenziazione sarebbe sembrata quanto meno arbitraria. Eppure su questo problema l’internazionale si ruppe la testa. Il nodo del contendere era questo: si può accettare che uno stato operaio, anche se enormemente deformato, possa sorgere come conseguenza della vittoria bellica e dell’occupazione militare? Può l’Armata Rossa modificare i rapporti di produzione, sostituendosi in un certo senso alla classe operaia? E se si accetta questo, a che serve la quarta internazionale? Non sono più utili i carri armati come mezzo di espansione dello stato operaio? Le risposte date a questi punti tormentarono l’internazionale per tutto il periodo postbellico. Qui cercheremo di esporre brevemente quali risposte vennero date.

8. L’Urss sì, l’Ucraina forse, la Iugoslavia assolutamente no

Quelli che se la sbrigarono più facilmente furono i teorici del capitalismo di stato: l’Urss è uno stato capitalista che impone il proprio capitalismo ad altri paesi. La corrente che oggi si raccoglie attorno al giornale Lutte Ouvriere (l’Uci, Unione Comunista Internazionale, ma allora si chiamava diversamente), propose e in seguito difese la posizione, strana finché si vuole, che l’Urss rimaneva uno stato operaio degenerato mentre tutti gli altri paesi in cui non c’era stata una rivoluzione operaia, erano regimi a capitalismo di stato. In questo modo, secondo loro, difendevano il ruolo dei marxisti: uno stato operaio, anche degenerato, può essere frutto solo di una rivoluzione. L’Armata Rossa può imporre solo un diverso modo di funzionare del capitalismo.

Una parte del movimento trotskista passò a negare che anche l’Urss fosse uno stato operaio degenerato. In questo modo poterono mantenersi neutrali nei conflitti tra l’imperialismo e la burocrazia sovietica[6]. La maggioranza della quarta internazionale, rappresentata dal SI e soprattutto da Mandel e Pablo, avanzò una sorta di mediazione. Nel 1947 Mandel scrisse che “l’intera metodologia marxista è irreconciliabile con l’assurda teoria che stati operai degenerati possano essere installati in un paese senza prima una rivoluzione proletaria” (Fourth International, 2/1947, pag. 48). Per qualche anno dunque, la posizione della maggioranza era di rifiutare l’idea che lo stalinismo potesse estendersi con vittorie militari. Facendo così, questi dirigenti pensavano di rimanere fedeli al pensiero di Trotskij.

In realtà, negli ultimi lavori che analizzano l’Urss, Trotskij aveva già anticipato la possibilità di un’espansione dello stalinismo. Ipotizzò anche la possibilità che la burocrazia lasciasse intatti il capitalismo, ma spiegò che:

“E' più probabile, tuttavia, che nei territori destinati a far parte dell’Urss il governo di Mosca espropri i grandi proprietari terrieri e nazionalizzi i mezzi di produzione. Questa variante è la più probabile non perché la burocrazia resta fedele al programma socialista ma perché non è né desiderosa né capace di dividere il potere, ed i privilegi che implica, con le vecchie classi dominanti dei territori occupati.

A questo punto si potrebbe fare un’analogia storica calzante anche alla lettera: il primo Bonaparte arrestò la rivoluzione mediante una dittatura militare. Tuttavia, quando le truppe francesi invasero la Polonia, Napoleone firmò il decreto: la servitù è abolita. (…). Nella misura in cui la dittatura bonapartista di Stalin si basa sulla proprietà statale e non su quella privata, l’invasione della Polonia da parte della Armata Rossa, nel caso specifico, dovrebbe avere come risultato l’abolizione della proprietà privata capitalistica, portando così il regime dei territori occupati ad armonizzarsi con quello dell’Urss. Questo provvedimento, di carattere rivoluzionario – l’espropriazione degli espropriatori – è in questo caso realizzato in maniera militare-burocratica.” (In difesa del marxismo, pagg. 59-60).

E Trotskij andava avanti anticipando sia che la burocrazia avrebbe stroncato l’attività indipendente delle masse, sia gli effetti di questi successi:

“…l’estensione del territorio dominato dalla autocrazia burocratica e dal parassitismo, nascosta dietro misure socialiste, può aumentare il prestigio del Cremlino e diffondere illusioni sulla possibilità di rimpiazzare la rivoluzione proletaria con manovre burocratiche” (op. cit., pag. 61)

“Non affidiamo al Cremlino nessuna missione storica. Siamo stati e restiamo contrari alla conquista di nuovi territori da parte del Cremlino.” (op. cit., pag. 62)

Come abbiamo visto invece, la maggioranza della quarta internazionale negava queste tesi.

Ma all’inizio degli anni ‘50 non solo questa posizione venne cambiata, ma il SI effettuò una svolta opportunista appoggiando di fatto la burocrazia,come vedremo tra poco. E' interessante notare che, non potendo accettare comunque uno stato operaio che degenera senza prima essere stato sano, il SI adottò questa concezione: l’Urss era uno stato operaio degenerato, gli altri erano stati operai deformati. Cosa questa distinzione implicasse in termini di necessità della rivoluzione politica o di condizioni delle masse sotto tali regimi, questo è un mistero ancora oggi. Ma la differenza terminologica stava a significare che l’Urss un tempo era uno stato operaio sano, mentre gli altri sin dall’inizio non lo erano[7].

Come notato prima, analizzando la struttura della Cecoslovacchia, dell’Urss o di qualsiasi altra “democrazia popolare” non si sarebbero trovate più differenze che tra l’Italia e la Francia, per non parlare del Brasile o del Sudafrica, che ogni tendenza politica concordava essere tutti stati capitalisti. Eppure questo appariva chiaro solo alla direzione della sezione britannica, il Rcp (Revolutionary Communist Party).

9. Il ruolo del Rcp

La storia del trotskismo britannico, al pari di quello di ogni altro paese, è una storia di rotture, unioni di due gruppi che alla fine diventano dieci e così via. A tuttora in un solo periodo storico il movimento trotskista è stato unito in un’unica organizzazione, dal 1944 al 1948. Prima della guerra in Inghilterra c’erano due gruppi trotskisti, la Wil (Workers’ International League) e la Rsl (Revolutionary Socialist League). Sebbene la quarta internazionale riconoscesse ufficialmente la Rsl, questa era una piccola setta con poche radici nel movimento operaio.

La Wil, che pure era nata come frazione di minoranza del movimento, grazie al suo lavoro nei sindacati, nelle forze armate ecc., era diventata un punto di riferimento importante per l’avanguardia operaia. Nel 1944 la Wil inglobò i resti della Rsl per formare il Rcp, sezione britannica della quarta internazionale. Dal 1944 il Rcp fu la sezione ufficiale della quarta internazionale e alla fine della guerra era la sezione europea più sviluppata politicamente e tra quelle più grandi organizzativamente. Infatti il Rcp fu, come visto, l’unica sezione europea funzionante nel corso della guerra e raggiunse una forza considerevole, tanto che si trovarono in seguito dei piani dei servizi segreti per l’assassinio dei suoi dirigenti nel caso di una radicalizzazione della classe operaia inglese. Sin dall’inizio il Rcp ebbe fondamentali divergenze rispetto al SI.

Oltre alla natura di classe degli stati sorti con la vittoria militare dell’Urss, c’erano altri due nodi fondamentali che dividevano la direzione del Rcp e il SI: la possibilità del capitalismo di riprendersi e l’atteggiamento da avere verso i partiti socialisti e comunisti. Anche in questo caso, la direzione della quarta internazionale, utilizzando formalisticamente alcune idee di Trotskij, proponeva un’analisi scorretta. Innanzitutto il capitalismo non poteva avere ulteriori espansioni[8], in secondo luogo i partiti legati al riformismo e allo stalinismo si sarebbero distrutti rapidamente, lasciando alle sezioni della nuova internazionale lo spazio debito per la costruzione del partito rivoluzionario.

Vi furono vari scontri su questi problemi e molte voci contrastanti, ma solo la direzione del Rcp formulò un’analisi complessiva su questi nodi complessivi e si oppose al SI. Purtroppo nel 1948 il Rcp si frantumò per una serie di ragioni (condizioni oggettive negative, gli intrighi del SI che preferì spaccare la sezione piuttosto che rispondere politicamente ai suoi dirigenti, ecc.). Nello stesso periodo i dirigenti della quarta internazionale compirono una svolta politica e organizzativa che portò alla più forte divisione nell’internazionale.

10. Il “pablismo”

Nel 1949, Michel Pablo, segretario del SI, propose una nuova interpretazione dello stalinismo. Lungi dall’essere una degenerazione dovuta a cause specifiche, il bonapartismo proletario incorporava tendenze universali nella transizione storica al socialismo. Lo stalinismo non era più considerato un regime transitorio, seppur rafforzato per una certa epoca, senza nessuna funzione necessaria nella storia. Al contrario Pablo pronosticò “secoli di stati operai deformati” e arrivò a proporre la teoria “guerra-rivoluzione” di cui diremo tra poco. All’epoca in cui Pablo propose questa nuova interpretazione sembra che Mandel e gli altri dirigenti si opposero e ci furono degli scontri tra loro. Ma evidentemente la forza dello stalinismo convinse tutta la direzione della quarta internazionale della giustezza delle idee di Pablo.

In pratica la svolta era una razionalizzazione della debolezza dell’organizzazione. Anziché lottare per il consolidamento e la formazione dei quadri, la direzione cercò una scappatoia accodandosi alla principale forza del movimento operaio. La teoria “guerra-rivoluzione” fu il coronamento di questo processo. La rivoluzione mondiale non si basava più su una lotta generalizzata della classe operaia, ma nella visione del SI sarebbe stata il risultato dell’inevitabile conflitto tra Usa e Urss. Infatti questi dirigenti prevedevano che l’imperialismo avrebbe inevitabilmente attaccato l’Urss, scatenando la terza guerra mondiale.

Questa guerra, data la probabile vittoria dello stalinismo, avrebbe portato alla diffusione di tale regime in tutto il mondo e, data la stabilità che ne sarebbe seguita, lo stalinismo sarebbe durato secoli. Sin dal ‘45 Ted Grant, il principale dirigente del Rcp, chiarì l‘impossibilità per l’imperialismo di lanciare una guerra contro l’Urss, per alcune ragioni chiave tra cui la forza del movimento operaio. Nello stesso periodo aveva avanzato la prospettiva del ruolo della burocrazia come “agente di cambiamento sociale”, senza però darle una qualsiasi patente progressista. Pensandoci oggi, la teoria della “guerra-rivoluzione” assomiglia a una trama di un film di fantascienza, ma non era altro che il riflesso delle condizioni politiche della guerra fredda nella mente di teorici disorientati e isolati. Tale concezione si basava su una profonda sfiducia nella classe operaia che non avrebbe potuto mobilitarsi contro la guerra e in un certo senso non avrebbe dovuto.

Cercando di razionalizzare il proprio pessimismo, questi dirigenti facevano dell’olocausto militare il prerequisito del socialismo. Da un punto di vista organizzativo questo comportava una tattica denominata “entrismo sui generis”, che comportava la liquidazione della struttura delle sezioni nazionali e la loro adesione completa ai partiti stalinisti. Non si trattava di lavorare nelle organizzazioni di massa mantenendo la propria indipendenza politica e organizzativa, pur accettando la disciplina di partito. Si trattava di annullarsi nei partiti comunisti, visti come lo strumento della rivoluzione mondiale, anche se in una forma distorta.

Presentando questa tattica, Pablo aveva afferrato un aspetto corretto della situazione, il rafforzamento dei partiti operai tradizionali, in specie stalinisti, nel dopoguerra. In sé l’idea di lavorare come componenti di tali partiti era sensata e poteva evitare derive settarie. Il punto è che Pablo e Mandel andarono ben oltre il lavoro organizzato e di fatto proposero un lavoro disorganizzato, lo scioglimento delle sezioni della quarta internazionale. Nel periodo che va dal 1949 al 1953 queste tesi aprirono dibattiti aspri nell’internazionale. Per altro, come sempre succede, una prospettiva errata deve essere difesa con misure organizzative e conduce all’eliminazione del regime interno democratico. Così nel 1953 la sezione francese, che si opponeva alla svolta, venne espulsa (e fondò la corrente di P. Lambert che esiste ancora oggi).

Anche in Cina, dove i trotskisti lavoravano in enormi difficoltà ma con un certo successo, la svolta venne imposta, portando alla liquidazione della sezione. Solo in Sri-Lanka e in Bolivia, dove le sezioni erano numericamente molto forti, la svolta non venne condotta. La quarta internazionale si spaccò. Cannon, dirigente del Swp americano, formò una corrente internazionale per opporsi alla svolta pablista (l’International Commitee of the Fourth International). Il SI ottenne comunque la maggioranza e le correnti di opposizione per lo più formarono nuove quarte internazionali. Non tutte queste correnti attaccarono la direzione sulla base di considerazioni corrette. Molte erano semplicemente tendenze settarie che vedevano come fumo negli occhi ogni avvicinamento alle organizzazioni riconosciute del movimento operaio.

Lo stesso Cannon, un grande dirigente rivoluzionario per anni, non fu immune da cedimenti settari. Scrisse per esempio: “Se la relazione tra le forze richiede l’adattamento dei quadri dell’avanguardia alle organizzazione dominate al momento da tendenze ostili come gli stalinisti, i riformisti, i centristi, bene questo adattamento deve essere considerato in ogni momento come un adattamento tattico per facilitare la lotta contro di loro; mai per effettuare una riconciliazione con loro; mai per assegnargli un ruolo storico decisivo…” (Trotskysm versus Revisionism, pag. 65). Come si vede questo brano si presta a diverse interpretazioni e può essere equivocato nella sua applicazione concreta. La corrente originata in questo scontro lo interpretò nel modo più settario possibile.

La spaccatura del ‘51-’53 condusse alla formazione di quasi tutte le tendenze internazionali che ancora oggi si richiamano al trotskismo. Il fatto che la quarta internazionale fosse ancora molto poco omogenea e strutturata a livello di direzione, venne dimostrato anche dal fatto che le rotture si provocarono spesso a livello continentale, dove un gruppo dirigente locale non accettava la svolta pablista. Così la quarta internazionale, appena rinata dopo le devastazioni della guerra, era già profondamente spaccata sui problemi centrali.

11. Trotskismo inconscio

L’espansione dello stalinismo non avvenne solo grazie all’avanzata dei carri armati russi. In Iugoslavia Tito, basandosi sulla guerra partigiana di liberazione, arrivò al potere autonomamente. Qualche anno dopo Mao, alla testa di un esercito contadino, schiacciò i nazionalisti e portò a termine una rivoluzione che distrusse il capitalismo nel paese più popoloso del mondo. Molti dirigenti trotskisti vennero sorpresi da questi eventi. Non solo lo stalinismo usciva enormemente rafforzato dalla seconda guerra mondiale. Non solo si imponeva direttamente in mezza Europa, ma forniva il modello per delle rivoluzioni in vari paesi. Tito e Mao giunsero al potere per mezzo di rivoluzioni autonome, senza l’aiuto diretto di Mosca che anzi sostanzialmente li boicottò. La forza del modello sovietico si impose per tutta l’epoca postbellica.

Quello che in Russia era stato l’effetto di condizioni specifiche divenne la causa della deformazione di tutte le rivoluzioni successive. Per Marx ed Engels la rivoluzione socialista si sarebbe imposta prima nei paesi più avanzati, Inghilterra, Francia ecc., e quindi si sarebbe diffusa facilmente al resto del mondo. Il boom del periodo 1870-1917 e una direzione in via di degenerazione non diedero molte occasioni per prendere il potere alla classe operaia occidentale. Fu dunque la classe operaia russa, relativamente debole e arretrata, a prendere per prima il potere. Il suo isolamento e l’arretratezza sociale contribuirono alla degenerazione della rivoluzione. Ma i motivi che avevano rotto la catena dell’imperialismo nel suo anello più debole, la Russia, non svanirono con la fine della guerra, anzi, si rafforzarono.

Nonostante la ripresa vigorosa in tutti i paesi avanzati, il capitalismo segnava il passo nel mondo coloniale. I paesi europei stavano perdendo i propri possedimenti coloniali, più o meno volontariamente (India, Indocina ecc.). Gli Stati Uniti non sempre erano in grado di rimpiazzare la Francia, l’Inghilterra ecc. nei loro imperi morenti. In Cina l’impasse totale del capitalismo si vide chiaramente con il disastroso regime di Chang Kai Shek. Sebbene costui fosse appoggiato, armato e finanziato dall’imperialismo occidentale, non era in grado di sciogliere i nodi fondamentali della rivoluzione borghese in Cina: la riforma agraria, l’indipendenza nazionale ecc.

Il processo di rivoluzione permanente, in cui una classe ne sostituisce un’altra nei suoi compiti storici, che Trotskij aveva previsto per la Russia, si verificò in tutti i continenti per due ragioni fondamentali: l’impasse assoluta del capitalismo e la forza dell’esempio sovietico. Non deve sorprendere che alcuni dirigenti dell’internazionale, cristallizzando in teoria questa situazione, vedessero nella cricca del Cremlino un attore necessario della storia mondiale e delle rivoluzioni. L’unica sezione che non venne sconvolta dagli eventi fu il Rcp inglese. Non solo il Rcp aveva intuito la vittoria di Tito e di Mao già durante la guerra, ma soprattutto aveva capito che questi due bonaparti, nella misura in cui dovevano poco o nulla a Mosca, rispetto alle cricche staliniste dell’Europa orientale, sarebbero inevitabilmente entrati in attrito con l’Urss. Il conflitto tra Tito e Stalin, esploso nel 1948, fece definitivamente perdere la bussola al SI.

Alcune correnti trotskiste superavano il problema negando che esistessero stati operai oltre l’Urss. A quel tempo, la direzione della quarta internazionale non aveva ancora lanciato l’idea di sciogliersi nei partiti stalinisti, ma già stava cercando scorciatoie per superare la propria debolezza. Lo scontro tra paesi stalinisti fornì questa scorciatoia. Questo errore venne ripetuto in tutti i casi in cui gli stalinisti giunsero in modo autonomo al potere (Tito, Mao, negli anni ‘60, Cuba). Anziché chiarire la natura di questi conflitti tra paesi stalinisti, la quarta internazionale si alleava con una frazione stalinista contro l’altra. Nel ‘48 la Iugoslavia venne dichiarata uno stato operaio sano e Tito un trotskista ‘inconscio’. La quarta internazionale arrivò addirittura alla prospettiva veramente fantastica di poter ammettere il partito comunista iugoslavo come sezione dell’internazionale. Successivamente il titolo di trotskista inconscio passò a Mao; infine passò a Castro. La storia non fornì successivamente nessun nuovo bonaparte a cui donare questo riconoscimento.

Tutto ciò chiaramente aiutava lo stalinismo, non i rivoluzionari. Ma in realtà gli unici trotskisti inconsci sono stati gli operai dell’Europa dell’est che, senza un’organizzazione e senza leggere una pagina di Trotskij, hanno portato avanti una rivoluzione politica. Gli operai ungheresi del ‘56 che restarono nelle fabbriche occupate anche quando la reazione sovietica li bombardò con l’artiglieria, questi sì furono trotskisti inconsci. Contro tutte queste giustificazioni teoriche dell’opportunismo, la direzione del Rcp difese il metodo e i principi del marxismo. Innanzitutto, spiegando che senza il ruolo attivo e cosciente della classe operaia non si può avere una rivoluzione sana e la creazione di uno stato operaio sano.

Questa è una condizione necessaria, ma come mostra l’esempio russo, non sufficiente. In tutti i paesi dove lo stalinismo giunse al potere autonomamente, non solo la classe operaia giocò un ruolo marginale, ma venne schiacciata sin dall’inizio dalla repressione burocratica. Gli operai delle città industriali cinesi che accoglievano l’armata di Mao occupando le fabbriche vennero massacrati per “ristabilire l’ordine”. Prima che queste burocrazie indipendentemente da Mosca giungessero al potere, era inerente nella situazione la possibilità e anche la necessità di un conflitto con la burocrazia russa. Ognuna aveva da difendere i propri privilegi contro le caste degli altri paesi. Il punto è che il partito comunista cinese, per cercare appoggio nel movimento stalinista, cominciò a usare slogan radicali che ebbero una certa eco anche in occidente.

I maoisti cominciarono ad attaccare aspramente Mosca. Riprendendo tesi diffuse anche in ambito trotskista, sostennero che i paesi dell’est, Urss compresa, erano divenuti stati capitalisti. Secondo loro Krusciov aveva compiuto un colpo di stato. Senza tentare di dimostrare quali cambiamenti ci fossero tra l’Urss del 1950 e del 1960, attaccarono la teoria dello “stato operaio degenerato” ecc. Con questa retorica radicale riuscirono ad attirare molti consensi nei partiti comunisti.

Ma questa verniciatura ideologica non modificava certo la linea politica di fondo dello stalinismo cinese. Si può dire che Mosca e Pechino facessero a gara a sostenere regimi reazionari nel mondo coloniale, purché ciò danneggiasse l’altro e comunque secondo i propri comodi. Questo scontro si rifletteva nei partiti comunisti occidentali che riuscivano a rendersi più indipendenti dal Cremlino. Ciò segnò anche l’inizio della trasformazione di questi partiti in classici partiti riformisti, un processo concluso da poco e non ovunque. La tendenza che aveva fondato il Rcp e che in qualche modo era rimasta legata alla quarta internazionale fino al 1964, presentò una critica ai cedimenti della direzione verso le ali più ‘radicali’ dello stalinismo. All’VIII congresso della quarta internazionale, nel 1965 queste tesi vennero respinte e questa tendenza espulsa (le tesi vennero pubblicate nel documento La rivoluzione coloniale e il ruolo dei quadri marxisti).

12. La ripresa del capitalismo

Le prospettive per lo stalinismo non erano l’unico punto su cui la direzione della quarta internazionale si stava perdendo, appena finita la guerra. L’altro nodo era la possibilità di una ripresa economica. Anche in questo caso, rifacendosi ad alcune affermazioni di Trotskij, fatte in un preciso contesto, anni prima, il SI escludeva la possibilità di una ripresa. La direzione del Rcp propose un’ipotesi alternativa. Con la formula di “controrivoluzione in forma democratica”, Ted Grant spiegò come, grazie al ruolo dei partiti stalinisti e riformisti, la borghesia aveva lo spazio per reprimere, seppure non militarmente, la classe operaia e rilanciare l’economia.

Rispondendo alle posizioni di Pierre Franke (per il SI), che confondeva le acque sostenendo che in Europa c’erano solo regimi bonapartisti (con il trucco, per altro in voga anche recentemente, di parlare di “elementi di bonapartismo”). In questo modo la direzione del Rcp dimostrò di essere la vera continuatrice del metodo marxista: le sue analisi erano una guida per l’azione dell’avanguardia rivoluzionaria e non una giustificazione di errori commessi. Da un estremo ‘ultimatista’, simile alla teoria stalinista del terzo periodo, la direzione della quarta internazionale assunse una posizione all’altro estremo.

Negli anni ‘60 per questi “teorici” la classe operaia si era politicamente atrofizzata e non poteva essere attratta da un’organizzazione rivoluzionaria. Così da motore della rivoluzione, la classe operaia diveniva, nelle tesi della direzione quartinternazionalista, quasi un peso e nuove forze - i popoli oppressi, le minoranze di ogni genere - venivano promosse a forza decisiva per il cambiamento. Ancora una volta la quarta internazionale non faceva che teorizzare la propria incapacità. Anziché spiegare le condizioni particolari in cui si era potuto mantenere un quarto di secolo di crescita, costoro passarono a occuparsi dell’oppressione razziale, sessuale, della guerriglia contadina ecc. La conclusione fu che furono colti di sorpresa da tutti i movimenti di lotta che si verificarono negli anni ‘60 e ‘70 in Occidente. Il caso più eclatante fu quello del movimento del 1968 francese, in cui milioni di operai francesi occuparono le fabbriche e ci furono le più imponenti manifestazioni della storia in quel paese.

La Lcr, sezione della quarta internazionale, fu totalmente colta alla sprovvista. Si diede da sola il colpo di grazia pubblicando un volantino in cui, con un tono paternalista, chiedeva ai lavoratori di sottomettersi alla direzione rivoluzionaria, costituita appunto dalla Lcr, citando, fuori contesto, il brano del Che fare? in cui, in un modo poco felice e che in seguito rifiutò, Lenin chiarisce il ruolo della direzione rivoluzionaria. In generale alla lotta di classe venne sostituita ogni altra forma di lotta e questo impedì alle varie sezioni dell’internazionale di giocare un ruolo di qualche peso quando la classe operaia si risvegliò.

13. Lavoro nelle organizzazioni di massa

La quarta internazionale nacque con lo scopo di sostituire le direzioni reazionarie del movimento operaio, riformisti e stalinisti, che in modi diversi si erano prese il compito di salvare il capitalismo dalle lotte operaie, soprattutto boicottando e impedendo queste ultime. Le rivoluzioni sono un processo sociale oggettivo, come, in ambito diverso, le stagioni e le maree. La storia umana si è svolta attraverso fasi contraddistinte da modi di produzione diversi. Il passaggio attraverso queste diverse modalità di attuazione della produzione sociale sono state sempre traumatiche e rivoluzionarie. Ma sapere che ci saranno delle rivoluzioni, o anche prevedere il periodo in cui ci saranno, non basta per fare una direzione rivoluzionaria.

L’esito storico della rivoluzione è deciso dal ruolo che la classe rivoluzionaria ha nel processo produttivo. In questo senso la borghesia è condannata sin dal sorgere di un movimento operaio indipendente. Ma l’esito storico non equivale all’effetto concreto della lotta di classe in un singolo periodo e in un singolo paese. A questo proposito si può fare l’esempio della guerra civile americana. L’esercito pro schiavista del Sud era condannato dallo sviluppo del capitalismo alla sconfitta. Tuttavia l’abilità dei suoi ufficiali, la determinazione dei soldati, l’indecisione dello stato maggiore nordista e altri fattori, fecero sì che i primi anni di guerra produssero per il Nord solo disfatte.

Fin dall’inizio della guerra Marx ed Engels furono incrollabili nell’affermare che il Nord avrebbe vinto. Eppure in un dato momento sorsero dei dubbi anche a loro e in alcune lettere Engels non escluse la vittoria dei sudisti come effetto dei clamorosi errori della direzione nordista. Lo stesso può dirsi per la rivoluzione socialista: le condizioni dello stato maggiore della classe operaia sono decisive quando inizia la battaglia per il potere. Sono le stesse condizioni oggettive ad aprire enormi possibilità a una tendenza rivoluzionaria anche piccola. Ma se nel periodo precedente alla rivoluzione la tendenza rivoluzionaria non ha formato una struttura di quadri rivoluzionari temprati, esperti e riconosciuti nel movimento operaio, anche le condizioni migliori si perderanno. La frase con cui Trotskij apre il Programma di Transizione “la situazione politica è caratterizzata innanzitutto dalla crisi storica della direzione del proletariato” è stata vera sin da quando, circa sessanta anni fa, fu scritta.

La quarta internazionale doveva servire, nelle intenzioni di Trotskij, proprio a risolvere questa crisi. Ciò significava, e significa, radicarsi nel movimento operaio: divenirne una corrente riconosciuta, anche se, per una certa fase, minoritaria. Le modalità concrete con cui arrivare a questo ruolo non hanno un rapporto meccanico con l’autonomia o meglio la visibilità dell’organizzazione. Il feticismo della setta, che vede come suo primo compito dichiararsi pubblicamente come “lega” quando ha più di tre membri, e come “partito” quando ne ha più di cento, non ha nulla a che vedere con il marxismo.

I bolscevichi erano un vero partito anche quando formalmente costituivano l’ala sinistra della socialdemocrazia russa. In questo campo bisogna evitare due errori mortali opposti ma del tutto simili. Il primo è quello di costituire un’ala genericamente di sinistra del movimento operaio, disinteressandosi della costruzione dell’organizzazione rivoluzionaria. Questo errore lo possiamo vedere nella tragica storia della sinistra socialdemocratica tedesca che venne annientata proprio per questa ragione. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, i capi di quest’ala, erano dei grandi rivoluzionari, avevano sollevato critiche contro gli opportunisti della seconda internazionale perfino prima dei bolscevichi ed avevano un seguito di massa nella classe operaia.

Nel momento decisivo non mancò loro né il coraggio né la determinazione, gli mancò lo strumento concreto senza cui la rivoluzione, anche se vincente, viene facilmente lasciata morire su un binario morto, come avvenne in Germania, in Italia e altrove. Sebbene riuscirono a creare un’organizzazione rivoluzionaria, questo passo venne fatto troppo in ritardo per le esigenze della rivoluzione tedesca. La borghesia tedesca, con l’incalcolabile aiuto della direzione riformista, riuscì a riprendersi. L’altro errore è quello di ridurre l’attività rivoluzionaria alla costruzione dell’organizzazione, senza collegare questo al radicamento nella classe operaia. In questa concezione settaria, la capacità di entrare in contatto con i lavoratori non serve a molto, il partito deve avere il programma corretto, criticare aspramente i riformisti e attendere. Per questa gente la totale ininfluenza sulle sorti della classe operaia non significa che c’è qualcosa di sbagliato nella propria politica, si tratta dell’arretratezza della classe.

Storicamente i bordighisti sono stati i primi a portare avanti queste tesi, ma nel dopoguerra molti gruppi trotskisti gli hanno fatto concorrenza sul piano della virulenza settaria. Per i marxisti il segreto della costruzione del partito rivoluzionario passa per il lavoro nelle organizzazioni di massa. Le forme concrete con cui questo lavoro viene attuato dipendono da molti fattori e dunque variano molto tra i diversi periodi e i vari paesi, ma le finalità e i principi sono sempre gli stessi. La direzione dell’Internazionale Comunista elaborò il fronte unico. Trotskij, alle prese con una situazione ben diversa, elaborò la tattica dell‘entrismo. La nostra tendenza ha continuato questo lavoro nelle specifiche condizioni determinate dall’esito della seconda guerra mondiale e dagli eventi successivi.

Come abbiamo visto Pablo e Mandel proposero, alle sezioni dell’internazionale, una svolta verso le organizzazioni staliniste. Lungi dal costituire una proposta di lavoro in tali organizzazioni, questa tattica era intesa a un vero e proprio scioglimento delle sezioni. L’entrismo “sui generis”, come venne chiamato, era, più che altro, marxismo sui generis. Seppellendosi totalmente, non criticando mai la direzione stalinista, i militanti della quarta internazionale difficilmente acquisivano autorità e seguito nei partiti comunisti. Questo portava a frustrazione e spesso a sterzate estremiste, con un’uscita improvvisa dalle organizzazioni di massa.

Di solito, con un curioso tempismo, questa uscita avveniva alla vigilia di sconvolgimenti che aprivano la strada alla costruzione di una sinistra nel partito appena abbandonato in quanto “irrecuperabile”. Questo alternarsi di opportunismo e di settarismo vanno di pari passo con una profonda sfiducia verso la classe operaia: prima non si critica la direzione perché i militanti “non capirebbero” e poi si esce dal partito perché “tanto la classe operaia non si muoverà per decenni” ecc.

La tendenza marxista si basa sul lavoro nelle organizzazioni di massa. Questo lavoro non solo non ostacola ma aiuta la costruzione dell’organizzazione rivoluzionaria. Lungi dall’uscire appena si acquista un po’ di forza, questa tattica ha lo scopo di conquistare l’organizzazione alle idee del marxismo. Così venne fatto nella gioventù laburista negli anni ‘70, così occorre fare dovunque è possibile. L’autonomia formale dell’organizzazione non ha nessun ruolo necessario nell’indipendenza reale, politica. Si pensi alla Fgci, che era formalmente autonoma dal Pci. Lo stesso si è visto molte volte nella storia. Solo a inguaribili settari può sembrare che se l’organizzazione non sventola la propria bandiera apertamente, magari facendo tessere e eleggendo segretari, allora la classe operaia non la considererà seriamente.

14. Addii e ricongiungimenti

Durante gli anni ‘60 il movimento trotskista rimane generalmente debole. Le condizioni oggettive non erano delle migliori ma ci furono comunque molte opportunità. I colossali errori politici tagliarono fuori la quarta internazionale da ogni sviluppo della lotta di classe. Essa perse anche l’unico partito di massa, il Lssp srilankese, che divenne riformista. Il Swp americano, che aveva formato una propria corrente dopo la scissione del ‘53, si riunificò con il SI sulla base del comune cedimento al castrismo. Da allora il Swp è divenuto una specie di ambasciata cubana negli Usa. Questo ha provocato forti lotte intestine e una serie di scissioni nel periodo 1964-1967. Con il Swp tornarono nell’internazionale tutti i gruppi che si erano scissi nel ‘51, tranne Healy in Inghilterra e Lambert in Francia. Così si assistette a una proliferazione di organizzazioni, nazionali e internazionali, che si richiamavano o si autoproclamavano quarta internazionale. Cercare di analizzare le differenze politiche tra tutti questi gruppi ha poco senso e pochissima utilità. Cercheremo invece, successivamente, di spiegare quali caratteristiche li accomunano.

La deriva presa dalla quarta internazionale proseguì. I nuovi eroi erano Castro, la guerriglia terzomondista e le direzioni nazionaliste di molti paesi arretrati (non è un caso che M. Pablo, segretario della quarta internazionale, finì nel 1965 a fare il ministro nel governo algerino di Ben Bella). Quando il SU passò ad appoggiare Castro, sperava, come già le altre volte, di essere accolto a braccia aperte. Castro invece, parlando a una conferenza nel 1966, denunciò “l’infiltrazione” dei trotskisti in America Latina. Ma le malefatte della burocrazia cubana non si arrestarono qui. Quando scoppiò il maggio francese, Castro, ormai totalmente succube del Cremlino, non lo appoggiò in nessun modo, cosa che, seppur demagogicamente, fecero gli stalinisti cinesi. Nel ‘68 Castro e il partito comunista vietnamita appoggiarono l’invasione sovietica della Cecoslovacchia.

Ma nonostante questi crimini e nonostante l’ovvia impasse della guerriglia, al XIII congresso della quarta internazionale (nel 1969), Castro venne considerato un rivoluzionario e la guerriglia venne presa come modello della lotta di classe e ciò quando già in Europa era esploso un decennio di dura lotta operaia. Il tentativo di utilizzare quella che sembra in un dato momento la sinistra dello stalinismo, aveva anche un altro effetto negativo: quando la quarta internazionale era costretta ad ammettere i crimini del “trotskista inconscio” di turno, allora passava improvvisamente a identificare quel regime come bonapartista proletario, confondendo i militanti e la classe operaia. Così quando la quarta internazionale passò ad appoggiare Castro, caratterizzò la Cina come stato operaio degenerato e Mandel scrisse: “la Cina è diretta da una burocrazia che per sua natura non è diversa dalla burocrazia sovietica” (Fourth International, 5/1969).

La posizione era corretta, e corrispondeva a quella assunta dal Rcp già venti anni prima, il problema è che fino a un momento prima si era affermato che la Cina era uno stato operaio “relativamente sano”. In questo modo si imitava il comportamento dei maoisti che alla morte di Stalin denunciarono un golpe in tutti i paesi orientali e il ritorno di questi al capitalismo di stato. Si avrebbe dunque questo patetico risultato: la classe operaia, dopo quarant’anni di socialismo, è arretrata così tanto da non riuscire a impedire alla borghesia di fare tranquillamente una controrivoluzione e prendere il controllo dello stato. In realtà, se il socialismo avesse un simile effetto sulla coscienza di classe, ci sarebbe da dubitare seriamente che possa costituire una società superiore a quella attuale! D’altra parte solo cavillando in modo ridicolo si potevano scorgere delle differenze sostanziali tra l’Urss di Stalin e quella kruscioviana, se si eccettua una riduzione del culto della personalità. Questa convergenza nei metodi di analisi tra quarta internazionale e maoisti non era un caso, derivava dal tentativo di sostituire al duro lavoro di formazione dei quadri marxisti il superficiale radicalismo di un dirigente stalinista.

15. Dagli anni ‘70 al crollo dello stalinismo

Nel corso degli anni ‘70 la quarta internazionale come organizzazione ebbe un impatto assai modesto nella ondata di lotte di classe che colpì praticamente tutto il mondo. D’altra parte avevano seminato fiducia In Mao e raccolsero successi per il maoismo. In Italia questo processo si vide in modo eclatante. Nessuno più della sezione italiana della quarta internazionale si adoperò per far conoscere il pensiero di Mao in Italia. Quando scoppiarono le lotte, nel ‘68-’69, la sezione era da poco tempo indipendente, essendo stata cacciata in modo indecoroso dal Pci, ma quello che più contava era la sua posizione precedente sulla Cina: non solo subì delle scissioni maoiste, che per altro divennero estremamente più forti, ma in genere rimase del tutto alla coda del movimento, dato che ormai tutti i gruppi si dichiaravano maoisti e lo erano in modo molto più conseguente.

Già da quel periodo il SU non fu altro che una federazione di sette, più forte di organizzazioni rivali ma molto meno coeso politicamente. Negli anni ‘80, tolta la situazione inglese di cui diremo in seguito, l’impatto politico rimane scarso. Con l’arrivo di Gorbaciov la quarta internazionale intravide il “trotskista inconscio” di ultima generazione. Costui venne addirittura dichiarato strumento della rivoluzione politica. Altri gruppi trotskisti si accodarono in questa opera di beatificazione. Healy, dirigente del Wrp inglese, volò addirittura a Mosca per incontrare l’eroe.

Così come la nascita dello stalinismo aveva provocato nuovi interrogativi e nuove sfide per i rivoluzionari, così come il suo sviluppo aveva prodotto infinite spaccature nella quarta internazionale, così il suo crollo non ebbe minori conseguenze. Mentre molti “trotskisti” dichiaravano l’appoggio incondizionato a Gorbaciov, altre sette passavano alla difesa incondizionata della ala più stalinista della burocrazia. Questo processo diveniva eclatante con il collasso finale dello stalinismo. La demoralizzazione per il crollo dello stalinismo condusse queste varie organizzazioni a ogni sorta di impazzimento.

Una parte passò ad appoggiare i crimini dello stalinismo. Così gli spartacisti cominciarono con il rimpiangere la morte di Andropov e per sostenere la repressione degli operai polacchi. Finirono nell’89 per allearsi con l’ala più stalinista della burocrazia della Ddr. Lo stesso Posadas, un tempo un dirigente trotskista di un certo livello, terminò la sua vita come un sostenitore dello stalinismo. Un’altra parte, tra cui il SU, passò definitivamente al riformismo. Al XIII congresso della quarta internazionale (1991), venne decretata la fine del ciclo storico della rivoluzione socialista e del ruolo della rivoluzione d’ottobre. Questo condusse a una decomposizione organizzativa notevole: uscirono il Swp americano, la Lcr spagnola ecc. Infine nei documenti del XIV congresso (1995) osserviamo il definitivo approdo al riformismo, che possiamo assaporare nelle posizioni di Bandiera Rossa in Italia.

Ma gli impazzimenti delle sette sono possibili in ogni direzione. Se da una parte c’erano gruppi sedicenti trotskisti che appoggiavano ogni crimine degli stalinisti, dall’altra parte si fecero largo posizioni che appoggiavano nei fatti l’imperialismo. Una parte dei gruppi provenienti dalla quarta internazionale (morenisti ecc.) già da decenni sosteneva una posizione simile a quella bordighista di “terzo campo”[9]. Secondo loro l’Urss, sebbene non uno stato capitalista, di fatto aveva stretto un’alleanza organica con l’imperialismo per la divisione del mondo. La burocrazia era divenuta in un certo senso una classe e la controrivoluzione capitalista non avrebbe dunque comportato un passo indietro per questi paesi.

La dissoluzione dello stalinismo ha dimostrato, ancora una volta, come la posizione verso l’Urss non fosse una questione “teorica”, “astratta”, come i settari hanno sempre sostenuto contro Trotskij, ma avesse precise e strategiche ripercussioni sull’azione politica. Coloro i quali definivano l’Urss uno stato capitalista o comunque un alleato dell’imperialismo, si trovavano a difendere l’aggressione imperialista che negli ultimi anni si è avuta verso questi regimi, anche se in forme “democratiche”, rispetto agli anni ‘30, quando Hitler minacciava militarmente il ritorno al capitalismo. Una posizione non basata sull’analisi di Trotskij è dunque servita a disarmare la classe operaia sovietica nei confronti della controrivoluzione capitalista. Non solo queste correnti hanno considerato il ritorno al capitalismo un passo avanti per il proletariato russo, ma hanno anche concepito una teoria, strana finché si vuole, secondo cui la natura di classe dei partiti comunisti era legata esclusivamente al suo rapporto con Mosca. Ne consegue che ora i partiti comunisti non sono più partiti operai, se si eccettua l’eccezione del Prc che molti, all’estero, considerano un “vero” partito comunista. Cosa siano allora il partito comunista francese, o sudafricano, o i due partiti comunisti indiani, questo è un mistero. Anche qui si vede come errori teorici comportino dei disastri completi nel lavoro politico concreto.

Negli ultimi anni, con la progressiva e non conclusa scomparsa del bonapartismo proletario dal mondo, sembra eliminata una fonte di divisione tra il movimento trotskista e altre componenti socialiste. In realtà l’analisi dello stalinismo era solo il nodo più eclatante di distinzione tra marxisti e revisionisti di ogni sorta. Non solo i trotskisti non sono più vicini alle direzioni dei partiti operai dopo il crollo dell’Urss, ma anzi ne sono più distanti che mai, dato che il collasso dello stalinismo è stata un’ottima scusa per una svolta a destra di quasi tutti i partiti socialisti ed ex stalinisti. Come negli anni ‘30, come negli scorsi decenni, i trotskisti mantengono il loro ruolo di avanguardia rivoluzionaria del movimento operaio. Utilizzando la massima flessibilità tattica e la massima rigorosità teorica e politica, possiamo sperare di conquistare fasce sempre nuove di militanti, di giovani alle idee del marxismo che si è liberato finalmente di questo “falso fratello”.

17. Le sette

La storia del trotskismo, come detto, è una storia di innumerevoli rotture. In quasi ogni nazione vi sono innumerevoli gruppi trotskisti, e con rare eccezioni emanano tutti quell’inconfondibile aria di isterismo settario che li isola dal mondo circostante. Tolte poche eccezioni, questi gruppi non hanno nessun peso nel movimento operaio del proprio paese e la loro insignificanza, dati i metodi usati, non tende a scomparire. Questo aiuta le spaccature e la disperazione. Non solo pensano che aumentando l’astio verso le organizzazioni ufficiali riusciranno ad attrarre qualcuno, ma sono portati a continue scissioni: perché rimanere uniti dato che comunque si è insignificanti? Tentare di analizzare quali divergenze separino le varie organizzazioni richiederebbe anni di tempo e forti dosi alternate di camomilla ed eccitanti. Cosa più importante avrebbe un’utilità prossima allo zero. Giova invece cercare quegli elementi comuni che contraddistinguono i gruppi settari, spesso anche non trotskisti, e che derivano dalla natura stessa delle sette. Infatti queste caratteristiche derivano da una prospettiva politica errata, da metodi distorti.

Innanzitutto la setta tipica utilizza oltre la metà del proprio materiale pubblico, a volte il 90%, per attaccare altre sette e per descrivere la storia della propria setta, ritenendo fondamentale che i disgraziati che le si avvicinano abbiano subito chiara la posizione di quest’ultima nei confronti di tutte le altre sette. In secondo luogo hanno un atteggiamento isterico, aggressivo e provocatorio nei confronti delle organizzazioni operaie. Quanto più insultiamo i dirigenti riformisti, ragiona la setta, tanto più gli operai più arrabbiati si avvicineranno.

Quando poi gli operai, arrabbiati, effettivamente si avvicinano, è sempre per cacciarli da riunioni e assemblee, esasperati dal tono della loro propaganda. Inoltre, nel loro materiale danno sempre lo stesso aggettivo alla stessa persona (soprattutto i maoisti ma non solo) e nominano persone note a meno di mille persone in tutto il mondo senza spiegare chi sono e perché le odiano. Hanno una visione unilaterale di ogni problema. Anche se si rifanno letteralmente a Lenin o a Trotskij, riescono a distorcere enormemente il loro pensiero, isolando alcune tesi e costruendoci sopra la giustificazione a qualche posizione scorretta. Così sulla guerra in Bosnia metà delle sette difendeva l’autodeterminazione dei popoli (“come diceva Lenin”) senza analizzare che cosa concretamente significava questa tesi nel contesto dato. In questo modo divenivano l’ala “rivoluzionaria” dell’aggressione imperialista.

L’altra metà appoggiava la reazionaria burocrazia stalinista (“come diceva Trotskij”), approvando ogni azione criminale di quest’ultima. La cosa forse più curiosa che invariabilmente accomuna le sette è la fissazione per uno specifico argomento. Quando si legge la stampa di un gruppetto per un certo periodo, rapidamente ci si accorge che non differisce sostanzialmente dagli altri più simili a lui se non per alcune manie e fissazioni quasi paranoiche. Queste manie vengono quasi sempre dal guru della setta, leader carismatico e politico. Nella mente di questo dirigente si sono prodotte queste manie nel corso della lotta di frazione che ha occupato i nove decimi della sua vita adulta. Anziché stemperare le deviazioni che vengono dall’isolamento nazionale, la natura della setta le accresce e le coltiva. Dopo qualche anno sono come un morbo inestirpabile. Naturalmente la gravità di queste fissazioni è molto varia. Di solito, se la setta ha una certa consistenza, la dialettica tra i dirigenti le può ridurre, ma non è detto.

E' anche notevole la varietà delle manie stesse: possono essere l’interpretazione peculiare di un fatto storico, la predilezione per una attività anche non politica, la sopravvalutazione o sottovalutazione di un certo personaggio ecc. Chi vuole può divertirsi a individuare la mania della sua setta preferita. E' fin troppo facile sapere quale setta si è scelta il calcio (Repeat the game, A Militant pamphlet). Nei casi peggiori, ma per fortuna rari, la mania può essere un modo di comportarsi del guru nei confronti di altri compagni. L’ultima caratteristica è l’attaccamento quasi morboso che lega questa gente ad alcuni brani classici del marxismo che diventano nelle loro menti un feticcio slegato dalla teoria marxista complessiva e non gli evitano svolte politiche le più assurde.

Non si deve credere che queste osservazioni sulle sette abbiano una base “psicologica”. Sono invece la conseguenza pratica di deviazioni politiche. La foga isterica con cui spesso il settario approccia il manifestante, non deriva da carenze affettive, ma da un’educazione politica distorta. L’idea che a un lavoratore interessi sapere per filo e per segno la storia del “partito rivoluzionario” con cui ha avuto la disgrazia di venire in contatto non è che la riflessione verso l’esterno del metodo con cui la setta viene costruita. E' ovviamente facile scorgere differenze anche profonde tra i vari gruppi. Tipicamente quelli che hanno lavorato o lavorano nelle organizzazioni di massa tendono ad essere più “normali”. Inoltre le sette che vengono dal Nordamerica tendono a essere le più isteriche, forse perché provengono da un ambiente più isolato. Comunque, scrivendo ai bordighisti, Trotskij anticipò l’inevitabile vicolo cieco in cui una setta, isolata dalle masse, chiusa nel suo guscio nazionale, deve finire:

“Una corrente proletaria rivoluzionaria può evidentemente, all’epoca dell’imperialismo, sorgere e determinarsi in un paese piuttosto che in un altro, ma questa corrente non può esistere e svilupparsi in un solo paese, essa deve l’indomani della sua creazione cercare dei collegamenti internazionali, una piattaforma internazionale, perché è su questa via soltanto che si può trovare la correttezza di una politica nazionale. Una tendenza invece che per degli anni resta nazionalmente chiusa è votata inevitabilmente alla degenerazione.” (Scritti sull’Italia, p. 155)

18. Conclusioni

“La storia non avrebbe senso se non ci insegnasse qualche cosa” (L. Trotskij).

L’analisi delle lotte tra le correnti nel movimento operaio ha un ruolo importante nella comprensione dei compiti della direzione rivoluzionaria. E' uno studio indispensabile ma ovviamente non sufficiente per consolidare un nucleo di quadri marxisti. Molti scontri descritti sembrano ora del tutto lontani dalla lotta politica odierna, ma questo è vero solo superficialmente. Innanzitutto alcuni problemi chiave sono ancora scottanti (per esempio il lavoro nelle organizzazioni di massa), inoltre, come ricordato, senza l’analisi dello sviluppo sociale, economico, politico e teorico del passato, sarà facile essere colti di sorpresa dagli sviluppi futuri. Chiudiamo citando ancora una volta Trotskij, che spiegò con la sua consueta profondità, il ruolo della teoria marxista per una tendenza rivoluzionaria:

“Il marxismo non è una bacchetta per maestri di asilo al di sopra della storia, ma un metodo di analisi sociale delle vie e delle forme dello sviluppo storico sociale”.

Bibliografia

Riportiamo qui una serie di libri che possono essere utili per l’approfondimento dei temi trattati in questo contributo.

di L. Trotskij:

  • Il nuovo corso
  • Lezioni dell’ottobre
  • Il terzo periodo di errori dell’Internazionale Comunista
  • La terza Internazionale dopo Lenin
  • Stalinismo e bolscevismo
  • Scritti sull’Italia
  • La mia vita
  • La rivoluzione tradita
  • Il programma di transizione
  • La loro morale e la nostra
  • On the Suppressed testament of Lenin
  • In difesa del marxismo
  • Guerra e rivoluzione
  • (con altri): Piattaforma dell’Opposizione di sinistra

di E. Grant:

  • Problemi sull’entrismo
  • La rivoluzione coloniale e il ruolo dei quadri marxisti
  • La teoria marxista dello stato
  • The Unbroken Thread
  • (con J. Haston): Behind the Tito-Stalin Clash
  • (con A. Woods): Lenin & Trotsky: what they really stood for

[1] Il termine trotskismo nacque in senso dispregiativo a indicare quella che secondo i teorici della burocrazia era una deviazione politica nemica del bolscevismo. In questo subì una sorte analoga a “leninismo”, che per i revisionisti socialsciovinisti era la forma moderna del blanquismo. Con trotskisti si passò poi a indicare i rivoluzionari che si rifacevano al pensiero di Trotskij. Per noi il trotskismo non è altro che la teoria marxista alla luce delle esperienze della vittoria e della degenerazione della rivoluzione russa.

[2] Il partito bolscevico era sempre stato un’organizzazione di quadri rivoluzionari fino al 1917. Nel periodo che va dal febbraio all’ottobre 1917 divenne un partito operaio di massa. Ma anche dopo la rivoluzione, rimase un partito di rivoluzionari scelti e l’accesso era notevolmente selettivo. Questa tradizione di alto livello politico dei militanti era un ostacolo alla burocrazia. Nel 1924 venne lanciata una “leva leninista” che serviva ad annacquare il vecchio nucleo di militanti con una massa di iscritti, anche onesti e devoti alla rivoluzione, ma più facilmente manovrabili. A ciò va aggiunto che moltissimi quadri storici del partito erano stati falcidiati dalla guerra civile. Infine occorre notare che una serie di carrieristi e servitori dello zarismo entrarono nel partito come mezzo per difendere i propri privilegi. L’opposizione richiese, tra l’altro, un ritorno ai metodi leninisti di reclutamento e a una scrematura degli iscritti. Questo venne rifiutato. Invece, anni dopo, la burocrazia lanciò le epurazioni che qui citiamo come strumento per portare a termine lo svuotamento del partito espellendo i quadri legati alle tradizioni del partito di Lenin.

[3] Nei paragrafi conclusivi del Programma di Transizione Trotskij risponde a questa gente.

[4] Così come, definendo “marxisti”, i partiti stalinisti, occorre chiarire, con le virgolette, l’accezione totalmente distorta con cui si può utilizzare il termine in quel contesto, così occorrerebbe distinguere tra trotskisti e “trotskisti”. In questo contributo abbiamo evitato questa distinzione confidando nella capacità discriminatoria del lettore.

[5] Il SI: segretariato internazionale. Massimo organo di direzione della quarta internazionale. Si definirà così fino al 1963, quando, con il ritorno di alcuni gruppi che si erano scissi dieci anni prima, muterà nome in SU (segretariato unificato).

[6] Questa corrente, diretta da un ex membro del Rcp britannico, T. Cliff, aveva esposto le sue posizioni già nel ‘48, ma con la guerra di Corea del ‘51 si distinse definitivamente dalla quarta internazionale, dichiarandosi neutrale nella lotta tra stalinismo e imperialismo americano. Formerà la corrente dei “socialisti internazionali” e successivamente il gruppo Swp britannico.

[7] Anche in questo si vede l’incolmabile distanza tra i marxisti e ogni genere di setta. Trotskij, a differenza di questi epigoni, non condusse mai nessuna battaglia per questioni terminologiche. Era invece estremamente flessibile sulla questione delle definizioni. Il punto, per lui, come per noi, era stabilire la natura concreta di questi stati.

[8] Sembra che questa posizione dell’impossibilità di una crescita del capitalismo, sia stata difesa in modo assoluto dall’organizzazione lambertista, che ancora negli anni ‘60 negava che il capitalismo avesse avuto una crescita dopo il 1913.

[9] A rigore la posizione di “terzo campo” si riferisce a una tendenza ex trotskista americana (Schachtman ecc.), ma nel contesto si capisce a cosa ci stiamo riferendo.


Csepel - Xepel


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia contemporanea
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 20/11/2012