L'IMPERIALISMO DI
LENIN, E LA SUA CENTRALITA' PER
UN'ANALISI
MARXISTA DELL'EPOCA CONTEMPORANEA
di Aldo Serafini
(Introduzione
al dibattito svoltosi nel novembre 2001 al Corso di formazione dei comunisti,
Casa del Popolo Andrea del Sarto - FI)
1
La mia introduzione al dibattito di questa sera ha
per compito di illustrare la centralità del saggio di Lenin L'imperialismo,
fase suprema dei capitalismo, per un'analisi marxista dell'epoca in cui
viviamo. E' un compito non facile, data la straordinaria ricchezza di contenuto
di questo libro, che occupa un posto centrale nell'opera teorica di Lenin e che
sentiamo oggi di grande attualità, se pensiamo al momento storico nel
quale esso venne pubblicato: il 1916, mentre infuriava in tutta Europa la prima
guerra mondiale. Ebbene, oggi ci troviamo nuovamente in piena guerra,
diversa - per le sue particolarità - da quella di allora, ma con tutte le
caratteristiche di una nuova, sanguinosa, brigantesca guerra imperialista per
il dominio del mondo da parte del capitale.
Sentiamo oggi pienamente
attuale questo saggio di Lenin perché, come tutti i suoi scritti, esso non è
un'opera accademica, ma un'approfondita analisi marxista destinata al
proletariato rivoluzionario, come arma di lotta contro le borghesie
imperialiste e contro l'opportunismo che dilagava nelle file dei movimento
operaio.
Pochi cenni per ricordare
ai compagni che il libro fu preparato da Lenin, negli anni del suo esilio in
Svizzera, con grande scrupolosità scientifica, attraverso la lettura e
lo studio di 148 libri e 232 articoli, dai quali egli trasse una quantità di
annotazioni e di estratti (che sono stati poi raccolti nei "Quaderni
sull'imperialismo", il vol. 39' delle sue Opere complete). Sono gli
stessi anni di esilio nei quali Lenin approfondisce lo studio della
dialettica (e vedremo fra breve l'importanza teorica di questo fatto),
stendendo un'altra serie di note e di estratti che furono poi raccolti nei
"Quaderni filosofici", il vol. 381 delle sue Opere).
L'imperialismo era destinato ad essere pubblicato legalmente in
Russìa, e sottoposto quindi alla censura zarista: Lenin fu costretto a tener
conto di questa limitazione, ed egli stesso osserva di averlo dovuto scrivere
"con la lingua dello schiavo". Di qui la grande importanza delle
due prefazioni, scritte - la prima - dopo la caduta dello zarismo e - la
seconda - dopo la vittoriosa Rivoluzione d'ottobre: prefazioni molto incisive e
taglienti, nelle quali Lenin, che poteva ormai scrivere liberamente, spiega
con chiarezza le finalità politiche della sua ricerca teorica. Per questa
ragione, fanno da indispensabile complemento a L'imperialismo alcuni scritti
di battaglia politica di Lenin, che sono stati indicati nella bibliografia
distribuita ai compagni del corso.
Il senso complessivo del libro
è già compendiato nel titolo: L'imperialismo, fase suprema del capitalismo. Come
vedremo, per Lenin l'imperialismo non è semplicemente un orientamento
politico che la classe capitalistica possa
scegliere o "non scegliere" a suo piacimento,
ma un ben preciso stadio di sviluppo del capitalismo, che ha avuto la sua origine negli
ultimi anni dell'Ottocento e occupa un'intera epoca storica: la nostra,
quella nella quale noi ancora viviamo. E' la fase ultima e suprema di
sviluppo del capitalismo: rispetto alle fasi che l'hanno preceduta, essa
presenta delle caratteristiche specifiche, che esamineremo.
Un'ultima osservazione
preliminare. Lenin dette al suo libro il sottotitolo "Saggio
popolare": perché volle chiamarlo così? In altra occasione, a proposito
della pubblicazione di un quotidiano bolscevico, egli scrisse "Questo
giornale deve essere popolare nel senso che deve essere accessibile a
milioni di uomini, senza per questo cadere nella volgarizzazione. Non
deve scendere al livello del lettore incolto, ma aiutarne instancabilmente,
in modo graduale, lo sviluppo". In questo stesso spirito Lenin scrisse L'imperialismo.
2
Contenuto del
libro di Lenin è l'analisi della "sostanza economica" dell'imperialismo,
come fondamento dell'analisi della situazione politica mondiale.
Il metodo di pensiero che informa tutta
l'opera è il metodo dialettico (contro l'empirismo e l'osservazione dei
puri fenomeni di superficie): esame ampio di tutto l'insieme dei fatti
concreti e delle loro molteplici relazioni; indagine dei nessi
interni e delle tendenze contraddittorie che si rivelano nella
realtà; e, su questa base, ricerca dell'essenza dell'imperialismo e
individuazione delle manifestazioni fenomeniche in cui questa essenza si
esprime.
L'essenza (economica)
dell'imperialismo è la formazione del monopolio come conseguenza della concentrazione
della produzione capitalistica, che, a sua volta, è il risultato delle due
tendenze fondamentali (strettamente legate fra loro) del processo di
riproduzione allargata del capitale analizzato da Marx: la concentrazione
del capitale (cioè l'aumento del capitale per effetto dell'accumulazione
interna del profitto ottenuto da una determinata impresa) e la centralizzazione
del capitale (cioè l'incremento di esso in seguito a fusione di più
capitali prima separati). Sono fenomeni (fusioni di imprese, acquisizioni,
ecc.) che abbiamo continuamente sotto gli occhi, in Italia e sul piano
internazionale, e che sono stati esaminati e discussi in altre precedenti
tornate del nostro corso di formazione dei comunisti.
Un punto dev'essere ben chiaro: il monopolio non
elimina la concorrenza, che è una componente ineliminabile del capitalismo.
Essa continua a operare: 1) all'interno dei settori economici non
monopolistici; 2) fra questi e il settore monopolistico; 3) come concorrenza
intermonopolistica. La formazione dei monopoli non sopprime le altre
forme di capitalismo non monopolistico: per questo Lenin definisce il
capitalismo monopolistico una sovracostruzione del capitalismo.
3
Lenín individua cinque
caratteristiche fondamentali dell'imperialismo
1) la concentrazione della produzione e del capitale;
2) la fusione/simbiosi del capitale bancario e del capitale
industriale e la conseguente formazione di un'oligarchia finanziaria.
3) l'esportazione di capitale;
4) la ripartizione del mondo fra i gruppi
monopolistici internazionali;
5) la ripartizione dell'intera superficie terrestre
fra le grandi potenze imperialistiche.
La definizione leniniana dell'imperialismo come
"lo stadio monopolistico del capitalismo" è la sintesi dialettica di
queste cinque caratteristiche, che rappresentano altrettante modalità di possesso
e di dominio monopolistico.
Consideriamole brevemente
ad una ad una. Alla prima ho già accennato più sopra: oggi le grandi
concentrazioni monopolistiche hanno assunto proporzioni gigantesche (un esempio
per tutte, la Microsoft nordamericana).
Di importanza fondamentale
è la seconda caratteristica, la "simbiosi" fra capitale bancario e
capitale industriale, secondo una formulazione dovuta a Bucharin, che Lenin
ritiene particolarmente "indovinata" e che adotta anche lui. Non c'è
"assorbimento" della prima forma di capitale nella seconda, o viceversa.
La simbiosi, in natura, è quella forma di vita associata per cui due
animali, o una pianta e un animale, stabiliscono fra loro intense relazioni
funzionali, e talvolta anche strutturali, con reciproco
vantaggio. E' proprio questo tipo di rapporti, funzionari e strutturali,
che si stabiliscono fra banca e industria nell'epoca del capitale
monopolistico. A questa simbiosi Lenin dà il nome di "capitale
finanziario" (da non confondere col capitale puramente monetario e
speculativo, secondo l'uso corrente dei commentatori economici borghesi). Il
capitale finanziario si concentra sempre più nelle mani di una
"oligarchia finanziaria", (cioè di una ristretta minoranza della
classe capitalistica) che tende al dominio economico dei mondo.
Tipica della fase
imperialistica del capitalismo è l'esportazione di capitale, mentre
nello stadio non imperialista era prevalente l'esportazione di merci. Lenin
vede molto lucidamente che l'esportazione di capitale non si dirige soltanto
verso territori agrari o paesi sottosviluppati, ma anche verso paesi ad alto o
medio sviluppo capitalistico: il capitale viene esportato in tutte le
direzioni, e oggi, nell'epoca della cosiddetta "globalizzazione",
il fenomeno a cui assistiamo è quello dei più intensi movimenti di capitali,
che utilizzano - per il loro trasferimento - le più moderne e veloci
tecniche di informazione e dì comunicazione. La molla che spinge i monopoli
all'esportazione di capitale non è il sottoconsumo, ma la legge della caduta
tendenziale del saggio di profitto: il capitale che non riesce a valorizzarsi
sufficientemente in un paese o in un
gruppo di paesi, emigra in
altri paesi dove può trovare forza-lavoro, materie prime e fonti energetiche a
più buon mercato e lucrare quindi maggiori profitti.
I gruppi monopolistici
internazionali, in concorrenza e in lotta fra loro, si ripartiscono le
aree produttive e i mercati dei mondo, e le grandi potenze imperialistiche si
sono già da tempo ripartita l'intera superficie terrestre. Lenin analizza
il colonialismo del suo tempo come una (non la sola!) forma di
dominio imperialista sui popoli; se oggi, dopo le lotte antimperialiste di
liberazione nazionale che hanno fatto sèguito alla fine della seconda guerra
mondiale, non vi sono più colonie e semicolonie di tipo tradizionale,
assistiamo tuttavia allo sviluppo di fenomeni di neocolonialismo, e
sempre più diffusa è la terza forma di dipendenza analizzata da Lenin:
la dipendenza finanziaria dei paesi più deboli e sottosviluppati dalle
grandi potenze imperialiste (il caso già preso in considerazione da Lenin era
quello della dipendenza e sudditanza finanziaria dell'Argentina, paese
politicamente indipendente, dall'Inghilterra imperialista).
La
già terminata ripartizione della superficie terrestre fra le grandi
potenze è la radice dei loro contrasti e delle guerre imperialiste per
una nuova ripartizione del mondo.
4
Numerose sono le forme di
manifestazione fenomenica del monopolio e del capitale finanziario, che - negli
85 anni che ci separano dall'Imperialismo di Lenin - si sono venute
variamente trasformando, anche se la loro essenza monopolistica non è
mutata: il pool (un accordo temporaneo o momentaneo fra capitalisti per
la fissazione dei prezzi e l'acquisto di materie prime); il cartello (un
accordo più duraturo - per la ripartizione dei mercati di vendita - fra imprese
che mantengono la loro autonomia commerciale); il sindacato fra imprese (che
perdono, in tal caso, la loro autonomia commerciale dando vita a una società
per azioni che acquista e vende tutti i prodotti delle associate); il trust (un'unione
personale fra capitalisti, organizzata in forma dì società per azioni che
diventa, in questo caso, anche proprietaria delle imprese facenti parte del
trust); il Konzern (una forma più elastica, basata su un insieme di
cointeressenze e di partecipazioni fra imprese che producono le stesse merci).
Ma
la forma di gran lunga prevalente oggi è la holding, una società
finanziaria che tiene in portafoglio titoli azionari di diverse società
(società madri, società figlie, ecc.), intervenendo nella loro attività
produttiva; le multinazionali oggi esistenti hanno, in gran parte, la forma
della holding, che dirama la sua attività di comando in un gran numero
di filiere produttive, situate nelle più varie aree del mondo.
Decisiva, nell'epoca dell'imperialismo, è la funzione
delle banche e della Borsa. Le prime non sono più (com'erano alle loro
origini) delle semplici intermediarie negli scambi commerciali, ma sono
diventate creatrici di credito e di moneta e, insieme alla Borsa, raccoglitrici
di risparmio, cioè di vaste masse monetarie che cercano di
"valorizzarsi" attraverso gli impieghi più vari. Ma poiché il saggio
di profitto ottenibile dall'investimento nella produzione della ricchezza
materiale (in quella che, nel linguaggio borghese corrente, viene chiamata "l'economia
reale") tende a diminuire, cresce di conseguenza la massa del capitale
liquido, del capitale monetario che, per "valorizzarsi", viene
impiegato in attività speculative, con i crolli borsistici e i fallimenti
ai quali periodicamente assistiamo.
E' questa la prova sempre
più stringente della natura parassitaria del capitale finanziario,
ampiamente analizzata da Lenin come uno degli aspetti della putrefazione del
capitalismo nell'epoca imperialista. E' caratteristica della nostra epoca la
formazione, all'interno di ogni paese imperialista, di strati sociali
parassitari di "tagliatori di cedole" (ai quali, attraverso un
indissolubile intreccio di profitti e di rendite, va una parte cospicua del
plusvalore estorto alla classe operaia) e, sul piano internazionale, la
formazione di "Stati rentier", che - attraverso il meccanismo
dei prestiti internazionali e dello "scambio ineguale" - si
arricchiscono a spese degli Stati più deboli e sottosviluppati. "Il mondo
si divide", scrive Lenin, "in un piccolo gruppo di Stati usurai e in
un'immensa massa di Stati debitori". In precedenti tornate del nostro
corso di formazione abbiamo visto quale ruolo svolgano, in questo meccanismo,
quelle tipiche istituzioni capitalistiche del nostro tempo che sono il Fondo
Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e il WTO.
Un altro importante aspetto
del parassitismo del capitale finanziario è costituito dai crescenti
ostacoli che esso oppone al progresso tecnico. Lenin non cade nell'errore
meccanicistico di negare la tendenza all'innovazione che il capitalismo
mantiene anche nell'epoca imperialistica, ma vede con altrettanta lucidità la
tendenza contraria e sottolinea i freni che il progresso tecnico-
scientifico subisce a causa della sete di massimo profitto del capitale, freni
ai quali si è aggiunta - negli ultimi decenni - la crescente tendenza
distruttiva del capitale imperialista, che sta devastando selvaggiamente
l'ambiente naturale e minacciando la sopravvivenza stessa dell'umanità.
"Il capitale
finanziario", scrive Lenin, "stende letteralmente i suoi tentacoli in
tutti i paesi del mondo"; ma, in conseguenza delle crisi da cui è
scossa periodicamente l'economia mondiale, il predominio del capitale
finanziario, lungi dall'attenuare le contraddizioni del sistema imperialista, le
rende sempre più acute ed esplosive.
5
Come Lenin ha
instancabilmente sottolineato non solo ne L'imperialismo, ma in
molti altri suoi scritti (alcuni dei quali abbiamo indicato nella
bibliografia), sul piano politico la volontà di dominio del capitale
monopolistico si esprime in due tendenze fondamentali:
6
Il carattere parassitario del capitale
finanziario influisce su tutti ì rapporti politico-sociali e sull'atteggiamento
delle classi sociali verso la politica dell'imperialismo. 1 sovraprofitti
che i grandi paesi imperialisti ottengono attraverso lo sfruttamento dei
paesi coloniali o finanziariamente dipendenti permettono al capitale di creare
fra i lavoratori categorie privilegiate, staccandole dalla grande massa dei
proletari. Si forma, nei maggiori paesi imperialisti, un'aristocrazia
operaia, che gode di un tenore di vita superiore a quello della massa e
costituisce il terreno di coltura della burocrazia operaia e sindacale. Questa
scissione in due della classe operaia è un fenomeno irreversibile, che
caratterizza la nostra epoca imperialista e la differenzia dall'epoca
del capitalismo premonopolistico analizzata da Marx e da Engels. Essa genera le
due tendenze fondamentali presenti all'ínterno del movimento operaio: la
tendenza rivoluzionaria e la tendenza opportunista. Quest'ultima
si incarna, oltre che nella burocrazia sindacale, in quelli che Lenin definisce
"partiti operai-borghesi", cioè partiti politici che non
mancano di un radicamento sociale nel proletariato, ma hanno un programma,
una linea politica generale e un gruppo dirigente che tradiscono in modo
permanente gli interessi fondamentali del proletariato rivoluzionario. La lotta
contro questo "bubbone opportunista", insiste Lenin ne L'imperialismo,
è un compito al quale il proletariato non può sottrarsi, se vuol preparare
realmente le condizioni per la vittoria della sua rivoluzione. "La lotta
contro l'imperialismo, se non è indissolubilmente legata con la lotta contro
l'opportunismo, è una frase vuota e falsa": con l'opportunismo è
necessaria una rottura radicale sul piano ideologico, politico e organizzativo.
7
A conclusione della sua
analisi, Lenin definisce il capitalismo dell'epoca imperialista capitalismo
"di transizione" o capitalismo morente. La sua agonia si sta
prolungando fino ai giorni nostri, con conseguenze sempre più gravi per il
proletariato, per i popoli oppressi e per tutta l'umanità. La crisi generale
dei capitalismo (crisi economica, sociale, politica, ideologica), apertasi
dopo la fine della prima guerra mondiale e la vittoria della Rivoluzione
d'Ottobre, ha aperto un'epoca di guerre e di rivoluzioni. La legge
dell'ineguale sviluppo dei capitalismo genera, a più breve o a più lunga
distanza di tempo, contrasti insanabili fra le potenze imperialiste ed è alla
radice delle guerre imperialiste fra ì "due o tre predoni" che
puntano al dominio del mondo: le alleanze interimperialiste, che di
volta in volta si formano, sono - secondo l'esatta previsione di Lenin -
"solo un momento di respiro fra una guerra e l'altra". Fino a quando
l'imperialismo non sarà distrutto sul piano mondiale dalle rivoluzioni proletarie,
le guerre imperialiste (come, dopo Lenin, anche Stalin non si stancò mai di
ribadire, contro le illusioni dei moderni revisionasti) sono inevitabili. Esse
assumono, nel corso del tempo, aspetti e caratteri diversi. Possono essere
guerre mondiali o guerre regionali: quelle alle quali abbiamo assistito
nell'ultimo decennio (la guerra del Golfo, la guerra balcanica, l'attuale
guerra di occupazione dell'Afghanistan) sono chiaramente guerre preventive (condotte
dall'imperialismo americano direttamente o per interposta persona) per
impedire l'emersione di potenze antagoniste globali e per sottrarre a futuri
rivali una serie di indispensabili fonti energetiche in territori che gli USA
giudicano di importanza strategica.
Credo che il modo migliore
di concludere questa mia introduzione sia il ricordare quanto scriveva Lenin
nel 1916, nella seconda prefazione a L'imperialismo: "Sulla
rovina mondiale causata dalla guerra si è sviluppata una crisi rivoluzionaria
mondiale che, quali che possano essere le sue vicende, sia pure lunghe e
faticose, potrà sboccare soltanto in una rivoluzione proletaria e in una sua
vittoria".
Queste parole conservano
anche per noi oggi un grandissimo valore. Nonostante la sconfitta temporanea
del socialismo nel mondo, le condizioni oggettive, materiali, per
una ripresa rivoluzionaria esistono da lungo tempo. Quelle che ancora mancano
sono le condizioni soggettive. Le prime due sono: la formazione
del Partito marxista-leninista come reparto d'avanguardia della classe
operaia, e "la guarigione dal bubbone opportunistico" in seno al
movimento operaio. Esse dipendono da noi, compagni, dalla capacità che i
comunisti mostreranno di saperle realizzare.