LA STORIA CONTEMPORANEA
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LA FINANZA VATICANA - LA
BANCA VATICANA - L'EVASIONE FISCALE -
Ecco come e perché la Chiesa incassa ogni anno una intera manovra finanziaria dello Stato italiano. Per poi remargli controAnche il nuovo papa insiste nel tentativo di mettere il cappello sulla Costituzione europea e lancia periodicamente accorati appelli sulle “radici cristiane dell’Europa”, radici che a volte diventano “ebraico cristiane” per accattivarsi l’appoggio di chi ieri era demonizzato e oggi è corteggiato perché più potente di prima. Ma la Comunità europea, ingrata, risponde diffidando lo Stato italiano dal continuare a regalare privilegi economici e fiscali alla Chiesa del papa. Grazie all’Europa scopriamo che in Italia la Chiesa è leader in ben quattro settori economici: immobiliare, turismo, sanità ed educazione privata.C’è di che allibire. Eppure da Oltretevere rispondono, come al solito piangendo miseria, accusando l’esistenza di un “complotto contro la Chiesa” e continuando a dichiarare che i soldi incamerati servono per opere di carità. Ma come stanno le cose? E le casse vaticane come stanno? Quanto incamerano all’anno dallo Stato italiano, tra sgravi fiscali, cioè soldi ai quali il nostro Stato rinuncia a favore del Vaticano, e soldi regalati direttamente alla “santa sede” e dintorni? Come vedremo, la cifra totale è valutata – per esempio dal matematico Piergiorgio Odifreddi – in non meno di 11 miliardi di euro, pari ad oltre 20 mila miliardi annui di vecchie lire. Come sappiamo, ogni anno il nostro governo per salvare il bilancio statale dalla bancarotta impone una manovra finanziaria, cioè nuove tasse, per cifre dello stesso ordine di grandezza di quelle intascate dal Vaticano. Detto in altre parole: SE LA CHIESA PAGASSE LE TASSE GLI ITALIANI POTREBBERO PAGARNE MENO. I cattolici si riempiono la bocca e si stracciano le vesti in nome della “difesa della famiglia”, ma tanto strepito di fatto nasconde una realtà deprecabile: la Chiesa cattolica campa a sbafo proprio delle famiglie! Una parte consistente delle tasse di tutti noi, padri e madri di famiglia comprese, e non solo l’8 per mille volontario della dichiarazione dei redditi, finisce infatti in Vaticano. Come si è arrivati a tanto? Partiamo dall’inizio. Come è noto, fatta l’unità d’Italia sfrattando i Borboni e il papa dai rispettivi Stati, la Chiesa rifiutò di riconoscerla e anzi proibì ai cattolici di partecipare alla vita politica nazionale. Per superare questo ostracismo il governo italiano firmò nel 1871 la Legge delle Guarentigie, che riconosceva alla Chiesa il possesso dei palazzi del Vaticano e del Laterano e la residenza estiva di Castel Gandolfo. La legge inoltre istituì una serie di privilegi materiali a favore del papa e del clero compresa una cifra annuale di 3.225.000 lire dell’epoca, pari a una decina di milioni di euro di oggi. Il papa però non la incassò mai, onde evitare il riconoscimento formale dell’unità italiana. Solo l’11 febbraio 1929, spianando così la strada al fascismo, il Vaticano firmò con Mussolini i Patti lateranensi, che fruttarono alla Chiesa un Trattato, una Convenzione finanziaria e un Concordato. Il Trattato riconobbe la sovranità della Chiesa e l’indipendenza dello Stato del Vaticano. La Convenzione economica elargì una ricompensa come risarcimento dei “danni ingenti” subiti con la “conquista” di Roma nel 1870. Venne così anche pagata l’intera cifra arretrata dei soldi della Legge delle guarentigie del 1871 non riscossi dal papa, cifra pari a 3.160.501.113 lire dell’epoca, pari a una decina di miliardi di euro odierni (ovvero 20.000 miliardi di lire prima dell’euro). Venne anche stabilito, oltre al monopolio sui matrimoni e relativo rito, che lo Stato italiano avrebbe pagato lo stipendio, detto “la congrua”, a tutti i preti, che però non potevano far politica e, se nominati vescovi dal papa, dovevano avere il gradimento italiano e giurare fedeltà al regime. Fu così che Pio XI, imbottito di quattrini e privilegi, il 14 febbraio 1929 definì raggiante Mussolini “l’uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare”. Qualcosa di simile accadrà in seguito con un altro uomo della Provvidenza in Germania, un certo Adolfo Hitler. Le conseguenze, non solo italiane e tedesche, sono tragicamente note. Craxi nel 1983 ha purtroppo rinnovato il Concordato, dopo sette tentativi andati a vuoto tra il ’67 e l’83, togliendo il divieto ai preti di fare politica e il giuramento di fedeltà dei vescovi allo Stato italiano. Il matrimonio è stato svincolato solo in parte dalla tutela ecclesiastica. La “congrua” mensile per i preti è stata sostituita con il finanziamento volontario dell’8 per mille sul gettito totale delle tasse da noi pagate con l’Irpef, novità che comporta per il Vaticano l’incasso di un miliardo di euro l’anno. Nuovi privilegi sono stati regalati dal governo nelle mani di Berlusconi. Il Cavaliere nel 2003 ha creato un organico di 15.507 posti di insegnanti di religione (di fatto solo cattolica), fatti diventare in massa di ruolo scavalcando anche i diritti pregressi degli insegnati delle altre materie, ben più importanti per il progresso del Paese. Da notare che gli insegnanti di religione li nomina, e li può licenziare!, il vescovo locale e non il ministero della Pubblica istruzione. Contrariamente a quanto sostiene la Chiesa per accattivarsi il pubblico, solo il 20% dell’8 per mille regalato volontariamente con l’Irpef viene speso in opere di carità. Per il resto, il 34% va per il sostentamento del clero e ben il 46% alle non meglio specificate “esigenze di culto”. Da notare che la Chiesa incassa quasi tutto, per l’esattezza nel 2006 l’89,16 %, l’8 per mille che arriva dall’Irpef, nonostante solo un terzo dei contribuenti scelga di devolverlo allo Stato, alla Chiesa o ad altre religioni (da notare che le organizzazioni umanitarie o scientifiche hanno fatto la loro ignorata comparsa solo negli ultimissimi tempi). La legge infatti grazie all’articolo 37 è truffaldina: assegna alla maggioranza della minoranza che devolve l’8 per mille il potere di stabilire di fatto a chi dare il resto del ricco gruzzolo che il contribuente non indica a chi versare. E poiché la maggioranza (nel 2006 il 35,24%) di questa minoranza assegna l’obolo alla Chiesa, questa diventa l’asso piglia tutto: piglia cioè l’89,16%, pari a un miliardo di euro l’anno. Da notare che soli i valdesi, che ricevono appena l’1,30 della torta Irpef, presentano un rendiconto molto particolareggiato e danno tutto in opere assistenziali. La comunità ebraica riceve lo 0,39 %, i luterano lo 0,27 e via con gli altri spiccioli per gli altri questuanti. Altri mille miliardi di lire li sborsa direttamente lo Stato con contributi tra i più disparati: nel 2004 ad esempio dai 470 milioni per stipendi agli insegnanti di religione ai 258 per le scuole cattoliche, 25 milioni per l’acqua consumata dal Vaticano (!), 20 milioni per una Università dell’Opus Dei e altri 44 per le cinque Università cattoliche, ecc., ecc. Più la gran parte del miliardo e mezzo di euro per la sanità privata, quasi tutta in mano a istituzioni cattoliche (specie nella Lombardia governata dal ciellino Roberto Formigoni). Arriviamo così ogni anno ad almeno 3 mila miliardi di euro, ovvero 6 mila miliardi di vecchie lire, all’ombra del Cupolone, cioè della basilica di S. Pietro. Non so se nel conto abbiano calcolato anche i “rimborsi” del 10 % del costo della carta per la miriade di giornali, giornaletti e bollettini di riffa o di raffa facenti capo al mondo cattolico, giornali che prontamente si schierano con il papa e i vescovi quando criticano o attaccano la nostra vita politica. Altri 6 miliardi di euro la Chiesa se li tiene grazie alla rinuncia dello Stato italiano a riscuotere le tasse in molte, troppe occasioni. Per lo stesso motivo i Comuni italiani perdono circa 2 miliardi e 250 milioni di euro l’anno. Arriviamo così al totale pazzesco di oltre 10 miliardi di euro, ovvero oltre 20 mila miliardi di lire! Una intera manovra finanziaria di proporzioni niente affatto trascurabili che dalle nostre tasche, cioè anche dalle tasche delle famose famiglie che la Chiesa dice di voler proteggere, finiscono ogni anno direttamente nelle sue casse. Ogni dieci anni, si arriva a oltre 100 miliardi di euro, pari ad oltre 200 mila miliardi di lire… No comment. Mi limito a dire che questa Chiesa, così bene ingrassata con i nostri soldi regalati dal nostro Stato, è la stessa che poi accusa questo stesso Stato di sperpero delle nostre tasse per parassitismo e privilegio dei partiti, strizzando l’occhiolino alla proposta di sciopero fiscale lanciata da Umberto Bossi. Ed è la stessa Chiesa che, da noi pagata, attacca sempre più a testa bassa la laicità delle nostre istituzioni e quindi le basi della nostra libertà e coesistenza sociale. Insomma, siamo di fronte a quanto di più assurdo e imbarazzante, se non vergognoso, si possa immaginare. Vi consiglio la lettura di un articolo di Luca Iezzi sul quotidiano "Repubblica" e uno di Pierluigi Franz su "La Stampa". Per facilitarvi le cose ve li riporto qui in basso. LUCA IEZZI - L’Europa sospetta che l’Italia abbia un occhio di riguardo per “l’azienda Chiesa” e le conceda un regime fiscale agevolato rispetto ai concorrenti laici. La commissione Ue non mette in dubbio le prerogative temporali concesse alla Chiesa cattolica come la totale esenzione Irpef per i dipendenti del Vaticano. Il problema nasce per le attività economiche collegate a quella pastorale e in almeno quattro i settori la Chiesa è leader nazionale: immobiliare, turismo, sanità ed educazione privata. Visti gli sgravi su Ici, Ires, Irap il dubbio dell’aiuto di Stato assume consistenza. Ici - Tutto nasce dall’immenso patrimonio immobiliare: impossibile definirlo con certezza, le stime dicono 100 mila fabbricati per 8-9 miliardi di euro di valore. Riducendo l’analisi a realtà più piccole, ma rappresentative, come Roma, l’elenco è impressionante: 550 tra istituti e conventi, 500 chiese, 250 scuole, 200 case generalizie 65 case di cura, 50 missioni, 43 collegi, 30 monasteri, 25 case di riposo e ospizi, 18 ospedali. Sono quasi 2 mila gli enti religiosi residenti e risultano proprietari di circa 20 mila terreni e fabbricati. Va ricordato la legge istitutiva dell’Ici esentava i luoghi di culto e le loro pertinenze per cui alcune non sono mai state nemmeno segnalate ai comuni. Nel corso degli anni si è assistito a un braccio di ferro tra i sindaci e gli enti religiosi che tentavano di allargare a dismisura il perimetro delle esenzioni (alloggi di religiosi, sedi di fondazioni, opere pie, ospedali, università). Nei contenziosi i Comuni avevano avuto il sostegno della corte di Cassazione che dal 2004 ha chiarito che se in un fabbricato si svolgeva un’attività commerciale doveva pagare l’imposta. Il governo Berlusconi aveva esentato tutti gli immobili posseduti da enti religiosi no profit scatenando le proteste (e un primo interesse dell’Ue). Ora la legge colpisce solo locali utilizzati “esclusivamente” per attività commerciali. Una formulazione che lascia molto spazio al proprietario che autocertifica l’uso ai fini dell’Ici. La nuova formula secondo l’Ares fa perdere ai comuni 2,2 miliardi di euro. “Per Roma è meno di 20 milioni - stima Marco Causi assessore al Bilancio del comune - e conteranno molto gli accertamenti f caso per caso, i contenziosi non sono molti e con questo tipo di contribuenti cerchiamo soluzioni condivise”. Anche se il direttore di Roma Entrate Andrea Ferri spiega: “La normativa non aiuta ad evitare i contenziosi, ci sono casi di uso “promiscuo” commerciale e no-profit in cui l’attività a scopo di lucro è evidentemente preponderante”. Ires - Conventi, palazzi e condomini sono diventati sedi di cliniche, scuole e soprattutto alberghi. Se l’attività è svolta da enti di assistenza e beneficenza l’Ires scende del 50% (esenzione totale se il reddito è generato da un immobile di proprietà diretta del Vaticano). Un bel vantaggio per chi opera nel turismo. E anche in questo caso Roma si è trasformata l’epicentro di un impero: il turismo religioso genera un fatturato di 5 miliardi l’anno con 40 milioni di presenze. In tutta Italia preti e suore gestiscono 250 mila posti letto. L’attività è considerata meritoria tanto che il governo ha stanziato 10 milioni di euro per la promozione degli itinerari della fede. Con un ulteriore facilitazione: le organizzazioni no-profit collegate a entità religiose mantengono la qualifica a vita senza dover ogni anno presentare bilanci certificati e senza correre il rischio di vedersi negata dallo Stato la qualifica per inadempimenti formali o sostanziali (come appunto la generazione di profitti). Irap - Infine sul fronte del costo del personale le retribuzioni corrisposte ai sacerdoti dalla Chiesa cattolica, non costituiscono base imponibile ai fini dell’Irap, ma per ognuno di loro le associazioni possono dedurre una quota nella determinazione del reddito d’impresa. PIERLUIGI FRANZ - La «patata bollente»
dell’esenzione Ici sugli immobili della Chiesa e degli enti
ecclesiastici destinati in Italia ad attività commerciali
remunerate (alberghi, pensionati, ostelli, centri vacanze,
ristoranti, negozi, uffici, banche, cinema, cliniche,
università, ecc.), cioè non direttamente legati al culto,
denunciato dal sottosegretario all’Economia Paolo Cento
(Verdi), è un classico «pasticcio all’italiana» per colpa di
un avverbio maldestramente inserito nella legge. In ballo ci
sono imposte sugli immobili per circa 700 milioni di euro
(secondo l’Anci) o addirittura per circa 1 miliardo (secondo
stime vaticane). Il mancato introito crea un buco nelle
casse dei Comuni e, in parte, dello Stato. Tutto ruota attorno all’avverbio «esclusivamente», che trae in inganno persino il senatore Natale Ripamonti (Verdi), relatore di maggioranza. Nel suo documento presentato in Senato nel luglio 2006 afferma che «l’art. 39 ripristina il pagamento dell’Ici per gli enti ecclesiastici e le Onlus relativamente agli immobili in cui vengono svolte attività esclusivamente commerciali. La stima prudenziale è di 100 milioni di Euro». Poi, però, Ripamonti si accorge che nella frase
c’è qualcosa che non va e che occorre cancellare l’avverbio
«esclusivamente». Presenta quindi un emendamento, altrimenti
sarebbe rimasto tutto invariato. In pratica, per aggirare la
nuova legge Bersani bastava che presso l’immobile in cui ha
sede un’attività commerciale gestita della Chiesa vi fosse
un luogo di culto cattolico per far sì che tale attività
commerciale fosse interamente esentata dal pagamento dell’Ici.
L’emendamento Ripamonti e quello di altri senatori finisce
però nel cestino per il voto di fiducia a Palazzo Madama. Anche se non esiste un censimento preciso si può
affermare che una parte significativa dei beni immobili di
Roma è in mano alla Chiesa e ad enti ecclesiastici. Nella
capitale gli istituti religiosi che non pagano l’Ici in base
al Concordato ed alle successive leggi in vigore causano al
Comune di Roma un mancato introito di circa 20 milioni di
euro l’anno. Gran parte del Centro storico di Roma
appartiene al Vaticano, compresi beni extraterritoriali:
molti collegi e case generalizie, abitati ora da pochi
religiosi, sono stati trasformati in alberghi a 4 stelle,
residence e pensionati di lusso. Poi 4.712 centri di assistenza medica, suddivisi
in 1.853 ospedali e case di cura, 10 grandi ospedali, nonché
111 ospedali di media dimensione, 1.669 centri di «difesa
della vita e della famiglia», 534 consultori familiari, 399
nidi d’infanzia, 136 ambulatori e dispensari e 111 ospedali,
più 674 di altro genere. Il tutto per un valore globale di
alcune centinaia di miliardi di euro. Infine, 118 sedi
vescovili, 12.314 parrocchie, quasi altrettanti oratori, 360
case generalizie di ordini religiosi, un migliaio di
conventi maschili o femminili e 504 seminari. Oltre agli
attuali benefici fiscali sull’Ici, la Chiesa beneficia di
circa 930 milioni di euro l’anno grazie all’8 per mille (dal
2007 c’è anche la novità dell’ulteriore 5 per mille). nicotri.blogautore.espresso.repubblica.it/ di Pino Nicotri, giornalista dell'Espresso www.youtube.com/watch?v=Il4fn2DeXn8 Testi
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