LA STORIA ANTICA
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STEREOTIPI DEI MANUALI DI STORIA ANTICA I - II PREMESSA Assai raramente un manuale scolastico di storia si chiede se un dato processo o avvenimento storico potesse avvenire diversamente. I fatti vengono narrati seguendo una sconcertante logica deterministica, dove a una causa segue necessariamente un preciso effetto, che è unico, senza possibilità di scelta. Sicché tutto viene legittimato, come se un invisibile fato avesse predisposto in anticipo ogni cosa. Pertanto, se p.es. dall'economia di prelievo si volle passare all'agricoltura, non c'era alcuna possibilità di fare diversamente; e ancora: quando si decise di passare dall'agricoltura pluviale a quella irrigua, apparve come cosa del tutto naturale che i villaggi rinunciassero alla loro autonomia e si lasciassero dominare dal villaggio più grande o più forte, che poi si trasformerà in città. I progressi tecnici vengono visti come logicamente connessi a forme politiche autoritarie, in cui la centralizzazione dei poteri non è stata che una conseguenza inevitabile del benessere economico. Lo storico vuol far credere che si accettarono, senza discutere, cose che, in realtà, fino a quel momento, non si erano mai viste, come p.es. la formazione di tecnici e specialisti in seguito alla divisione del lavoro; il versamento di tributi a organi centralizzati; l'uso della fede religiosa per scopi politici; l'obbligo di sottostare a leggi emanate da sovrani e classi dirigenti; la nascita di un corpo di polizia preposto all'ordine pubblico; un esercito utilizzato per occupare territori limitrofi trasformandoli in colonie; l'uso della scrittura come forma di discriminazione sociale, e così via. E' assurdo pensare che un rivolgimento del genere, per quanto possa essere avvenuto in un arco di tempo molto lungo, non abbia incontrato alcuna forma di resistenza, o che la costruzione di dighe, bacini e canali dovesse necessariamente comportare la fine dell'autonomia gestionale di interi villaggi. Infatti nel periodo della "rivoluzione urbana" i mutamenti furono infinitamente più grandi di quelli avvenuti nel passaggio dall'economia di prelievo a quella produttiva. E' diseducativo far credere che, di fronte a necessità di tipo tecnico-produttivo, occorre accettare qualunque condizione, ovvero che al cospetto dell'idea di migliorare ulteriormente la propria condizione di vita, qualunque sacrificio sia giustificabile. Questo è un modo surrettizio di fare politica a favore di quei sistemi sociali in cui una casta o un ceto o una classe fruisce di una particolare funzione egemonica. Uno storico dovrebbe considerare lapalissiano il principio secondo cui non esistono fatti storici la cui interpretazione sia inoppugnabile. Spesso anzi ciò che rende plausibili i fatti, la loro interna dinamica, il loro svolgimento temporale, sono proprio le interpretazioni storiografiche. Quindi, più che sciorinare affermazioni a tesi, aventi la pretesa di dirci come sono andate effettivamente le cose, sarebbe meglio parlare di "ipotesi interpretative", non solo quando le fonti sono scarse o lacunose, ma anche quando sono tante e corpose (la quantità non fa certo la verità). E questo soprattutto in un manuale scolastico, usato da un soggetto in formazione, che deve abituarsi a guardare le cose nelle loro molteplici sfaccettature. Non esiste "la" verità dei fatti, non siamo in grado di stabilirla con certezza apodittica, anzi, per promuovere la democrazia è meglio rendere relativa la loro ermeneutica. Se la storia viene presentata come un succedersi lineare, inespressivo, di fenomeni socio-economici, i quali, a loro volta, producono inevitabilmente fenomeni di tipo politico, militare, amministrativo e culturale, dove sta la libertà umana? Che cos'è che differenzia il genere umano da quello animale? Anche i castori producono dighe. Anzi in loro il determinismo istintuale dell'azione non si configura mai come il rovescio di quella mera casualità che ha scatenato il fatto iniziale, quello che poi, avvalendosi di una specie di "effetto domino", ha provocato tutta una serie di conseguenze a catena. Il castoro non costruisce dighe perché "casualmente" si trova a vivere in un fiume. E' solo nei manuali scolastici di storia antica che si sostiene che il passaggio dall'economia di prelievo a quella produttiva avvenne nella cosiddetta "Mezzaluna fertile" proprio perché qui le paludose e afose circostanze ambientali, in maniera del tutto fortuita, indussero gli uomini a reagire a favore di un tipo di civiltà del tutto diversa da quella neolitica e soprattutto paleolitica. Lo schiavismo insomma nacque per motivi geografici! Ragionando in termini deterministici si arriva in sostanza a sostenere che è stata solo una questione di "temperatura" a provocare il passaggio dal Paleolitico al Neolitico e da questo alle prime civiltà urbane. E se invece si sostenesse che l'agricoltura esisteva già nel Paleolitico, pur senza rivestire quel ruolo centrale che ebbe nel Neolitico, e che per questa ragione di essa non sono rimaste tracce significative? Si fa nascere l'agricoltura in seguito all'ultimo disgelo di 12000 anni fa, ma in Africa non vi è mai stata alcuna glaciazione: cosa avrebbe potuto impedire il formarsi di una qualche forma di coltivazione della terra? Certo, non è da escludere - come tutti gli storici sostengono - che l'agricoltura si sia ampiamente diffusa nella "Mezzaluna fertile" perché i gruppi umani che vi si erano insediati, dopo essere usciti dall'Africa, non avevano le foreste da utilizzare ma solo i fiumi, che con le loro periodiche esondazioni offrivano acqua sufficiente per lavorare la terra, a condizione naturalmente che prima si fossero drenate le acque con appositi scoli, impedendo al terreno circostante di diventare paludoso e acquitrinoso. Proprio i territori più impervi, che apparentemente sembravano i meno praticabili, fecero la fortuna di quei gruppi umani che avevano scarsità di cibo perché, per qualche ragione, avevano dovuto o voluto abbandonare dei luoghi più fertili, che non richiedevano un massiccio intervento dell'intelligenza umana sulla natura. Le terre bonificate della Mesopotamia non solo diedero cibo in abbondanza, agli uomini e agli animali da allevamento, ma offrirono anche l'argilla con cui fare le prime vettovaglie domestiche, i primi importanti recipienti con cui conservare integre le eccedenze. Tuttavia la scelta della stanzialità perenne, in un determinato habitat, non è detto che sia umanamente naturale. Lo dimostra il fatto che anche dopo la scoperta dell'agricoltura, tantissime popolazioni del pianeta, che pur conoscevano i progressi di questa attività, continuarono a vivere di caccia e di pesca o di allevamento e di frutti selvatici, e non praticarono mai l'agricoltura, proprio perché rifiutavano di assimilarla nel loro background culturale (come gli iconografi bizantini rifiutavano, pur conoscendola, di usare la prospettiva). L'agricoltura sembra presumere una qualche forma di condizionamento negativo: la s'inventò proprio per poter sopravvivere in un ambiente particolarmente ostile. Col Neolitico nasce il lavoro vero e proprio. La ricchezza non è più data dalla natura in sé, ma dalla natura lavorata in maniera produttiva: un concetto questo che, p.es., gli indiani del Nordamerica, prima del loro contatto con gli europei, non avevano mai avuto. Da notare peraltro, e forse questa può non essere una coincidenza casuale, che tutti gli storici ideologicamente deterministi (che a volte lo sono solo per pigrizia mentale), quando esaminano il Neolitico, danno per scontato che la prima forma d'interazione con l'ambiente debba essere intesa come una forma di "dominio", in cui le risorse naturali vanno sistematicamente sfruttate. Tutti sembrano essere convinti che tale atteggiamento egemonico nei confronti della natura abbia poi portato a creare una società divisa in classi (contrapposte o reciprocamente funzionali viene poi precisato in seconda battuta), ma chissà perché nessuno si chiede se questo atteggiamento non fosse, a sua volta, l'effetto di un mutamento dei rapporti sociali interni alla comunità. E' strano che non ci si chieda questo, visto che, alla luce delle moderne teorie ecologiste, un atteggiamento di "sfruttamento consapevole" della natura, elevato a "sistema", non può nascere in una comunità il cui stile di vita è "eco-compatibile". E' quindi evidente che nel Neolitico, ad un certo punto, gli uomini hanno cominciato a dare, all'interno delle loro comunità, delle risposte sbagliate a domande urgenti, significative, e questo ha avuto un inevitabile riflesso condizionato sul loro rapporto con la natura. In altre parole gli uomini o sono andati in luoghi dove non dovevano andare, ovvero hanno lasciato i loro luoghi originari senza valide motivazioni, oppure hanno cercato nuovi luoghi da popolare con un atteggiamento sbagliato. Sia come sia, non si può parlare di "rivoluzione" solo in senso positivo. Una forzatura del genere è evidentemente dovuta al fatto che i criteri di vita della nostra civiltà antagonistica e tecnologica si riflettono nell'analisi storiografica delle civiltà passate, delle quali ci piace valorizzare solo quegli aspetti che più ci somigliano. Dunque se è bene che uno storico debba essere circospetto nell'esame delle fonti documentarie, anche nei confronti di quelle che gli sono più prossime (scritte o non scritte), come un detective che non si fida delle prove di colpevolezza più schiaccianti, a maggior ragione egli deve usare il beneficio del dubbio quando gli eventi sono accaduti svariate migliaia di anni fa. * * * Tutti i manuali scolastici di storia danno per scontato che il passaggio dal comunismo primitivo allo schiavismo sia avvenuto spontaneamente, per progressive determinazioni quantitative, senza che nessuno potesse rendersi conto della gravità di ciò che stava avvenendo. Presumono di dare una spiegazione scientifica, il cui valore però non è molto diverso da quello della tesi secondo cui l'uomo di Neanderthal, pur essendo molto robusto e intelligente, è scomparso in maniera del tutto misteriosa, quasi senza aver rapporti con il Sapiens Sapiens. Prendiamo ora in esame sette manuali scelti a caso e documentiamo quanto appena detto. cfr Matriarcato - Nomadi e Sedentari - Introduzione all'epoca preistorica Fonti
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