STORIA ROMANA |
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EVOLUZIONE DELLA STRUTTURA ECONOMICA E SOCIALE
Per inquadrare i cambiamenti socio-economici avvenuti nel corso della storia romana - in particolare in riferimento al periodo del passaggio dalla Repubblica all'Impero - dobbiamo tenere conto dell'esistenza di due distinte fasi a livello produttivo e sociale: a) quella 'agricola' e b) quella 'imperialista'. A) FASE AGRICOLA Nel corso della fase che chiamiamo agricola (e che molto schematicamente possiamo dire giungere fino al termine della seconda guerra punica, nel 202) si ha, all'interno della società romana, un netto predominio dell'aristocrazia terriera. Al di sotto di questa, si trova la plebe (composta sia da piccoli proprietari che da semplici lavoratori - per la maggior parte giuridicamente liberi - della terra). Questa aristocrazia rurale è di tipo capitalistico, tende difatti a arricchirsi a spese dei proprietari più piccoli: ovvero a ingrandire i propri possedimenti inglobando quelli di questi ultimi [si noti poi che quello della distribuzione delle terre - detto questione agraria - è un problema estremamente diffuso in tutto il mondo antico, come dimostra la vicenda della Grecia sia classica che pre-classica!]. L’opera di ampliamento dei propri territori non può certo essere inoltre estremamente difficoltosa per la classe aristocratica, dal momento che essa si colloca in una posizione nettamente dominante sia da un punto di vista economico che (attraverso il Senato) da un punto di vista politico. Quasi certamente, durante il periodo dell'egemonia e dell'influenza etrusche, si sviluppa una prima forma di vita industriale (in senso ovviamente non moderno, prima di tutto da un punto di vista tecnologico) e commerciale; ma un tale fenomeno resta comunque estremamente circoscritto, non andando in sostanza al di là di un tipo di produzione d'ambito familiare. Non vi è dunque, in questo primo periodo, alcuna classe che contrasti seriamente il predominio politico e economico nobiliare, predominio il cui fondamento è di natura essenzialmente terriera. La società arcaica si basa dunque su un forte divario tra i ceti ricchi e quelli poveri, divario coincidente grosso modo con quello di natura sociale tra patrizi e plebei (questi ultimi sia piccoli proprietari, sia proletari rurali e cittadini). Il patriziato inoltre esercita - in virtù del proprio predominio politico e istituzionale - un patronato diffuso su tutta la plebe: ogni famiglia nobile ha insomma le proprie clientele private (formate da coloro che sono in debito verso di lei e che quindi le restano legate a vita) che rinsaldano il suo dominio in un certo ambito territoriale. Un primo segno di mutamento di tale situazione sarà costituito dalle riforme poste in atto dal sovrano Servio Tullio, il quale dividerà la popolazione in base a criteri censuari, anziché di nascita o di casta. Questa nuova distinzione, indipendente dai criteri di 'casta' e di appartenenza familiare, tiene conto della ricchezza personale dei cittadini ed è il prodotto di un'evoluzione di carattere economico: l'arricchimento cioè di una parte della plebe. Pochi anni dopo le riforme di Servio Tullio inoltre, si avrà - e non a caso - la creazione delle Assemblee centuriate. B) FASE IMPERIALISTA Ma la vera e propria svolta nella storia romana si ha - secondo l'opinione concorde degli storici - al termine della seconda guerra punica (202 a.C.), quando Roma diviene 'padrona' delle regioni del Mediterraneo occidentale, dopo avere in sostanza eliminato la sua rivale, la potenza cartaginese, unico serio ostacolo alle proprie mire espansionistiche nelle zone del bacino mediterraneo occidentale. Inizia così per Roma una fase del tutto nuova: quella imperialistica. E per la società romana si aprono nuove prospettive sia di arricchimento che di trasformazione sociale, legate più o meno tutte al predominio militare e politico che essa esercita sui territori sottomessi. Se il patriziato, attraverso il protettorato di Roma su tali zone, acquisisce nuove terre e nuove ricchezze; la plebe vede invece ampliarsi enormemente gli orizzonti della propria azione: accanto al lavoro agricolo o all'esistenza strettamente urbana, si profilano difatti per lei possibilità quali l'arruolamento nell'esercito (che gradualmente si professionalizza) o il commercio. I nuovi orizzonti commerciali e finanziari, che il patriziato (per ragioni di prestigio sociale, legate a pregiudizi culturali di natura essenzialmente "anti-economica") tende a non sfruttare, diverranno difatti col tempo sempre più attività esclusiva della plebe, la quale si sobbarcherà appunto il compito di portare avanti - assieme ad altri ceti subalterni - questo tipo di iniziative. Ai plebei romani e italici si aggiungono poi quelli delle province, le quali a loro volta entrano a fare parte dei quadri dirigenti dell'impero. Un fenomeno essenziale, connesso a questa trasformazione, è quello per cui le antiche clientele dell'aristocrazia romana (risalenti ancora al periodo arcaico) perdono gradualmente il loro antico predominio sociale, a causa del ridimensionamento dovuto alle nuove forme di patronato create dai quei grandi condottieri che accentrano su di sé dei poteri vastissimi, che percorrono tutte le regioni imperiali da occidente a oriente. Le clientele nobiliari romano-italiche finiscono così per venire inglobate - almeno tendenzialmente - all'interno di quelle più giovani ma anche estremamente più ampie dei condottieri e dei principi, e nemmeno spesso come le parti più rilevanti di esse! E' la corte imperiale infatti, la vera “clientela” del principe, dal momento che in essa risiede l'insieme dei suoi uomini, ovvero dei tutori del suo predominio politico (i quali però, hanno anche notevoli possibilità di condizionarlo): un predominio cui debbono oramai sottomettersi - è gioco-forza - anche i patronati più antichi, quelli romano-italici e nobiliari. Non bisogna tuttavia credere che non vi siano, all'interno dei territori imperiali, anche altri centri di potere oltre alla corte, che mantengono una forte indipendenza da essa, poteri di natura economica o legati al persistere di poteri territoriali molto remoti. E neanche che in Roma l'aristocrazia non cerchi di contrastare l'egemonia politica del principe e degli apparati imperiali, facendosi forte delle sue antiche tradizioni clientelari e del loro radicamento nei territori cittadini e peninsulari - ne è una prova ad esempio la Lex Valeria-Cornelia del 5 (e il suo aggiornamento nel 19 d.C.), con la quale Augusto e il Senato si spartiscono a spese delle Assemblee popolari i poteri elettorali sulle magistrature. Schematicamente, le componenti sociali che, all'interno dei territori imperiali, possiamo considerare come 'clientes' dei poteri del princeps sono dunque: -
quelle provinciali (i gruppi di potere locali debbono infatti appoggiarsi, al
fine di dare risonanza a livello globale ai propri interessi, all'autorità
politica del principe e alla sua corte); L'apparato imperiale dunque, trae gran parte della propria forza dall'alleanza con questi ceti non aristocratici. Infatti, se da una parte esso dà voce ai loro interessi, dall'altra li colloca in un quadro complessivo (quello imperiale appunto) che, consolidandone la funzione e il prestigio sociale, rafforza al contempo anche se stesso. Entrando a fare parte dell'esercito infatti, o divenendo funzionari dell'immenso apparato imperiale, o costituendosi parte della classe affaristica, commerciale e/o industriale (spesso bisognosa di aiuti da parte dello Stato: sia sul piano militare, ad esempio con missioni di polizia sui territori, sia su quello finanziario attraverso provvedimenti pubblici…), queste classi finiscono quantomeno tendenzialmente per dipendere dall'autorità del principe, il quale a sua volta si pone al vertice di quella vasta piramide di poteri che gestiscono questi aspetto della vita sociale dell'Impero. Si vede quindi chiaramente come egli, favorendo lo sviluppo di queste classi, consolidi al tempo stesso sia l'Impero sia la propria autorità politica e istituzionale: due realtà che, per ragioni politiche e culturali, tendono a porsi in contrasto con le prerogative e i valori della più antica aristocrazia terriera. Da Augusto in avanti, si può dunque parlare di una vera e propria politica delle classi medie, portata avanti consapevolmente dall'Imperatore (e dal suo seguito) al fine di rafforzare la propria creatura politica! Egli infatti, avendo compreso come la realtà imperiale trovi la sua solidità e il suo elemento connettivo essenzialmente negli interessi commerciali che accomunano le differenti regioni, favorisce lo sviluppo di una vasta classe agiata - definibile, anche se con termine improprio, come "classe medio borghese" - la quale, con le proprie attività commerciali, burocratiche e militari, contribuisce all'esistenza dell'Impero, traendone contemporaneamente dei benefici personali in termini di benessere economico e di considerazione sociale. Anche la condizione schiavile risente poi di queste trasformazioni. Mentre la maggior parte degli schiavi vede peggiorare, rispetto al periodo prettamente agricolo e arcaico della società romana, le proprie condizioni di vita (divenendo lo strumento fondamentale di un sistema produttivo sempre più esigente ed opulento), vi è una piccola minoranza invece che assurge a una nuova dignità. Sono coloro che si occupano - con successo - di questioni finanziarie e commerciali, e che contribuiscono in tal modo all'arricchimento e alla crescita capitalistica dei propri padroni (si ricordi a tale proposito il memorabile personaggio del "Satyricon" di Petronio: il liberto, ovvero lo schiavo liberato, Trimalcione). Essi inoltre, dopo essere stati affrancati dai propri proprietari (magari in punto di morte), continuano di solito a portare avanti in proprio le attività commerciali, divenendo in tal modo un elemento non secondario del dinamismo economico e mercantile dell'Impero. Concludendo, possiamo dire che la società romana si trasforma, nel corso della sua evoluzione, da una realtà fondata su due piani contrastanti (basata cioè su una rigida divisione tra ricchi e poveri, coincidente in gran parte con la distinzione sociale - di casta - tra patrizi e plebei) in una fondata su più piani: i ricchi (l'aristocrazia terriera, ma anche i plebei abbienti o cavalieri, e molto spesso i liberti), i ceti medi (ovvero una vastissima classe di individui che hanno raggiunto o aspirano a raggiungere un certo benessere) e i ceti parassitari o marginali (quali il proletariato urbano, gli schiavi, ecc.). Ed è proprio tra i ceti medi (nonché in generale tra quelli commerciali e finanziari) che l'Impero trova il proprio principale elemento di forza: questi ultimi infatti vedono nella crescita dell'Impero la loro stessa crescita! E perciò ne sostengono a vari livelli e in diversi modi - e fino a un certo momento fondamentalmente con successo - lo sviluppo. Nonostante i conflitti interni alla compagine imperiale (conflitti legati soprattutto ai differenti interessi a livello regionale) quest'ultimo riuscirà, come tutti sanno, a sopravvivere ancora per parecchi secoli dopo la morte di Ottaviano Augusto. Evidentemente, la sua forza starà nel saper calibrare bene il rapporto tra le proprie risorse militari e coercitive (vaste, anche se non illimitate) e gli interessi particolaristici delle zone che lo compongono. Un tale capacità di mediazione e di compromesso manterrà questa immensa entità politica e militare relativamente compatta ancora per svariati decenni. I punti di forza che ne consolidano l'integrità territoriale, contribuendo al tempo stesso al benessere di una gran parte dei propri cittadini, sono: - la capacità di
fare circolare le merci e la ricchezza al proprio interno (si parla a
tale proposito di capitalismo distributivo) Col tempo inoltre, la città di Roma diventerà sempre di più la capitale solo nominale dell'Impero, perdendo quel ruolo di effettiva preminenza sugli altri territori che aveva avuto ancora nei secoli della Respublica, e divenendo più semplicemente il centro dirigenziale di esso, ovvero la sede ufficiale per ragioni storiche e di tradizione dell'Imperatore - il quale assieme alla corte costituirà invece il vero centro dello Stato. Ciò perché gli interessi in gioco diventeranno gradualmente troppo vasti per poter coincidere con le istanze politiche della capitale, e per poter trovare quindi in esse un effettivo riscontro. [1] Trimalcione è il classico villano rifatto, che in ogni sua manifestazione tradisce la bassezza della propria origine plebea, la sua educazione volgare, la bassezza grossolana dei suoi gusti. Fra gli studiosi dell'opera di Petronio, c'è chi ha visto in lui la personificazione di Nerone, chi invece una feroce satira di tutti quei liberti (fatti assurgere da Nerone stesso alla carica di suoi ministri e funzionari) che, sfruttando ogni loro più venale istinto, gravitavano arricchendosi intorno alla corte imperiale. E tuttavia Trimalcione è uomo, a modo suo, non privo di "qualità": sa bene come concludere un buon affare, anche se non esattamente pulito; è un gran conoscitore del mondo e della società in cui, manigoldo fra i manigoldi, deve destreggiarsi, e non gli manca quella carica di ottimismo a tutti i costi che gli permette di non farsi mai scoraggiare da impedimenti e difficoltà. Il classico parvenu, che però, al contrario di molti altri, non ci prova nemmeno a nascondere le sue basse origini e la sua marcata grossolanità, e che persino verso i suoi schiavi sa mostrare tolleranza e benevolenza. www.alalba.it (torna su) Economia e classi sociali nel mondo romanoEconomia di scambio e di consumoL'agricoltura romana fra Catone e VarroneSindacati e associazioni di categoriaIl sistema tributario dell'antica RomaGuarda lo schema della stratificazione sociale agli inizi dell'imperoAdriano Torricelli |
- Stampa pagina Aggiornamento: 11/09/2014 |