STORIA ROMANA |
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CRISI E FINE DELL'IMPERO ROMANO
I La storia dell'impero romano inizia con un omicidio leggendario (quello di Remo da parte di Romolo) e finisce con un'ecatombe, quella della fine della civiltà latina classica. Si era iniziato con lo scontro tra allevatori e agricoltori, si era proseguito con quello tra patrizi e plebei, tra latini e italici, tra liberi e schiavi, tra pagani e cristiani, tra proprietari terrieri e mercanti, tra senatori e imperatori, e si finì col ripristinare quei rapporti di economia naturale che nel corso di tutta la Repubblica e di tutto l'Impero si era cercato di sostituire con quelli dell'economia mercantile e schiavile. Tuttavia nel momento in cui si cominciò a ripensare al valore del mercato in favore di quello dell'autoconsumo, non si fu più in grado di resistere alla pressione delle cosiddette popolazioni "barbariche". Questo perché in un sistema di autoconsumo non esiste più un potere centralizzato in grado d'imporre sacrifici disumani ai propri sudditi (in termini di tasse, servizio militare ecc.). E i cosiddetti "barbari", avendo dovuto subire per secoli il dominio o comunque la pressione romana, che li indusse letteralmente a cambiare stile di vita, non si fecero tanti scrupoli quando riuscirono a sfondare le porte dell'Impero. L'ultimo grande tentativo che il potere imperiale fece d'imporre la propria volontà dispotica fu quello di Diocleziano, che non tenne in alcuna considerazione il senato, che decentrò la capitale dell'impero in quattro sedi più utili per la difesa dei confini, che creò forzosamente il servaggio dei contadini e che perseguitò duramente il cristianesimo. Dopo di lui, gli imperatori, se volevano continuare a fare le stesse cose, dovevano come minimo cercare il consenso dei cristiani. E fu così che Costantino ebbe la meglio. La sua storia merita un capitolo a parte. Costantino non era amato in Italia ed era figlio illegittimo di Costanzo Cloro. Per ottenere dai cristiani il consenso politico-militare con cui eliminare il rivale Massenzio, che veniva visto dal senato e dal popolo di Roma come occasione di riscatto dalla dittatura di Diocleziano, aveva dovuto promettere di concedere loro piena libertà di culto e la restituzione dei beni confiscati dai precedenti tetrarchi. Cioè in pratica Costantino, acclamato Augusto dalle proprie legioni in Gallia, voleva proseguire le riforme di Diocleziano proprio con l'aiuto di quanti avevano odiato quest'ultimo più di tutti: i cristiani. La Roma pagana e imperiale, le cui istituzioni volevano imperatori a proprio uso e consumo, non avrebbe tollerato né una riedizione di quelle riforme né, tanto meno, un'eccessiva tolleranza nei confronti dei cristiani. Nessuna riforma dei tetrarchi era piaciuta e infatti tutta la loro impalcatura era in procinto di cadere rovinosamente. D'altronde anche Costantino era dell'avviso che nessuna tetrarchia avrebbe potuto sussistere se qualcuno dei quattro sovrani - come ad un certo punto avvenne - avesse cominciato a rivendicare il principio della successione ereditaria o se qualcuno di loro avesse pensato di farsi portavoce di interessi esclusivi da parte della corrotta Roma. Costantino era un sovrano molto intelligente ma non era certo un diplomatico. Con l'Editto di Milano del 313 mantenne le sue promesse nei confronti dei cristiani, ma decise anche di eliminare tutti i rivali alla sua idea di monarchia assoluta e semidivina. A sorpresa fece fuori Licinio (e tutta la sua famiglia), col quale aveva firmato il suddetto editto e combattuto contro Massenzio. Avendo ottenuto il pieno appoggio da parte delle autorità ecclesiastiche, si sentì autorizzato a imporre una monarchia assolutistica, compiendo persino stragi ingiustificate in ambito familiare, che mai l'autoritario Diocleziano s'era sognato. Certo è che quando trasferì la corte da Treviri a Bisanzio (330), chiamando quest'ultima "Nuova Roma" (poi Costantinopoli), non dovette suscitare molti entusiasmi presso la sede pontificia, anche se da tempo si era abituati a vedere gli imperatori snobbare la città di Roma. Già Cesare aveva avuto l'intenzione di spostare la capitale ad Alessandria o ad Ilio (Troia). Tuttavia, siccome era astuto e non voleva noie da parte dei cristiani, che costituivano la base del suo consenso politico, Costantino cercò di far inghiottire al clero romano il boccone amaro di Bisanzio, favorendo la sua sede e la cristianità in generale in tutti i modi. P.es. esentò dalle imposte le proprietà ecclesiastiche; riconobbe alla chiesa la capacità di ricevere legati; stabilì tribunali speciali per il clero; permise agli accusati di sottrarsi alla giurisdizione dei magistrati ordinari e di ricorrere al foro ecclesiastico; accolse i vescovi alla propria corte; riconobbe la domenica come giorno festivo per tutti; donò al pontefice vari edifici e gliene costruì altri a proprie spese. La chiesa ricambiò proclamandolo "santo" e "pari agli apostoli" (isoapostolo). Forse il suo colpo da maestro fu quando a Nicea convocò il I concilio ecumenico, nel 325, con cui mise fuori legge l'eresia ariana: cosa che piacque molto al papato, anche se questi apprezzò meno la decisione di mettere sullo stesso piano, in uno dei decreti collaterali, la preminenza dei vescovi di Roma con quella dei vescovi di Alessandria. Servì comunque a poco all'impero il fatto che Costantino volesse tenere in piedi l'idea dell'assolutismo monarchico, cercando un'alleanza col cristianesimo. Alla sua morte i tre figli fecero di nuovo ripiombare l'impero nel caos, al punto che si ripristinò la prassi della nomina dell'imperatore da parte del proprio esercito. Questi contrasti interni indebolirono enormemente l'impero, che non fu più in grado di resistere alle pressioni barbariche. Il II concilio ecumenico, quello di Costantinopoli (381), fu dettato dalla disperazione, esattamente come l'Editto di Tessalonica dell'anno prima, con cui Teodosio e Graziano vollero imporre il cristianesimo "ortodosso" come religione di stato, contro qualunque forma di eresia o di paganesimo. La libertà di pensiero era finita. Teodosio tuttavia non s'era reso conto che, concedendo così ampi poteri alla chiesa, questa avrebbe potuto approfittarne per ridurgli le pretese assolutistiche o comunque l'indipendenza civile. Cosa che appunto fece, con Ambrogio, che parlava a nome della chiesa romana, pur essendo titolare della cattedra milanese, e che lo scomunicò per i tragici fatti di Tessalonica. Ambrogio d'altra parte non vedeva l'ora di coglierlo in fallo, poiché proprio col II concilio ecumenico era stato proclamato che la sede episcopale di Costantinopoli non aveva meno importanza di quella romana. Fu proprio per le accresciute pretese politiche della sede pontificia che l'autorità imperiale di Bisanzio si staccò progressivamente dall'area occidentale dell'impero, indebolendola in maniera irreparabile nello scontro coi barbari. II Tutti i tentativi degli imperatori di risolvere la crisi dell'economia schiavile-mercantile fallirono miseramente, per la semplice ragione che ogni volta si finiva col centralizzare ulteriormente il potere politico. Il durissimo scontro tra senato e imperatori era dovuto al fatto che i senatori (all'inizio proprietari terrieri, poi anche equites, funzionari di stato ecc.) si erano arricchiti enormemente in seguito all'espansione dell'impero, speculando sulle sue risorse umane e materiali e mandando in rovina i piccoli e medi agricoltori e artigiani, che divennero ad un certo punto, da "cittadini liberi" che erano, degli operai salariati e spesso addirittura degli schiavi. Quando si creò un'imponente massa di diseredati, emersero dalle file degli eserciti delle figure carismatiche che dissero di voler difendere la causa degli oppressi contro gli egoismi e le prepotenze dei senatori, dei latifondisti, degli speculatori, degli affaristi senza scrupoli. La figura dell'imperatore fu una conseguenza della crisi economica che i grandi proprietari avevano creato proprio grazie all'espansione dell'impero, di cui le guerre puniche e le conquiste di Cesare furono l'anello principale. Quanto più l'impero di espandeva, tanto più le ricchezze si concentravano nelle mani di poche persone. Questo in un certo senso è paradossale, poiché in teoria il benessere dovuto alle conquiste avrebbe dovuto essere distribuito a una gran parte di popolazione. In realtà gli sforzi per ottenere le vittorie militari venivano sostenuti da cittadini che poi ne beneficiavano solo in misura limitata, anzi, spesso i contadini che partecipavano alle imprese belliche, trovavano, al ritorno, che la concentrazione della proprietà terriera s'era ancor più allargata a loro spese. La professionalizzazione dell'esercito fu anche la conseguenza del fatto che chi aveva famiglia non poteva permettersi il lusso di andare a combattere. Non dipese solo dal fatto che quando si raggiunge un certo benessere, non si è più disposti a fare sacrifici. Anzi, al tempo di Diocleziano l'esercito era enorme e perennemente in stato di guerra, proprio perché ci si rendeva conto che, in condizioni economiche particolarmente disagiate, l'arruolamento poteva essere un'occasione di riscatto. E Diocleziano teneva in grande stima i propri militari. I senatori non erano contrari agli imperatori, ma li volevano al loro servizio, affinché le loro ricchezze continuassero ad aumentare. Ma siccome per le masse diseredate spesso non vi era altra soluzione che entrare negli eserciti, furono proprio queste che ad un certo cominciarono a decidere chi doveva diventare imperatore, cioè chi doveva detenere tutto il potere politico e insieme militare. Tuttavia, quando gli eserciti diventarono arbitri dell'impero, la situazione economica era già in procinto di rovesciarsi da mercantile a naturale. Diocleziano arrivò persino a riscuotere i tributi in derrate alimentari e a pagare in natura i propri militari. In un'economia naturale è molto difficile mantenere grandi eserciti, a meno che il numero dei sottoposti non sia enorme, in un territorio molto vasto, e non vi sia la volontà di ribellarsi alla rapacità fiscale dello Stato. I militari devono accontentarsi di non essere pagati in denaro e bisogna trovare il modo di tenere sotto controllo un'economia i cui centri di potere, amministrativo ed economico, si decentrano sempre più, aspirando a una certa indipendenza. Ma un'economia di autosussistenza tende a diventare autosufficiente sotto tutti i punti di vista, ivi incluso quello della propria sicurezza. E' molto difficile, in queste condizioni, mantenere un grande esercito di professionisti. L'esercito romano era sempre più costretto a cercare compromessi col nemico; ed è evidente che quando, per difendere i propri confini, si cercano compromessi coi propri rivali confinanti (concedendo spazi di manovra, terre da gestire, mura da edificare, collaborazione in campo militare), quest'ultimi, ad un certo punto, si renderanno conto di poter alzare quanto vogliono il prezzo della loro collaborazione. Se questo prezzo diventa troppo alto e il "romano" lo rifiuta, l'invasione è inevitabile. Ma perché la parte orientale dell'impero sopravvisse per altri mille anni? Perché nei confronti delle popolazioni barbariche, tutto sommato, fu più tollerante. L'altro motivo è che, in politica interna, mantenne la distinzione tra potere civile e potere ecclesiastico, mentre, per quanto riguarda l'economia, lo Stato cercò di tutelare i piccoli contadini contro le pretese dei grandi latifondisti. Lo Stato cioè si sforzò di non rappresentare soltanto gli interessi della grande proprietà, ben sapendo, per esperienza, che in questa maniera si sarebbe trovato debole sul piano militare. Lo Stato cercò invece di favorire l'autonomia, anche militare, delle realtà locali autosufficienti, imponendo ai proprietari terrieri il rispetto di regole comuni e il riconoscimento di un'istituzione centralizzata, anche in nome di un'unica ideologia sociale: il cristianesimo. In questa maniera erano le stesse realtà locali a essere interessate a difendere i confini dell'impero contro gli invasori. La morte dell'impero bizantino fu semplicemente dovuta al fatto che le realtà locali, ad un certo punto, trovarono che gli invasori erano migliori del loro proprio Stato. |
- Stampa pagina Aggiornamento: 11/09/2014 |