MINOSSE ALIAS MINOTAURO
Secondo varie mitologie (cfr Omero, Odissea, Diodoro Siculo,
Biblioteca storica; Apollodoro, Biblioteca; Plutarco, Vita di
Teseo; Ovidio, Metamorfosi) Minosse sarebbe stato figlio di Zeus, che
trasformatosi in toro, avrebbe rapito e sedotto una bellissima fanciulla
dell'isola di Creta, chiamata Europa (Ellotide),
di origine fenicia, e sarebbe stato adottato
da Asterione re di Creta. Il che vuol dire che non si conosce il vero padre di Minosse, il quale, come fratelli, aveva Radamanto e Sarpedone, che
col tempo sarebbero diventati sovrani, rispettivamente, di Festo e Milatos.
Minosse, invece, come vedremo, avrà la signoria su Cnosso, cercando a più
riprese di allargare i propri domini. Europa dunque sarebbe stata sedotta da un potente dell'isola (lo stesso Asterione?), fatto passare per Zeus, nelle sembianze di un toro che sorgeva dai flutti del mare. Spesso - come si può notare - gli aspetti mitici vengono in soccorso a verità incresciose o poco edificanti. Minosse divenne marito di Pasifae, da cui ebbe Catreo, Deucalione, Glauco e Androgeo e due figlie, Arianna e Fedra (altre figlie vengono considerate solo come divinità decadute). Alla morte del padre adottivo fu scelto come re e legislatore della stessa Creta, perché, invocando un segno da parte degli dèi, ottenne che Poseidone facesse uscire dal mare un bellissimo toro bianco: questo ovviamente sta a significare che tra lui e i fratelli vi fu un'aspra lotta, dalla quale uscì vittorioso Minosse, che sicuramente avrà usato mezzi e metodi che il mito preferisce tacere. |
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Il racconto prosegue dicendo che, avendo mancato alla promessa di immolare il bianco toro al dio, Minosse fu amaramente punito, poiché la moglie, esasperata dai suoi continui tradimenti extraconiugali (1), s'invaghì del medesimo toro, e da esso, con l'aiuto dell'ingegnoso Dedalo, concepì un figlio mostruoso, il Minotauro, che Minosse fece relegare nel Labirinto costruito dallo stesso Dedalo.
Qui la fantasia del narratore s'è davvero sbizzarrita. Pur di salvare la faccia al protervo Minosse, ha inventato un rapporto sessuale contronatura tra la moglie e un animale. E' evidente che il mito riflette, giustificandolo, un periodo storico in cui a un ruolo significativo della donna si era passati a uno subordinato.
Da notare inoltre che, generalmente, in tutti i miti qualunque tentativo umano di affermare l'ateismo viene sempre pagato con crudeli punizioni, al punto che quasi sempre l'orgoglio, l'arroganza, l'insolenza degli eroi viene fatta arbitrariamente dipendere proprio dall'autocoscienza ateistica ch'essi vantano.
Ma è interessante notare che in questo mito Pasifae ripaga Minosse della sua stessa moneta e che Minosse non infierisce su di lei (forse Pasifae aveva preso a tradirlo con uno dei principali funzionari di Minosse, un certo Talos (2), che aveva il compito di pattugliare tutti i villaggi per verificare l'applicazione delle leggi: e faceva questo con una testa di toro messa sul proprio capo, a scopo di impressionare i sudditi).
La leggenda narra inoltre che Pasifae lanciò al marito una maledizione per la quale ogni volta che lui s'accoppiava a una donna, uscivano dal suo corpo serpenti e scorpioni che la divoravano. Solo Procri, moglie di Cefalo, lo liberò dall'incantesimo grazie alla "radice di Circe".
E' molto strano questo rapporto tra Minosse e Pasifae: si ha l'impressione che i due, nonostante il loro inferno domestico, non volessero assolutamente lasciarsi. Pur di tradire la moglie e nel contempo di non perderla, Minosse era persino disposto a uccidere le donne con cui giaceva, forse per non averle come testimoni. Come se volesse salvare un'apparenza indispensabile alla tutela del proprio potere.
Poi, siccome Androgeo, uno dei figli di Minosse, fu ucciso dagli Ateniesi, il padre li combatté e, vintili, li costrinse al tributo di sette giovani e di altrettante giovinette da inviare, ogni anno (oppure ogni otto anni) (3), a Creta per essere divorati dal Minotauro.
Atene, stanca di questo vergognoso tributo, che già per tre volte aveva dovuto pagare, decide di mandare, tra le vittime da sacrificare, l'eroe Teseo, figlio del re Egeo, con l'incarico di eliminare il Minotauro. Con l'aiuto di Arianna - e quello di Dedalo, che fornì il noto gomitolo -, egli riuscì nell'intento, e Minosse, non potendo punire la figlia ch'era fuggita con Teseo, se la prese con Dedalo e lo rinchiuse, col figlio Icaro, nel labirinto, dal quale Dedalo riuscì a fuggire col suo famoso volo, riparando in Sicilia presso il re Cocalo.
Minosse lo rintracciò, ma fu ucciso da Cocalo, istigato dalle proprie figlie, ammiratrici della ingegnosità di Dedalo. Ma questa è già una leggenda posteriore, che prosegue dicendo che Giove, in riconoscimento del senso di giustizia e di saggezza col quale Minosse aveva regnato, lo fece giudice dei morti nell'Averno insieme a Eaco e Radamanto.
Gli scavi condotti a Creta nel XX sec. confermano che Minosse creò un impero marittimo sull'Egeo meridionale dalla Caria fino ad Atene, eliminò i pirati, emanò sagge leggi (talassocrazia o "governo del mare"), ecc. Ricordiamo che un libro di Platone porta il suo nome.
Come si può notare, le leggende più recenti sono ancora più magnanimi nei confronti degli orrori o comunque delle debolezze di Minosse.
* * *
Se noi volessimo dimostrare la pura e semplice verità, dovremmo attenerci a quanto attesta la moderna archeologia, e cioè che il labirinto trova il suo riscontro nelle caverne con percorsi complicati fino a 56 metri di profondità e concrezioni somiglianti a dei mostri rinvenute nell'isola. Tali grotte avevano un significato di iniziazione per i figli dell'aristocrazia, che, superate alcune difficoltà, entravano nella società degli adulti. Sono stati trovati dei resti di offerte, in queste caverne, fino al III sec. d. C.
Ma è anche possibile che il labirinto altro non sia che una trasposizione fantastica dell'antico palazzo di Cnosso, che aveva un'area di 16.000 mq, più altri 4.000 mq di cortili, e che era formato da un groviglio inestricabile di circa 1300 stanze. Minosse, il cui titolo dinastico significava "il fortunato" o "il re", risiedeva in questo palazzo, a circa 250 metri a nord-ovest del tempio, che era amministrato da un clero essenzialmente femminile.
Al tempo della fioritura della cultura minoica il palazzo aveva due o tre piani, ivi inclusi i locali sotterranei, nei quali si trovava di tutto: sale per il culto, per i ricevimenti, i bagni e l'acqua potabile, il tesoro, le cantine, le officine, i magazzini alimentari, le armerie, le prigioni ecc. Il palazzo resterà per molto tempo la sede dei re che governavano Cnosso e tutta Creta ed anche la dimora dei funzionari dell'amministrazione statale. Non sono state trovate fortificazioni o mura difensive, semplicemente perché la forza dell'isola consisteva nella flotta di navi da guerra con cui poteva dominare i mari.
Le pareti sono ancora oggi adorne di pitture che raffigurano una società elegante, amante degli spettacoli e dei divertimenti, di festose danze e di giochi. Il teatro poteva contenere 4-5.000 spettatori.
Sappiamo inoltre che tra i giochi del palazzo vi era anche quello della taurocatapsia o tauromachia ("lotta col toro"), il più seguito, che consisteva in questo: un toro veniva aizzato contro un giovane (o anche una giovinetta); il giovane doveva afferrare le corna del toro che si avventava a testa bassa contro di lui, fare una giravolta acrobatica per aria e ricadere in piedi dietro il toro. Naturalmente non sempre l'esercizio riusciva, perché spesso il toro colpiva a morte il giovane, ed è forse per questo che i cretesi imponevano ai popoli soggetti di inviare loro annualmente come tributo un certo numero di giovani che dovevano dar vita a uno spettacolo rischioso che ancora oggi sussiste nelle corride spagnole.
Il toro per i cretesi era un animale sacro, il simbolo della forza e della potenza generatrice della natura: per questo è costantemente raffigurato nelle opere d'arte dell'isola.
L'altro simbolo più usato era la bipenne, cioè l'ascia a doppio taglio, detta labrys in lingua cretese, da cui forse proviene il termine labirinto. La bipenne era il simbolo di una divinità del sole e del fulmine, identificata poi con Zeus che, secondo il mito, sarebbe stato allevato, quand'era bambino, sul monte Ida di Creta. Ma la bipenne era anche il simbolo della forza e del potere di Minosse, re e gran sacerdote, rappresentante di Zeus sulla terra.
Detto questo, il discorso sarebbe già chiuso, poiché i dati in nostro possesso sono scarsissimi. Se invece vogliamo far fare alla nostra fantasia dei voli pindarici, dobbiamo azzardare un'interpretazione che va ben al di là di quanto l'archeostoria ci possa offrire (a proposito, gli scavi nella zona di Cnosso sono iniziati nel 1893, per opera dell'archeologo Evans e proseguiti con Halbherr, Pernier, Paribeni).
Minosse per noi è il simbolo della fusione mal riuscita, nella stessa persona, dell'attività politica e della sensibilità umana. Questo a prescindere da quanto il mito abbia voluto trasmettere, che è sicuramente un mito più miceneo che minoico, o comunque è un mito di compromesso, in quanto Teseo non infierisce su Minosse, dopo aver ucciso il Minotauro: il che può anche far supporre a una coesistenza relativamente pacifica tra le due civiltà.
Il mito in questione ha voluto attribuire il fallimento della vita privata di Minosse a due fattori: l'ateismo, come peccato di gioventù, e la dissolutezza della moglie, indipendente dalla sua volontà.
In questo modo si sono evitate due cose:
e si sono ribaditi due pregiudizi, tipici delle società antagonistiche:
Il mito è:
Qual è dunque la funzione simbolica del labirinto? E' il tentativo, vano, da parte di Minosse di mascherare le proprie incoerenze, ipocrisie... Forse è anche il tentativo di usare la religione in maniera strumentale per fini politici. Il Minotauro cui ogni anno si devono sacrificare dei giovani (o degli schiavi o dei prigionieri) sembra essere usato come strumento di terrore o di minaccia per soggiogare nemici e sudditi.
Se il labirinto è così, allora si può spiegare il motivo per cui il Minotauro non sia stato ucciso dallo stesso Minosse: il Minotauro è la rappresentazione antinomica del lato umano di Minosse, mistificato da quello politico.
Dentro il labirinto vive, metaforicamente, lo stesso Minosse, che non vuole rinunciare al sé alienato della sua vita privata, nonché alla finzione di una vita pubblica irreprensibile. La stessa Pasifae che, disperata, aveva fatto di tutto per non perdere Minosse, pare ad un certo punto rassegnarsi all'idea di tenersi il marito nel labirinto degli orrori.
E' singolare come la stessa archeologia sia arrivata a dire, partendo da uno studio sulle religioni dell'isola, che il culto del toro sia andato di pari passo col culto della principale divinità dell'isola, che era una dea della fertilità: la Grande Madre, e che quindi il toro vada considerato o come un attributo della dea o come una divinità il cui nome originario era Minosse e Minotauro quello esplicativo duplicato. Officianti del culto del toro era all'inizio delle sacerdotesse, solo in seguito sostituite dal clero maschile.
Ancor più singolare è il fatto che la medesima archeologia abbia sottolineato come solo a Creta gli dèi nascono e muoiono; persino Zeus è un dio che nasce sul monte Ida, nell'antro Ditteo, e ha nell'isola la sua sepoltura.
Quanto al ruolo della donna, non appare mai nell'isola così subordinato a quello dell'uomo come nelle civiltà schiavistiche avanzate. Le donne, oltre a filare la lana, fabbricavano vasellame esattamente come gli uomini, andavano a caccia, guidavano con le redini i carri tirati da buoi, assistevano agli spettacoli e facevano persino le torere e le pugili. Anche nel matrimonio si scambiavano vicendevolmente le promesse con un identico gesto: alzando il braccio destro nell'atto di stringersi la mano. E sia il nome sia il patrimonio di famiglia era trasmesso ai figli dalla madre invece che dal padre. Non dimentichiamo che la prima divinità cretese fu la dea dei serpenti, protettrice della fecondità e quindi madre degli uomini.
Diverso il discorso sul piano del potere politico vero e proprio, da cui in genere le donne venivano escluse, e forse proprio il dissidio tra Minosse e Pasifae riflette, simbolicamente, questa mutata situazione.
Tuttavia Minosse alias Minotauro divora chi mette in discussione la sua parvenza di realtà, chi evidenzia la contraddizione tra forma e sostanza, poiché egli teme che, rinunciandovi, venga meno il potere di cui dispone.
Il mito del Minotauro è il tentativo di celare il fallimento della politica scissa dall'etica, e quindi è di fatto un mito istituzionalizzato. E' la rappresentazione simbolica del definitivo passaggio da una forma sociale comunitaria-primitiva a una chiaramente schiavistica. Minosse si rifiuta di sacrificarlo perché antepone al sé collettivo il sé privato, e la reazione della moglie non è che un tentativo malriuscito di ripristinare le prerogative della comunità d'origine. Questo mito è una sorta di peccato originale in versione pagana.
L'uccisione del Minotauro non è che l'espressione di una impossibilità, quella di poter continuare a celare ai cittadini del regno la dicotomia tra leggi giuste e società ingiusta. E' la presa di coscienza della debolezza intrinseca del potere, un colpo inferto alla sua apparente legalità e stabilità.
Nell'intreccio del mito Minosse non avrebbe mai potuto uccidere il Minotauro, perché sarebbe stato come uccidere se stesso, cioè la coscienza alienata. Il Minotauro cerca da 30 anni di fuggire dal labirinto ma non può, perché il labirinto gli è diventata la sua seconda casa, in cui può vivere la sua seconda natura.
Arianna, dopo che Teseo ha superato la prova, lo sceglie nella convinzione che vi sia maggiore coerenza là dove l'esistenza ha meno potere, là dove i rapporti umani sono più semplici, meno legati a interessi di dominio. Teseo rappresenta la volontà di Micene, civiltà culturalmente e politicamente più arretrata ma militarmente in ascesa, di voler arginare la diffusione della potenza cretese.
Tuttavia, il mito di Teseo e Arianna proseguirà a sfavore di quest'ultima, poiché essa verrà abbandonata sull'isola di Nasso da un Teseo che in sostanza l'aveva soltanto strumentalizzata e che comunque è incapace di offrire valide giustificazioni. Certo, si tratta di abbandono fisico più che di reiterate umiliazioni come nel caso dei rapporti di Minosse con Pasifae, ma resta il problema irrisolto di un ruolo subordinato della donna nelle vicende degli uomini, senza parlare del fatto che in ultima istanza Teseo non rappresenta un'alternativa democratica convincente al dominio dispotico di Minosse. Teseo, pieno di sé, dimentica di issare le vele bianche, segno della vittoria sul Minotauro, per rassicurare l'angosciato padre, e questi, non vedendole, si getta dalla rupe. Successivamente Teseo sposerà l'altra figlia di Minosse, Fedra.
Sarebbe qui interessante approfondire il mito di Teseo, mettendolo in relazione con la sconfitta politico-militare di Creta nei confronti della nuova potenza emergente: Atene. E' evidente infatti che la figura di Teseo è il simbolo di una nuova gestione del potere nell'isola, resa possibile dalla complicità di ambienti di corte o di ceti sociali che mal sopportavano l'autoritarismo dei sovrani e funzionari cretesi.
Quanto a Minosse, egli non si darà pace finché non avrà cercato di uccidere Dedalo, che forse, più di ogni altro, era a conoscenza dei risvolti negativi della vita privata del sovrano.
Dedalo infatti l'aveva aiutato in maniera decisiva, almeno per un certo periodo di tempo, a mascherare con l'inganno la doppiezza del suo atteggiamento di uomo e politico. Egli infatti rappresenta qui il volto mercenario dell'ingegno scientifico messo al servizio del potere istituzionale, in cambio di una vita agiata.
Dedalo, costretto per di più all'esilio dal suo paese d'origine, non ha riserve morali a orchestrare scenografie mistificanti che favoriscano la conservazione del potere. In parte egli nutre pure l'illusione di poter controllare il potere in virtù del proprio ingegno.
Minosse, quando giunge in Sicilia, è convinto di poter riconquistare il dominio sulla scienza che lo ha politicamente tradito nella persona di Dedalo, facendosi aiutare dal sovrano dell'isola, ma non ne ha la certezza, poiché sa già che in nome della forza non potrà ottenere ciò che desidera. In tal senso ha forse il presentimento che la sua vita è prossima alla fine.
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Non sono stati solo i miti e le leggende a parlarci di Minosse e della sua civiltà, ma anche dei testi di filosofia: p.es. il Minosse di Platone, databile verso il 350 a. C. Qui il re cretese incarna il re filosofo auspicato da Platone nella Repubblica e nel libro III delle Leggi, ma questo non toglie che sia sempre esistita una tradizione negativa su di lui dovuta ai tragici ateniesi.
In Platone viene detto che se la tradizione attica riteneva Radamante un giudice equanime, di Minosse invece dicevano fosse "un selvaggio, di pessimo carattere e ingiusto".
Tuttavia Platone preferisce la tradizione di Omero ed Esiodo, considerandole più attendibili e meno condizionate dalle vicende del Minotauro, ovvero dalla guerra tra Creta e Atene.
E fa notare - accettando una versione dei fatti incredibilmente ingenua - che in Omero viene detto che solo Minosse ebbe il privilegio di essere educato personalmente da Zeus, nessun altro eroe del suo poema, in quanto Minosse era un cosiddetto "timorato di dio". E Omero preferiva largamente Minosse a Radamante, che al massimo può essere considerato un giusto giudice ma non uno stratega politico o un legislatore.
Platone è addirittura dell'avviso che le migliori leggi di Creta siano state successivamente adottate da Sparta e che in Minosse non vi fosse alcuna contraddizione tra comportamento pubblico e privato. Insomma tutte le opinioni critiche su di lui provenivano unicamente dalle tragedie dei vari poeti ateniesi.
Questa la filosofia, che, come si può notare, non è meno irreale dei miti e delle leggende cantati o scritti dai vari poeti e letterati. Anzi, forse i miti e le leggende, nonostante il loro involucro fantasioso, riflettono una verità storica superiore alle stesse speculazioni di filosofia politica.
(1) Minosse ebbe moltissime amanti, tra cui Scilla, figlia di Niso, re di Megara, che gli consegnò, di nascosto del padre, le chiavi della città in assedio sperando di esserne ricambiata e che invece lui fece gettare in mare dai soldati. E poi la ninfa Paria, la sacerdotessa di Artemide, Britomarti, che per sfuggirgli fu costretta a buttarsi da una rupe dopo nove mesi d'inseguimento, e soprattutto Procri, moglie di Cefalo.
(2) La leggenda narra che Talos era stato donato da Zeus a Europa o da Efesto a Minosse. Il mostro dalla testa di toro doveva incutere timore, esattamente come tra i cartaginesi doveva fare Moloch, a cui sacrificavano persino i figli. Ma vi sono analogie anche con il mito semita di Baal, nonché nella leggenda di Falaride, tiranno d'Agrigento.
(3) La questione se uno oppure otto anni non è molto chiara; ne parla Omero nell'Odissea: "Quel Minosse regnò, che del Tonante ogni nono anno era agli arcani ammesso". L'antropologo J. G. Frazer sostiene che nell'antica Grecia il periodo di regno era limitato a otto anni, poi al re era necessaria una sorta di conferma da parte della divinità per poter continuare il mandato. Questa usanza, che si trova appunto anche a Creta, trova la sua ragion d'essere in considerazioni di tipo astronomico, secondo cui gli antichi avvertivano l'esigenza di far conciliare il tempo solare con quello lunare: p.es. solo una volta ogni otto anni il plenilunio coincide col giorno più lungo, o più breve, dell'anno. Il che spiega il motivo per cui Minosse ogni otto anni si ritirasse sul monte Ida a colloquio con Zeus per rinnovare il suo potere. E secondo Frazer il tributo dei 14 giovani va collegato proprio con questa cerimonia: rappresentavano il sacrificio da farsi per ottenere la conferma del trono.
CENNI DI STORIA DELLA CIVILTA' MINOICA - L'INTERO IPERTESTO (zip)