LA GRECIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
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Grecia e Macedonia nel periodo Parleremo qui di seguito sia della situazione degli stati greci alla vigilia della loro conquista da parte di Filippo II, sia della trasformazione politica e sociale che caratterizzò la Macedonia a partire dai tempi più remoti fino agli anni della reggenza di Filippo II (il quale infatti, con la propria opera riformatrice, apportò a tale stato quelle modifiche sostanziali che lo resero capace di esercitare un effettivo predominio politico e militare tanto sulla Grecia quanto sulle vicine regioni marittime).
Abbiamo già più volte detto come caratteristica della Grecia al termine della guerra del Peloponneso fosse l'assenza di un centro politico forte, ciò che aveva gettato l'intera regione in una situazione di forte instabilità politica e militare. Contrariamente a quanto si potrebbe presumere però, un tale sbandamento politico non era accompagnato da un indebolimento delle attività di carattere economico. Al contrario, possiamo dire che, soprattutto gli stati costieri (…e in primis ovviamente Atene), avessero conosciuto negli ultimi decenni un ulteriore e notevole incremento dei traffici e della ricchezza interna. Ci si potrebbe allora chiedere quale fosse la causa più profonda dell'indebolimento della potenza militare e imperialistica ateniese, dal momento che (seppure, come si ricorderà, l'influenza persiana sulle zone marittime e in generale sulle città-stato greche, si fosse fatta decisamente più forte rispetto al passato negli anni finali del grande conflitto intragreco) a tale città non mancavano certo del tutto le basi materiali per rifondare un solido dominio sugli stati egei: tanto su quelli a nord (Tracia e Ellesponto), quanto su quelli a sud (la zona ionica). Rimane insomma da spiegare perché, ad esempio, nei periodi immediatamente precedenti la discesa in Grecia di Filippo il macedone, si assistesse - con la "guerra sociale" ateniese, un evento di cui parleremo avanti - a un progressivo sfaldamento della rinata Lega marittima ateniese. La ragione di un tale indebolimento va forse rintracciata in una mutata atmosfera all'interno dello stato ateniese dopo la sconfitta del 404 (una sconfitta apportatrice non solo di profonde distruzioni materiali, ma anche di una vera e propria crisi di quegli ideali di potenza che erano stati - ed erano ancora - alla base della costruzione e del mantenimento della Lega marittima ateniese). In altri termini, la "batosta" recentemente subita aveva dimostrato alla popolazione ateniese come una politica imperialistica e militare quale quella dei decenni precedenti, non comportasse solo delle gratificazioni di carattere economico e politico, ma anche - almeno in potenza - delle gravissime sciagure, quali ad esempio - in caso di guerra - il rischio di una distruzione integrale della città e della sua stessa popolazione! Anche per tale motivo (…altre ragioni che furono forse alla base di tale tendenza, verranno analizzate nel prossimo paragrafo) si stava ormai facendo strada in Atene, e più in generale negli stati greci, una nuova idea di Stato: idea in base alla quale compito principale di quest'ultimo fosse quello di favorire i traffici e in generale la ricchezza di natura commerciale, fonti di ricchezza decisamente meno rischiose e più sicure di un dominio di carattere politico-militare. Alla precedente linea politica, di carattere imperialistico e 'nazionalistico', se ne andava insomma sostituendo un'altra (che potremmo definire, molto volgarmente, del "quieto vivere") di carattere essenzialmente 'capitalistico', secondo la quale necessità primaria per lo Stato era appunto quella di mantenere e incrementare la ricchezza derivante dalle attività commerciali e mercantili. Nonostante ciò, non si deve chiaramente credere che Atene rinunciasse di buon grado ai propri possedimenti e alle proprie influenze politiche sugli stati circostanti (oltre a tutto, fonte diretta e indiretta di notevoli ricchezze), che furono invece da essa strenuamente difesi, seppure in modo meno efficace rispetto al passato. Ma la parziale rinuncia, e la sostanziale incapacità di Atene ad esercitare un saldo controllo sulle zone limitrofe, privava queste ultime di una effettiva stabilità politica, gettando così ancor più sia la Grecia europea che le sue colonie egee in una situazione di forte instabilità politica - ciò che avrebbe ovviamente preparato il terreno alla conquista e all'egemonia su di esse della Macedonia a partire dal periodo di Filippo II. (b) Sviluppi economici e sociali delle città-stato greche nel quarto secolo : il progressivo affermarsi di un sistema produttivo su base schiavile Abbiamo parlato finora degli sviluppi del mondo greco, visto come un complesso di stati politicamente e militarmente interagenti tra loro. Ma vi è anche un altro aspetto da considerare: cioè quello inerente a quell'evoluzione sociale e produttiva - nonché quindi politica e ideologica - che rivoluzionò progressivamente il mondo sociale delle poleis, ponendo in sostanza la parola fine su quegli aspetti civili e comunitari (che potremmo anche definire, seppure in un'accezione molto allargata, "democratici"!) che caratterizzarono i periodi più felici della storia di tali istituzioni, ovvero il VI e - ancor più - il V secolo. La crescita esponenziale delle guerre, da cui derivava alle singole città-stato una sempre maggiore riserva di schiavi, aveva negli ultimi anni determinato il decollo definitivo di un sistema produttivo basato su una forza-lavoro di tipo schiavile - che sostituiva quella, in passato prevalente, basata su manodopera salariata. Un tale impiego tuttavia, oltre ad aumentare la produttività e quindi la ricchezza complessiva della società, finiva col tempo per determinare degli squilibri sociali sempre più evidenti, creando un baratro sempre maggiore tra cittadini poveri e cittadini ricchi (e ciò sia dal punto di vista della ricchezza, che da quello della sproporzione numerica). Da una parte infatti i cittadini meno agiati (i teti), i quali per necessità - non avendo delle proprietà agricole indipendenti - erano costretti per sostentarsi a vendere la propria forza-lavoro, si trovavano sempre più spesso privi di qualsiasi impiego cadendo così definitivamente in miseria; dall'altra, anche i cosiddetti 'ceti medi', proprietari di piccoli appezzamenti, soffrivano in modo crescente la concorrenza dei grandi proprietari terrieri e delle grandi imprese, le quali - potendosi ovviamente permettere una quantità di schiavi molto maggiore, e avendo quindi una superiore redditività e competitività sul piano commerciale - sempre più spesso ne determinavano il collasso economico, spesso inoltre riassorbendoli poi al proprio interno. Si andava insomma sviluppando una forma di "capitalismo su base schiavile" (molto diverso quindi da quello moderno, la cui base è invece da una parte l'impiego della tecnologica industriale, e dall'altra quello di una manodopera libera e salariata), le cui conseguenze inevitabilmente consistevano (come, del resto, accade anche nel capitalismo moderno) in una progressiva espropriazione delle classi medie e basse in favore di quelle più ricche, nonché di conseguenza in una progressiva crescita della sproporzione esistente tra una parte sempre crescente di popolazione ridotta in miseria (o che comunque si trovava in non facili condizioni economiche), e una fascia molto esigua di cittadini (grandi capitalisti) ricchi. Logica conseguenza di un tale tipo di sviluppo fu poi, per gli stati greci, una presenza sempre più massiccia di fasce di popolazione nullatenente la cui esistenza dipendeva interamente (o quasi) dall'assistenzialismo pubblico, ovvero dal contributo - le liturgie - dato dai cittadini più ricchi in favore della comunità (e ciò poiché, nel mondo greco, lo Stato non sviluppò mai un apparato finanziario ampio e articolato quale quello - ad esempio - sviluppato da Roma qualche secolo più tardi). La polis quindi, da un organismo di "piccole" dimensioni all'interno del quale si svolgeva un'intensa vita comunitaria e democratica, si trasformava ora in un organismo sempre più vasto, guidato dagli interessi economici dei cittadini più ricchi e funestato inoltre dai disordini e dalle rivendicazioni - quali, ad esempio, la richiesta di una nuova ridistribuzione delle terre - dei ceti più poveri. Essa, insomma, finiva col tempo per dividersi sempre di più al proprio interno, perdendo in tal modo quei connotati comunitari e partecipativi che in passato avevano favorito l'identificazione di tutti i suoi componenti in un unico corpo sociale, e che in ultima analisi l'avevano resa solida anche di fronte all'aggressività e alla rapacità di formazioni statali molto più vaste di lei (cioè, storicamente, l'Impero persiano). Ma l'esasperata lotta di classe era solo uno degli aspetti di quel cambiamento profondo che scuoteva dall'interno la vita delle poleis greche. Un altro di tali aspetti consisté nella progressiva professionalizzazione della politica, la quale da attività aperta a tutti diveniva - seppure molto spesso conservando l'apparenza delle regole della vita democratica - un'attività nelle mani di una ristretta cerchia di 'tecnici', di individui professionalmente competenti. Un altro aspetto essenziale fu poi quello della professionalizzazione degli eserciti, i quali, anziché da liberi cittadini (fondati quindi sull'adesione dei componenti dell'intera comunità), sempre più spesso finivano per essere composti da mercenari. L'impiego nelle milizie era difatti, non di rado, l'unica (o quasi) possibile risorsa di guadagno per coloro che vi lavoravano; altre volte invece costituiva una libera scelta di vita, in ragione del prestigio personale e delle grandi ricchezze di cui tale attività poteva essere fonte. [1] Possiamo dire dunque che, alla vigilia della conquista macedone, la Grecia non fosse - almeno da un punto di vista economico - una realtà in decadenza. All'opposto, rispetto ai periodi precedenti, vi era stato senza dubbio un notevole incremento delle attività produttive e di scambio! Era piuttosto su un piano politico e ideologico, che essa stava conoscendo una vera e propria crisi d'identità, che si traduceva in uno scollamento progressivo dei cittadini dalle attività politiche e in generale dalla vita collettiva. Una prova di ciò può essere costituita - tra l'altro - dal fatto che, anche una città come Atene, la quale - quantomeno più di tutte le altre - avrebbe avuto i mezzi necessari per costituire un punto riferimento e di forza a livello complessivo, proprio in quel periodo cominciasse a seguire una politica decisamente meno aggressiva rispetto al passato, badando più a incrementare le proprie attività commerciali e capitalistiche che non a mantenere - come aveva invece fatto nei decenni precedenti alle Guerre peloponnesiache - un solido imperio politico e militare sulle altre città-stato. E fu appunto, in un simile clima di disordine e di abbandono generali, che si svilupparono e andarono poi a segno i progetti di conquista politica e militare di Filippo e del vicino Stato macedone. - La Macedonia fino a Filippo II : stato e storia Premesso che della Macedonia - soprattutto per quanto riguarda i periodi più antichi della sua storia - si sa in realtà davvero molto poco, dovendocisi quindi limitare per molti problemi (tra i quali quello delle origini di tale popolo) a delle mere congetture, tenteremo qui avanti di delineare i caratteri essenziali di un tale Stato, dividendo la nostra trattazione tra una parte di carattere prevalentemente sociale e politico, e un'altra invece di carattere più specificamente storico. (a) Natura e struttura dello stato macedone Come molti altri stati delle regioni occidentali e non-elleniche dell'area egea, anche la Macedonia del IV secolo (nonché ovviamente - e a maggior ragione - quella dei secoli precedenti) potrebbe esser fatta rientrare nella categoria degli stati, occidentali e quindi privatistici, ancora fondamentalmente fermi a uno stadio feudale: essenzialmente gentilizi sul piano politico, agrari e pre-cittadini sul piano economico e sociale (cfr a tale proposito il primo capitolo, in cui si parla degli sviluppi occidentali dello stato, e delle loro differenze rispetto a quelli tipicamente asiatici). Come si ricorderà, in un tale tipo di stati, se da una parte il potere del sovrano - anche laddove esisteva - era fortemente limitato da quello delle grandi famiglie dei proprietari terrieri (un po' come accadeva del resto anche nella Grecia del cosiddetto 'periodo oscuro', o Medioevo ellenico…), dall'altra non si era ancora sviluppata - se non in misura tutto sommato trascurabile - una classe di artigiani e commercianti intermedia tra il popolo minuto (i contadini) e la nobiltà terriera, e nemmeno quindi una vera e propria vita cittadina. Le città difatti quasi non esistevano, assolvendo comunque principalmente un ruolo di carattere amministrativo. L'unico centro urbano di un certo spessore in Macedonia, era costituito da Pella, capitale di recente formazione. In Macedonia insomma, l'evoluzione sociale si era fermata a uno stadio agrario e tribale, trovandosi le famiglie della nobiltà a capo di tribù o clan le cui sedi erano ancora, più che delle vere e proprie città, dei villaggi gentilizi. Essa non aveva quindi ancora conosciuto quegli sviluppi cittadini e (si prenda un tale termine con "beneficio di inventario"…) borghesi, che in Grecia avevano ormai da secoli decretato la fine di un simile stadio sociale e produttivo. Da sempre in Macedonia il sovrano costituiva, nei confronti delle famiglie nobiliari, una sorta di "primus inter pares", la cui preminenza era legata soprattutto allo svolgimento delle attività militari, e uno dei cui punti di forza era inoltre il ruolo di difesa spesso assolto nei confronti degli strati più bassi della popolazione nei frequenti dissidi tra questa e la classe dei grandi proprietari terrieri (due tratti questi - quello di capo degli eserciti e quello di "difensore del popolo" - che ritroveremo come costitutivi anche delle figure pubbliche di Filippo II e di suo figlio Alessandro). Un altro elemento da considerare, è il fatto che la popolazione macedone - pur essendo, secondo recenti studi, dello stesso ceppo etnico di quella propriamente greca - non intrattenesse sin dall'inizio dei rapporti costanti e significativi con le vicine poleis elleniche: un dato questo, che costituiva una delle principali differenze tra i Macedoni e gli abitanti della vicina Tessaglia, i quali invece (nonostante i connotati spiccatamente 'arcaici' e gentilizi della propria organizzazione sociale) costituivano da sempre parte integrante della compagine politica e culturale propriamente greca. Solo col tempo, e con lo sviluppo di sempre più frequenti e profondi rapporti di carattere commerciale e culturale con le vicine città-stato greche, si ebbe un avvicinamento tra mondo ellenico e mondo macedone, un fatto che favorì notevolmente l'ammodernamento delle strutture politiche e amministrative di quest'ultimo, a tutto vantaggio ovviamente della sua potenza politica e militare. (b) Sviluppi della Macedonia fino a Filippo II Tratteremo qui avanti dei cambiamenti che, nel corso di circa due secoli, la struttura politica e militare dello stato macedone subì ad opera principalmente dei suoi sovrani, tralasciando però - sia perché scarsamente noti, sia perché poco pertinenti col discorso che vogliamo portare avanti - gli eventi particolari che ne scandirono la storia. Se inoltre nel prossimo paragrafo ci occuperemo delle molte imprese politiche e militari di Filippo II, qui di seguito invece, anche laddove parleremo di un tale sovrano, ci soffermeremo principalmente sui mutamenti che questi impresse (peraltro, fondamentalmente, in continuità con i suoi predecessori) alla società macedone. -- La Macedonia dalle origini fino a Perdicca III -- Si parla spesso - e non del tutto a torto - di Filippo II come di colui che pose in essere quella serie di modifiche dell'assetto politico e militare della Macedonia, che resero possibile l'enorme espansione territoriale di quest'ultima sia sotto la sua reggenza che sotto quella di suo figlio Alessandro. Non si deve tuttavia neanche dimenticare come molti dei sovrani che lo precedettero (soprattutto quelli a lui cronologicamente più vicini…) portassero avanti delle riforme di segno sostanzialmente analogo alle sue. Avvicinamento politico e culturale (nonché commerciale) alle poleis greche; sviluppo delle città e dei commerci (la Macedonia esportava difatti soprattutto legname e pece); riforma degli eserciti (in direzione di una maggiore partecipazione popolare) e delle strutture politiche statali (a favore di una maggiore coesione e unità dei poteri gentilizi locali attorno al potere centralistico della corona) - furono queste in sostanza le direttive di sviluppo dello stato macedone a partire dal sesto/quinto secolo in avanti. E fu nel solco di tali riforme che si collocò appunto la stessa azione riformatrice di Filippo II. Vediamo ora quali furono - e quali cambiamenti posero in essere - i principali sovrani macedoni prima di Filippo II. Del primo sovrano macedone, il cui nome fu Perdicca I e che governò nel settimo secolo, non ci resta alcuna notizia storica attendibile. Una delle prime informazioni storicamente affidabili riguarda il sesto secolo, quando il sovrano Aminta I diede riparo ad Ippia (figlio di Pisistrato) dopo la fuga di questi da Atene, in seguito alla fine della tirannide: segno tra l'altro, dell'esistenza di rapporti culturali già abbastanza sviluppati tra mondo macedone e mondo ellenico. Nel quinto secolo poi, tra i vari sovrani si distinse soprattutto Alessandro I, il quale - non a caso soprannominato "filelleno" - favorì ulteriormente l'avvicinamento culturale dello stato macedone alle vicine poleis greche, sostenendo tra l'altro l'origine peloponnesiaca degli Argeadi (la dinastia macedone), da lui considerati lontani discendenti del mitico re Agamennone! Alessandro I contribuì inoltre con la sua azione all'ammodernamento del proprio regno, e ciò soprattutto riformandone gli eserciti, ovvero con la creazione di una fanteria stabile composta dai contadini, che si affiancava al più antico esercito a cavallo (i "compagni" del sovrano) composto dalla nobiltà. Alla fine del quinto secolo si collocò il regno di Archelao (414 - 399), che riformò lo stato soprattutto dal punto di vista economico e sociale (favorendo lo sviluppo delle strade, dei commerci e delle città, queste ultime in qualità soprattutto di centri amministrativi e di reclutamento delle milizie dello Stato), ma anche da quello politico e burocratico (con la divisione del territorio in diversi distretti, ognuno con a capo una propria città; e col rafforzamento dell'autorità regale sulle regioni dell'alta Macedonia, da sempre particolarmente riottose a riconoscere la supremazia del sovrano). Particolare interessante, fu proprio alla corte di Archelao che Euripide scrisse le "Baccanti", una delle sue più belle e celebri tragedie, nella quale si narra la 'conquista della Grecia' da parte di un nuovo dio (Bacco) le cui origini non sarebbero autoctone ma orientali, provenendo egli dalle remote contrade dell'est (una premonizione - anche considerando la prossima identificazione di Alessandro Magno con tale divinità - di quelli che sarebbero stati gli sviluppi 'persiani' e asiatici del mondo greco…!?) La morte di Archelao gettò tuttavia il paese in uno stato di grave disordine, causando un'aspra lotta per la successione dinastica, e determinando inoltre una situazione di forte instabilità politica di cui gli Illiri (i vicini nord occidentali dei Macedoni) approfittarono molto presto, invadendo le regioni di confine e minando la stessa integrità territoriale del regno macedone. E fu proprio combattendo contro gli Illiri che perse la vita Pedicca III (365 - 359), l'ultimo sovrano prima di Filippo II, il quale assurse alla dignità regale proprio in qualità di tutore di suo nipote Aminta, figlio di Perdicca III e allora ancora infante. -- I cambiamenti dello stato macedone sotto la reggenza di Filippo II -- Elencheremo qui avanti, molto sinteticamente, il complesso di riforme che - lungo l'arco più o meno di tutta la propria reggenza - il nuovo sovrano Filippo II impose al suo paese. Nel corso del suo regno difatti, Filippo apportò dei mutamenti sostanziali tanto all'assetto dell'esercito, nonché più in generale al complesso delle tecniche militari in esso in uso (si ricordi, a tale proposito, come egli avesse passato gran parte della propria giovinezza, in qualità di ostaggio, presso la corte del grande stratego tebano Epaminonda : un'esperienza dalla quale senza dubbio ricavò nuove e stimolanti idee - cfr il precedente paragrafo), quanto all'assetto amministrativo e civile dello stato macedone. Quanto all'esercito, merito di Filippo fu soprattutto quello di riorganizzarne radicalmente la fanteria, una forza fino ad allora estremamente disordinata, soprattutto se paragonata alla più solida realtà della cavalleria (i "compagni" del Re, come già si è detto); e ciò con grandi vantaggi sia dal punto di vista dell'efficienza militare, sia da quello della coesione sociale del regno (la partecipazione del popolo alla guerra infatti, implicava - essendone al tempo stesso anche causa - una maggiore rilevanza politica di quest'ultimo; ciò che, in questo caso, avveniva anche a vantaggio del potere del sovrano, da sempre (come già si è accennato) difensore del popolo di fronte all'autorità dei nobili feudatari, e che ora perciò vedeva rafforzati i suoi stessi poteri.) Così, se circa due secoli prima i Greci avevano inventato la falange oplitica, Filippo II creava ora la falange macedone: un tipo di organizzazione militare destinato presto a rimpiazzare quello precedente, sia perché fondamentalmente più consono alle condizioni sociali e culturali che avrebbero caratterizzato tanto questo periodo (già segnato dal declino delle città-stato greche, piccole e indipendenti) quanto quelli futuri, sia per ragioni di natura squisitamente tecnica. Mentre infatti da una parte, i piccoli e agguerriti eserciti cittadini sorti nei tempi passati, stavano conoscendo un irrimediabile decadimento (essendo tra l'altro entrato in crisi quell'ideale patriottico e civile - essenzialmente fondato sull'idea d'autonomia delle poleis rispetto a ogni ingerenza esterna - che vi era a fondamento), dall'altra stavano gradualmente emergendo nuovi tipi di formazioni militari, caratterizzate da dimensioni più consistenti, da una più articolata ed efficiente organizzazione interna, nonché infine da tecniche di manovra fondate su un maggior dinamismo di azione (a tale proposito, bisogna notare che Filippo riprendeva e sviluppava a modo proprio la vecchia tattica di accerchiamento del nemico, elaborata pochi anni prima dal tebano Epaminonda...) E si dovette proprio alla riorganizzazione e ristrutturazione delle milizie operata da Filippo II (anche se ovviamente non solo a essa) se lo stato macedone riuscì in questi anni a sottomettere le regioni vicine, rivoluzionando con ciò i precedenti equilibri di potere vigenti tra gli stati balcanici ed egei. Riguardo poi alle riforme di natura più specificamente politica (riforme peraltro, come si può facilmente immaginare, strettamente connesse a quelle militari appena descritte) possiamo dire che esse, in continuità con quelle dei precedenti sovrani, puntassero soprattutto a rafforzare l'unità dei gruppi componenti la variegata nobiltà locale attorno al potere centralistico del re, l'ossequio al quale diveniva ora una condizione imprescindibile della loro stessa esistenza e della loro appartenenza alla nazione. In tali riforme infatti, si decideva che la gioventù aristocratica macedone dovesse vivere e essere educata presso la stessa corte del sovrano, favorendo così una sua completa identificazione con la causa nazionale rappresentata da quest'ultimo. Conquistata finalmente una certa stabilità e unità a livello politico, la Macedonia doveva ora innanzitutto dedicarsi ai problemi, causati (come si ricorderà) dell'invadenza e dall'aggressività dei popoli Illirici, che la affliggevano nelle zone di nord-ovest. [1] Notiamo qui, per inciso, la somiglianza con lo sviluppo di Roma. Anche lì infatti, lo sviluppo del sistema di produzione schiavile coincise con un notevole immiserimento delle classi dei piccoli e medi proprietari terrieri, con la formazione di una consistente plebe urbana, e con lo svilupparsi di eserciti mercenari i cui quadri erano in gran parte composti da cittadini nullatenenti, o comunque poveri, che in essi trovavano uno strumento di emancipazione dalla miseria. (torna su) |
a cura di Adriano Torricelli