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STORIA DELL’EGITTO ANTICO (3100 a.C - 31
d.C.)
I - II
Contatto
LA
SCRITTURA EGIZIALa
tradizione antica ne attribuisce l’invenzione a Thot,
Dio della Scienza, che si sarebbe servito di “segni” per comunicare agli uomini,
attraverso i suoi sacerdoti, le idee di cui era depositario, La scrittura,
sappiamo, è il veicolo trainante di idee. I popoli hanno cominciato a scrivere
mediante disegni che miravano ad esprimere i pensieri e molti di essi non hanno
superato tale stadio, ma gli egizi vi si staccarono presto.
Come, quando e dove è nata la Scrittura
Dopo la gestualità, il segno è stato il sistema di
comunicazione più importane per esprimersi e farsi
intendere. Linguaggio e Scrittura!
La
Scrittura, però, non è nata in Egitto, come spesso
si pensa. La parola geroglifico non è neppure
egizia.
Gero - Glifico
= sacro – segno : in italiano
hieros - gliphein =
: in greco
neter - medu =
: in egizio
I primi segni della Scrittura
erano ideografici: esprimevano, cioè, un’idea, un
concetto, un pensiero. Comparvero per primi in
Mesopotamia e precisamente ad Uruk, città sumerica. Immagini (non semplicemente segni) che volevano
esprimere qualcosa o, più precisamente, propiziarsi
atti ed eventi sono comparsi già 15.000 anni a.C.
La Scrittura, invece, compare e muove i primi
intorno solo al 3000 a.C. in Mesopotamia e
successivamente in Egitto, caratterizzandosi come
una serie di disegni che riproducono oggetti. Quegli
stessi disegni, successivamente, prenderanno una
forma che indicherà dei concetti o delle idee: prima
oggetti, poi concetti o, addirittura, oggetti e
concetti insieme. Tali concetti, però, sono
migliaia, perciò la Scrittura è qualcosa di molto
complicato e laborioso. Solo più tardi si passerà a
disegni che indicheranno suoni (disegni fonetici), i
quali verranno, in seguito, sintetizzati in sillabe.
Facciamo un esempio: il disegno di un volto
rappresenta il volto stesso e si pronuncia her. Tale
segno è: monosillabico - ideografico - fonetico.
Indica il suono della “r”.
Accostato con le
vocali, che ancora non ci sono, darà luogo a varie
interpretazioni e problemi. Esempio:
- her
vuol dire viso
- hor vuol dire tenda, ma
anche recinto
- hir vuol dire sopra, ma
anche occhio
Si dovrà arrivare al 1000 a.C. ed
aspettare i Fenici per restringere prima le sillabe
ad una ventina di segni e formare cioè, le
consonanti ed poi aggiungervi le vocali
In
Egitto, però, le figure accostate alle sillabe
continueranno a costituire a lungo un rebus, poiché
la Scrittura egizia continuerà ad essere formata da:
- segni ideografici - segni fonetici - segni
alfabetici
La confusione è creata dal fatto
che spesso lo stesso suono ha significato e segno
diverso: Esempio: con la pronuncia KA si
indicava:
- toro (con figura di toro)
-
spirito (con figura di due braccia alzate)
o
anche: pronunciando RA si indicava:
- sole (con la figura del sole)
- bocca (con la figura di
una bocca aperta)
La Scrittura egizia si può
così sintetizzare:
- Ideografica
- Geroglifica: Ieratica e Demotica
- Copta
e si può così dividere:
- Fonogrammi : segni fonetici (suoni)
segni sillabici
- Alfabeto
: solo consonanti
COME SI LEGGONO I GEROGLIFICI?
- Scrittura
sacra: da destra verso sinistra
- Altri tipi di scrittura: da destra a sinistra / da sinistra a
destra /
dall’alto in basso
- I determinativi: sono
figure che servono a rafforzare il significato della
frase e si trovano all’inizio o alla fine di essa.
Esempio: la figura di un coccodrillo indica
aggressività la figura di un uomo, una donna o di un
fanciullo indica che quella frase si riferisce ad un
uomo, una donna o un fanciullo…
Posizione del
corpo nella Scrittura:
- Corpo seduto: indica
semplicemente la persona (uomo, donna, fanciullo…)
- corpo seduto con carico: significa lavorare
- corpo seduto con sedia: indica nobiltà-dignità -
corpo in piedi col braccio alzato:
significa chiamare.
- corpo in piedi con
entrambe le braccia alzate: significa pregare
- corpo in piedi con bastone: indica uomo
oppure azione violenta
- corpo in piedi
appoggiato a bastone: indica la vecchiaia
-
corpo capovolto: indica peccatore o cattiveria
- corpo con mani legate dietro la schiena: indica un
nemico
Posizione delle mani nella Scrittura:
- mani unite e tese: indica negazione
- mani
alzate e unite: indica energia
- mani a
semicerchio: amicizia
- mani a pugno teso: generosità
- ecc…
Posizione delle gambe nella Scrittura:
- gamba
ben diritta: indica la gamba stessa
- due
gambe in movimento: indicano l’azione del camminare
- gamba piegata: significa avere fretta.
-
gamba che regge un vaso da cui cade acqua: indica
l’atto della purificazione
- ecc..
I SUPPORTI DELLA SCRITTURA
I supporti
principali della Scrittura furono due: la pietra e
il papiro.
- La pietra: era abbondante lungo
tutto il Nilo. Già ai tempi di Zoser troviamo
inscrizioni sulla parete di una cappella: si tratta
di figure e geroglifici colorati ed in bassorilievo,
che la luce doveva far risaltare.
- Il Papiro: i più antichi sono stati rinvenuti a Gebelein. (di questa pianta si rimanda ad un
approfondimento)
Altri materiali, utilizzati soprattutto a scuola:
legno laccato, ostraka,
calcare.
Materiali pregiati nell’uso rituale, ecc.:
cuoio, legno (piuttosto raro, a causa della sua scarsità),
lino (come
quello rinvenuto a Gebelein e risalente a
circa 9000 anni fa).
Intorno al 2000 a.C.
comparvero i primi sarcofagi i quali recavano
scritte e figure all’interno ed all’esterno. Nota:
benché fossero trascritti e copiati da Testi dei
Papiri, presero il nome di “Testi dei Sarcofagi”
Seguirono i “Libri dei Morti” in papiro Di solito le
iscrizioni erano limitate; abbondavano, invece, le
pitture della Dea del Cielo o dell’Aldilà. Vi sono,
sempre al Museo egizio di Torino, due esemplari
completamente coperti di iscrizioni.
Documenti della Scrittura
La Stele
E’ uno dei documenti scritti più diffusi dell’Antico
Egitto. Monumento di pietra di modeste dimensioni, su di
essa si condensa la decorazione delle pareti di
un’intera cappella. Proprio per questa
caratteristica è largamente diffusa, a partire
dall’Antico Regno.
Le Stele dapprima hanno forma
rettangolare, ma a partire dalla XII Dinastia sono
arrotondate; al di sotto, lo spazio si divide in
riquadri o registri, dove si alternano scene di offerte,
raffigurazioni dei defunti, preghiere agli Dei.
(Osiride, Anubi ed Horo, in particolare).
Oltre ad
essere monumento di famiglia nelle cappelle, la Stele
potevano essere anche: - Stele Religiose: poste in
luoghi sacri come Santuari e Templi; la decorazione
presenta persone nell’atto di preghiera o offerta e
Riporta Inni Sacri, come quelle poste nel Piramidion
(cuspide di piramide), che sormontava le cappelle del
Nuovo Regno. - Stele Regali: contenenti documenti
vari legati al Faraone ed alla sua funzione. -
Tavole d’offerta: riportanti anche sui lati, iscrizioni
riguardanti offerte. - Stele Magiche: appartenenti
soprattutto al primo millennio a.C. e costituenti,
praticamente, degli amuleti. Vi è raffigurato il defunto
che reca in mano una stele. La figura dominante è quella
di Horo-Bambino, posto su un coccodrillo e con in mano
serpenti e scorpioni. Simboleggia le proprietà
terapeutiche del Dio e tutt’intorno vi sono fittissime
iscrizioni e formule. Stele Commemorative:
riportanti eventi importanti come imprese,
battaglie,ecc.. Famose, tra le altre, sono quella
di Thutmosis III, che celebra la vittoria della
battaglia di Kerkemish e di Kamose che celebra la
cacciata degli Iksos dall’Egitto. - Stele di
confine: celebre è quella del faraone Akhenaton per
stabilire i confini della città di Aketaton.
Le
più numerose, però, sono quelle funerarie. Appartengono
ad epoche diverse e sono dissimili fra loro sia per
forma che per contenuto e fanno la loro comparsa già con
la I° Dinastia.
Stele
dell’Antico Regno
E’ una edicola ricavata
nella parete occidentale della cappella, dove si
svolgono i riti celebrativi per il defunto, che è
quasi sempre un nobile o dignitario di corte. E’
chiamata convenzionalmente “Falsa Porta” per la sua
struttura a forma di porta, con architrave, stipiti,
ecc. E’ un monoblocco di grande dimensione,
quadrangolare, ma più spesso rettangolare ed è
monocromatico e completamente rivestito di figure ed
incisioni distribuite sui registri. Nella parte
superiore è raffigurato il defunto davanti alla
mensa e sull’architrave sono riportati il nome ed i
titoli del defunto; lungo gli stipiti compaiono le
figure dipinte o incise dei membri della famiglia e
dei servitori, nell’atto di porgere offerte. Lo
scopo è quello di assicurare la sopravvivenza al
defunto attraverso un cerimoniale magico-rituale e
per questo è necessario pronunciare il nome del
defunto e recitare la “formula dell’offerta”. (vedi
post: “La complessa religiosità degli Antichi
Egizi”)
Stele del
Medio Regno
Nel Medio Regno la stele funeraria
conosce una profonda evoluzione, anche se lo scopo
resta sempre lo stesso. Le stele hanno
dimensioni minori rispetto a quelle dell’Antico
Regno. Anche la forma muta: sono arcuate, a
simboleggiare il firmamento e la via solare che il
defunto deve percorrere. Sono policromatiche e i
colori sono assai vivaci, che siano dipinte oppure a
rilievo. I registri sono due o anche più e
mostrano varie scene: - la figura del defunto,
che può essere da solo oppure con altre figure
minori. - scena con la “formula dell’offerta” - scena di preghiera, esortazione o
autoglorificazione. Come la stele di Meru, risalente
alla XI Dinastia. Di grande importanza poiché
riporta la data: 46° anno di regno del faraone
Metuhotep II. Meru è il Tesoriere del Faraone e
i colori predominanti della stele sono: - il
rosso (per la pelle degli uomini) - il giallo
(per la pelle delle donne) - il verde (per i
vegetali) (il verde dei geroglifici non è originale:
di solito si usava l’azzurro, che era il colore del cielo di Horo.) - il bianco (per gli abiti di lino) Altro esempio eccellente è quello della Stele di
Abkau, della XII Dinastia. Nel registro
superiore c’è una lunga iscrizione in
cui egli dice di aver raggiunto Abidos, “scala del Dio Augusto). Poiché questa “scala”,
nominata in più stele, corrisponde alla cintura
muraria del Tempio di Osiride ad Abidos, forse la
stele proviene proprio da lì. Nel registro
inferiore è riportata la scena del defunto assieme
alla moglie, Mentutepank, (in atteggiamento
affettuoso) davanti alla mensa. Compare anche la
figura della figlia Neferut, seduta ai suoi piedi,
che si appoggia con gesto affettuoso alle sue gambe. Sotto, infine, c’è il suo “diletto amico” Ib, il
quale, in veste di chery-webb, sacerdote-lettore,
dedica le offerte.
Nota: si tratta di persone di ceto meno
elevato di quelle dell’Antico Regno e questo
significa che c’è una più larga coscienza e
consapevolezza di sé, nel popolo, soprattutto se di
ceto medio. Nell’Antico Regno erano principi e
dignitari, qui ci sono anche architetti, tesorieri e
“nobildonne”, come si è definita una donna nel
registro della sua stele.
La stele nel Nuovo Regno
Sono le più
interessanti e numerose e si assomigliano tutte:
arcuate e coloratissime. Hanno dimensioni
ridotte, ma sono molto decorate; in legno dorato,
recano iscrizioni votive, propiziatorie e di
ringraziamento. I registri sono diversi e
presentano: - il defunto - Divinità varie
(soprattutto Osiride, Anubi, Horo) - Testo
scritto: con preghiere, ma anche scene del rito
della pesatura del cuore o del viaggio del defunto
nell’Aldilà.
La principale caratteristica di
queste stele sta nel fatto che il defunto non si
limita a menzionare i propri titoli (come in epoca
Antico Regno), ma vi aggiunge le qualità morali; a
questi elementi etici, inoltre, se ne aggiungono
altri di carattere religioso: gli Dei, che non
compaiono nell’Antico Regno, qui, invece, sono
menzionati ed invocati o, addirittura, pronti a
ricevere ed accogliere il defunto. Come nella
stele di Nanai, che rende omaggio ad Osiride ed
Anubi. Oppure quella di Kamose, Scriba reale dal
5° al 38° anno di regno del faraone Ramesse II.
Nota: le stele degli operai di Dei-el-Medina,
infine, sono tipiche e particolari poiché riportano
preghiere rivolte a Meertseger, Dea-Serpente,
Protettrice della necropoli; molte di queste stele
erano sparse nei luoghi frequentati da serpenti.
Le stele in Età Tarda
Sono presenti un po’ tutti
gli stili; ricompaiono perfino le False-porte. Policrome e molto arcuate, nei registri si scrive un po’
di tutto: dal viaggio del defunto attraverso la DUAT,
l’Aldilà egizio, alle scene di adorazioni agli Dei;
dalle iscrizioni riguardanti la vita del defunto a
quelle riguardante la storia degli Dei. Al Museo
egizio di Torino vi è una serie numerosa di queste
stele, con le seguenti caratteristiche: - l’Arco,
sotto cui il Sole in forma di Disco Solare occupa la
parte più significativa della stele - scene varie,
raffiguranti il viaggio della Barca Solare, del
Tribunale di Osiride, adorazione agli Dei, ecc.. -
iscrizioni varie, come quelle che seguono: “…
chiunque agisca contro questa stele sarà giudicato da
Dio, Signore del Cielo” oppure: “… io sono stato
molto amato dagli uomini…”
Una nota tutta
particolare, naturalmente, merita la Stele di Rosetta,
la quale ha permesso la decifrazione della scrittura
egizia.
Libro dei Morti, Testi delle Piramidi e Sarcofagi
TESTI DELLE PIRAMIDI
Sono conosciuti e convenzionalmente chiamati Testi delle
Piramidi, quegli scritti geroglifici incisi sulle pareti
di camere sepolcrali di alcune Piramidi risalenti alla
V° ed alla VI° Dinastia. Precisamente a quella di Unas,
(V° Dinastia) e dei Sovrani Pepi I°, Merenra e Pepi II°
(VI° Dinastia). Si tratta di Formule ed Incantesimi,
(Rew ed he-kau), le cui concezioni, a volte anche
primitive e discordanti tra loro, venivano redatte ad
esclusivo beneficio del Sovrano defunto: un
lasciapassare che gli permetteva di raggiungere il
Sole-Ra, nel Cielo. Secondo l’opinione di molti
studiosi, tale concezione sarebbe nata dalla filosofia
religiosa dei preti di Eliopoli, che fecero dell’Aldilà
un Paradiso Celeste a cui il Sovrano ascendeva
assumendo la forma di uccello, aspirando il fumo
dell’incenso o facendosi sollevare dai venti. In
questi Testi, infatti, vi sono descritti i Sekhet-Hotep
(Campi delle Offerte) e gli Hotep-Jaru (Paradiso
Celeste).
Verso la fine della VI Dinastia, una
rivoluzione democratica, però, riconobbe anche al
defunto comune il beneficio di tale “Paradiso”. Alle
raccolte filosofiche-religiose già presenti nei Testi
delle Piramidi, se ne aggiunsero molte altre: nuove
formule e nuovi incantesimi che, a partire dal Primo
periodo Intermedio, furono messe a punto e perfezionate. Fino al Medio Impero, quando alla raccolta fu dato,
(sempre convenzionalmente), il nome di “Testi dei
sarcofagi”.
TESTI DEI SARCOFAGI
Si trattava,
infatti, di testi redatti in geroglifici (ieratici
e demotici) e di scene illustrative presenti sui
sarcofagi oppure scritti su rotoli di papiro e posti
all’interno di questi.
I “Testi dei Sarcofagi”
conobbero varie evoluzioni rispetto ai “Testi
delle Piramidi”. Innanzitutto, in questi ultimi
erano totalmente assenti le scene illustrate e in
seconda analisi, con i sarcofagi fanno la comparsa
testi nuovi ed inediti, come quelli che vanno sotto il
nome di: - Libro dei Due-Cammini - Libro della
Am-Duat (l’Aldilà egizio) - Libro delle Porte -
Libro delle Caverne - ecc… la cui evoluzione parte
dal Primo Periodo Intermedio e continuerà fino al
periodo conosciuto come Epoca Tarda.
Il “Libro
delle Porte”, ad esempio, risale addirittura alla XVIII
Dinastia.
I “Testi dei Sarcofagi” (contenenti
incantesimi e formule magiche) e il “Libro dei
Due-Cammini”, (contenente un insieme di formule che
aiutano il defunto a muoversi nell’Aldilà),
costituiscono la fase di transizione con il “LIBRO DEI
MORTI”, il più importante Testo Funerario della civiltà
egizia.
LIBRO DEI
MORTI
Così come convenzionalmente si era data
una denominazione alle incisioni ed ai testi trovati
nelle Piramidi e sui Sarcofagi, anche per queste
nuove raccolte fu usato un nome convenzionale:
“Libro dei Morti” Un nome, forse, addirittura
arbitrario: gli antichi Egizi, infatti, non
avrebbero mai qualificato con il termine “morto” una
persona umana… Non secondo il nostro concetto:
“morire” era, per quel popolo dalla complessa,
straordinaria concezione filosofica, solo un
“momento di transizione”. (vedere post: La complessa
religiosità degli Antichi Egizi) Per comodità,
dunque, si è convenuto di dare all’insieme di questi
nuovi scritti ed illustrazioni, il nome di “Libro
dei Morti” e così faremo anche noi. E’ utile,
però, sapere da chi e quando, quei testi presero
questa denominazione. Fu l’egittologo tedesco
Karl Richard Lepsius, quando fece una seconda
traduzione del famoso papiro conosciuto come “Il
Papiro di Torino”, dando alla raccolta il nome di
Todtenbuch, ossia Libro dei Morti e così è rimasto
fino ad oggi.
Il “Libro dei Morti” si sviluppò
solo a partire dal Nuovo Impero. Bisogna, però,
fare una precisazione: non si tratta di un “Libro” e
tanto meno di un “Libro Sacro”, paragonabile, ad
esempio, alla Bibbia, al Corano o al Vangelo o a
qualunque altro Libro Sacro. Si tratta, invece, di
una Raccolta di Testi Magici e Incantesimi Funerari
con inseriti Inni a Ra e ad Osiride, con la quale si
voleva proteggere il defunto nel viaggio attraverso
l’Aldilà. Quelle formule, redatte su papiri,
venivano pronunciate durante il rito funerario da
sacerdoti funerari e i papiri, accuratamente
arrotolati, venivano riposti nelle tombe in appositi
cofanetti.
Il “Libro dei Morti” era anche una
mappa per orientarsi nel percorso dell’Aldilà e
neutralizzarne i pericoli, prima di raggiungere il
Tribunale di Osiride per sottoporsi al Giudizio
Finale.
Prima di parlare del più famoso “libro
dei morti” degli Antichi Egizi, conosciuto, come si
è detto, “Il papiro di Torino”, diamo un’occhiata
alla DUAT o AMENTI: l’ALDILA’ egizio.
LA DUAT
ci è presentata come un luogo di insidie e pericoli
attraversata da spiriti inquieti incalzati da
presenze demoniache. Vi si accedeva attraverso
il RO-Stsu, grande porta d’ingresso guardata a vista
da tre demoni: Il Portiere, l’Araldo e il Guardiano,
il cui compito era quello di impedirne l’accesso al
Ka (spirito) del defunto. A meno che non si
conoscesse il nome di ognuno dei tre Demoni e li si
pronunciasse nel modo più corretto e con la giusta
intonazione di voce… dopo avere, naturalmente,
riferito il proprio e il proprio ren, ossia il
nome segreto.. Non bisogna meravigliarsi di
questo. Ancora oggi la “giusta” intonazione della
voce è necessaria nelle cerimonie religiose: vedi il
muezzin islamico nella guida della preghiera corale
o il rabbino ebreo nelle cerimonie religiose o il
prete cristiano nella celebrazione della Messa
(soprattutto Messa-cantata)
Attraversato il
Ro-Stau, cominciavano le difficoltà… difficoltà di
ogni genere. Per cominciare, bisognava
affrontare le Porte, almeno sette ed a volte anche
dodici, sempre sorvegliate da tre demoni
dall’aspetto inquietante e armati di mannaie e
pugnali, prima di arrivare al Tribunale di Osiride. Tra una Porta e l’altra, infine, vi erano insidie di
ogni genere: Laghi di Fuoco, Paludi, Labirinti,
Caverne, ecc… e poi: Coccodrilli, Leoni e Serpenti
infernali. Per ognuno di tali ostacoli, in
verità, oltre a Divinità e Spiriti protettori,
sempre pronti ad intervenire in soccorso, c’era il
supporto della Magia: formule magiche da recitare
sempre con la “giusta” intonazione di voce:
necessaria e fondamentale se si voleva
produrre l’incantesimo.
A questo servivano gli
Scarabei, (di pietra o ceramica) depositati nelle
tombe: ad incidervi sulle superfici formule magiche.
Lo stesso scopo, naturalmente, avevano le formule
incise sui rotoli di papiro. Qui, di seguito,
riportiamo alcune di quelle formule magiche:
- Formula per affrontare il serpente Apep (meglio
conosciuto come Apofi): “O Uno, che incateni ed
afferri con violenza e vivi di coloro che sono
indeboliti. Che io non sia immobile per te, che non
penetri il tuo veleno nelle mie membra. Come tu non vuoi
essere paralizzato, così non sia io paralizzato. Io sono
l’Uno che presiede l’Abisso Primordiale e i miei poteri
sono i poteri degli Dei. Io provengo da Atum. Io ho
conoscenza.”
- Formula per non morire di sete: “Che le Porte del Cielo siano schiuse a me e siano
spalancate le Porte della Terra della Libazione di Thot
e di Hapy…. Fate che io abbia potere sulle acque come
Seth ebbe il comando sui seguaci il giorno del Disastro
della Terra…”
- Formula per tornare tra i vivi
dopo la morte: “O Unico (Osiride), splendente dalla
Luna, possa io uscire tra la moltitudine tua. Possa io
manifestarmi tra i Glorificati,che la Duat sia schiusa a
me per compiere quel che mi piace sulla Terra tra i
viventi.”
Il “Libro dei Morti”, dunque, è il
termine con cui venne designato ognuno dei rotoli di
papiro rinvenuti nelle tombe. Quei testi e quelle
formule, però, non erano utili solo ai morti; lo erano
anche ai vivi, poiché procuravano gli stessi benefici:
contro le morsicature dei veleni, contro l’arsura della
sete, ecc.. La formula introduttiva dell’intera
raccolta, però, specifica quanto segue: “… formule da pronunciare il giorno del funerale,
giungendo alla tomba e prima di andar via…” Spiega
anche che le formule recitate sono: “… Parole Divine che
sono scritte nel Libro di Thot…”
Era a Thot,
infatti, Signore dei Geroglifici, della Sapienza e della
Conoscenza, che gli antichi egizi attribuivano la
scrittura dei testi. Parole Divine: Medw Neter. Parola, ossia Bastone: bastone per sostenersi. Le
Parole Divine erano Bastoni Divini da usare come
sostegno, appoggio e mezzo di salvezza. Attraverso,
però, un linguaggio ed un uso della “Parola”, spesse del
tutto incomprensibile per noi gente moderna. Incomprensibile, infatti, per l’uomo moderno, che il
defunto attraverso l’utilizzo di tali “Bastoni Divini”,
possa “glorificarsi” e “diventare” simile a Divinità
come Ra, Ptha, Osiride e perfino Seth, Signore del Male.
Il linguaggio è tanto più incomprensibile perché
raramente si tratta di testi di preghiera o invocazione
agli Dei, ma piuttosto di minaccia ed intimidazione.
(vedi post…) Tutto ciò, però, è possibile grazie
alla Magia che, della Religione, era parte integramte e
non certo subordinata.
Tutti quei testi, però,
all’osservatore attento appaiono spesso alterati e
corrotti. Ciò è dovuto al fatto che attraverso i secoli
essi hanno subito variazioni, aggiunte, correzioni,
ecc.. a causa dell’incompetenza o negligenza degli
scribi copisti. Questi, infatti, li copiavano e
ricopiavano, trasferendoli dalle pareti ai papiri e
viceversa, facendo spesso errori od omissioni.
Questi testi, (rotoli di papiri) generalmente erano
redatti presso Templi (di Thot o di Ammon), ma spesso
anche presso piccoli laboratori (a volte abusivi) con
scribi-copisti non sempre all’altezza del compito. E
non si tratta, come si è già detto, di un’unica
produzione, ma di raccolte varie e progressive nel
tempo, provenienti da più parti e da varie epoche. I
primi esemplari furono scritti in geroglifici puri,
successivamente subentrò la scrittura ieratica e infine
quella demotica.
L’esempio di Libro dei Morti più
conosciuto e meglio conservato è quello che va sotto il
nome di” Papiro doi Torino”. Si tratta di un
esemplare perfetto sotto ogni punto di vista:
grammaticale, ortografico; perfino nell’uso dei
determinativi e dei colori. E’ stato proprio su
questo esemplare che gli studiosi di tutte le epoche e
di tutto il mondo hanno condotto i loro studi e le loro
ricerche.
Carattere magico-rituale della scrittura
egizia
Un vecchio si
aggirava tra le grandiose rovine di Karnak, a Tebe. Germanico, proconsole romano in Egitto, si aggirava
anch’egli fra quelle spettacolari testimonianze di
un grandioso passato e ammirava, attonito e stupito, i
misteriosi segni incisi su quelle pietre che
raccontavano, in un linguaggio misterioso, qualche
meraviglia. Il vecchio gli spiegò che quegli
splendidi e misteriosi “segni” narravano la gloriosa
storia di Tebe e che poteva ritenersi un uomo fortunato,
poiché egli era il solo in grado di saperli leggere. Purtroppo, soltanto da lì a poco, quel vecchio rimase
ucciso da un soldato. Forse per errore. Forse no! E
nessuno poté più “leggere” quei “segni” Quel vecchio
era l’ultimo dei sacerdoti del Tempio in rovina e
l’ultimo uomo ancora in grado di leggere l’antica
scrittura egizia. Questo accadeva circa due mila
anni or sono.
In realtà, già qualche migliaio di
anni prima, a conoscere quegli straordinari “segni”
erano davvero in pochi, poiché il privilegio di
“maneggiare” quei “segni era appannaggio di poche,
pochissime persone. Persone così gelose di quel
privilegio, da indurre il popolo ignorante a starne
lontano, convincendolo di una loro grande pericolosità. Era il mistero della scrittura: il suono che si
trasformava in segno e il segno che prendeva vita e
vigore. Era uno dei misteri più profondi, per
l’antico abitante del Nilo: era il mistero della
Scrittura! Un mistero a cui accostarsi con cautela e
solo con le dovute precauzioni. Era un “mistero
divino” Medu Neter! Così erano chiamati: Bastoni
divini. Accostarsi al divino era proibito, perché
pericoloso per la propria sicurezza fisica e spirituale.
C’è da stupirsi? Direi proprio di no! Il sapere e la
conoscenza sono spesso stati appannaggio di pochi. In
qualunque epoca e in qualunque civiltà. Questo perché,
sapere e conoscenza costituivano un mezzo di potere.
Lasciare il popolo nell’ignoranza ha costituito sempre
la forza dei potenti… almeno fino a quando è stato
possibile! Proprio come accadde in Egitto. All’inizio quei “segni”, tanto pericolosi, erano usati
solo in campo magico-rituale: Testi delle Piramidi,
pitture parietali di tombe,… Al popolo si lasciava
credere che il segno (bisogna tener presente che si era
ancora allo stadio della scrittura ideografica), senza
le dovute precauzioni, prendeva vita nello stesso
momento in cui veniva tracciato. Così, ad esempio, a
riprodurre nella scrittura la sagoma di un coccodrillo o
di un pugnale, si correva il rischio di un assalto o
di una ferita. Poi, qualcuno cominciò a porsi
qualche domanda: cosa poteva accadere al Ka (spirito)
del povero defunto che occupava quelle tombe ricoperte
di “segni”? Ed ecco nascere la figura del chery webb,
il “Puro di voce”, sacerdote esorcista, che con Rew
ed he-kau, Incantesimi e Formule magiche, neutralizzava
il potere di quei “segni”. Insieme a lui c’era il
sem, che con l’Urreka, strumento magico, toccava figure
e segni, neutralizzandoli e rendendoli innocui.
A
volta capita di incontrare sulle pareti, in mezzo alla
scrittura, strani geroglifici: sembrano spezzati a metà.
E lo sono! Un’arma, un oggetto, un animale pericoloso…
Lo scopo era di renderli inoffensivo dividendoli in due.
Fino a quando durò tutto questo? Fino a quando la
scrittura ebbe carattere esclusivamente magico, come per
i Libri dei Morti o per le Stele magiche o anche per i
vasi ridotti in cocci per rituali magici. (vedere la
Maledizione dei Faraoni) Sarà così fino alla fine
del II millennio, quando la Scrittura riuscì finalmente
a liberarsi di tale condizionamento. E sarà soltanto
alla fine dell’Antico Regno, durante il quale era stata
solo d’uso regale e templare, che la Scrittura verrà
estesa alla società con cambiamenti grafici che la
renderanno più semplice e scorrevole. Con questa
svolta, farà la sua comparsa la figura dello SCRIBA.
KA e BA: La complessa religiosità degli Antichi Egizi
Era convinzione di questo
straordinario popolo, che l’esistenza umana
attraversasse tre momenti, tutti e tre fondamentali,
misteriosi e complessi: - la vita terrena - la morte
- la vita ultraterrena.Già cinque secoli prima di
Cristo, lo storico Erodoto scriveva: “Gli
Antichi Egizi erano un popolo che praticava il Culto
dei Morti, ma amava intensamente la vita.” Sembra
una contraddizione, ma non lo è!
- La
Vita terrena, dicevano gli Antichi Egizi, era un
dono che gli Dei facevano alla creatura umana per
consentirle di prepararsi alla vita ultraterrena:
l’Eternità e l’Immortalità. Questo popolo fu
ossessionato dall’idea di Immortalità: per essa,
eresse opere colossali come La Sfinge e le Piramidi,
innalzò Templi e Santuari che sfidano ancora
oggi il Tempo.
- La Morte, per il popolo
nilotico, costituiva un passaggio tra la prima fase
e la seconda e non era vissuta con
l’ossessione dei giorni nostri. Poteva essere
traumatica, certo, e certamente era rifuggita, ma,
al contempo, accettata con fatalità e pragmatismo.
- La vita ultraterrena, ossia la Vita Eterna,
desiderata ed agognata da tutti, non era, però,
appannaggio dell’intera umanità, poiché bisognava
meritarsela. Per comprendere appieno la profondità
di questo pensiero filosofico, basta leggere
qualcuna di quelle Massime Sapienziali che
invitavano a vivere una vita terrena onesta e
operosa e generosa:
“L’uomo litigioso causa
disordini.”
“Non essere malvagio: la bontà
genera simpatia.” oppure:
“Onora una vita di
lavoro: l’uomo che non ha nulla diviene desideroso
dell’altrui proprietà.”
“Agisci rettamente
durante il tuo soggiorno terreno.” E ancora:
“Aiuta le vedove e coloro che sono in lacrime.”
Per consentire tutto questo, dicevano gli Antichi
Egizi, Dio aveva dotato la creatura umana di una
complessa natura e di un certo numero di… per
comodità le chiameremo entità, termine da cui
esoterici e pseudo-studiosi, hanno sempre attinto a
piene mani per le loro bizzarre dottrine, teorie e
affermazioni.
Sette. Erano sette, queste
entità, ognuna con un compito ben specifico.
-
Djet: il corpo, deputato ad operare durante la vita
terrena. Viveva fisicamente le esperienze di vita,
come amare, lavorare, essere in salute o sopportare
la malattia, ecc.
- Ka: chiamato anche
“Doppio”. Copia esatta del djet, era fisicamente
inconsistente, trasparente ed evanescente;
corrispondeva a quello che noi, gente moderna,
chiamiamo Spirito o Fantasma. Era raffigurato con
due braccia sollevate verso l’alto ed era quella,
fra tutte le entità del defunto, che aveva il
compito di intraprendere il viaggio nell’Oltretomba
per sottoporsi al Giudizio di Osiride.
- Ba:
un po’ difficile definire questa entità. Di sicuro
era qualcosa di speciale, che solo la creatura umana
possedeva e che la differenziava dall’animale (senza
anima). Alla sottoscritta piace definirla la parte
divina che è in ogni essere umano: l’Anima, che Dio
trasfuse all’uomo quando lo creò, soffiandogli
attraverso le narici. (concetto ripreso
successivamente dalla cultura ebraica: basta leggere
la Bibbia e la Creazione dell’uomo) Il Ba è
raffigurato come un uccello (quasi sempre un airone)
con testa umana, forse a causa della presenza dei
numerosi stormi d’uccelli che stazionavano sulle
cime dei monti delle necropoli.
- Ib: il
cuore, sede della coscienza e del carattere di ogni
individuo.
- Shut: l’Ombra. Copia in negativo
del djet; alla morte dell’individuo, l’Ombra si
staccava dal corpo e vagava inquieta nell’attesa del
Giudizio di Osiride. Accadeva anche che lo seguisse
nell’Aldilà.
- Ren: il Nome. Era così
importante, questa entità, da negare l’esistenza a
chi non lo possedeva o non lo possedeva più. Basti
pensare al deplorevole uso di cancellare da Templi e
Monumenti, il nome di alcuni Faraoni scomodi, come
il celeberrimo Akhenaton, al solo scopo di
cancellarne la memoria.
- Akh: chiamato anche
il Glorioso o il Luminoso.
Cosa accadeva ad
una persona appena defunta? Ecco il rituale cui era
sottoposta e il mito, a cui il popolo egizio si
aggrappava.
Convinto?... Immagino di sì!...
Almeno quella parte del popolo tenuto
nell’ignoranza!
Subito dopo il decesso, i
Sacerdoti funerari prelevavano il cadavere e lo
trasportavano alla Casa dell’Imbalsamazione per
prepararlo “fisicamente” all’Immortalità.
Settanta o anche ottanta giorni, durava il processo
di conservazione del corpo, ma qui, bisogna fare una
distinzione fra Imbalsamazione e Mummificazione.
La seconda era un “processo naturale” di
conservazione del corpo e lo si praticò,
all’incirca, fino alla IV o V Dinastia (epoca di
Giza, Sakkara, ecc).
Non occorreva intervenire
sul corpo, poiché bastavano clima secco e
temperature elevate. La prima era, invece, un
“processo artificiale”.
Il corpo veniva
svuotato degli organi molli (fegato, stomaco,
intestino e polmone, i quali venivano conservati in
appositi contenitori, conosciuti con il nome
di vasi canopi) e il vuoto era riempito con paglia,
resine, balsami; poiché non si praticava ancora la
sutura delle ferite, queste tendevano ad
aprirsi.
Per ovviare all’inconveniente, il
cadavere veniva avvolto in bende tenute insieme da
una colla, scura e densa. Ancora oggi non se ne
conosce bene il composto, che qualcuno chiamò
(in egiziano): mummif (bitume), da cui la parola
mummia.
Seguiva una cerimonia funebre officiata, alla
presenza di amici e parenti, da Sacerdoti funerari,
tra cui
- il sacerdote-sem, riconoscibile (in pitture
parietali o papiri) dalla pelle di leopardo sulle
spalle e
- sacerdote-chery-webb o
Sacerdote–lettore,riconoscibile dalla lunga stola
bianca adagiata su una spalle.
Prima di calare il sarcofago nella tomba,
si metteva in atto un complesso rituale conosciuto
come “Il rito dell’apertura della Bocca”, che
avrebbe restituito i sensi al defunto e gli avrebbe
consentito una vita “normale”..
Cosa accadeva, nel frattempo alle altre entità?
Il Ba, l’Anima, usciva dalle narici e con forma
di uccello con testa umana, volava sulle montagne
della necropoli. Qui restava in attesa di
congiungersi alle altre entità, dopo il Giudizio di
Osiride.
Anche la Shut, separata dal corpo, restava in
attesa e in caso di Giudizio sfavorevole, si
aggirava di notte, arrecando ovunque terrore e
danno. Qualche volta riusciva a seguire il Ka nel
suo peregrinare lungo le vie dell’Oltretomba e, se
il Giudizio di Osiride fosse stato sfavorevole, non
c’era scampo neppure per essa. L’Ib, il Cuore,
doveva raggiungere il Tribunale di Osiride per
essere giudicato. Messo su uno dei piattelli della
Sacra Bilancia di Maat, Dea della Verità e della
Giustizia, doveva pesare non più della Sacra Piuma,
che la Dea si staccava dal capo e poneva sull’altro
piattello.
Ma…
torniamo al Ka, lo Spirito. Era il solo (a parte il
Cuore) fra tutte le entità del defunto, a mettersi
in viaggio attraverso le oscure ed insidiose vie
della Duat, l’Oltretomba egizia.
Doveva
affrontare creature spaventose come il serpente Apep, (meglio
conosciuto con il nome di Apofi), il leone Akhet, il
coccodrillo Shui e molte altre ancora; doveva
percorrere fiumi dalle acque impetuose, laghi di
fuoco, montagne di ghiaccio e… (chi più ne ha, più
ne metta).
In questa impresa, però, non era né
solo né sprovveduto: Divinità funerarie erano
pronte ad aiutarlo e, naturalmente, la
Magia... la magia, ancella della Religione o, più
esattamente, sua comprimaria: il defunto, infatti,
aveva a sua disposizione He-kau, formule magiche,
per affrontare pericoli e annientare nemici.
Erano, per lo più, scritte su scarabei di pietra
turchese; in alcune tombe ne sono stati trovati fino
a novanta esemplari.
Giunto alla Sala del
Tribunale, lo aspettavano Osiride e la Corte dei
Quarantadue Spiriti, ognuno dei quali rappresentava
un peccato: invidia, inganno, appropriazione
indebita, ecc.)
Formule magiche, naturalmente,
lo aiutavano a superare le difficoltà… D’altronde,
bastava essere innocente di almeno Sette dei
Quarantadue Peccati per scongiurare la fine. Una
fine davvero orrenda, quella riservata ai peccatori:
le fauci di Ammit la Bestia, un ibrido con testa di
ippopotamo, corpo di leone e coda di coccodrillo.
Il Ka che fosse riuscito a superare il Giudizio,
poteva fare due cose (e di solito le faceva
entrambe): restare nell’Oltretomba e soggiornare
negli Hotep Jaru, il Paradiso Celeste, come
Spirito, oppure tornare nella hut-ka, la tomba, dove
lo aspettava il corpo imbalsamato e dove poteva
congiungersi alle altre entità e vivere fisicamente
in quella dimora.
Era quello, infatti, lo
scopo della preservazione del corpo fisico: dare un
supporto allo Spirito e permettere al defunto la sua
Vita Eterna.
E l’Akh, il Luminoso? All’interno
della tomba poteva accadere uno strano fenomeno:
dopo un po’, il corpo di un defunto innocente e
virtuoso cominciava ad emanare luce. Meno erano i
peccati, più intensa si faceva la luce: un modo
poetico, forse, degli Antichi Egizi, di spiegarsi il
fenomeno dei fuochi fatui.
La GENESI e la FENICE
La Genesi
IL NUN - Caos o Acque Primordiali
I “Testi delle Piramidi”, una sorta di raccolta di
scritti di carattere religioso, così riportano:
“Salute a Te, Atum, Salute a te.
Salute a Te, il Divenente, che avesti origine da te stesso…”
Atum vive nel NUN, Acque Primordiali e Abisso
sconfinato che si stende all’infinito e in ogni direzione.
Tutto è Tenebra informe, senza aria né luce. Il NUN,
però, non è il Nulla, poiché esiste ed è la materia che
successivamente darà la vita al Cosmo o Universo: è la bolla
creata da Atum in mezzo al NUN.
Atum vive in completa
inerzia in mezzo a tanto tenebrore e si sa che ozio e
solitudine, prima o poi, finiscono per fiaccare lo spirito…
anche quello di un Padre Eterno. Così, un bel giorno, Atum
decide di porre fine alla propria solitudine e procurarsi
compagnia. Lo fa autoprocreando, poiché Egli è il
“Grande Lui-Lei, un Essere bisessuale: un maschio ed una
femmina.
Ma come andò la cosa? Ci sono due versioni
del fatto: lo fece attraverso la masturbazione o il Verbo,
la Parola-Divina. La prima è una visione primitiva e fisica
della Creazione e la seconda, invece, è una concezione più
intellettuale o spirituale. In realtà, i due aspetti sano
complementari, poiché la masturbazione spiega l’aspetto
riproduttivo della Vita mentre il Verbo, ossia il “Soffio
Divino” alitato attraverso le narici, ne spiega l’aspetto
spirituale . La prima si trova alla base della Dottrina
Eliopolitana e la seconda, invece, della Teologia Memfitica.
Ed eccoci giunti al mito della “Creazione della Luce e
della Prima Alba”.
Shu e Tefnut, sono i Figli
Divini così concepiti.
Shu è lo “Spazio” in mezzo alla
“Tenebra Primordiale”, è Luce e Aria.
Tefnut è Umidità
e Vapore. Insieme i due costituiscono la “Prima Coppia” in
grado di procreare sessualmente. ATUM è stanco della propria
inerzia; vuole mettervi fine. Allora chiede al NUN come
procurarsi un luogo su cui posare e l’ABISSO gli dice di
baciare sua figlia Tefnut : la collocazione dell’Universo o
Mondo-Creato all’interno del Nun è, dunque, un atto
d’amore di ATUM, Il Supremo.
Creato l’Universo
non resta che creare l’Ank, la VITA.
SHU e TEFNUT
accontentano subito ATUM e procreano due figli: NUT e
GEB, i quali costituiscono la Prima Coppia creata
sessualmente. I due all’origine sono una sola cosa: due
divine entità sessualmente avvinte.
Ma SHU
è geloso di NUT e la separa con forza dallo Sposo,
sollevandola in alto e sorreggendola con le braccia: i
Pilastri che sorreggono il Cielo.
Quell’atto del
dramma della Creazione Cosmica, però, sarà anche causa e
origine della Creazione della Vita: GEB e NUT potranno
generare i loro quattro figli.
I loro nomi sono:
Iside, Osiride, Seth e Nefty...
Dove andranno a
vivere?
Ecco come è descritta nei “Testi di Shu” la
comparsa della Luce e della Vita fuori del CAOS:
“quel soffio di vita che sgorgò dalla gola dell’uccello BENU, in cui ATUM
apparve nel Nulla: l’Infinito e la Tenebra
e il Mistero Premevo…”
Possiamo, dunque, immaginare
una Terra emersa dall’Abisso (fu un monte a forma di
piramide ad ON, nome egizio di Eliopoli), su cui andò a
posarsi la Fenice, l’Uccello-BENU, Araldo della Vita.
Possiamo immaginarlo nell’atto di aprire il becco e rompere
il “Silenzio” per annunciare la Vita.
Il BENU,
La Fenice, dall’aspetto di un grande airone grigio, è
la incarnazione del LOGOS, ossia il Verbo, che annuncia la
Vita.
Il BENU, la Fenice, è Simbolo e
Principio della Vita: è l’Angelo dell’Annunciazione.
La FeniceIL BENU o LA FENICEBENU o BENEV,
meglio conosciuto come FENICE, Uccello
dell’Annunciazione e Ambasciatrice della Vita e della
Luce, è sicuramente il simbolo più affascinante della
mitologia egizia.
I Greci ne tradussero il termine in Phoi-nix, da cui
Fenice.
Già Erodoto e Tacito ne parlano, ma nessuno dei due
riesce a cogliere il profondo simbolismo del “Principio
della Via” racchiuso in questa che è una “Epifania” o
Apparizione di Dio.
I due autori, infatti, riducono questo simbolo
straordinario AD una splendida, ma semplice favola.
Erodono racconta:
“Questo uccello, dall’aspetto di aquila e dal
piumaggio d’oro rosso-fiammeggiante, ogni cinquecento
anni volava dall’Arabia ad Eliopoli trasportando in un
uovo la salma del padre per seppellirla nel Tempio di
Ra, il Dio-Sole.”
Si tratta, dunque, di una delle tante leggende sorte
intorno a questo mitico uccello, ma che si distaccano
notevolmente dal suo vero simbolismo originale.
E Tacito se ne allontana ancora di più con il suo
racconto. Egli ci narra che la Fenice si costruisse un
nido in Arabia, dal cui interno, dopo cinquecento anni,
usciva una nuova Fenice che uccideva il padre e lo
bruciava per poi andare a costruirsi un nuovo nido.
La leggenda più suggestiva, ma ancor più lontana dal
mito originale egizio, è certamente quella che vede la
Fenice, sempre dopo cinquecento anni, salire sul rogo di
un pira di legni odorosi di resine e risorgere dalle sue
ceneri.
Ma qual è il
mito originale nato in Egitto e facente parte della
Dottrina Eliopolitana?
Qui, la Fenice non è
simbolo di morte, ma Principio di vita e la fiaba greca
è lontana anni luce dal simbolismo ieratico egizio.
Nella mitologia egizia il Benu era una delle forme
primordiali assunte da Atum, il Dio Supremo, per
annunciare l’avvento della Vita e della Luce
all’interno del NUN, le Acque Primordiali.
Assunto
l’aspetto di un airone grigio (al contrario della
fiammeggiante aquila del mito greco rubacchiato agli
egizi), Atum sale sul Ben-Ben, la prima terra emersa e
“aprendo il becco ed emanando il suono” rompe il
silenzio della “Notte Primordiale”.
Il Benu o
Fenice, è dunque, l’Incarnazione della Parola Divina: il
Logos dei greci.
L’aspetto dell’incarnazione in
airone non va presa alla lettera (come ha fatto Erodoto)
ma come simbolo: si tratta della prima apparizione del
Dio Supremo per annunciare la comparsa della Vita e
della Luce.
Benu, dunque, è l’Anima di Atum, così
come, più tardi, il Ba, sarà l’anima dell’uomo (uccello
con testa umana).
Un brano dei “Testi dei
Sarcofagi” mette queste parole sulla bocca dell’anima di
un defunto:
“Io vengo dall’Isola-del-Fuoco,
dopo aver riempito il mio corpo di Heka.
Vengo come l’Uccello che riempì il mondo
di quello che il mondo ancora non sapeva..”
L’Isola-del-Fuoco
(o dell’Avvampamento) per molti è stata identificata con Eliopoli, la citta del Sole e l’Heka è l’”essenza della
Vita”; l’Uccello, infine, è il Benu che “riempì il
mondo di quello che non sapeva”. E’, cioè, l’Uccello che
attraversò l’Universo ancora immerso nella “Notte
Primordiale” e giunse ad Eliopoli, la prima terra
emersa, per annunciare l’Avvento della Vita e del Tempo,
con tutti i suoi cicli ricorrenti: il giorno, la decade,
il mese, l’anno e il tempo infinito.
Cosmologia e "Dottrina del Logos"
Per Genesi, in ogni cultura, si intende il complesso
dei miti sulle origini dell’Universo e il tentativo
di spiegare come LUCE e FORMA siano scaturite o
emerse dal Liquido Caos, che gli Antichi Egizi
chiamavano NUN.
Caos Liquido, Acque Primeve,
Abisso, Caos Primordiale…. o come lo si vuol
chiamare, il NUN era sconfinato e senza forma,
privo di dimensione e di direzione. “Era” e basta.
Il NUN, però, non era il Nulla, poiché sarà da esso
che l’Universo avrà origine.
In verità, gli
Antichi Egizi consideravano troppo misteriosa la
Cosmogonia, ossia “l’inizio delle cose”, per
attribuirle un canone fisso o un unico mito, come
avverrà assai dopo per la Genesi ebraica
e ancora più tardi per quella greco-romana.
Gli Antichi Egizi non fissarono mai un unico mito;
così, se ad Eliopoli era RA il Dio-Creatore, ad
Hermopoli era THOT ed a Memfi era PTHA.
Gli
elementi necessari alla Creazione per emergere dal
NUN sono: Luce – Vita – Terra – Intelletto e i miti
della cosmologia cambieranno ogni volta che sarà
messo in rilievo uno di questi elementi, secondo le
varie culture locali. I miti riguardano: - la
comparsa della LUCE, che coincide con l’Alba Primeva
e il primo sorgere del Sole. - la
creazione della VITA - l’emersione della prima
TERRA, (Tumulo Primevo) - l’istituzione
dell’INTELLETTO
Mentre alla base della
Teologia Eliopolitana (di cui ci occuperemo a
breve), ci sono soprattutto i primi tre elementi,
l’ultimo costituisce il fondamento della Teologia
Memfitica, conosciuta anche come “Dottrina del
Logos”.
Ad Eliopoli il mito fondamentale è
quello di Atum-Ra, Dio-Autocreatore, che all’interno
del NUN procrea (masturbandosi) la prima coppia, che
a sua volta genererà (sessualmente) una seconda
coppia.
A Memfi, all’interno del NUN troviamo
Ptha-Taten Dio-Autocreatore che crea la VITA
attraverso :
- la LINGUA (PAROLA o
LOGOS) - il CUORE (INTELLETTO)
(nota:
per gli Antichi Egizi il Cuore-IB era la sede
dell’Intelletto, della Rettitudine, delle Emozioni…)
PTHA è anche HE_KA, cioè Parola-Divina, perché la
LINGUA o PAROLA o LOGOS, fa parte di Dio ed è Dio
stesso: la LINGUA o PAROLA o LOGOS, dunque, è
DIO-CREATORE. Ma non è tutto: quello della
Creazione, secondo la Dottrina Menfitica, non è un
ATTO casuale, ma è un”Progetto”, poiché implica il
coinvolgimento di MENTE (Pensiero Divino) e
VOLONTA’ (Comando Divino), che la HE-KA,
Parola-Divina o Lingua o Logos, come diranno i greci
di Alessandria d’Egitto, ha concretizzato.
Questi concetti astratti: Pensiero, Comando, Ordine,
Intelletto, perché siano comprensibili, vengono
personificati, per permettere loro di agire.
Diventano “funzioni” del DIO-Creatore e vengono dati
loro dei nomi: Maat, sarà l’Ordine Cosmico, Thot,
l’Intelletto e la Conoscenza, ecc…
Si legge
nei Testi delle Piramidi: “E così furono fatti tutti
gli Dei. E così ogni HE-KA, Parola di Dio viene da
quello che il Cuore ha pensato e la Lingua ha
comandato. Come tutti gli Dei furono fatti e
l’intera Compagnia Divina fu creata, così ogni He-Ka,
Parola di Dio, viene da quello che il Cuore ha
pensato e che la Lingua ha comandato. Così furono
fatti i Kau (spiriti) e gli Hemsut (Geni) che
producono tutto il cibo e il nutrimento mediante
quella stessa He-Ka, Parola Divina, la quale
dichiara anche ciò che deve essere amato e ciò che
deve essere odiato…”
Quelli che sembrano,
dunque, momenti diversi della Creazione e cioè,
Comparsa della Luce, Emersione della prima Terra,
creazione della Vita, espressione dell’Intelletto,
non sono atti consecutivi, ma aspetti diversi di un
solo evento che si concretizza attraverso la He-Ka,
cioè la Parola-Divina, la Lingua, il Logos.
Huthsepsut la Regina-Faraone
Questa figura di
Regina ha sempre affascinato studiosi e scrittori
e di lei si è molto discusso e si continua a farlo. Dei
fatti che la riguardano, la versione più attendibile ed
universalmente accettata da studiosi ed egittologi
è, forse, quella che segue. Figlia del faraone Thutmosis
III, della XVIII Dinastia, sposò, come consuetudine, il
fratello Thumosis II. Alla morte di questi, essendo
l’erede, il futuro, grande faraone Tutmosis III, ancora
troppo giovane per governare il Paese, la Regina ne
assunse la Reggenza. Huthsepsut, però, non si accontentò
di questo ruolo e quel che seguì fu uno degli esempi di
intrighi di corte più clamorosi della storia. Attraverso
una messa in scena assai teatrale, occupò il trono senza
colpo ferire e vi regnò per più di 20 anni come
Regina-Faraone. Un mattino, mentre officiava in onore
del dio Ammon, questi le apparve e, fra tuoni, fulmini e
saette, così proclamò (pressappoco): “In Te voglio
compiacermi, figlia mia. Da oggi il tuo nuovo nome sarà
Kem-hut-Ra: Colei che regna su Kem (Egitto) con il
favore di Ra.” Donna bella, colta e ambiziosa, era
dotata anche di una acutezza politica e molte furono le
riforme sociali da lei introdotte nel Paese. Era anche
molto coraggiosa. Si narra che da bambina il padre la
portasse spesso a caccia con sé. Nell’assumere il
potere, (si dice) si attaccò alla schiena la coda del
leone da lei stessa cacciato e si pose al mento la
“barba rituale”, per mostrare di essere coraggiosa e
capace non meno di un uomo.
A sostenerla in questo progetto c’era, naturalmente,
una corte di fedelissimi, sia a Palazzo Reale che al
Tempio di Ammon. Primo fra tutti, fu Senenmut,
architetto e Gran Dignitario, da cui ebbe anche una
figlia: Nefrure, che in seguito fece sposare
all’erede, Thutmosis III. Per la sua tomba non
scelse la Set-Maaty (Sede della Giustizia), oggi
meglio conosciuta con il nome di “Valle dei Re”,
dove erano sepolti tutti i Sovrani, ma non volle
neppure la Set-Nefrure,(Sede della Bellezza) dove
erano sepolte le Regine. Lei scelse un sito diverso,
l’attuale Deir-el-Bahari, dove si fece costruire uno
dei più straordinari Complessi Funerari: il Sublime
dei Sublimi. Sulle pareti e sulle colonne fece
trascrivere la sua storia, quelle delle sue
conquiste militari e, soprattutto, l’accoglienza,
alla nascita, da parte del dio Ammon, Patrono di
Tebe, che la riconosceva come “Sua Figlia” e
ne legittimava il diritto ad occupare il trono
d’Egitto. Morì all’età di 60 anni circa, dopo quasi
22 anni di regno. La tradizione vuole che il
successore, dopo la sua morte, si sia accanito nel
voler cancellare di lei perfino la memoria, per
vendicarsi di averlo per così tanto tempo tenuto
lontano dal trono. In realtà, il faraone Thutmosis
III, fece vaghi cenni, in alcune iscrizioni, ad un
“periodo di disaccordo” con la Regina. Certo è che
non era facile far cancellare tutte le iscrizioni
dai colossali monumenti fatti erigere dalla Regina;
più devastante fu l’intervento del faraone Akhenaton,
che ordinò di cancellare il nome di Ammon da tutti
gli edifici del Paese, compresi quelli della
Regina-Faraone.
Le gesta di questa regina egizia, appartenente
alla XVIII Dinastia, sono un capolavoro di astuzia,
temperamento e capacità: una donna che oggi nessuno
esiterebbe a definire emancipata.
Era figlia di Thutmosis I e della regina Amesh e
fu fatta sposare al fratellastro ThutmosisII.
I due non ebbero figli maschi, ma solo due
femmine, Thutmosis II, però, il suo erede,
Thutmosis III, lo ebbe da una Sposa Secondaria, la
regina Ese.
Alla morte di Thutmosis II, avvenute in
circostanze non propriamente chiare, la regina
Hutsepsut assunse la Reggenza del Paese, essendo
Thutmosis III ancora troppo giovane, neppure
decenne, per regnare.
Troppo poco, La Reggenza, per una donna come lei.
Huthsepsut era una donna intelligente, di grande
carattere e assai ambiziosa. Era anche molto bella e
possedeva un fascino irresistibile e grandi doti di
diplomazia.
Sapeva leggere, scrivere, danzare e guerreggiare:
accompagnava il padre nelle battute di cacciae, si
dice, uccise il suo primo leone all’età di dieci
anni.
Non si accontentò, dunque, del ruolo di
Reggente e mise in scena uno di quegli intrighi di
corte che solo una mente potenzialmente astuta ed
audace poteva concepire.
Huthsepsut aveva creato intorno a sé una corte di
funzionari fedelissimi, primo fra tutti,
l’architetto Senmut, suo amante e, forse, padre di
una delle sue figlie. Godeva anche del sostegno di
buona parte del Collegio Sacerdotale e di quello
delle più alte gerarchie dell’esercito: tutti pronti
a reggerle il gioco.
Anche il principe erede aveva i suoi sostenitori,
soprattutto nel corpo sacerdotale diKarnak, cui il
faraone Thutmosis II aveva preferito affidarlo per
tenerlo lontano dalle ambizioni della Regina, e che,
inspiegabilmente, si astennero da qualunque azione.
La Regina aveva già raggiunto l’apice della sua
potenza, ma sentiva il bisogno di legittimarla e di
legittimare la decisione di costruire il “Milione
dei Milioni di Anni”, il suo Complesso Funerario che
tutti, ancora oggi, possiamo ammirare a
Deir-el-Bahri.
Quale fu questo colpo di scena? Questo
“miracolo”, come fu definito dai suoi seguaci?
Stava, un mattino, officiando in vesti di
Sacerdote Supremo, nel Tempio di Karnak, quando, tra
fulmini e tuoni e saette, il dio Ammon fece sentire
la sua voce attraverso il naos (tabernacolo in cui
era l’effigie divina) e la proclamò Figlia-Sua e
Signora-delle-Due-Terre (Alto e Basso Egitto).
“Kem-hut-Ra (Colei che regna su Kem col favore di
Ra) sarà il tuo nome – disse pressappoco la voce del
Dio (probabilmente quella di un sacerdote che la
sosteneva nel gioco) - Io mi compiacerò in te.”
Kem era un altro nome con cui si designava
l’Egitto.
Da quel giorno la Regina, non più Reggente e con
il titolo di Regina-Faraone, si mostrò in pubblico
in abiti maschili e con la barba posticcia dei
Faraoni.
Era già accaduto in passato che Regine avessero
usurpato il trono, ma l’avevano fatto conservando
sempre atteggiamenti femminili. Era la prima volta
che una Regina nelle iscrizioni si faceva nominare
al maschile.
Le statue la rappresentavano quasi sempre con
shendit (gonnellino plissettato) e copricapo da Re:
la nemesh (triangolare ed a righe) e il pshent
(casco blu da combattimento).
I testi che fece incidere sulle pareti e i
pilastri del Tempio Funerario raccontano tutta la
storia.
Parlano della sua nascita divina, mettendo in
bocca alla regina Amesh, sua madre, il racconto del
suo concepimento ad opera del dio Ammon:
“… quando nella tua grazia ti sei unito alla mia
maestà
e la tua rugiada è penetrata in tutto il mio
essere…” le fa dire.
E parla lo stesso Ammon:
“Colei che Ammon abbraccia è il suo nome
Sua la mia anima. Suo il mio Scettro
Suo il mio prestigio. Sua la mia corona
Affinché regni sui Due Paesi
E regni su tutti i viventi”
E ancora, per donarle prerogative maschili,
sempre ad Ammon fa dire:
“Salute a te, Figlia mia, nata dalla mia carne
Immagine brillante uscita da Me
Tu sei un Re che reggi i Due Paesi
Sul trono di Horo, come Re.”
Il suo regno durò per quasi venti anni e fu,
sicuramente, uno dei momenti più pacifici e felici
di tutta la storia del popolo egizio.
Durante il suo regno, infatti, quella Regina fece
erigere Templi ed Obelischi, organizzò spedizioni,
istituì leggi in favore di donne, bambini e gente
umile e fece molte altre cose ancora che, noi gente
moderna, diremmo, degne di un Sovrano Illuminato.
Perché gli Egizi si facevano ritrarre di lato?
Le teorie più strampalate sono state
formulate al riguardo: tecniche di pittura, stile…
perfino una forma di danza.
Molti cineasti,
infatti, si sono sbizzarriti a mettere una a fianco
dell’altra, ballerine con braccia per aria, una tesa in
avanti e l’altra all’indietro.
In realtà, la
spiegazione è assai più profonda.
Intanto, si fa
notare che, a ben osservare, le pitture ritraggono le
persone in ogni angolazione del corpo: fianco, gambe e
braccia tese in avanti e indietro, testa e busto con
rotazione di 45° circa…
Perché, dunque, quella
particolare posa?
Durante le Cerimonie Funebri si
celebravano Rituali Magici per consentire al defunto di
“risorgere” e tornare in vita, rituali che venivano
officiati dal sacerdote sem (riconoscibile per la pelle
di leopardo in spalla) e dal sacerdote chery-webb
(riconoscibile per la stola bianca).
Il primo si
serviva di strumenti magici, come l’ur-reka, con cui
toccava ogni singola parte del corpo e il secondo
accompagnava quei gesti con formule magiche, le He-Kau.
Si praticava il rito direttamente sulla mummia del
defunto o sulla statua che lo rappresentava, ma anche
sulle pitture parietali della tomba.
Nei primi due
casi era facile toccare il corpo in ogni sua parte:
braccia, gambe, testa, busto… Più difficile, invece, con
le pitture, in cui, non tutte le parti del corpo erano
visibili.
Per poterle raggiungere, bisognava
esporre quelle nascoste: la parte interna di gambe e
braccia, ad esempio, ed ecco la necessità di tenderle in
avanti o indietro. Per mostrare sia il petto che le
spalle, bisognava fare una piccola torsione del busto,
così come per la testa, se si voleva evidenziare sia la
faccia che la nuca.
Niente danze, dunque, ma solo
la necessità di rendere visibili le varie parti del
corpo per procedere al Rito.
I MATRIMONI INCESTUOSI dei FARAONI
“Perché i Faraoni sposavano figlie e sorelle?”
La domanda è spontanea ed altrettanto lo è la risposta:
“Per conservare puro il sangue!”
Un fondo di verità c’è, ma ci sono altre cause: tradizionali, religiose e
politiche.
E l’Egitto non era il solo Paese ad avere questa consuetudine: il babilonese
Abramo aveva sposato la sorella Sarai; l’ittita Suppilulumia, di sorelle ne
sposò addirittura due.
In realtà, l’incesto era ritenuto un reato e come tale punito, per la gente
comune.
Perché, allora, quella pratica nelle famiglie reali?
In Egitto (e non soltanto in Egitto) il trono si tramandava per via femminile:
durante il matriarcato, prima e in retaggio di tale consuetudine dopo.
Era la Grande Consorte Reale a possedere nelle vene il sangue divino (era
sempre Figlia di Dio: basta dare uno sguardo al Tempio della regina Hutsepsuth).
Era lei a trasmetterlo alla principessa ereditaria assieme al diritto al trono.
Il principe ereditario diventava Faraone non perché figlio del precedente
Faraone, ma perché sposo della principessa ereditaria ed acquisiva il titolo di
Faraone solo dopo un complesso cerimoniale che prevedeva:
- le Nozze Divine della principessa nel Tempio Dinastico (Karnak, nel NuovoRegno)
con il Dio Dinastico: uno dei misteri dell’Antico Egitto.
- Le Nozze Regali con la principessa
- l’atto sessuale e la mescolanza del sangue.
Lo Spirito Divino, attraverso tale cerimoniale, passava dalla principessa
ereditaria in quello del principe ereditario: futuro Faraone.
Il termine Faraone, ossia Per Oa (Palazzo Divino) non vuol dire Dio o Figlio di
Dio, equivoco in cui si incorre spesso, ma: Incarnazione di Dio (il corpo del
sovrano è il palazzo in cui va a dimorare lo Spirito di Dio).
In teoria, ogni uomo poteva diventare Faraone, sposando la principessa
ereditaria o la Regina in carica.
Il pericolo, dunque, di guerre dinastiche tra principi e di conquista da parte
di stranieri, era reale ed elevato.
Il Faraone in carica, perciò, alla nascita della principessa ereditaria, le
assegnava un marito: uno dei principi, naturalmente oppure la sposava egli
stesso.
Così fece Seti I con suo figlio Ramesse II (che pure era già sposato con la
borghese Nefertari, ma che dovette sposare la sorella Nefrure per salire sul
trono ).
Così fece Thutmosis I col figlio Thutmosis II, che lo dette in marito alla
celeberrima Hutsepsuth.
Il faraone Amenopeth IV, più noto come Akhenaton, delle sei figlie ne sposò
quattro.
Nota: si suppone che sia stato per evitare una guerra dinastica che la
principessa Maritammon, figlia di Akhenaton, alla morte di Thut-ank-Ammon, si
vide costretta a sposare il generale Horenreb, diventato successivamente
Faraone: un Faraone usurpatore.
Come i suoi discendenti: i Ramessidi.
Fonti
Testi
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