Karlheinz Deschner, Il gallo cantò ancora
Storia critica della Chiesa


Diego Velasquez, Crocifisso, Madrid, Museo del Prado
Diego Velasquez, Crocifisso, Madrid, Museo del Prado

Libro primo

I Vangeli e il loro retroterra storico-culturale

15. LA RESURREZIONE (parte prima)

Questo miracolo non arreca ai pagani nulla di nuovo, e ad essi non può apparire scandaloso.
(Origene, Cels. 2,16)

Ci sono teologi, che ancor oggi ritengono questa narrazione l'evento meglio attestato della storia del mondo.
(Il teologo Hirsch, Die Auferstehungsgeschichten, 4 sg.)

Divinità che muoiono e che risorgono dopo tre giorni

Durante tutta l'antichità il portento della resurrezione, come il miracolo della resuscitazione dei morti, fu fenomeno assai diffuso, giacché il mito del dio che soffre, muore e risorge appartenne ai tratti caratteristici della maggior parte delle religioni misteriche (Leipoldt). A quanto pare, lo stesso evangelista Matteo non vide nella resurrezione di Gesù alcunché di nuovo; egli credette che i guardiani del sepolcro l'avrebbero smentita... in cambio di una buona mancia (Mt. 28, 11 sgg.).

Prima di Cristo resuscitarono dai morti il babilonese Tammuz (sumer, Dumu-zi = figlio fedele), il cui culto si era diffuso fino a Gerusalemme; il siriano Adone ('adon = signore), l'egiziano Osiride, il tracio Dioniso e altri. Molti di questi dèi dovettero subire sofferenze e martìri, alcuni morirono sulla croce; talvolta la loro morte ebbe carattere espiatorio, e alla loro resurrezione venne sempre collegata fin dai tempi più antichi la speranza nell'immortalità dell'uomo.

Come il Gesù dei Sinottici, questi dèi morirono spesso prematuramente: Adone, il cui culto Saffo cantò intorno al 600 a.C., e che gli ebrei conobbero già nell'VIII secolo; Attis e Sabazio perirono in età giovanile, e tutti non di rado resuscitarono il terzo giorno o dopo tre giorni, come Attis, Osiride e assai probabilmente anche Adone. Esistette anche una leggenda ampiamente diffusa intorno a una divinità dell'Asia Minore protettrice della crescita della vegetazione, la quale resuscitava il terzo giorno dopo la sua deposizione nel sepolcro. Molti secoli prima del Cristianesimo, anche a Babilonia si credette in una resurrezione dopo tre giorni: "Per tre giorni riposa nel cielo. Forse che riposa nel cielo per quattro giorni? Mai riposa un quarto giorno! " (Cit. da Zeher, 95).

Ma i parallelismi fra le celebrazioni di resurrezioni pagane e il dramma cultuale del Cristianesimo non si fermano qui: l'oscillazione degli Evangeli fra terzo e quarto giorno (dopo tre giorni!) 1 ha la sua ragion d'essere evidente nel fatto che la resurrezione di Osiride si verificava il terzo giorno, quella di Attis, invece, il quarto giorno dopo la morte.

Appaiono sorprendenti talune analogie fra il culto cristiano e la resurrezione di Bel-Marduk, la principale divinità di Babilonia, creatore del mondo, dio della saggezza, dell'arte medica e dell'esorcismo, redentore inviato dal Padre, suscitatore dei defunti, signore dei signori, re dei re e buon pastore. Come il Cristo della Bibbia, Bel-Marduk fu arrestato, processato, condannato a morte, fustigato e giustiziato insieme a un malfattore, mentre un altro delinquente venne lasciato libero. Una donna asciugò il sangue del dio, fluito da una ferita inferta da un colpo di lancia 2. Infine anche Marduk discese nell'inferno a liberarne i prigionieri; e la sua tomba fu ben nota agli antichi (M. Brückner, 14).

Le narrazioni evangeliche della Resurrezione

Tutti i resoconti hanno un marcato carattere leggendario... Il contributo storico agli eventi pasquali è scarso e discutibile.
 (Il teologo Grass, 85 sg.)

Contraddizioni su contraddizioni
(Il teologo Heiler, Der Katholizismus, 44)

La teologia storico-critica non si stanca di evidenziare il fatto che nelle notizie intorno alla Resurrezione di Gesù le contraddizioni si accumulano in misura sconosciuta a qualsiasi altro passo neotestamentario, tanto che ne disconosce tout court il valore storico e, richiamandosi a Paolo, individua in Pietro il primo testimone dell'evento 3.

Tuttavia, la prima apparizione di Gesù a Pietro, accennata da Paolo, non si trova né in Marco né in Matteo, mentre Luca si limita a menzionarla di sfuggita, non senza qualche incongruenza (Lc. 24, 34. Cfr. però in proposito 24, 12). La registrazione paolina del fatto viene ritenuta più attendibile dai teologi, dal momento che egli è l'informatore più antico e si guarda da inutili abbellimenti leggendari: per lui è importante soltanto che il miracolo si sia verificato; delle cinque cristofanie enumerate - accanto a quella sperimentata personalmente - Paolo non indica né il quando, né il dove e nemmeno il come (1 Cor. 15, 5 sgg.).

Al contrario, i Vangeli denotano - come osserva in modo calzante il teologo Lohmeyer 4 - una ricca e colorita molteplicità di svariatissimi particolari. Il teologo von Campenhausen esprime tale constatazione con le parole seguenti:

"Fra tutte le notizie a noi pervenute, non se ne trovano due che concordino fra loro" (Campenhausen, 19).

Questo studioso ritiene, inoltre, che la versione dei fatti fornita da Matteo rigurgiti di incongruenze e di assurdità. Tale spiacevole impressione sarebbe attenuata notevolmente, se si decidesse di ignorare completamente i racconti più recenti di Matteo, Luca e Giovanni, attenendosi esclusivamente al più antico Marco -naturalmente con la dovuta cautela. Infatti, anche quest'ultimo presenterebbe non una testimonianza diretta, bensì un resoconto denso di incongruenze, di amplificazioni e di tratti leggendari; in ogni caso il suo racconto non sarebbe affatto "meramente fantasioso" (ibid., 26; 19 sg. e 37). Secondo questo teologo, dunque, si tratterebbe della notizia cristiana più antica e, per così dire, più attendibile della Resurrezione di Gesù; in modo non difforme, ma spesso più negativo, si pronuncia anche tutta la teologia critica 5.

Ma Goethe scrive negli Epigrammi Veneziani:

"Il sepolcro è spalancato: che grandioso miracolo, il Signore è risorto!
Chi ci crede! Furfanti, lo avete già portato via!".

La storia del sepolcro vuoto

La tesi della sottrazione del cadavere è, com'è noto, assai antica 6, e ritorna spesso anche nel Medioevo, ma appare altrettanto inverosimile quanto l'ipotesi della morte apparente o la teoria del trasloco o dello scambio della salma. La storia del sepolcro vuoto è nata probabilmente senza avere alle spalle un imbroglio, che si verificò, in verità, già con l'invenzione stessa di questa storia.

Lasceremo da parte le contraddizioni presenti nelle narrazioni della morte di Gesù, che un apologeta cristiano si sforza di giustificare con la profonda incertezza e la confusione 7 determinate negli informatori dai catastrofici eventi naturali ad essa connessi. Almeno nei Vangeli i riferimenti all'inumazione di Gesù ancora concordano: Giuseppe di Arimatea, un prestigioso funzionario pubblico e discepolo di Gesù, avrebbe portato via e seppellito il Crocifisso: in verità, però, gli Atti degli Apostoli sostengono una tesi diversa, quando raccontano che la deposizione dalla croce e l'inumazione fu opera degli Ebrei 8.

La Resurrezione vera e propria non viene raccontata dai Vangeli: la prova del miracolo fu, prima di tutto, il sepolcro vuoto; il che viene contestato spesso e volentieri, dal momento che i racconti che se ne occupano pullulano di incongruenze. Ma tutti i resoconti evangelici della Resurrezione hanno inizio proprio con questa constatazione, che possedeva evidentemente agli occhi dei narratori un'importanza determinante. Secondo le concezioni ebraiche, una resurrezione poteva considerarsi provata soltanto nel caso che il corpo medesimo si fosse levato dalla tomba (così Hauck, 192).

è istruttivo il modo in cui i cristiani andarono via via rielaborando la storia del sepolcro vuoto, per renderla più plausibile.

Paolo, l'autore cristiano più antico, non ne sa ancora nulla, o perlomeno non ne fa cenno, per quanto almeno un'allusione al sepolcro vuoto sarebbe stata del tutto ovvia, ad esempio nel capitolo XV della Prima Lettera ai Corinzi. Inoltre, sembra che nulla sapesse neppure della storiella delle donne e dell'angelo seduto sulla tomba.

Per ovviare all'accusa di imbroglio, Matteo si inventò la storia della guardia posta a custodia del sepolcro (Mt. 27, 62 sgg.; 28, 11 sgg.), di cui manca ogni traccia anche in Marco, secondo il quale le donne incontrano un angelo che siede silenzioso presso l'avello vuoto. In Matteo l'angelo discende dal cielo e le guardie, assenti in Marco, cadono a terra come folgorate (Cfr. Mc. 16, 1 sgg. con Mt. 28, 1 sgg.).

Gli scritti cristiani più recenti indicano persino il nome del comandante di questa guardia: alcuni lo chiamano Longius, altri Petronius. Sulla tomba sono stati impressi "sette sigilli", e il popolo accorre dalla città e dalle località vicine e si accerta de visu della chiusura del loculo 9. Inoltre la pietra tombale è tanto pesante che tutte le sentinelle, comandante compreso, non solo, ma anche gli anziani e gli scribi, e tutti quanti i presenti, devono darsi un bel da fare per smuoverla.

Ma fortunatamente e tempestivamente essa rotola via da sola dal suo posto. La guardia pagana e gli anziani ebrei diventano anch'essi testimoni della Resurrezione. Nel Vangelo di Pietro (Ev. Petr. 39 sgg.) Gesù salta fuori dal sepolcro addirittura con la croce, e alla domanda proveniente dal cielo se abbia adempiuto alla sua missione nell'Inferno risponde con uno squillante "Sì".

E infine il servo del Sommo Sacerdote riceve personalmente da Gesù il sudario di lino, e il centurione della guardia diventa un martire cristiano (Joh. Chrysost., hom. in Mc. 15, 39). Era necessario rappresentare l'evento in maniera sempre più plastica agli occhi dei fedeli. Non è fuori luogo rammentare che gli scritti "apocrifi" in origine venivano usati nell'opera di proselitismo e godevano della medesima autorità di quelli "autentici", i cui autori, per altro, non si erano comportati diversamente.

Come gli evangelisti canonici più recenti perfezionano il resoconto sulla Resurrezione compilato da Marco

In Marco, la mattina della domenica di Pasqua le donne si recano con unguenti profumati al sepolcro per "l'unzione". Questa decisione presa dopo tre giorni, quando, date le condizioni climatiche orientali, non si poteva non tener conto del fatto che il processo di putrefazione fosse già iniziato, era inverosimile. Perciò Matteo la espunge e manda le donne solo "a dare uno sguardo alla tomba", senza più parlare di unzione (Cfr. Mc. 16, 1 con Mt. 28, 1). Matteo s'accorge anche di un'altra incongruenza di Marco, secondo il quale il seppellimento è ormai cosa fatta da parte di Giuseppe di Arimatea già alla fine del XV capitolo.

Nel Vangelo di Giovanni quegli, insieme a Nicodemo, utilizza per l'unzione di Gesù una quantità di spezie del peso di "ben cento libbre" (Jh. 19, 39). Ora, la decisione delle donne di procedere all'imbalsamazione, raccontata da Marco al principio del XVI capitolo, non era soltanto poco credibile, ma anche completamente fuori posto (Cfr. Mc. 15, 46 sgg. con 16, 1 sgg.). Per altro, in Marco le donne acquistano gli unguenti il giorno successivo al sabato, in Luca se li procurano il giorno prima (Cfr. Mc. 16, 1 con Lc. 23, 56). In Marco si recano presso il sepolcro tre donne, in Matteo solo due, variante suggerita probabilmente dalla storia della resurrezione di Osiride, nella quale una versione parla di tre persone giunte alla sua tomba, come poi in Marco, un'altra invece solo di due donne, come poi in Matteo. Anche in questa narrazione, esattamente, come nella Bibbia, le donne recano con sé dei balsami 10.

Inoltre, in Marco le donne, con una leggerezza davvero assai poco credibile, si ricordano solo cammin facendo che avrebbero avuto bisogno d'aiuto per rovesciare la pietra tombale, poiché avevano già osservato "attentamente" il sepolcro sigillato (Cfr. Mc. 15, 47); così Matteo e Luca non fanno più menzione della loro preoccupazione per le dimensioni enormi della pietra sepolcrale (Cfr. Mc. 16, 1 sgg. con Mt. 28, 1 sg. e Lc. 24, 1 sg.).

E infine, sulle donne e sulla scoperta del sepolcro vuoto, Marco così scrive: "di questo non dissero nulla a nessuno" (Mc. 16, 8), con questo volendo semplicemente spiegare perché la storia fosse rimasta sconosciuta per tanto tempo (nemmeno Paolo ne fu al corrente). Ma il silenzio delle donne, sostenuto da Marco, non solo era totalmente inverosimile da un punto di vista psicologico, ma si trovava in aperto contrasto con quanto affermato appena un versetto prima, quando l'angelo raccomanda alle donne di portare ai discepoli la notizia dell'avvenuta Resurrezione! (Cfr. Mc. 16, 7 con 16, 8).

Perciò Matteo fornisce un'altra versione, assolutamente opposta, nella quale le donne si precipitano immediatamente "a portare la notizia ai discepoli" (Cfr. Mc. 16, 8 con Mt. 28, 8). In Luca, poi, esse recano la notizia "a tutti gli altri" (Lc. 24, 9. Cfr. anche 24, 22 sgg.), e nel quarto Vangelo, il più tardo, Giovanni opera ulteriori aggiustamenti 11. Insomma, l'inverosimile e incredibile silenzio delle donne riferito da Marco viene eliminato da tutti gli Evangelisti successivi, che in luogo di tremori, fughe e terrori descrivono l'immediata diffusione della lieta novella.

Un miracolo a sé è costituito poi dalla storia dell'Angelo: in Marco le donne lo incontrano nel sepolcro, in Matteo davanti, sopra la pietra rovesciata, in Luca, in un primo momento, non è né dentro né sopra, ma subito ne compaiono due, che si materializzano improvvisamente accanto alle donne. Anche nel Quarto Vangelo gli Angeli sono due, ma se ne stanno di già seduti in attesa sul sepolcro 12.

Osserviamo di passaggio che gli angeli cristiani derivano dall'Ebraismo, e che la Chiesa per lungo tempo condannò anche questa forma di culto. Il Sinodo di Laodicea (intorno al 360) lo dichiarò "pratica superstiziosa", e in effetti la credenza in una schiera di angeli è solo la deformazione di un antico politeismo. Anche "l'angelo custode", già presente in Matteo 13, invenzione toccante che accompagna ogni bambino cattolico, era già ben noto agli Assiri e ai Babilonesi, che raffiguravano i loro Angeli esattamente come faranno poi i cristiani. Nell'Ebraismo furono forniti di ali solo dietro influsso pagano, se è vero che nel Primo libro di Mosè essi avevano ancora bisogno di una scala per i loro viaggi fra cielo e terra 14.

Ma la Chiesa stessa, in verità, non sempre riusciva a capacitarsi fra le innumerevoli classi di Angeli: alcuni autori, ad esempio, vedevano negli Angeli del popolo creature miserabili, che terrorizzano le genti, inducendole al peccato con falsi insegnamenti; altri, al contrario, affermavano che col loro aiuto sarebbe stata portata a termine l'edificazione della Chiesa. Ma forse non si tratta nemmeno di una contraddizione!

Quando nacque la storia del sepolcro vuoto, esisteva già l'opera di Caritone Cherea e Calliroe, romanzo ampiamente diffuso e letto, che ha influenzato notevolmente gli autori posteriori, ed evidentemente anche gli Evangelisti. Nel III libro Cherea si reca di buon mattino presso la tomba di Calliroe, al colmo della disperazione, ma ecco che la pietra tombale giace rovesciata al suolo e l'ingresso è libero. Spaventato, Cherea non osa entrare; altri accorrono, anch'essi pieni di paura, finché uno si decide ad entrare e vede il miracolo: la defunta non c'è, il sepolcro è vuoto. Allora anche Cherea si fa avanti, e constata che l'evento incredibile è davvero accaduto.

A chi e dove apparve il Signore?

E dunque anche la tomba di Gesù era vuota. Un angelo secondo Marco e Matteo, due angeli secondo Luca e Giovanni hanno annunciato la sua Resurrezione. Ma costituiva parte integrante delle leggende intorno agli inviati divini il fatto che essi, gli immortali, dopo la dipartita sarebbero prima o poi ricomparsi. Il Cinico Peregrinus Proteus, dopo essere stato bruciato sul rogo, apparve a un filosofo, il quale non solo dichiarò d'aver veduto il risorto bianco vestito e col viso radioso, ma giurò anche d'essere stato testimone della sua ascesa al cielo 15. Anche Apollonio di Tiana, risorto, si mostrò a due dei suoi discepoli, inducendoli a toccargli la mano perché si convincessero ch'era vivo. E un Pretore romano sostenne sotto giuramento d'aver visto la figura del defunto Augusto in atto di ascendere in cielo (Trede, 38).

Secondo un'antica concezione ebraica, un fatto poteva ritenersi dimostrato solo dietro testimonianza di almeno due o tre testimoni, e poiché tale opinione, attestata già nel V Libro di Mosè, era ancora vigente nella primitiva comunità cristiana e ricorre più volte nel N.T. 16, anche Cristo doveva apparire a più persone per essere "realmente" risorto.

Ordunque, egli, secondo alcune notizie, apparve dapprima a Maria Maddalena, secondo altre a Giacomo e secondo altri ancora a Nicodemo o addirittura alla madre. E già i Vangeli su questo punto si contraddicono in maniera grossolana: in base alla conclusione inautentica di Marco e di Giovanni il risorto appare dapprima a Maria Maddalena (Mc. 16, 9; Jh. 20, 11 sgg.); secondo Matteo si mostra contemporaneamente alle due Marie (Mt. 28, 1 sgg.); e secondo Luca ai due discepoli di Emmaus (Lc. 24, 1 sgg. 24, 13 sgg.).

Il teatro di codeste apparizioni secondo Marco e Matteo fu la Galilea, secondo Luca Gerusalemme 17. Taluni esperti eliminano questo contrasto, estesosi poi anche ai Vangeli Apocrifi, inventandosi apposta una località di Gerusalemme chiamata Galilea: all'uopo nel 1896 vide la luce un libro intitolato Galilea sul Monte degli Olivi, nel 1910 un altro con l'analogo titolo Galilea presso Gerusalemme, tentativi che finirono perlopiù nell'indifferenza generale. Altri studiosi spiegarono poi l'apparizione di Cristo in Galilea come un vecchio abbaglio di Marco, il che avrebbe tolto di mezzo la funesta contraddizione, se altri dotti non avessero a loro volta parlato di un indubbio, anzi addirittura di un premeditato errore di Luca.

Certo, Gesù avrebbe potuto apparire sia qui che là, e in effetti il Quarto Vangelo parla di cristofanie sia in Gerusalemme che in Galilea (Jh. 20, 19 sgg. e 21) e il Diatessaron di Taziano, una sorta di concordanza evangelica composta intorno al 170 col fine esplicito, come vedremo più avanti, di appianare le incongruenze dei Vangeli canonici, dice la stessa cosa. Ma al Quarto Vangelo non si può attribuire nessun valore storiografico, a parte il fatto che l'indagine storico-critica ha provato che il capitolo 21, proprio quello contenente il racconto dell'apparizione del Risorto in Galilea, non è altro che una tarda interpolazione.

Inoltre, né Marco né Matteo parlano di apparizioni in Gerusalemme; né Luca parla di apparizioni in Galilea. Negli Atti degli Apostoli, anch'essi attribuiti a Luca, il Risorto ordina espressamente ai discepoli "di non allontanarsi da Gerusalemme, e di attendere là il compimento della promessa del Padre", per poi, dopo una breve allocuzione, ascendere immediatamente in cielo (Atti, 1, 1 sgg.). E anche nel Vangelo di Luca egli comanda: "E voi restate qui in città, finché non sarete armati della forza che discende dall'alto" (Lc. 24, 49). Pertanto Luca sa solo di apparizioni del Risorto a Gerusalemme o nei dintorni, nulla, invece, di apparizioni in Galilea. Al contrario! Egli le esclude addirittura proprio con l'ordine imposto ai discepoli sia negli Atti che nel Vangelo di non abbandonare Gerusalemme fino all'accoglimento dello Spirito nella festività della Pentecoste.

Il numero dei testimoni

Sono del pari un po' strane le asserzioni differenti di Pietro e di Paolo circa il numero dei testimoni della Resurrezione. Paolo parla di sei epifanie, cinque davanti agli Apostoli e una davanti a "più di cinquecento fratelli tutti insieme" (1 Cor. 15, 5 sgg.), aggiungendo anche che la maggior parte di questi cinquecento testimoni "è ancora in vita". Stranamente, però, un'apparizione tanto imponente non viene citata da nessun'altra parte. E inoltre l'informazione di Paolo mal si concilia con la dichiarazione di Pietro, secondo la quale Dio avrebbe consentito a Gesù "di apparire non a tutto il popolo, ma a noi, testimoni scelti già in precedenza da Dio, a noi che dopo la sua Resurrezione dai morti abbiamo mangiato e bevuto con lui" (Atti, 10, 40 sg.). Ma dopo l'allontanamento di Giuda si trattava, come è noto, solo degli undici Apostoli! (Mc. 16,14).

A questo proposito non sarà inopportuno toccare, almeno di sfuggita, il problema del numero, quale si presenta nella Bibbia. In relazione alla Resurrezione ci troviamo continuamente di fronte al numero 8: Gesù risorge l'ottavo giorno dopo l'inizio della settimana di Passione; i Vangeli contengono in tutto 8 notizie sulla sua Resurrezione e sulle sue apparizioni e citano 16 ( = 2 x 8) nomi di testimoni oculari. Paolo amplifica il loro numero a 512 ( = 8 x 8 x 8); anche il numero delle resurrezioni nominate nella Bibbia (eccettuata quella di Gesù) è ancora 8. Allo stesso modo il nome numerico del Risorto (Gesù) suona nella scrittura originaria 888; anche tutti i suoi appellativi (Cristo, Signore, Salvatore, Messia) nella scrittura greca contengono il fattore 8; e con questi accenni non è affatto esaurito il ruolo qui svolto da questo numero, poiché la Bibbia contiene elucubrazioni numeriche ancor più sorprendenti. Ma è serio rintracciare in simili artifizi la manifestazione del buon Dio, dedito a esercizi aritmetici?

Paolo sentì, quindi, il bisogno di ampliare fino a cinquecento la cerchia dei testimoni della Resurrezione; tuttavia ci si chiede perché mai il Signore apparve solo ai Discepoli, e non anche ai suoi accusatori e giudici, davanti ai quali avrebbe potuto fondare ben più efficacemente la fede nella sua Resurrezione; anzi, "da allora in poi" avrebbero dovuto vederlo trascorrere per le nubi del cielo (Mt. 26, 64. Cfr. anche Mc. 14, 62). Di questo serio problema si occupò già Celso, che pose Origene in notevole imbarazzo: il grande teologo seppe ribattere all'avversario pagano soltanto il fatto che il Risorto si limitò ad apparire a poche persone, perché gli altri non avrebbero saputo sopportare la vista della sua immagine trasfigurata (Orig., Cels. 2, 63, 64).

continua


Note

1 Cfr. Lc. 9, 22; 18, 33; Mt. 20, 19; 1 Cor. 15, 4 con Mc. 8, 31; 9, 31; 10, 34.
2 Lelpoldt, Sterbende und auferstehende Götter, 9. Cfr. anche Sterk, II, 412 sg. W. Bauer, Das Johannesevangelium, 219 sg. 11. Lessing, 99.
3 Cfr. W. Bauer, Das Leben Jesu, 261 sgg. Campenhausen, Der Ablauf der Osterereignisse, 8 sgg. Schneider, Gestegeschichte, I, 82 sg. Hirsch, Die Auferstehungsgeschichten, 3. Grass, 94 sgg; 106 sg.
4 Lohmeyer, Galiläa u. Jerusalem, 5.
5 Cfr. B. Knopf, Einführung, 290. Bornkamm, Jesus von Nazareth, 167. Harnack, Mission u. Austreitung, 1, 124. Werner, Der protestantische Weg, I, 130. Bultmann, Theologie des N. T, 46. Idem, Synoptische Tradition, 260. Dibelius, Formgeschichte, 191. Heiler, Der Katholizismus, 44. Grass, 85 sg.
6 Mt. 28, 13 sg. Cfr. anche Tert., spect. 30. Forse alluso in Jh. 20, 15.
7 Secondo Geffcken, Das Christentum im Kampf, 98 sg.
8 Cfr. Mc. 15, 42 sgg.; Mt. 27, 57 sgg.; Lc. 23, 50 sgg. con Atti 13, 27 sgg.
9 Acta Pilati A 16, 7. Ev. Petr. 31 e 33. In proposito Hennecke, 78. Michaelis, Die apokryphen Schriften zum N. T. 49. Per quanto segue soprattutto Grass, 23 sgg. Campenhausen, Der Ablauf der Osterereignisse, 27 sgg.
10 Schneider, Geistesgeschichte, 1, 85. Cfr. inoltre Mc. 16, 1 con Mt. 28, 1.
11 Jh. 20, 2; 20, 18. Sulla comunicazione delle donne, per altro assolutamente problematica, cfr. Bultmann, Synoptische Tradition, 296. Klostermann, Das Markusevangelium, 168. Bousset, Kyrios Christos, 63 sgg.
12 Cfr. Mc. 16, 5 con Mt. 28, 2; Lc. 24, 4; Jh. 20, 12.
13 Mt. 18, 10. Cfr. anche Orig., Cels. 8, 34. In Num. Hom. 11, 4.
14 1 Mosè; 28, 12. Bertholet, 128.
15 Lucian., morte Per., 40. Cfr. anche Orig., Cels. 2, 55.
16 Mt. 19, 15 sg.; Jh. 8, 17; 2 Cor. 13, 1; 1 Tim. 5, 19 e passim. Inoltre, 5 Mos. 19, 15.
17 Cfr. Mc. 16, 1 sgg. specie 16, 7. Inoltre 14, 28; Mt. 28, 1 sgg. specie 28, 16 con Lc. 24, 1 sgg.


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Si ringrazia l'Editore Roberto Massari per averci concesso di riprodurre parzialmente questo testo.


Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia Antica - Storia critica della chiesa - Nuovo Testamento
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Aggiornamento: 01/05/2015